Pippi Calzelunghe
di Astrid Lindgren
1. Pippi si trasferisce a Villa Villacolle
C'era, alla periferia delle minuscola città, un vecchio giardino in rovina; nel giardino sorgeva una vecchia casa, e nella casa abitava Pippi Calzelunghe. Aveva nove anni e se ne stava lì completamente sola: non aveva nè mamma nè papa, e in fin dei conti questo non era così atroce se si pensa che così nessuno poteva dirle di andare a dormire proprio quando si divertiva di più o propinarle l'olio di fegato di merluzzo quando lei desiderava le caramelle. C'era stato, veramente, un tempo in cui Pippi aveva un papà al quale voleva un monte di bene, e naturalmente anche una mamma; ma erano passati tanti anni che lei non riusciva a ricordarsi. La mamma infatti era morta quando Pippi era una bimba piccina piccina, che stava nella culla e strillava in maniera così raccapricciante che nessuno resisteva a rimanerle vicino. Pippi era convinta che la sua mamma se ne stesse ora seduta in cielo e guardasse la sua bambina col cannocchiale attraverso un piccolo foro, cosi che Pippi aveva preso l'abitudine di fare un cenno di saluto verso l'alto, e di dire: "Non stare in pensiero per me! Io me la cavo sempre!" Ma suo padre, Pippi non se l'era scordato. Era capitano di marina e navigava per il vasto mare; Pippi era sempre stata con lui sulla sua nave, finché un giorno, durante un temporale, era volato via ed era scomparso. Pippi però era sicurissima che una volta o l'altra il suo papà sarebbe ritornato: il pensiero che potesse essere annegato non la sfiorava nemmeno. Era invece convinta che le onde lo avessero sospinto a terra, e precisamente in un'isola popolata di negri; lì suo padre era diventato il loro re e per tutto il giorno camminava su e giù con una corona d'oro sulla testa. "Un angelo per mamma e un re di una tribù negra per papà: non capita davvero a tutti i bambini d'avere dei genitori tanto distinti!" usava dire Pippi con aria soddisfatta. "E appena il mio papà si sarà costruito una barca, mi verrà a prendere, e così diventerò la principessa di una tribù negra. Urrà! Allora sì che ci divertiremo!" Era stato proprio il padre di Pippi a comperare quella vecchia casa in mezzo al giardino, molti anni addietro. Contava di andarcisi a stabilire con Pippi quando fosse diventato troppo vecchio per continuare a navigare. Ma poi gli era capitata quella stupida cosa di volare in mare e Pippi, in attesa di vederlo ricomparire, puntò decisamente su Villa Villacolle, eleggendola a sua dimora per il futuro. Quello era infatti il nome della casa che, ammobiliata e perfettamente sistemata, non attendeva che il suo arrivo. Era una bella sera d'estate quando Pippi disse addio all'equipaggio della nave di suo padre: i marinai le volevano un gran bene, e un gran bene voleva loro Pippi. "Addio, ragazzi!" disse Pippi, e li baciò ad uno ad uno in fronte. "Non state in pensiero per me! Io me la cavo sempre!" Dalla nave prese per sé due cose: una scimmietta che si chiamava Signor Nilsson regalatale dal suo papà e una grossa valigia piena di monete d'oro. Dal ponte della nave i marinai seguirono Pippi con lo sguardo, finché la videro scomparire. Lei se ne andò diritta, senza voltarsi indietro, col Signor Nilsson su una spalla e la valigia in mano. "Che bambina straordinaria!" disse uno dei marinai, e s'asciugò una lacrima, quando Pippi scomparve. E aveva ragione: Pippi era davvero una bambina straordinaria. La cosa più eccezionale in lei era la sua forza; era così tremendamente forte, che in tutto il mondo non esisteva un poliziotto che fosse forte quanto lei. Poteva benissimo sollevare un cavallo, se appena lo avesse voluto. E lei voleva: proprio un cavallo possedeva, comperato con una delle sue tante monete d'oro il giorno stesso del suo arrivo a casa, a Villa Villacolle; aveva tanto sognato d'averne uno tutto per sé ed ora il cavallo abitava in veranda, ma quando Pippi desiderava sorseggiare proprio lì il suo caffé pomeridiano, lo sollevava semplicemente, e lo depositava in giardino. Vicino a Villa Villacolle c'era un altro giardino, e un'altra casa. In quella casa abitavano un papà e una mamma con i loro due graziosi bambini, un maschio e una femmina. Il ragazzo si chiamava Tommy e la bambina Annika. Erano due bambini molto gentili, ben educati e obbedienti: mai che Tommy si mangiasse le unghie o si sognasse di non fare quel che la mamma gli chiedeva; quanto ad Annika, non si scalmanava certo quando non riusciva ad averla vinta, e se ne andava sempre in giro tutta pulitina, con dei vestitini di cotone perfettamente stirati, che si guardava bene dallo sporcare. Non che Tommy e Annika non giocassero bene insieme nel loro giardino, ma spesso avevano provato il desiderio di un compagno di giochi, e quando ancora Pippi navigava per i mari col suo papà, talvolta si ritrovavano aggrappati allo steccato a dirsi l'un l'altro: "Che assurdità che nessuno pensi a trasferirsi in quella casa! Qualcuno dovrebbe pure andarci ad abitare, qualcuno con dei bambini". Quando, quella bella sera d'estate, Pippi varcò la soglia di Villa Villacolle, Tommy e Annika non si trovavano in casa: erano andati a passare una settimana dalla nonna. Non sospettavano perciò nemmeno lontanamente che qualcuno fosse venuto a vivere nella villa vicina e, mentre il primo giorno del loro ritorno a casa se ne stavano come al solito a guardare tristemente la strada attraverso le sbarre del cancello, non s'immaginavano che ci fosse, tanto vicino a loro, un nuovo compagno di giochi. Così, proprio mentre stavano pensando cosa fare e se c'era da sperare di divertirsi quel giorno, o se fosse destinata ad essere una di quelle giornate disgraziate in cui non s'inventa nulla, proprio allora il cancello di Villa Villacolle si aperse e una ragazzina ne uscì. Si trattava della più curiosa bambina che mai Tommy ed Annika avessero visto, ed era proprio Pippi Calzelunghe che iniziava la sua passeggiata mattutina. I suoi capelli color carota erano stretti in due treccioline rigide che se ne stavano ritte in fuori; il naso pareva una patatina ed era tutto spruzzato di lentiggini. E sotto il naso s'apriva una bocca decisamente grande, con una fila di denti bianchissimi e forti. Originale era il suo vestito: Pippi se l'era cucito da sola. Veramente la sua idea sarebbe stata di farlo blu, ma poi, non bastandole la stoffa, era stata costretta ad applicarvi qua e là delle toppe rosse. Un paio di calze lunghe, una color marrone e l'altra nera, le copriva le gambe magre. Infine non bisogna dimenticare le sue scarpe nere, lunghe esattamente il doppio dei piedi: gliele aveva comperate il suo papà nel Sud America, grandi cosi perché i piedi di Pippi potessero crescervi a loro agio, e lei non aveva mai voluto calzarne altre.
Ma ciò che fece proprio sbalordire Tommy e Annika fu la scimmia, che sedeva tranquillamente su una spalla della bambina sconosciuta. Era una scimmietta da circo che indossava pantaloni blu e una giacca gialla, e portava in testa una paglietta bianca. Imperturbabile, Pippi proseguì per la sua strada; camminava con un piede sul marciapiede e l'altro nel rigagnolo. Finché fu possibile, Tommy ed Annika la seguirono con lo sguardo, ed ecco, dopo un attimo, la videro ritornare camminando a ritroso. Giunta davanti al cancello di Tommy ed Annika, Pippi si fermò. Un lungo sguardo corse tra i bambini, in silenzio. Disse infine Tommy: "Perché cammini all'indietro?" "Perché cammino all'indietro?" esclamò Pippi. "Forse che non viviamo in un paese libero? Ognuno non può camminare come più gli piace? Comunque, voglio farti sapere che in Egitto tutti camminano cosi, e nessuno ci trova nulla di buffo". "E tu come lo sai?" chiese Tommy "Tanto non sei mai stata in Egitto!" "Se sono stata in Egitto! Ma naturalmente, puoi giurarci. Dappertutto sono stata, nel globo terrestre e ne ho viste di ben più buffe che gente che cammina all'indietro! Mi domando che cosa avresti detto, allora, se mi fossi messa a camminare sulle mani, come si usa nell'India Orientale!" "Questa é una bugia bella e buona" osservò Tommy. Pippi ci pensò su un secondo. "Hai ragione: ho proprio detto una bugia" ammise avvilita. "Mentire é una bruttissima cosa" disse Annika, che solo ora osava aprir bocca. "Sì, é proprio orribile mentire" convenne Pippi sempre più avvilita. "Ma capisci, io ogni tanto me lo dimentico. E in fin dei conti come si può pretendere che una povera bambina piccina con un angelo per mamma e un re di una tribù negra per papà, e che non ha fatto altro per tutta la vita che navigare i mari, possa dire sempre la verità? Del resto" e mentre diceva questo il visino punteggiato di lentiggini le si illuminò tutto, "voglio che sappiate che nel Congo Belga non esiste una sola persona che dica la verità; tutto il giorno non si fa altro che dir bugie: si comincia alle sette di mattina e si smette al tramonto. Così, se qualche volta mi capita di mentire, cercate di scusarmi; dipende unicamente dal fatto di aver soggiornato un po' troppo a lungo nel Congo Belga. Ma saremo amici ugualmente, vero?" "Naturale!" esclamò Tommy. E all'improvviso si rese conto che certamente quella non sarebbe stata una giornata disgraziata e noiosa. "Che cosa ve ne pare dell'idea di venire tutti a fare merenda da me?" propose Pippi. "E perché no?" disse Tommy. "Niente ce lo impedisce. Andiamoci subito!" "Sì, sì! Subito, subito!" esclamò Annika. "Prima di tutto devo presentarvi al Signor Nilsson" disse Pippi. E qui la scimmietta si levò il cappello e salutò molto educatamente .
Così entrarono dal cancello cadente di Villa Villacolle, salirono i gradini del viale fiancheggiato da vecchi alberi coperti di muschio alberi su cui ci si poteva arrampicare stupendamente finché giunsero alla villa e si trovarono nella veranda. Qui il cavallo stava mangiando tranquillo dell'avena da una zuppiera. "Ma come, tieni un cavallo nella veranda?" chiese Tommy. Tutti i cavalli di sua conoscenza abitavano regolarmente in una stalla. "Proprio così" confermò Pippi pensosamente. "In cucina non darebbe che fastidio, e in salotto mostra di trovarsi a disagio". Tommy ed Annika fecero una carezza al cavallo, e poi entrarono in casa. Questa comprendeva una cucina, un salotto e una stanza da letto, ma pareva che Pippi, quella settimana, avesse dimenticato di farci le pulizie del venerdì. Tommy ed Annika si guardarono attentamente in giro, sperando che il re dei negri al quale Pippi aveva accennato se ne stesse seduto in qualche angolo: non ne avevano mai visto uno, in vita loro. Ma, non comparendo né un papà né una mamma, Annika domandò, leggermente inquieta: "Abiti qui tutta sola?" "No, certo!" disse Pippi. "Il Signor Nilsson e il cavallo vivono con me". "Volevo dire: non hai né mamma né papà?" "Nemmeno un pezzettino" rispose Pippi allegramente. "Ma allora chi ti dice quando devi andare a letto, di sera, e cose simili?" chiese Annika. "Me lo dico da sola" spiegò Pippi. "Dapprima con le buone, e, se non obbedisco, in tono che non ammette repliche e, se continuo a non voler obbedire, allora finisce a sculacciate". Non si può dire che per Tommy ed Annika il concetto risultasse del tutto chiaro, pure pensarono che doveva essere un buon sistema. Intanto erano entrati in cucina, e Pippi canterellò: "Che belle frittelle impasteremo! Che belle frittelle friggeremo! Che belle frittelle mangeremo!"
Dopo di che tirò fuori tre uova e le gettò per aria: un uovo le cadde in testa e si ruppe, così che il tuorlo le colò negli occhi; ma le altre due uova riuscì ad acchiapparle abilmente al volo mandandole a rompersi in una casseruola.
"Ho sempre inteso dire che il tuorlo d'uovo giova ai capelli" disse Pippi, e s'asciugò gli occhi. "D'ora in poi cresceranno cosi a vista d'occhio che li sentirete frusciare. Del resto in Brasile tutti, ma proprio tutti, vanno in giro con un uovo tra i capelli: questo é il motivo per il quale lì i calvi non esistono. Solo una volta un originale, invece di rompersi le uova sulla testa, le mangiò: naturalmente divenne calvo e quando comparve in pubblico causò un tale scompiglio che dovette intervenire la polizia". Parlando, Pippi aveva tolto molto abilmente, con le dita, i gusci d'uovo dalla casseruola; staccò poi dalla parete, dove stava appesa, una spazzola da bagno, e con questa si accinse a frullare le uova, facendone schizzare una generosa porzione sulle pareti. Quel che si salvò venne versato in una padella che si trovava sul fuoco; quando una frittella era ben cotta da una parte, Pippi la faceva saltare in maniera che si rivoltasse in aria, e poi la riacchiappava. Quando era pronta, la faceva volare attraverso la cucina, direttamente in un piatto posto sulla tavola.
"Mangiate!" strillò Pippi tutta eccitata. "Mangiate, prima che si raffreddino!"
Tommy ed Annika mangiarono, e trovarono le frittelle veramente squisite; poi furono invitati a passare in salotto. Qui troneggiava un solo mobile: un enorme comò con un'infinità di cassettini. Pippi li aprì e mostrò a Tommy ed Annika tutti i tesori che vi aveva riposto: straordinarie uova d'uccello, strane conchiglie e meravigliose pietre, graziose scatoline, specchi d'argento, collane di perle e tante altre cose che Pippi e il suo papà avevano comperato durante i loro viaggi intorno al mondo. Pippi offerse ad ognuno dei suoi compagni di gioco un regalino per ricordo: a Tommy un pugnale col manico di madreperla scintillante e ad Annika una scatolina col coperchio formato di frammenti di conchiglie. Nella scatola c'era un anello con una pietra verde.
"Sarebbe consigliabile che ve ne andaste a casa, adesso" disse Pippi, "così potrete ritornare domani. Perché se non ve ne andate per tempo, potrebbero proibirvi di ritornare, e sarebbe un gran peccato". Tommy ed Annika approvarono. Così se ne tornarono a casa, passando accanto al cavallo che nel frattempo aveva terminato la sua avena, e uscirono dal cancello di Villa Villacolle. Quando li vide andarsene, il Signor Nilsson sventolò allegro il cappello.
2. Pippi cercacose
Annika si svegliò di buon'ora, il mattino seguente. Balzò dal letto e s'avvicinò a Tommy in punta di piedi. "Svegliati, Tommy" gli disse, scuotendolo per un braccio, "svegliati, che andiamo a trovare quella buffa bambina dalle grandi scarpe!" Tommy non protestò, anzi fu subito vispo come un grillo. "Sentivo nel dormiveglia che oggi si preparava qualcosa di divertente, ma non sapevo che cosa" disse sbottonandosi la giacca del pigiama. Poi corsero tutti e due in bagno: si lavarono e si pulirono i denti molto più in fretta del solito; si infilarono i vestiti in un batter d'occhio, e ben un'ora prima del consueto scivolarono lungo la ringhiera della scala fino alla tavola della sala da pranzo, alla quale si sedettero reclamando immediatamente la loro cioccolata. "Che cosa state covando" chiese la mamma "sotto tutta questa fretta?" "Pensiamo d'andare dalla nuova bambina della casa accanto" disse Tommy. "E forse ci resteremo tutto il giorno" aggiunse Annika. Quella mattina Pippi aveva stabilito di dedicarla alla preparazione dei biscotti; aveva fatto una incredibile quantità di pasta e l'aveva spianata sul pavimento della cucina.
"Perché devi renderti conto" spiegava alla scimmietta, "che un tavolo non basta, quando si devono impastare almeno cinquecento biscotti!" Se ne stava così a pancia in giù sul pavimento, ritagliando dei cuori di pasta con infinita concentrazione. "E tu smettila, Signor Nilsson, di impantanarti nella pasta a forza di camminarci sopra!" stava dicendo con fare seccato, quando venne suonato alla porta. Pippi si precipitò ad aprire. Era tutta bianca dalla testa ai piedi come un mugnaio e, quando strinse calorosamente la mano a Tommy e ad Annika, li avvolse in una nuvola di farina. "Sono proprio felice che siate venuti a trovarmi" disse e, scrollando il grembiule, sollevò una seconda nuvola di farina, così che Tommy ed Annika furono costretti a tossire per liberarsi la gola. "Che cosa stai facendo?" chiese Tommy. "Beh, se anche ti dicessi che sto pulendo la cappa del camino, tu, astuto come sei, non mi crederesti: tanto vale che confessi subito che sto impastando. Ma presto avrò finito. Intanto potete accomodarvi sul cassone della legna". Come sapeva essere svelta Pippi! Tommy ed Annika, seduti sul cassone della legna, furono testimoni della furia con cui si precipitò sulla pasta spianata, e della velocità con cui gettò i biscotti nelle teglie e infilò le teglie nel forno. Pareva di essere al cinema. "Ecco fatto!" esclamò Pippi alla fine, richiudendo lo sportello del forno sulle ultime teglie. "E che cosa si fa adesso?" chiese Tommy. "Io non so che cosa abbiate intenzione di fare voi" disse Pippi "Quanto a me, non me ne rimarrò davvero con le mani in mano: sono infatti una cercacose e voi sapete anche troppo bene come questa professione non lasci mai un minuto libero". "Cos'hai detto che sei?" chiese Annika. "Una cercacose". "Ma cos'é?" domandò Tommy. "Evidentemente qualcuno che si preoccupa di cercare le cose; non vedo che cos'altro potrebbe essere!"disse Pippi, ammucchiando con la scopa la farina sparsa per il pavimento. "Il mondo é pieno zeppo di cose, e ci vuole pure qualcuno che si dia da fare per sapere che razza di cose siano. Questo é appunto il compito dei cercacose". "Ma che tipo di cose?" insistette Annika. "Che ne so, qualsiasi tipo di cose" rispose Pippi: "pepite d'oro, piume di struzzo, topi morti, caramelle con lo scoppio, minuscole viti, e così via". Tommy ed Annika ne conclusero che doveva trattarsi di un gioco divertente e decisero di improvvisarsi cercacose anche loro. Tommy tuttavia precisò che avrebbe preferito trovare una pepita d'oro piuttosto che una minuscola vite. "Stiamo a vedere" disse Pippi; "qualcosa si trova sempre. Soltanto spicciamoci, se non vogliamo che altri cercacose ci precedano e ci portino via tutte le pepite d'oro sparse nella zona". I tre cercatori si misero dunque all'opera; cominciarono con l'ispezionare i dintorni delle ville vicine, perché Pippi aveva fatto notare che, nonostante succeda molto spesso di rinvenire una vite nel cuore di un bosco, pure gli oggetti migliori si trovano vicini alle abitazioni degli uomini. "Per quanto" disse, "spesso mi si siano presentati casi opposti; mi viene in mente quella volta che facevo la cercacose nella giungla del Borneo: proprio nel fitto della foresta dove mai, mai si posò piede umano, immaginate che cosa ti trovo? Una stupenda gamba di legno. In seguito la regalai a un tipo con una gamba sola, il quale mi disse che una simile gamba non avrebbe potuto acquistarla nemmeno a peso d'oro". Tommy ed Annika si diedero ad osservare attentamente Pippi, per dedurne quale dovesse essere il comportamento del perfetto cercatore. Pippi correva da un lato all'altro della strada, facendosi solecchio con la mano, e cercava affannosamente. Di tanto in tanto si inginocchiava, frugava tra le assi di uno steccato, poi esclamava con grande disappunto: "Che strano, avrei giurato di veder luccicare dell'oro!". "Ma bisogna proprio raccogliere tutto quello che si trova?" s'informò Annika. "Sì, tutto quello che giace per terra" disse Pippi. Avevano fatto pochi passi che videro, disteso in un prato, un vecchio signore che dormiva di fronte alla sua villa. "Ecco: quello giace in terra e noi l'abbiamo trovato!" esclamò Pippi. "Quindi prendiamolo!" Tommy ed Annika la guardarono con gli occhi fuori dalle orbite. "No, no, Pippi, non possiamo mica portarci via un nonnetto; non si usa" disse Tommy. "E poi, che cosa ne faremmo?" "Che cosa ne faremmo? Ma si può usare in mille modi! Potremmo per esempio tenerlo in una gabbia da conigli, invece di un coniglio, e nutrirlo con foglie di radicchio. Mi fa una rabbia pensare che forse arriva un altro cercatore e ce lo porta via!" Proseguirono. D'improvviso, Pippi gettò uno strillo acutissimo. "Mai e poi mai ho visto qualcosa di simile!" gridò, sollevando dall'erba una vecchia latta tutta arrugginita. "Che tesoro ho trovato, che tesoro! Pensare che non si hanno mai barattoli a sufficienza!" Lo sguardo che Tommy rivolse alla latta esprimeva chiaramente la sua delusione. "A che cosa vuoi che ci serva!" disse. "A tutto" ribatté Pippi: "se per esempio ci tieni dei biscotti diventa una stupenda Scatola-da-Biscotti; oppure puoi non riempirla di biscotti, e allora diventa una Scatola-senza-Biscotti. Naturalmente così é peggio, ma serve lo stesso, vi pare?" E di nuovo esaminò la scatola, che era davvero arrugginita in maniera pietosa, e per di più aveva un buco sul fondo. "Devo ammettere che ha più l'aspetto di una ScatolasenzaBiscotti" disse meditabonda. "Ma si può anche infilarsela in testa e far finta che sia notte". E così fece. Con la scatola calcata in testa s'addentrò brancolando nel quartiere di villette come una piccola torre di latta, e non s'arrestò finché, inciampando in un recinto di filo spinato, non andò a cadere lunga distesa. La latta, sbattuta così per terra, fece un gran fracasso. "Vedete" disse Pippi sfilandosela dalla testa, "se non l'avessi calzata, avrei picchiato con la faccia, e mi sarei rovinata per la vita". "Però" azzardò Annika, "se non avessi avuto la scatola in testa, non saresti mai inciampata contro il filo spinato". Non aveva ancora terminato il discorso che si fece udire un nuovo strillo di Pippi, la quale, trionfante, sventolava un rocchetto senza filo. "Ma questo é il mio giorno fortunato!" esclamò. "Un rocchetto così delizioso attraverso il quale gonfiare le bolle di sapone, o da appendere con uno spago al collo come collana! Voglio subito andare a casa a utilizzarlo". In quel medesimo istante il cancello d'una villa vicina si spalancò, e ne uscì correndo un ragazzo. Aveva l'aria molto spaventata, e non c'era da stupirsene, perché i cinque ragazzi che gli stavano alle calcagna, dopo averlo raggiunto, lo spinsero contro una palizzata e gli saltarono addosso. E tutti e cinque insieme presero a tempestarlo di pugni, mentre lui piangeva e si teneva le braccia sul viso per difendersi. "Dategli addosso, miei prodi" li incitava il più grande e il più forte dei ragazzi, "che non osi più farsi vedere in questa strada!" "Oh" esclamò Annika, "quello che si prende le botte é Ville: come possono essere tanto cattivi!" "quello schifoso di Bengt: lui deve sempre menar le mani" disse Tommy. "E in cinque contro uno, poi; che vigliacchi!" Pippi si avvicinò ai ragazzi, e con l'indice diede un leggero colpetto sulla spalla di Bengt. "Senti, tu" disse: "pare proprio che abbiate intenzione di fare polpette del piccolo Ville, dato che gli state addosso in cinque". Bengt si voltò e si trovò di fronte una ragazzina sconosciuta e dall'aspetto esotico, che per giunta osava dargli dei colpetti sulla spalla con un dito. Per un attimo rimase a bocca aperta dallo stupore, ma poi un sogghigno gli contrasse la faccia. "Ehi, ragazzi" disse: "lasciate stare Ville e venite po' a vedere questa sagoma di bambina!" si piegava in due dal ridere. In un baleno si raccolsero intorno a Pippi, tutti meno Ville che, asciugandosi le lacrime, andò a mettersi per precauzione dietro a Tommy. "Avete visto che razza di capelli ha: una vera aureola di brace! E che scarpe!" continuò Bengt. "Me ne presteresti una? Avrei tanta voglia di andare al largo a remare, ma non possiedo una barca". Afferrò poi una treccia per poi subito andare strillando: "Ohi, ohi, mi sono scottato!" Allora i cinque ragazzi si misero girotondo intorno a Pippi, e saltando cantavano: "Cappuccetto Rosso! Cappuccetto...". Pippi se ne stava tranquilla sorrideva con la sua aria più affabile. Bengt, che aveva sperato che lei si arrabbiasse, che si mettesse a piangere, o almeno che assumesse un'aria spaventata, visto che il beffarla non serviva a nulla, le diede improvvisamente uno spintone. "A quanto sembra" disse Pippi, "non sei molto galante con le signore". E così dicendo lo sollevò sulle sue forti braccia, poi lo trasportò fino ad una betulla che cresceva lì accanto, e infine lo gettò come un sacco su un ramo. Indi prese il secondo ragazzo e lo gettò su un altro ramo, poi afferrò il terzo e lo piazzò a sedere su un pilastro a lato del cancello di una villa, e il quarto lo scaraventò al di là d'una palizzata, così che si ritrovò tra l'erbetta fiorita di un giardino sconosciuto. L'ultimo degli assalitori, finalmente, Pippi lo depositò in una piccola carriola abbandonata lungo la strada.
Per un bel pezzo Pippi, Tommy, Annika e Ville rimasero a contemplare i ragazzi, che erano ammutoliti dallo stupore. "Siete dei bei vigliacchi!" disse infine Pippi. "Prima vi buttate codardamente in cinque su un ragazzo solo; poi cominciate anche a dare spintoni a una povera ragazzina indifesa. che porcheria! E ora andiamocene a casa" disse a Tommy e ad Annika. E, rivolta a Ville: "Se ci riprovano, a dartele, non hai che da avvertirmi". E a Bengt, che non osava muoversi dall'albero: "Se hai qualcos'altro da aggiungere a propositoto dei miei capelli e delle mie scarpe, spicciati perché devo andare a casa". Ma parve che Bengt non avesse nulla da aggiungere sulle scarpe di Pippi, e nemmeno sui suoi capelli; allora Pippi raccolse la latta e il rocchetto, e si allontanò, seguita da Tommy e da Annika. Quando furono giunti nel giardino della sua casa, Pippi disse: "Tesorini miei, come mi dispiace: io ho trovato due cose meravigliose, e voi siete a mani vuote. Datevi ancora un po' da fare. Tommy, perché non guardi in quel vecchio albero cavo? I vecchi alberi cavi sono dei luoghi ideali per i cercacose". Tommy borbottò ch'era convinto che mai, lui e Annika, sarebbero riusciti a trovare qualcosa, ma per non far dispiacere a Pippi infilò una mano nella cavità del tronco. "Incredibile" mormorò stupefatto; e, ritirata la mano, mostrò nel palmo uno stupendo notes rilegato in cuoio. In un anello era infilata una penna d'argento. "Strano!" disse. "Converrai ora con me" disse Pippi "che nessun mestiere é migliore di quello del cercacose. Ciò che mi meraviglia é vedere che in fondo non sono in molti a contendersi questo lavoro. Falegname, calzolaio, spazzacamino, questi sono i mestieri che la gente fa con entusiasmo, ma cercacose no, non si degnano". E ad Annika: "Perché non provi a cercare nella fessura di quel vecchio ceppo? Non hai idea di quante cose si trovino, nei vecchi ceppi". Annika cercò dove le era stato indicato, e quasi subito estrasse una collana di coralli, rossa. Per un bel po' lei e Tommy rimasero in piedi, imbambolati dallo stupore. Dopo di che decisero che da quel momento in poi avrebbero fatto i cercacose tutti i giorni. Pippi, che la sera prima era rimasta sveglia fino a mezzanotte a giocare a palla, tutt'ad un tratto fu colta da un gran sonno. "Credo proprio che sarò costretta a schiacciare un pisolino" disse. "Vi dispiacerebbe venire a rincalzarmi le coperte?" Seduta sull'orlo del letto, Pippi stette a rimirare pensosa le scarpe che s'era appena sfilate. "Ah, voleva andare al largo a remare, quel Bengt!" esclamò. "Roba da pazzi!" sbottò, sdegnata. "Gli insegno io a remare, la prossima volta!" "Ma dimmi, Pippi" le chiese Tommy rispettosamente, "perché porti scarpe tanto grandi?" "Per poter muovere le dita dei piedi" fu la risposta. Poi Pippi si sdraiò per dormire. Dormiva sempre con i piedi sul cuscino e la testa in fondo al letto, sotto le coperte. "l'uso del Guatemala" affermò." l'unica maniera veramente comoda di riposare: cosi si possono roteare le dita dei piedi anche quando si dorme. Voi forse siete capaci di addormentarvi senza ninnananna" aggiunse, "ma io no: sono sempre costretta a cantarmela da me, altrimenti non mi riesce di chiuder occhio". Tommy ed Annika udirono infatti un vago borbottare sotto le coperte: era Pippi che cantava, fino ad addormentarsi. In silenzio, e stando molto attenti a non disturbarla, uscirono in punta di piedi. Sulla soglia si rivolsero un ultimo sguardo al letto di Pippi: non videro che i suoi piedi riposare sul cuscino mentre le dita roteavano con energia. Tommy ed Annika trotterellarono a casa; Annika teneva stretta in mano la sua collana di coralli. "Però, strano" commentò. "Tommy, non credi che forse... forse Pippi avesse nascosto lei, in precedenza, le cose che abbiamo trovato?" "E chi lo sa" disse Tommy; "non si può mai sapere nulla, quando si tratta di Pippi".
3. Pippi gioca a rincorrersi con la polizia
Ben presto divenne di pubblico dominio, nella cittadina, che una bambina di nove anni abitava tutta sola a Villa Villacolle. Le comari si trovavano d'accordo nel dire che così non si poteva andare avanti: tutti i bambini infatti devono avere qualcuno che si preoccupi di far loro le prediche, e tutti i bambini devono andare a scuola a imparare la tavola pitagorica. Perciò le comari decretarono che la ragazzina di Villa Villacolle dovesse esser messa in collegio. Era un bel pomeriggio, e Pippi aveva invitato Tommy ed Annika da lei a prendere il caffé coi biscotti al pepe, apparecchiando sui gradini della veranda. Il sole illuminava ogni cosa, e i fiori del giardino di Pippi mandavano un intenso profumo. Il Signor Nilsson saliva e scendeva velocemente lungo le colonnine della veranda e di tanto in tanto il cavallo sporgeva il muso perché gli offrissero un biscotto. "In fin dei conti é davvero meraviglioso vivere" disse Pippi, stirando le gambe più che poteva. Proprio allora due poliziotti in alta uniforme entrarono dal cancello. "Olà" esclamò Pippi, "ma allora anche oggi é un giorno fortunato: i poliziotti sono proprio mia passione, naturalmente dopo la crema rabarbaro!" E corse incontro ai poliziotti col visino illuminato d'entusiasmo. "Questa sarebbe dunque la bambina che ha traslocato a Villa Villacolle?" s'informò uno dei poliziotti. "Tutto al contrario" rispose Pippi: "costei é una sua minuscola prozia che abita al terzo piano dalla parte opposta della città". Disse così soltanto perché desiderava scherzare un po' coi poliziotti; ma quelli mostrarono di non divertirsi affatto: l'invitarono anzi a non fare la spiritosa. L'informarono poi che delle persone gentili, in città, s'erano date la pena di trovarle una sistemazione in un collegio, o meglio in una Casa del Bambino. "Io sono già sistemata in una Casa del Bambino" disse Pippi. "Come? E dire ch'era già tutto stabilito!" esclamò uno dei due poliziotti. "E dove sarebbe dunque quest'altra Casa del Bambino che dici?" "Qui" rispose Pippi con fierezza. "Io sono una bambina, e questa é la mia casa: non si tratta dunque di una Casa del Bambino? E, quanto a sistemazione, vi assicuro che sono sistemata proprio comodamente!" "Ma bimba mia" disse il poliziotto, e sorrise, "evidentemente non mi sono spiegato bene: tu devi entrare in una vera Casa del Bambino, e avere qualcuno che ti controlli". "Permettono di tenere cavalli, nella vostra casa del Bambino?" chiese Pippi, dubbiosa. "Certo che no" rispose il poliziotto. "Ah, é cosi?" sbottò Pippi. "E allora andate altrove a procurarvi dei bravi giovinetti adatti alla vostra Casa del Bambino: io non mi ci trasferisco di sicuro!" "Ma non capisci ch'é necessario che tu vada a scuola?" disse il poliziotto. "Perché dovrei andare a scuola?" "Per imparare tante belle cosine". "Che tipo di cosine?" s'informò Pippi. "Tutto ciò che é possibile imparare" spiegò il poliziotto: "una enorme quantità di nozioni utili, come la tavola pitagorica, per esempio". "Me la sono cavata perfettamente per ben nove anni, anche senza bisogno della tavola piragotica disse Pippi; "e posso continuare nello stesso modo". "Sarà, ma immagina quanto ti peserà la tua ignoranza: pensa se, quando sarai grande, qualcuno ti chiederà qual é la capitale del Portogallo e tu non saprai rispondere!" "Certo che saprò" esclamò Pippi; "c'é un'unica risposta da dare a un tipo simile: se muori proprio dalla voglia di sapere come si chiama la capitale del Portogallo, per a mor di Dio, scrivi subito direttamente in Portogallo, così te lo sanno dire". "Ma non pensi che ti sentiresti un po' mortificata, a non saperglielo dire tu stessa?" "Può darsi" disse Pippi. "Può darsi che mi capiti di rimanere sveglia fino a tarda notte a furia di chiedermi: ma come diavolo può chiamarsi la capitale del Portogallo? Del resto ognuno ha le sue preoccupazioni" concluse, e si mise a camminare avanti e indietro sulle mani. "D'altronde, sono stata a Lisbona col mio papà" aggiunse, continuando a spostarsi con la testa in giù e le gambe in su, perché, tanto, riusciva benissimo a discutere anche così. A questo punto però uno dei poliziotti disse che "basta!", Pippi non doveva credere di poter fare tutto quello che voleva: doveva seguirli alla Casa del Bambino, anche se non le garbava. E, avvicinatosi a Pippi, la prese per un braccio. Ma lei si liberò con sveltezza e, dandogli un colpettino sulla spalla, disse: "Preso!"; prima che il poliziotto battesse ciglio, lei era saltata sulla ringhiera della veranda e in due balzi aveva raggiunto il balcone del primo piano. Siccome i poliziotti non avevano proprio nessuna voglia di seguirla per la stessa via, si precipitarono in casa e per la scala salirono correndo al piano superiore; ma quando finalmente giunsero sul balcone, Pippi si trovava già a metà tetto e si arrampicava su per le tegole, quasi fosse il Signor Nilsson. In un attimo fu in cima, e saltò agilmente sul comignolo. Affacciati al balcone stavano i due poliziotti grattandosi la testa; sul prato c'erano Tommy ed Annika che guardavano in alto. "Com'é divertente giocare a rincorrersi!" gridò Pippi. "E com'é stato gentile da parte vostra di venire qui oggi! Lo dicevo io: é chiaro che oggi é un giorno fortunato!" Dopo averci pensato un po' su, i poliziotti erano andati a prendere una scala; l'appoggiarono al muro e vi si arrampicarono uno dietro l'altro, con l'intenzione di raggiungere Pippi. Ma si vedeva che avevano una paura da matti, quando s'incamminarono sulla cresta del tetto e, tenendosi in pericoloso equilibrio, tentarono d'avvicinarsi a Pippi. "Non dovete aver paura!" gridò loro Pippi. "Non c'é pericolo: si fa per divertirsi!" I poliziotti erano ormai a due passi da lei, quando Pippi saltò dal comignolo e, fra strilli e risate, corse lungo la cresta del tetto fino all'altra estremità. Da quella parte, a pochi metri dalla casa, sorgeva un albero. "Attenti, mi butto!" strillò, e si tuffò nella chioma verdeggiante dell'albero, afferrandosi subito ad un ramo. Dondolò un po' avanti e indietro, poi si lasciò cadere sul prato e, appena toccata terra, corse dall'altro lato della casa e tolse la scala. I poliziotti erano già rimasti con un buon palmo di naso quando Pippi s'era tuffata; figuratevi poi come rimasero quando, dopo aver rifatto il cammino percorso, sempre bilanciandosi penosamente sulla cresta del tetto, si accorsero che la scala era scomparsa! Divennero furibondi, e urlarono a Pippi, la quale stava da basso e li guardava, che si decidesse immediatamente a rimettere la scala, altrimenti ne avrebbe viste di peggio. "Ma perché vi arrabbiate così?" chiese Pippi in tono di rimprovero. "Stiamo giocando rincorrerci, no? E allora dobbiamo essere amici!" I poliziotti confabularono per un istante tra loro, e infine uno disse, piuttosto imbarazzato: "Senti un po', vorresti essere tanto cortese rimetterci la scala, che si possa scendere?" "Ma certo!" rispose Pippi, e subito rimise la scala. "Così poi ci beviamo il caffé tutti in compagnia, e ce la spassiamo ancora un po' insieme". Vedete però quant'erano subdoli quei poliziotti: erano appena arrivati a terra, che si precipitarono addosso a Pippi gridando: "E adesso a noi, peste d'una bambina!" Ma Pippi allora: "Mi sono davvero stancata di giocare con voi, benché prima fosse divertente, devo ammetterlo". Nel dir così aveva afferrato i due poliziotti per il cinturone e, sgambettanti, li trasportò lungo il viale del giardino e oltre il cancello fino in strada. Qui li depositò a terra, e ci volle parecchio prima che riuscissero a muoversi. "Un momento!" gridò Pippi. E scappò in cucina; quando ritornò aveva in mano un paio di biscotti pepati a forma di cuore. "Mi fate il piacere di assaggiarli?" chiese. "Spero non importi, anche se sono un po' bruciati". Poi ritornò da Tommy e da Annika, che avevano assistito a tutta la scena con gli occhi sbarrati. I poliziotti tornarono in città più in fretta che poterono, e comunicarono a tutte le comari di aver trovato Pippi non ancora matura per una Casa del Bambino. Naturalmente non accennarono al tetto. Così le comari conclusero che forse era davvero meglio lasciare che Pippi continuasse ad abitare a Villa Villacolle; che se poi avesse sentito il desiderio d'andare a scuola, si sarebbe risolta ad andarvi spontaneamente. Pippi, Tommy ed Annika passarono un pomeriggio davvero divertente; ripresero come prima cosa a bere il caffé. Pippi ingoiò quattordici biscotti, e infine sentenziò: "No, quelli non erano il tipo di poliziotti che io intendevo: troppi, troppi discorsi sugli asili, sulle 'mortificazioni' "alludeva alle moltiplicazioni" e su Lisbona". Dopo di che sollevò il cavallo, depositandolo in giardino, cosi che poterono montarlo in tre. Dapprima Annika aveva paura e non voleva, ma quando vide quanto Tommy e Pippi si divertissero, si lasciò sistemare tra gli altri due in groppa. E il cavallo trottò pesantemente intorno al giardino, e Pippi cantò: "Arrivano i nostri a cavallo d'un caval!". Tommy ed Annika s'erano appena infilati sotto le coperte, quella sera, che Tommy disse: "Annika, non ti sembra un bel fatto che Pippi si sia trasferita qui?" "Eh, sì!" mormorò Annika. "Sai, non riesco nemmeno a ricordarmi a che cosa giocassimo, prima che lei venisse. E tu?" "Ma sì, a œcroquet, e cose simili" rispose Annika; "ma tutto é tanto più divertente, con Pippi. E coi cavalli, e il resto".
4. Pippi va a scuola
Naturalmente Tommy ed Annika andavano a scuola. S'incamminavano ogni mattina, alle otto, tenendosi per mano e con i libri sotto il braccio. Nel frattempo Pippi per lo più cavalcava il suo cavallo, o metteva e toglieva al Signor Nilsson il suo vestitino. oppure si dedicava alla ginnastica mattutina, che aveva questo andamento: Pippi si metteva dritta impalata, e poi eseguiva quarantatré salti mortali senza mai fermarsi; infine si sedeva al tavolo di cucina e, in santa pace, si beveva una bella tazza di caffé con pane, burro e formaggio. Avviandosi di malavoglia a scuola, Tommy ed Annika non mancavano mai di volgere uno sguardo di struggente desiderio a Villa Villacolle: quanto avrebbero preferito andare a giocare con Pippi! o se almeno anche Pippi fosse andata a scuola, si sarebbero sentiti certamente meno infelici. "Pensa come potremmo divertirci tutti e tre insieme, tornando da scuola!" diceva Tommy. "Sì, e anche andandoci" aggiungeva Annika. Più ci rimuginavano e più trovavano ingiusto che Pippi non andasse a scuola; così decisero di provare a convincerla. "Non puoi nemmeno immaginare che simpatica maestra abbiamo" cominciò Tommy con molta astuzia, un pomeriggio che lui ed Annika erano andati a far visita a Pippi, dopo aver studiato diligentemente le loro lezioni. "Se tu soltanto sapessi quanto ci si diverte a scuola" continuò Annika, "impazziresti a non poterci andare". Pippi era seduta su uno sgabello e stava lavandosi i piedi in una tinozza. Non rispose nulla, ma mosse le dita dei piedi con tale violenza da far schizzare l'acqua tutt'in giro. "E poi non occorre rimanerci troppo a lungo" proseguì Tommy: "soltanto fino alle due". "E c'é vacanza per Natale, per Pasqua, e durante tutta l'estate" incalzò Annika. Pippi si mordicchiò meditabonda il pollice, continuando a sedere in silenzio. Ma all'improvviso rovesciò risolutamente tutta l'acqua sul pavimento di cucina, così che il povero Signor Nilsson, il quale stava accoccolato buono buono poco più in là, giocando con uno specchietto, si inzuppò completamente i pantaloni. "Non é giusto!" disse Pippi con voce cupa, senza preoccuparsi della desolazione del Signor Nilsson. "Non é giusto! Non posso sopportarlo!" "Che cosa non é giusto?" chiese meravigliato Tommy. "Che fra quattro mesi sarà Natale, e voi avrete vacanza. Ma io, io che cosa avrò?" la voce di Pippi era tristissima. "Nessuna vacanza di Natale, nemmeno la più piccola vacanza natalizia" proseguì in tono lamentoso. "No, così non va: qua bisogna cambiar vita. Da domani comincerò ad andare a scuola". Tommy ed Annika batterono le mani dalla gioia. "Urrà! Allora ti aspettiamo davanti al nostro cancello alle otto". "No, no" disse Pippi, "non mi é possibile cominciare così presto. D'altronde io a scuola ci andrò a cavallo". E così fece. Esattamente alle dieci del giorno seguente sollevò dalla veranda il suo cavallo e un minuto dopo tutti gli abitanti della cittadina si precipitarono alla finestra per vedere di chi fosse quel cavallo imbizzarrito. Perché erano convinti si trattasse proprio di un cavallo imbizzarrito. Invece era soltanto Pippi che aveva fretta di arrivare a scuola. Giunse nel cortile al galoppo più sfrenato, balzò dal cavallo in corsa, lo legò a un albero e spalancò la porta della classe con tale violenza che Tommy ed Annika insieme con i loro bravi compagni di scuola sobbalzarono nei banchi. "Salute a voi!" esclamò Pippi agitando il suo ampio cappello. "Arrivo in tempo per le mortificazioni?" Tommy ed Annika avevano già annunciato alla maestra la venuta di Pippi Calzelunghe; dal canto suo la maestra aveva sentito il gran parlare che su Pippi si faceva nella cittadina. E siccome era una maestra davvero gentile e simpatica, aveva deciso di fare l'impossibile perché Pippi si trovasse a suo agio a scuola. Pippi si buttò a sedere in un banco libero, senza che alcuno glielo avesse assegnato; ma la maestra non sembrò notare la sua maniera sgangherata d'agire. Disse soltanto in tono estremamente amichevole: "Benvenuta a scuola, piccola Pippi! Spero proprio che tu ti ci troverai bene e imparerai tante belle cose". "Tutto questo é giusto, ma io spero invece di avere le vacanze natalizie che mi spettano" disse Pippi: "i diritti innanzi tutto!" "Se intanto vorrai essere così gentile da dirmi qual é il tuo vero nome" disse la maestra, "io lo scriverò nel registro di classe". "Mi chiamo Pippilotta Pesanella Tapparella Succiamenta, figlia del Capitano Efraim Calzelunghe, prima terrore dei mari, ora re dei negri. Pippi non é che il mio diminutivo, perché papà trovava Pippilotta troppo lungo". "Bene" disse la maestra, "anche noi ti chiameremo semplicemente Pippi. Cominciamo intanto a esaminarti un po' per vedere che cosa sai: sei ormai una bimba grande, e certo hai già una quantità di nozioni. Iniziamo magari con l'aritmetica: dunque, Pippi, sai dirmi quanto fa 7 più 5?" Pippi la guardò, un po' stupita e un po' corrucciata. Poi disse: "Beh, senti, se non lo sai da te, non aspettarti che te lo venga a raccontare io!" Gli altri bambini guardarono Pippi scandalizzati, e la maestra le spiegò con pazienza che quello non era il modo di rispondere, a scuola. Non si doveva dare del tu alla maestra, ma bisognava chiamarla signorina. "Oh, ne sono proprio spiacente!" disse Pippi, tutta contrita. "Non lo sapevo, e non farò mai più una cosa simile". "Lo spero" disse la maestra, "e voglio anche dirti che 7 più 5 fa 12". "Vedi dunque che lo sapevi!" esclamò Pippi. "Ma allora perché me l'hai chiesto? Oh, che stupida: ti ho dato di nuovo del tu! Scusa, eh!" disse, e si diede una vigorosa tirata d'orecchie. La maestra fece finta di nulla, e proseguì: "Allora, Pippi, quanto pensi che faccia 8 più 4?". "Così, ad occhio e croce, 67" rispose Pippi dopo matura riflessione. "Ma no!" disse la maestra. "8 più 4 fa 12". "Ah, vecchia mia, ora stiamo proprio passando il segno!" s'indignò Pippi. "Tu stessa hai detto poco fa che é 7 più 5 che fa 12. Perfino a scuola ci vuole un po' d'ordine! D'altra parte, se ti perdi in simili sciocchezze proprio come una bambina, perché non ti metti buona buona in un angolo a contare per conto tuo, e ci lasci in pace, così noi intanto possiamo giocare a nasconderci? Dio mio, ti ho dato di nuovo del tu!" gridò spaventata. "Ti prego, perdonami, se ti riesce, ancora per questa volta, e ti prometto di ricordarmene davvero, d'ora in poi!" La maestra disse che doveva cercare proprio di farlo; ma non ritenne fosse il caso d'insistere ancora sull'aritmetica, con Pippi. Preferì mettersi a interrogare gli altri bambini. "Tommy, guarda se ti riesce di risolvere questo problema" cominciò: "Se Lisa ha 7 mele e Axel ha 9 mele, quante ne hanno, tra tutti e due?" "Sì, sì, rispondi, Tommy!" intervenne Pippi. "E poi rispondi a questo mio problema: "Se Lisa ha mal di pancia e Axel ha ancora più mal di pancia, quale ne é la causa, e dove avevano rubato le mele?". La maestra fece finta di non aver sentito, e si rivolse ad Annika: "ora, Annika, porrò a te un altro problema: "Gustavo ha preso parte, con i suoi compagni, a una gita scolastica. All'andata aveva una corona, e al ritorno 7 centesimi. Quanto aveva speso?" "Già" disse Pippi, "e poi sono io che voglio sapere perché aveva le mani così bucate, e se i soldi li aveva spesi per una gazzosa, e se si era lavato le orecchie per bene, prima di uscire". La maestra stabilì di lasciar perdere l'aritmetica. Forse Pippi avrebbe preferito imparare a leggere, pensò. Così estrasse una figura che rappresentava un istrice, dinanzi al cui naso era tracciata la lettera "i". "Ecco qualcosa di divertente da imparare, Pippi" disse in fretta. "Qui vedi un iiiiiiistrice; e questa lettera al principio dell'iiiiiiistrice si chiama i". "Incredibile!" esclamò Pippi. "A me sembra un'asta con una cacchina di mosca sopra: e sarei curiosa di sapere che cosa c'entri un istrice con una cacchina di mosca". La maestra estrasse la prossima illustrazione, che rappresentava un serpente e spiegò a Pippi che la lettera iniziale si chiamava s. "A proposito di serpenti" sbottò Pippi, "mai riuscirò a dimenticarmi quella volta che lottai con un serpente gigante dell'India. Era un serpente così spaventoso da non potersi immaginare, lungo 14 metri e inferocito come un'ape, e ogni giorno mangiava cinque portate a base di Indiani e due bambini piccoli come dolce, e una volta si mise in testa di avere me come dolce, e allora incominciò a strisciarmi intorno sibilando "crasc crasc" ma "siamo o non siamo lupi di mare? "mi dissi, e gli detti un colpo in testa bum e allora quello sibilò ancora più forte uiuiuiuiuich e io lo colpii ancora una volta bum e pfff allora morì, ah ah, e questa sarebbe per voi la lettera s, davvero mirabolante! Qui Pippi fu costretta a riprender fiato, e la maestra, che incominciava a giudicarla una bambina piuttosto rumorosa e noiosa, propose alla classe di dedicarsi un po' al disegno. Pensava che così almeno Pippi si sarebbe messa a sedere tranquillamente e si sarebbe applicata in silenzio al disegno. Tirò fuori carta e matite e le distribuì agli scolari. "Disegnate quel che volete" disse, e si sedette in cattedra per correggere in pace i compiti. Quando dopo un po' levò lo sguardo per vedere se, col disegno, le cose funzionassero meglio, si accorse che tutti i bambini si erano seduti intorno a Pippi che, distesa sul pavimento, disegnava con molta foga. "Ma Pippi!" gridò la maestra spazientita. "Perché non disegni sulla carta?" "Quella l'ho già utilizzata da molto tempo" rispose Pippi, "ma il mio cavallo tutto intero non ci sta su quel misero foglietto di carta. Proprio ora sto facendogli le zampe anteriori, ma quando arriverò alla coda credo che sarò davvero costretta ad andare a disegnare in corridoio". La maestra fece appello alle sue ultime risorse. "E se invece ci mettessimo tutti a cantare?" propose. Immediatamente i bambini si alzarono in piedi dietro ai loro banchi, tutti meno Pippi che rimaneva sempre distesa sul pavimento. "Cantate pure voi" disse, "così posso riposarmi un po': l'eccessiva scienza può spezzare la fibra più resistente". Ma nella maestra ogni riserva di pazienza s'era esaurita. Invitò tutti gli altri bambini ad andarsene a giocare in cortile, per poter parlare seriamente con Pippi a quattr'occhi. Quando questa e la maestra furono rimaste sole, Pippi si alzò e andò difilata alla cattedra. "Sai, ti voglio dire una cosa, signorina" disse: "é stato davvero divertente vedere come ve la passate qui. Ma direi che non m'interessa molto continuare ad andare a scuola. Sarà quel che sarà, per le vacanze di Natale. Ma qui avete veramente troppe mele, istrici e serpenti: ho una grande confusione in testa. Spero proprio, signorina, che questo non ti faccia troppo dispiacere". La maestra rispose che invece le dispiaceva molto, ma che la cosa che più le dispiaceva era vedere come Pippi non tentasse nemmeno di comportarsi a modo, e che nessuna ragazzina, che si fosse comportata come lei, avrebbe potuto frequentare la scuola, anche se l'avesse desiderato con tutta l'anima sua. "Mi sono forse comportata male?" chiese Pippi stupitissima. "Sarà, ma davvero non me ne sono accorta" disse, facendo la faccia triste. "Nessuno é mai riuscito ad avere l'aria più sconsolata di quella di Pippi, quando Pippi era triste". Stette zitta un momento, poi disse con una vocina tremante: "Tu devi capire, signorina, che quando uno ha un angelo per mamma, e un re dei negri per papà e non ha fatto altro per tutta la vita che navigare per i mari, non può sapere esattamente come deve comportarsi a scuola in mezzo a tante mele e a tanti istrici!" La maestra allora la consolò dicendole che comprendeva perfettamente e che non era più arrabbiata con lei; che anzi, quando Pippi fosse un po' cresciuta, avrebbe potuto ritornare a scuola. Allora Pippi esclamò, raggiante di gioia: "Oh, signorina, sei d'una bontà eccezionale! Anzi voglio regalarti subito una cosa, signorina!" E dalla tasca estrasse un orologino d'oro, molto grazioso, che posò sulla cattedra. La maestra protestò che non poteva accettare un oggetto di tanto valore da Pippi, ma allora lei ingiunse: "Devi accettarlo! Altrimenti ritorno qui domani e vedrai che spettacolo!" Poi Pippi si precipitò nel cortile della scuola e salì d'un balzo sul cavallo. Tutti i bambini le si strinsero intorno per accarezzare il cavallo e per assistere alla sua partenza. "Le scuole in Argentina, quelle sì" disse Pippi con superiorità, guardando i bambini dall'alto in basso. "Lì le vacanze di Pasqua cominciano tre giorni dopo che quelle natalizie sono terminate, e quelle pasquali terminano tre giorni prima dell'inizio di quelle estive. Le vacanze estive terminano il primo di novembre, e poi si ha, naturalmente, un daffare da matti fino all'11 di novembre, quando hanno inizio le vacanze di Natale. Ma bisogna essere forti; comunque, compiti non ne danno mai: é severamente proibito, in Argentina, fare i compiti. ogni tanto accade che un bambino argentino s'introduca furtivamente in un guardaroba e lì si sieda in segreto per fare i compiti. Ma guai a lui, se la sua mamma se ne accorge! In quelle scuole non esiste l'aritmetica, e se per caso un bambino sa quanto fa 7 più 5 ed é così stupido d'andarlo a raccontare alla maestra, viene costretto a starsene in castigo nell'angolo per tutto il giorno. E si legge soltanto di venerdì, ma unicamente nel caso che ci siano dei libri da leggere; però non ce ne sono mai". "Ma allora a scuola che cosa fanno?" chiese un ragazzino. "Mangiano caramelle" rispose Pippi prontamente. "Da una fabbrica di caramelle parte un tubo che va a finire proprio a due passi dalla classe, e da questo si rovesciano valanghe di caramelle, cosi che i bambini sono occupatissimi tutto il tempo a mangiarle". "E la maestra intanto, che cosa fa?" domandò una bambina. "Scarta le caramelle per i bambini, stupidina!" disse Pippi. "Non avrai mica pensato che lo facessero da soli? In realtà questo non avviene che raramente. E del resto laggiù nessuno va a scuola di persona, ma manda un suo fratello". E qui Pippi agitò il suo largo copricapo.
"Statemi bene, bambini!" gridò, contenta. "Dovrà passare un bel po' di tempo, prima che mi rivediate. Ma ricordatevi sempre quante mele aveva Axel, altrimenti non potrete essere felici. Hahaha!" E con una squillante risata Pippi uscì al galoppo dal portone, facendo schizzare la ghiaia dagli zoccoli del cavallo e tremare i vetri delle finestre della scuola.
5. Pippi racconta la storia del Cinese e scopre un nascondiglio
Pippi, Tommy ed Annika stavano seduti davanti a Villa Villacolle; Pippi su un pilastrino del cancello, Annika sull'altro e Tommy proprio sul cancello. Era una bella e calda giornata di fine agosto. Un pero, che cresceva lì accanto, stendeva i suoi rami così bassi, che i bambini, stando seduti, potevano cogliere senza fatica le deliziose piccole pere giallorosse d'agosto. Le masticavano, le inghiottivano e sputavano i semi nella strada. Villa Villacolle sorgeva proprio nel punto in cui la cittadina finiva e cominciava la campagna; qui la strada asfaltata terminava e si riduceva ad un viottolo. Era davanti a Villa Villacolle che venivano di preferenza a passeggiare gli abitanti della cittadina, perché quelli erano i dintorni più belli. I tre bambini se ne stavano dunque lì a mangiare le pere, quando passò una ragazzina proveniente dalla città. Appena s'accorse della loro presenza, si fermò e chiese: "Avete forse visto il mio babbo passeggiare da queste parti?" "Ma" rispose Pippi, "che tipo é? Ha gli occhi azzurri?" "Sì" disse la bambina. "Di media statura, né troppo alto né troppo basso?" "Sì" disse la bambina. "Cappello nero e scarpe nere?" "Sì, sì" s'affrettò a confermare la bambina. "Allora no, non l'abbiamo proprio visto" disse Pippi, decisa. La bambina restò con un palmo di naso, e se ne andò senza dir parola. "Un momento!" le strillò dietro Pippi. "Era calvo?" "Ma no, certo che no!" rispose la bambina, furiosa. "Meglio per lui" sentenziò Pippi, sputando un seme di pera. La bambina riprese la via in fretta, ma di nuovo Pippi la richiamò: "Aveva delle orecchie smisurate che gli arrivavano fino alle spalle?" "No" disse la bambina, ma ritornò indietro di qualche passo, sbalordita, "non avrai mica visto sul serio un uomo camminare con delle orecchie cosi?" "Mai visto qualcuno camminare con le orecchie" disse Pippi: "tutti quelli che conosco camminano coi piedi". "Ma va là, come sei stupida: intendevo dire se hai visto davvero un uomo con le orecchie così grandi". "Per niente" disse Pippi. "Un uomo con le orecchie tanto grandi non esiste. Avrebbe un aspetto davvero buffo, te lo immagini? Non si possono avere le orecchie smisurate a tal punto. o almeno non nel nostro paese" precisò dopo un istante di meditazione. "In Cina le cose vanno diversamente: vidi una volta a Shanghai un Cinese; aveva le orecchie tanto grandi, che se ne serviva come di un mantello. Quando pioveva, non aveva che da raggomitolarsi sotto le orecchie, e se ne stava lì al calduccio proprio comodamente; del resto, nemmeno le orecchie se la passavano male. Se poi il tempo si metteva decisamente al brutto, era solito invitare i suoi amici e conoscenti ad accamparsi sotto le sue grandissime orecchie; e, così al riparo, tutti quei Cinesi se ne stavano a cantare le loro canzoni piene di malinconia, mentre fuori si scatenava il diluvio. Era molto amato, grazie a quelle sue orecchie. Si chiamava Hai Shang. Avreste dovuto esserci, quando Hai Shang correva all'ufficio, di mattina! Arrivava sempre correndo come un forsennato, all'ultimo momento, perché aveva la passione di dormire fino a tardi, e non potete figurarvi com'era carino quando arrivava di corsa, con le orecchie simili a due grandi vele gialle svolazzanti!" La bambina s'era fermata e stava a bocca aperta ad ascoltare Pippi. Quanto a Tommy e ad Annika, non riuscivano più a mangiare le pere, tanto erano intenti a seguire il racconto. "Questo Cinese aveva più figli di quanti ne sapesse contare" proseguì Pippi, "e il più piccolo si chiamava Pietro". "Un bambino cinese non può chiamarsi Pietro" obiettò Tommy. "Era esattamente quel che gli diceva sua moglie: "Un bambino cinese non può chiamarsi Pietro" diceva. Ma Hai Shang era terribilmente testardo, al punto di dire che se il bambino non si fosse chiamato Pietro, non avrebbe avuto alcun altro nome. Dopo di che si mise a sedere in un angolo, si coperse la testa con le orecchie e rimase così tutto imbronciato. Allora quella poverina di sua moglie si arrese, naturalmente, e il bambino venne chiamato Pietro". "Ma no?!" fu il commento di Annika. "Era il bambino più allegro che esistesse in tutta Shanghai" proseguì Pippi, "solo era incredibilmente schizzinoso per il cibo, cosi che la sua mamma era disperata. Sapete, vero, che in Cina si mangiano i nidi di rondine? Bene, un giorno la mamma di Pietro gli sedeva davanti con un piatto pieno di nidi di rondine sulle ginocchia e cercava di imboccarlo. "Su, Pierino" diceva, " adesso mangiamo un nido di rondine per papà!". Ma Pietro serrava le labbra e faceva "no" con la testa. La qual cosa fece alla fine arrabbiare talmente Hai Shang, che ordinò che nessun'altra pappa fosse cucinata per Pietro finché egli non avesse mangiato "il nido di rondine per papà". E quando Hai Shang aveva detto una cosa, era quella. Lo stesso nido di rondine fu portato fuori e dentro dalla cucina da maggio a ottobre. Il 14 luglio la mamma di Pietro implorò che per carità le lasciassero dargli almeno un paio di polpettine di carne macinata, ma Hai Shang glielo proibì". "Sciocchezze!" disse la bambina dalla strada. "Sì, la stessa cosa disse Hai Shang" continuò Pippi: "Sciocchezze" disse, "é chiaro che il bambino é in grado di mangiare un nido di rondine, se solo la smette d'ostinarsi a non voler obbedire". Ma Pietro si limitò a tener serrate le labbra da maggio a ottobre". "Ma come faceva a sopravvivere?" chiese Tommy, meravigliato. "Infatti non sopravvisse" rispose Pippi. "Morì. Di vera e propria ostinazione, il 18 ottobre; e fu seppellito il 19. E il 2O una rondine entrò volando dalla finestra e depose le sue uova nel nido di rondine, ch'era rimasto sulla tavola; così, nonostante tutto, servì a qualcosa. Tutto é bene quel che finisce bene" concluse Pippi allegramente. Ma la ragazzina sulla strada pareva sconcertata, e Pippi le lanciò uno sguardo sospettoso. "Che strana aria hai" disse Pippi; "perché? Non crederai mica che io mi diverta a starmene qui seduta a raccontar frottole. Di' un po'! Se é così, sputalo fuori immediatamente!" e si rimboccò le maniche con aria minacciosa. "Per amor del Cielo!" disse la bambina, spaventata. "Non intendo dire che tu racconti proprio delle frottole. Ma..." "No, eh? Invece é esattamente quello che sto facendo: racconto tante, ma tante bugie, che la lingua mi diventa blu. Vedi? E tu credi davvero che un bambino possa vivere senza mangiare da maggio a ottobre? Grazie a Dio so bene che si può resistere senza mangiare per tre o quattro mesi, ma da maggio a ottobre, che assurdità! Dovresti capirlo da sola che é una bugia; non devi permettere che ti si dia da bere qualsiasi cosa!" Questa volta la bambina se ne andò, senza voltarsi più indietro. "Che credulona può essere la gente!" esclamò Pippi rivolta a Tommy e ad Annika. "Da maggio a ottobre, che assurdità!" Poi gridò dietro alla bambina: "No, non abbiamo visto il tuo papà! Non abbiamo visto un solo calvo durante tutta la giornata. Ma ieri ne sono passati diciassette, e a braccetto!" Il giardino di Pippi era davvero stupendo. Non che fosse molto curato, ma i suoi prati erano tappeti d'erba mai falciata e qua e là sorgevano grandi cespugli di rose bianche gialle e rosse, non particolarmente belle, ma deliziosamente profumate. Parecchi erano anche gli alberi da frutta e soprattutto c'erano nel giardino querce secolari e olmi, ideali da scalare. Nel giardino di Tommy ed Annika c'erano invece pochissimi alberi adatti per arrampicarcisi, e del resto la loro mamma aveva sempre tanta paura che dovessero cadere e farsi male, che non si poteva dire si fossero arrampicati molto, nel corso della loro vita. Ma ora Pippi propose: "Che ne direste di arrampicarci su quella quercia?" Subito Tommy, entusiasta della proposta, saltò giù dal cancello. Annika era un po' più titubante, ma quando vide che il tronco era cosparso di nodi su cui poter puntare i piedi, pensò che sarebbe stato divertente provare. A pochi metri dal suolo la quercia si diramava, e in quel punto c'era uno spiazzo, come una piccola piattaforma; al di sopra la quercia allargava la sua corona come un grande tetto verde. "Qui si potrebbe bere il caffé" disse Pippi; "ora mi calo e ne metto a bollire qualche tazzina "Bravissima!" esclamarono Tommy ed Annika battendo le mani. Poco dopo il caffé di Pippi era pronto; e v'erano anche delle morbide brioches che aveva impastato il giorno prima. Pippi tornò sotto la quercia e prese a lanciare verso l'alto le tazzine da caffé: Tommy ed Annika le afferravano a volo. Veramente, talvolta era la quercia, ad afferrarle; così due tazzine si ruppero. Ma subito Pippi corse in casa a cercarne altre due. Poi fu la volta dei dolci, e per un po' fu un gran volare di dolci; ma almeno quelli non andavano in pezzi. Infine Pippi si arrampicò reggendo con una mano il bricco da caffé; in tasca aveva una bottiglia con della panna liquida e un piattino con lo zucchero. Tommy ed Annika trovarono ch'era il miglior caffé che avessero mai bevuto; a casa non avevano il permesso di berne, lo potevano fare soltanto quand'erano invitati. A un certo punto Annika si versò un po' di caffé su il ginocchio: prima era caldo e bagnato, poi diventò freddo e bagnato, ma Annika disse che non importava. Quando ebbero finito lo spuntino, Pippi buttò le tazze nel prato. "Voglio proprio vedere" disse, "fino a che punto resiste la porcellana che fanno al giorno d'oggi". Una tazza e tutti e tre i piattini resistettero straordinariamente bene; dal bricco si staccò solo il becco. Tutt'ad un tratto Pippi decise d'arrampicarsi un po' più in alto. "Cose dell'altro mondo!" gridò di lassù. "L'albero é cavo!" Nell'interno del tronco c'era infatti una profonda cavità, che il fogliame aveva celato allo sguardo dei bambini. "Vengo a vedere anch'io!" gridò Tommy. Ma non ottenne risposta. "Pippi, dove sei andata a finire?" esclamò impensierito. Allora si udì la voce di Pippi, che non proveniva più dall'alto, ma dal basso: sembrava scaturire dall'oltretomba. "Sono dentro l'albero: é cavo fino a terra. Se guardo attraverso un bucolino, riesco a vedere la caffettiera, fuori, sull'erba". "Ma come farai a tornare su?" gridò Annika. "Non tornerò mai più su" rispose Pippi; "rimarrò qui finché andrò in pensione. E voi sarete costretti a gettarmi da mangiare dal buco. Cinque o sei volte al giorno". Annika cominciò a piangere. "Perché addolorarsi, perché lamentarsi?" disse Pippi in tono enfatico. "Venite invece qui giù anche voi, cosi potremo giocare a quelli che muoiono di fame in una tenebrosa prigione". "Mai e poi mai" disse Annika. Anzi, per essere lontana da ogni tentazione, scese addirittura dall'albero. "Ohi, Annika, ti vedo attraverso la fessura!" gridò Pippi. "Sta attenta a non mettere i piedi sulla caffettiera: é un vecchio e onesto bricco, che non ha mai fatto del male a nessuno. Non é mica colpa sua se é rimasto senza becco". Annika si avvicinò al tronco, e attraverso una minuscola fessura scorse un millimetro dell'indice di Pippi. Ciò la rassicurò abbastanza, ma continuò a stare in pena. "Pippi" chiese, "davvero non puoi risalire?" L'indice di Pippi scomparve, e nemmeno un minuto dopo il suo visetto s'affacciò all'imboccatura della cavità. "Se mi ci metto davvero, chissà che non ci riesca" disse scostando il fogliame con le mani. "Se é così facile risalire" disse Tommy, che era sempre sull'albero, "voglio scendere anch'io a morire un po' di fame". "Credo" disse Pippi "che sarebbe meglio prendere una scala". Usci dal buco e scivolò in fretta lungo il tronco; poi corse a cercare una scala, la sollevò sull'albero e la calò nel buco. Tommy aveva una voglia pazza di scendere nell'albero cavo; era piuttosto scomodo arrampicarsi fino all'imboccatura, perché era situata molto in alto, ma Tommy era coraggioso. Non ebbe nemmeno paura a infilarsi nella buia cavità. Annika lo vide scomparire e si chiese con angoscia se mai più l'avrebbe rivisto. Aveva appena applicato l'occhio alla fessura, quando udì la voce di Tommy: "Oh, Annika, non puoi immaginare quale meraviglia sia qui dentro! Devi assolutamente venirci anche tu! Non é per nulla pericoloso, ora che c'é la scala. Ti assicuro che se solo una volta ci metti piede, non hai voglia di fare altro, per tutta la vita". "Sicuro?" chiese Annika. "Assolutamente" disse Tommy. Così Annika, con le gambe che le tremavano, si arrampicò nuovamente sull'albero, e Pippi le diede una mano nell'ultimo tratto scabroso. Quando vide quant'era buio là dentro si tirò un po' indietro, ma Pippi le strinse la mano e le fece coraggio. "Non aver paura, Annika" udi Tommy che le diceva dal fondo: "ora riesco a vedere le tue gambe, e ti prenderò io, se dovessi cadere". Ma Annika non cadde. Raggiunse Tommy felicemente e in ottime condizioni. Un attimo dopo arrivò anche Pippi. "Vero ch'é divertente, qui?" disse Tommy. E Annika dovette ammettere che era proprio così; tra l'altro non era nemmeno scuro quanto aveva temuto, perché la luce pioveva dall'alto. Subito Annika andò alla fessura, e constatò anche lei che la caffettiera giaceva davvero fuori tra l'erba. "Questo sarà il nostro nascondiglio" disse Tommy. "Nessuno potrà mai sapere che siamo qui. E dalla fessura noi potremo vedere la gente camminare di fuori e cercarci. Che risate ci faremo!" "Potremmo anche avere un bastoncino con cui pungere le persone e far loro il solletico" disse Pippi; "così crederanno che ci siano gli spiriti". Questo pensiero li mise in tanta allegria, che i tre bambini si abbracciarono. In quel momento sentirono suonare il gong che chiamava Tommy ed Annika a cena. "Sciocco che sono disse Tommy: "m'ero dimenticato ch'era ora di rincasare. Ma torneremo qui domani, subito dopo la scuola". "Allora vi aspetto" disse Pippi. Così risalirono la scala, prima Pippi, poi Annika e ultimo Tommy. E nello stesso ordine scesero, prima Pippi, poi Annika e ultimo Tommy.
6. Pippi organizza una gita
"Oggi non si va a scuola" annunciò Tommy a Pippi: "Ci hanno dato vacanza per la raschiatura dei pavimenti". "Ecco, un'altra ingiustizia!" esclamò Pippi. "Mai che io abbia un giorno di vacanza per raschiare i pavimenti; e dire che ce ne sarebbe bisogno. Basta vedere in che stato sono le mattonelle della cucina! Ma del resto" aggiunse dopo averci pensato un po' su, "posso fare una bella pulizia anche senza aver vacanza. Anzi incomincerò subito, vacanze o no, e voglio proprio vedere chi me lo impedirà! Accomodatevi sul tavolo di cucina, e non statemi fra i piedi!" Tommy e Annika si sedettero docilmente sul tavolo, e sul tavolo saltò anche il Signor Nilsson, che si mise a dormire sulle ginocchia di Annika. Pippi pose dunque sul fuoco un pentolone d'acqua, che poi rovesciò senza troppe cerimonie sul pavimento. Si sfilò quindi le immense scarpe e le depositò con cura nella paniera; poi si legò ben strette due brusche ai piedi nudi, e si mise a pattinare, facendo cicùciac nell'acqua. "Mi sembra proprio che sarei potuta diventare un asso del pattinaggio!" esclamò sollevando una gamba così in alto, che la spazzola legata al piede sinistro andò ad urtare contro la lampada che pendeva dal soffitto, staccandone un pezzo. "Se non altro possiedo grazia e leggerezza!" proseguì scavalcando agilmente una sedia che le tagliava la strada. "Ecco qua: adesso é abbastanza pulito" disse alla fine togliendosi le brusche. "E non asciughi il pavimento?" chiese Annika. "No, lo asciugherà il sole" disse Pippi. Tommy ed Annika scesero con precauzione dalla tavola e giunsero all'uscita a salti, mettendo ogni cura per non bagnarsi. Fuori il sole splendeva in un cielo d'un intensissimo azzurro. Era una di quelle stupende giornate autunnali in cui si vien afferrati da una voglia pazza di camminare nel bosco, e Pippi ebbe un'idea. "Che ne direste di prendere con noi il Signor Nilsson e di andarcene a fare una gitarella?" "Sì, sì!" gridarono Tommy ed Annika con entusiasmo. "Allora correte a casa a chiedere il permesso alla vostra mamma" disse Pippi, "così intanto io preparo il cestino della merenda". Il consiglio era buono: Tommy ed Annika si precipitarono a casa, e poco dopo erano già di ritorno. Trovarono Pippi fuori dal cancello, col Signor Nilsson su una spalla, un bastone da pellegrino in una mano e un gran paniere nell'altra. Per un tratto i tre bambini seguirono la strada maestra, ma poi piegarono in un campo e presero un grazioso sentiero che procedeva serpeggiando fra betulle e macchie di noccioli. Ben presto raggiunsero una staccionata al di là della quale si stendeva un campo ancor più bello; ma purtroppo davanti al cancello s'era installata una mucca che aveva tutta l'aria di non volersi spostare. Annika l'incitò gridando, Tommy le si avvicinò coraggiosamente e tentò di smuoverla, ma quella non abbandonava il suo posto e si limitava a fissare i ragazzi con i suoi grandi occhi bovini. Per finirla, una buona volta, Pippi posò a terra il paniere, si avvicinò alla mucca e la sollevò di peso. Piuttosto imbarazzata, la mucca se ne andò pesantemente tra i cespugli di noccioli.
"Pensare che una mucca può essere talmente taurina!" esclamò Pippi scavalcando il cancello. "E che cosa ne deriva? Che naturalmente i tori vanno assomigliando sempre più alle vacche! Che triste storia, se ci si pensa!". "Bello, bello questo prato!" gridava Annika incantata, e saltava di sasso in sasso. Tommy aveva portato con sé il pugnale donatogli da Pippi, e con quello tagliò dei bastoni da passeggio per sé e per Annika. Veramente si tagliò anche un po' il pollice, ma non diede al fatto molta importanza. "Forse potremmo anche raccogliere dei funghi" disse Pippi, e colse un bel fungo rosso.
"Chissà se si può mangiare? Quel ch'é sicuro é che non si può bere, così non rimane altra scelta che mangiarlo. Chissà se la imbrocco giusta". Così staccò con un morso un bel pezzetto di fungo e lo inghiottì. "L'ho imbroccata!" esclamò, soddisfatta. "Bene, ma questo lo cucineremo trifolato la prossima volta" disse, e gettò il fungo oltre le cime degli alberi. "Cosa c'é nel tuo paniere?" chiese Annika. "Qualcosa di buono?" "Non te lo direi nemmeno per mille corone" disse Pippi. "Prima bisogna trovare un posto confortevole dove si possa apparecchiare". I bambini si misero a cercare con gran foga. Annika trovò un grande masso piatto che le parve dovesse fare al caso loro, ma vi era sopra un intenso via vai di formiche, e "su di loro non voglio sedere" disse Pippi, "perché non mi sono state presentate". "Già, e poi mordono" aggiunse Tommy. "Se osano farlo" disse Pippi, "mordile anche tu!" Ma intanto Tommy aveva scovato un piccolo spiazzo tra due cespugli di noccioli, e trovava che sarebbe stato veramente bello sistemarsi li. "No, mio caro, non c'é abbastanza sole perché le mie lentiggini si sentano a loro agio" disse Pippi. "E trovo che é così elegante avere le lentiggini!" Un po' più in là c'era una collina, facile e divertente da salire; e sulla collina si trovava un breve piano soleggiato, simile ad un terrazzino. Lì si misero finalmente a sedere. "Adesso dovete fare i ciechi, mentre io apparecchio" disse Pippi. E Tommy ed Annika serrarono le palpebre strette strette. Sentirono allora Pippi aprire il paniere e trafficare con degli involti di carta. "Uno, due, diciannove! Adesso potete guardare!" disse finalmente Pippi. Tommy ed Annika aprirono gli occhi e gridarono di gioia al vedere tutte le cose squisite che Pippi aveva disposte sulla roccia levigata e brulla. C'erano delle ottime fettine di pane imburrato con polpette di carne macinata e prosciutto, un'alta pila di frittelle spolverate di zucchero, diverse salsiccette scure e tre budini di ananas. Perché Pippi aveva imparato a preparar da mangiare dal cuoco di bordo di suo padre. "Che spasso questa vacanza per la raschiatura dei pavimenti" disse Tommy con la bocca piena di frittelle: "bisognerebbe poterne avere tutti i giorni!" "Vacci piano" disse Pippi. "Non sarò così pazza da pulire continuamente il pavimento; non dico che non sia divertente, ma non ogni giorno, altrimenti stufa". Alla fine i bambini furono talmente pieni che stentavano a muoversi, e così rimasero a sedere, immobili nella luce solare. "Mi chiedo se sia difficile volare" disse ad un tratto Pippi, e il suo sguardo corse sognante ai limiti del terrazzo. Il sentiero della collina si snodava a picco sotto di loro, fino alla pianura. "Si potrebbe ben imparare a scendere volando" continuò Pippi. "Dev'essere certo più complicato volare in salita, ma é meglio incominciare dal più facile. Comunque voglio provare!" "No, Pippi!" gridarono insieme Tommy ed Annika. "Pippi cara, non farlo!" Ma già Pippi stava sull'orlo del precipizio. "Vola, brutta mosca, vola! E la brutta mosca volò" citò Pippi, e, nell'istante in cui disse la parola "volò", aperse le braccia e si gettò nel vuoto. Dopo mezzo secondo si udì un colpo sordo: era Pippi che batteva contro il fondo. A pancia in giù, Tommy ed Annika erano stati ad osservare, terrorizzati, la scena. Videro allora Pippi rialzarsi e togliersi il terriccio dalle ginocchia. "Mi sono dimenticata di sbattere le ali" gridò allegramente. "E inoltre avevo probabilmente troppe frittelle in pancia". Fu qui che i bambini si accorsero che il Signor Nilsson era scomparso; già da un po' doveva essersi eclissato per intraprendere una sua personale spedizione. Si ricordavano benissimo di averlo visto sedere tutto soddisfatto a masticare la sua razione tolta dal paniere, ma durante gli esercizi aviatori lo avevano completamente dimenticato. Ed ora era scappato! Pippi si arrabbiò talmente, che scaraventò una delle sue scarpe in una profonda pozza d'acqua. "Non si dovrebbero portare con sé delle scimmie, quando si va da qualche parte" esclamò. "Avrebbe dovuto restare a casa a spulciare il cavallo: questo sarebbe stato ciò che si meritava il Signor Nilsson!" concluse, e si avviò a gran passi in direzione della pozza per riprendersi la scarpa. L'acqua le giungeva alla vita. "Beh, potrei approfittarne per lavarmi i capelli" disse Pippi, e immerse la testa sott'acqua così a lungo, che grosse bolle incominciarono ad apparire alla superficie. "Bene, così anche questa volta farò a meno di andare dal parrucchiere" esclamò soddisfatta, quando alla fine riemerse. Uscì poi con decisione dalla pozzanghera, e si rimise le scarpe. Dopo di che si incamminarono alla ricerca del Signor Nilsson. "State ad ascoltare che bel rumorino mi fa l'acqua addosso, mentre cammino" disse Pippi ridendo: "fa clascclasc contro il vestito e CippCipp nelle scarpe... proprio divertente. Penso che dovresti provare anche tu" continuò rivolta ad Annika, che camminava tutta composta, con i suoi riccioli di seta bionda, il vestitino chiaro e le scarpette di pelle bianca. "Proverò un'altra volta" disse Annika, giudiziosamente. E continuarono a camminare. "C é proprio da arrabbiarsi, col Signor Nilsson!" esclamò Pippi. "Fa sempre così: mi é scappato una volta anche a Surabaja ed é andato ad impiegarsi come domestico presso una vecchia vedova. Naturalmente quest'ultimo particolare é una bugia, si capisce" precisò dopo una pausa. A un certo punto Tommy propose che ognuno continuasse la ricerca in una direzione diversa. Da principio Annika aveva un po' di paura e si rifiutava di staccarsi dagli altri, ma Tommy le disse: "Non sarai mica una vigliacca, spero!" E Annika, naturalmente, non poteva tollerare una simile ingiuria. Così i tre bambini se ne andarono ognuno per la sua strada. Tommy si avviò attraverso un prato. Non trovò il Signor Nilsson, ma trovò qualcos'altro: un toro! o, per essere più precisi, fu il toro che trovò Tommy, e al toro non piacque affatto Tommy, perché era un toro furioso e per nulla amante dei bambini. Subito gli si precipitò contro a testa bassa con un muggito terrificante. Tommy emise un acutissimo strillo di spavento, che risuonò per tutto il bosco e fu udito anche da Pippi e da Annika. Immediatamente corsero a vedere che cosa mai intendesse Tommy con il suo strillo, e quando arrivarono sul posto, il toro aveva già acchiappato Tommy con un corno e lo stava gettando in aria. "Un toro poco ragionevole" fu il commento che Pippi rivolse ad Annika, la quale singhiozzava del tutto fuori di sé: "non si deve mai agire così! Guarda come sta sporcando tutto il vestito bianco alla marinaretta di Tommy! Devo assolutamente far intendere ragione a quello stupido toro". Così infatti fece: si precipitò sull'animale e lo afferrò per la coda. "Scusami se ti interrompo" gli disse; e poiché stava tirando forte, il toro si rivoltò e scorse un nuovo bambino da infilzare col suo corno. "Ripeto: scusami se ti interrompo" ripeté Pippi "e scusa anche se ora in te rompo qualcosa" aggiunse spezzando una delle corna del toro. "Non é di moda, quest'anno, avere due corna" disse. "Quest'anno tutti i tori distinti portano un corno solo... Se pur ne hanno uno" aggiunse, spezzando anche l'altro. Giacché i tori non possiedono alcuna sensibilità nelle corna, il nostro toro non s'era per nulla accorto che le sue corna erano sparite. S'avventò dunque arditamente contro Pippi, come se ancora le avesse ma anche così se al posto di Pippi si fosse trovato qualsiasi altro bambino, sarebbe stato senz'altro ridotto in pappa. "Ahiahiahi! Smettila di farmi il solletico!" gridò Pippi. "Non puoi immaginare come soffro il solletico! Ahiahiahi! Finiscila, non ne posso più dal ridere!" Ma il toro non smise, e alla fine Pippi fu costretta a saltargli in groppa per avere un po' di pace. La pace però non durò a lungo, perché al toro non piaceva affatto di sentirsi Pippi sul dorso. Fece tutte le peggiori riverenze per togliersela di dosso, ma Pippi si limitava a serrare le gambe e rimaneva seduta. Il toro correva come un pazzo avanti e indietro per il campo e muggiva in maniera tale che un fumetto gli si levava dalle narici; Pippi intanto rideva e strillava e si sbracciava in direzione di Tommy e di Annika che se ne stavano a prudente distanza tremando come foglie. Il toro continuava a girare su se stesso, cercando di scrollarsi Pippi di dosso. "Che bello danzare col piccolo amico!" canterellava Pippi, sempre solidamente seduta. Alla fine il toro si sentì talmente esausto, che si distese per terra augurandosi di non incontrare mai più un bambino in vita sua. D'altronde non aveva mai pensato che i bambini fossero proprio necessari, a questo mondo. "Vedo che hai intenzione di fare la siesta" disse Pippi gentilmente. "E io non ti disturberò". Scese dunque dalla sua cavalcatura e si diresse verso Tommy ed Annika. Tommy aveva pianto un po'; era stato anche ferito a un braccio, ma Annika gli aveva fasciato la ferita col suo fazzoletto, così ora non gli faceva più male. "Oh, Pippi!" gridò Annika tutta eccitata e ansiosa, quando alla fine la vide arrivare. "Sss!" sussurrò Pippi, "Non svegliare il toro che dorme! Se lo svegliamo, ci ridiventa petulante". "Signor Nilsson, Signor Nillson dove sei?" strillò un attimo dopo con voce acuta, senza badare più alla siesta del toro "Dobbiamo tornare a casa". E infatti il Signor Nilsson era proprio lì, arrampicato su un pino; si stava succhiando la coda, e aveva un'aria terribilmente triste. Per una scimmia così piccina non é certo una cosa divertente venir abbandonata sola soletta in un bosco... Saltò dunque dal pino sulla spalla di Pippi e sventolò la sua paglietta come faceva quando era veramente contento. "Allora, questa volta non sei andato a fare il domestico?" gli chiese Pippi accarezzandogli la schiena. "Lo so, era una bugia" aggiunse. "Però, se fosse vero, non sarebbe più una bugia" continuò a ragionare. "State a vedere che é vero che lui ha fatto sul serio il domestico a Surabaja: in questo caso so io chi dovrà occuparsi d'ora in poi delle polpette di carne macinata!" Così s'incamminarono verso casa, Pippi col vestito ancora grondante e con le scarpe troppo larghe che facevano cippcipp. Malgrado il toro, Tommy ed Annika giudicavano d'aver passato una splendida giornata, e per tutta la via del ritorno cantarono una canzone che avevano imparato a scuola. Veramente, era piuttosto una canzone estiva, ed ora era quasi autunno; pure a loro sembrò che si adattasse ugualmente alla situazione. Nel sole dell'estate andiam per boschi e campi; come ci divertiamo: cantiamo ovunque andiamo Trallallà! Trallallà! Tu che sei giovane non stare in casa pigro e indolente, ma vien con noi! Il nostro gruppo di canterini sale veloce sulle montagne Nel sole dell'estate cantiamo ovunque andiamo Trallallà! Trallallà! Anche Pippi cantava, con parole diverse: Nel sole dell'estate vado per boschi e campi a far ciò che mi piace e l'acqua intanto canta: CliscClasc! Cliscclasc! Nella mia scarpa potete crederci l'acqua fa cipp l'acqua fa cipp! E il toro é proprio un gran bestione: io preferisco... lo zabaione Nel sole dell'estate mi canta addosso l'acqua: Cliscclasc! Cliscùclasc!
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