16. Pippi e l'allegro esame dei bocciati

 

Le lunghe, meravigliose vacanze estive finirono un bel giorno, e Tommy ed Annika ricominciarono la scuola. Pippi, dal canto suo, continuava a sostenere di sentirsi abbastanza istruita anche senza andare a scuola e decise di non metterci piede fino al giorno in cui non avrebbe più resistito a vivere senza sapere l'esatta grafia della parola "scialuppa".

"Siccome non m'é mai capitato di dovermene servire" disse, "é proprio inutile che mi preoccupi di come si scrive; e se mi capitasse d'averne assoluto bisogno, avrei certo altro da pensare che alla forma corretta di scriverla".

"Oltre al fatto che tu te la caverai sempre, anche senza l'aiuto della scialuppa" disse Tomy.

Ed era vero: Pippi aveva navigato in lungo e in largo insieme col suo papà, aveva spesso fatto naufragio, ma se l'era cavata benissimo da sola, anche senza ricorrere alle scialuppe.

Ogni tanto Pippi si divertiva ad andare a prendere Tommy ed Annika a cavallo rendendoli felici: cavalcare era per loro un gran divertimento e in verità non ci sono molti bambini cui sia dato di ritornare da scuola a cavallo.

"Ah, senti Pippi, dovresti proprio venire a prenderci, oggi nel pomeriggio" disse Tommy un giorno, mentre alla fine del riposo tornava in classe di corsa.

"Oh, sì, devi venire" disse Annika, "perché oggi la signorina Rosenblom distribuisce i regali tra i bambini buoni e diligenti".

La signorina Rosenblom era una vecchia signorina molto ricca e gelosa dei suoi quattrini; però, al termine d'ogni trimestre, veniva a scuola a distribuire regali agli scolari: non a tutti, naturalmente, perché solo i bambini molto buoni e diligenti ricevevano qualcosa. Per poter riconoscere i buoni e diligenti, la signorina, prima di distribuire i doni, faceva a tutti dei lunghi esami. E perciò i bambini della cittadina vivevano nel continuo terrore di lei; ogniqualvolta, seduti a fare i compiti, stavano invece pensando se non potessero inventare qualcosa di più divertente, la mamma o il papà dicevano loro:

"Pensa alla signorina Rosenblom!"

Ed era anche una terribile vergogna, dopo la visita a scuola della signorina Rosenblom, ritornarsene dai genitori, dai fratellini e dalle sorelline senza neppure una monetina, un sacchetto di dolci e senza nemmeno una maglia. Sì, una maglia: perché la signorina Rosenblom distribuiva anche indumenti ai bambini più poveri; ma non c'era niente da fare, anche per un bambino poverissimo, se, richiestone dalla signorina Rosenblom, non sapeva dire in quanti centimetri si suddividesse un chilometro. No, non c'era nulla di strano se i bambini della piccola città vivevano nel continuo terrore della signorina Rosenblom; tra l'altro, avevano orrore delle sue minestre. La cosa andava così: la signorina Rosenblom faceva pesare e misurare tutti i bambini, per vedere se fra loro ce ne fosse qualcuno troppo magro e debole, che a casa non avesse da mangiare a sufficienza. Tutti questi bambinelli magri e stenti erano quindi costretti a recarsi a casa della signorina Rosenblom, durante ogni riposo, per mangiare un piattone di minestra. Per carità, non ci sarebbe stato proprio niente da ridire, se solo non si fosse trovata, nella minestra, una tale quantità di ripugnante avena: i bambini ne tornavano con la bocca appiccicosa.

Ed ecco ch'era arrivato il gran giorno, in cui la signorina Rosenblom doveva recarsi alla scuola. Le lezioni terminarono prima del consueto, e tutti i bambini si radunarono nel cortile della scuola dove era stata sistemata una grande tavola, dietro alla quale stava seduta la signorina Rosenblom. L'aiutavano due persone adibite a scrivere tutto sul conto dei bambini: quanto pesavano, se avevano saputo rispondere alle domande, se erano poveri e avevano bisogno d'indumenti, e così via; la curiosità della signorina Rosenblom non aveva limiti. Davanti a lei, sul tavolo, stava uno scrigno col denaro, una gran quantità di sacchetti di dolci e pile e pile di magliette, di calze e mutandine di lana.

"I bambini si schierino in tre file" gridò la signorina Rosenblom: "nella prima quelli senza fratellini né sorelline più piccoli, nella seconda quelli che ne hanno uno o due, nella terza quelli che ne hanno più di due".

Tutto infatti doveva essere in ordine, per la signorina Rosenblom, e d'altronde era anche giusto che i bambini con molti fratellini e sorelline ricevessero più dolci di quelli che non ne avevano affatto.

Poi ebbe inizio l'esame. Come tremavano tutti ! Quelli che non sapevano rispondere alle domande, cominciavano coll'andar in castigo in un angolo, per poi tornarsene a casa senza nemmeno una caramella per i loro fratellini e sorelline.

Tommy ed Annika erano proprio bravini a scuola; ciononostante il fiocco di Annika vibrava dalla tensione mentre stava in fila dietro a Tommy, e Tommy si faceva sempre più pallido, man mano che si avvicinava alla signorina Rosenblom. Era proprio giunto il suo turno, quando un'improvvisa agitazione si propagò nella fila dei "bambini senza fratelli e sorelle". Si trattava nientemeno che di Pippi la quale, fattasi largo tra gli scolari, si dirigeva decisamente alla volta della signorina Rosenblom.

"Chiedo scusa" disse, "ma ho perso l'inizio: in quale fila deve mettersi uno che é senza quattordici fratelli e sorelle, dei quali tredici maleducati?"

La signorina Rosenblom non mostrò di apprezzare granché l'inatteso intervento di Pippi. "Per ora puoi restare dove sei" disse, "ma credo che finirai molto presto tra i bambini in castigo nell'angolo".

Le signorine incaricate di prender nota di tutto, scrissero sul loro libro il nome di Pippi e poi la pesarono per poter stabilire se avesse bisogno o no di minestra. Ma superava di due chili il peso limite.

"Minestra non ne avrai" disse recisamente la signorina Rosenblom.

"A volte si é proprio fortunati" disse Pippi. "Adesso non mi resta che scampare il pericolo dei corpetti e delle magliette di lana, dopo di che potrò tirare un sospiro di sollievo!"

La signorina Rosenblom non l'udì: stava cercando nel libro di testo una parola difficile da compitare.

"Ascolta un po', ragazzina" disse infine a Pippi, "sai dirmi come si còmpita la parola scialuppa'?"

"Ben volentieri" disse Pippi.

"Scalupa".

La signorina Rosenblom abbozzò un sorriso agrodolce.

"Strano!" commentò. "Il libro, veramente, dice in maniera un po' diversa" "é stato un vero caso che tu volessi sapere come si còmpita proprio questa parola" disse Pippi. "Scalupa: I'ho sempre scritta così, eppure mi sono salvata ugualmente".

"Prendete nota" disse la signorina Rosenblom alle sue segretarie; e serrò le labbra irritatissima.

"Sì, prendete nota!" aggiunse Pippi. "Prendete nota della sua esatta grafia, e fate in maniera che il libro venga corretto quanto prima!"

"Dunque, ragazzina" proseguì la signorina Rosenblom, "rispondi ora a questa domanda: quando morì Carlo XII?"

"Ohi, ohi, ecco che anche lui é morto, ora!" si lamentò Pippi. "Ma é ben doloroso sentire quanta gente se n'é andata in questi ultimi tempi. Sono sicura però che non gli sarebbe mai accaduto, se si fosse curato di tenere sempre i piedi all'asciutto".

"Prendete nota" ingiunse alle segretarie con voce gelida la signorina Rosenblom.

"Sì, prendete nota!" le incoraggiò Pippi. "E aggiungete che fa anche molto bene applicarsi le sanguisughe e bere un po' di petrolio caldo prima di coricarsi: tiene su!"

La signorina Rosenblom scosse il capo.

"Perché il cavallo ha i molari rigati?" chiese con estrema serietà.

"Credi proprio che sia così?" domandò a sua volta Pippi, cogitabonda. "D'altra parte, puoi andarlo a chiedere personalmente a lui: é laggiù" disse, e indicò il suo cavallo legato all'albero.

Pippi rise soddisfatta.

"Che fortuna averlo portato qui con me!" esclamò. "Altrimenti non ti sarebbe mai riuscito di sapere perché ha i denti rigati; io infatti, ad esser sinceri, non ne ho la minima idea, né credo lo saprò mai".

La bocca della signorina Rosenblom era ridotta ormai ad una linea sottile.

"Incredibile!" mormorava, "Assolutamente incredibile!"

"Sì, pare anche a me" disse Pippi, soddisfatta: "se continuo ad essere tanto brava, non riuscirò a evitare un paio di mutande rosa di lana".

"Prendete nota!" disse la signorina Rosenblom alle segretarie.

"No" aggiunse Pippi, "lasciate perdere: non é che io muoia dalla voglia di avere un paio di mutande rosa di lana. Non volevo dir questo.

Ma notate pure che ho diritto ad un bel paccone di caramelle".

"Sai rispondere a questo?" continuò la signorina Rosenblom. "Piero e Paolo devono dividersi una torta; se Piero prende un quarto, che cosa rimane a Paolo?"

"Mal di pancia" rispose Pippi prontamente, e si volse alle segretarie: "Prendetene nota" disse in tutta serietà, "prendete nota che a Paolo rimane un gran mal di pancia".

Ma la signorina Rosenblom ne aveva abbastanza di Pippi.

"Sei la bambina più ignorante e antipatica che mi sia mai capitata di vedere. Va' difilato laggiù in castigo!"

Pippi si avviò a piccoli passetti ubbidienti, ma borbottando furiosa fra sé e sé:

"Che ingiustizia! E io che ho saputo rispondere a tutte le domande!"

Ma, dopo aver fatto qualche passo, venutale all'improvviso in mente una cosa, fece dietrofront e si riavvicinò alla signorina Rosenblom.

"Chiedo scusa" disse alle segretarie, "ma ho dimenticato di darvi la mia ampiezza toracica e la mia altezza sul livello del mare. Non perché io abbia voglia della minestra, lungi da me! ma perché un po' d'ordine bisogna pure che regni nei vostri registri!"

"Se non te ne vai immediatamente laggiù in castigo" disse la signorina Rosenblom, "conosco io una ragazzina che presto si prenderà un sacco di botte!"

"Poveraccia!" si commosse Pippi.

"Dov'é? Mandatela da me, che la difenderò. Prendete nota!"

Ciò detto, Pippi si mise in castigo tra i bocciati. Vi soffiava un vento di tragedia: molti bambini piagnucolavano o singhiozzavano, pensando a ciò che i loro genitori e sorelline e fratellini avrebbero detto vedendoli tornare a casa senza quattrini e senza caramelle. Pippi si guardò intorno fra i bambini in lacrime e deglutì un paio di volte.

Poi propose: "Organizziamoci un esame nostro!"

I bambini mostrarono un certo interesse, pur senza capire esattamente in che cosa consistesse la proposta di Pippi.

"Distribuitevi in due file" dispose questa: "da una parte quelli che sanno che Carlo XII é morto; dall'altra quelli che non l'hanno mai sentito dire".

Ma siccome tutti i bambini sapevano che Carlo Xii era morto, si formò una fila sola.

"Così non va" disse Pippi: "devono esserci almeno due file, se no il gioco non funziona; andate a chiederlo alla signorina Rosenblom, e ve lo dirà".

Ci pensò su a lungo.

"So io come fare" disse infine:

"Tutte le canaglie completamente sviluppate si mettano da una parte".

"E chi va nell'altra fila?" chiese con grande  interesse una bimbetta che si rifiutava di darsi per canaglia.

"Nell'altra file prenderanno posto tutti coloro che non sono ancora delle canaglie perfette" disse Pippi.

Intanto, al tavolo della signorina Rosenblom, l'esame procedeva a gonfie vele, e solo di tanto in tanto arrivava trotterellando un bambino bocciato, pronto a scoppiare in lacrime.

"Ora comincia la parte più difficile" disse Pippi. "Adesso si vedrà se avete studiato coscienziosamente i vostri testi".

E si rivolse ad un ragazzino magro, con la camicia azzurra.

"Tu" disse, "fammi il nome di qualcuno morto".

Il ragazzo rimase un po' stupito, ma rispose:

"La vecchia signora Pettersson, al numero 57".

"Guarda un po'" fece Pippi.

"E non conosci nessun altro?"

No, non ne conosceva. Allora Pippi si mise mani a imbuto intorno alla bocca e suggerì:

"E Carlo XII, naturalmente!"

Poi interrogò i bambini ad uno ad uno, se conoscessero qualcuno che fosse morto, e tutti risposero: "La vecchia signora Pettersson del 57 e Carlo XII".

"Quest'esame sta superando ogni mia aspettativa" disse Pippi. "Mi rimane da farvi una sola domanda:

Se Piero e Paolo devono spartirsi una torta, e Piero non ne vuole assolutamente, ma va  a sedersi in un angolo a rosicchiare un piccolo secco 'quarto', chi é costretto a sacrificarsi e ad ingollare tutta la torta?"

"Paolo!" gridarono tutti i bambini.

"Io mi domando se esistono da qualche parte dei bambini intelligenti quanto voi" disse Pippi; "meritate proprio un premio".

Trasse dalle tasche una gran quantità di monete d'oro, e ogni bambino ne ricevette una, insieme ad un grande pacco di caramelle che Pippi tirò fuori dal suo zaino.

In questa maniera si diffuse una grande allegria tra i bambini in castigo. E quando l'esame  della signorina Rosenblom finì, nessuno si diede a correre verso casa tanto velocemente, quanto quelli ch'erano stati messi in castigo. Ma prima si strinsero tutti intorno a Pippi.

"Grazie, grazie, cara Pippi!" strillavano.

"Grazie delle monete e delle caramelle!"

"Sciocchezze" disse Pippi, "non avete bisogno di ringraziarmi per questo. Quello che invece non dovete mai dimenticare, é che vi ho salvati dal pericolo delle mutande rosa di lana!"

 

17. Pippi riceve una lettera

 

I giorni passarono e fu nuovamente autunno. E dopo l'autunno, venne l'inverno, un lungo e freddo inverno che sembrava non dovesse finire mai.

Tommy ed Annika avevano molto da fare, a scuola, e di giorno in giorno avvertivano una maggiore stanchezza e una sempre più forte difficoltà la mattina ad alzarsi. La signora Settergren cominciò seriamente ad impensierirsi alla vista delle loro faccine pallide e per il loro appetito che continuava a calare. Come se ciò non bastasse, improvvisamente i due bambini si ammalarono di morbillo e furono costretti a rimanere a letto per due settimane.

Sarebbero state due settimane noiosissime, se Pippi non si fosse esibita ogni giorno in comiche pantomime fuori dalla loro finestra. Il dottore le aveva proibito di entrare nella camera dei malati per non subire il contagio, e Pippi fini per obbedire, nonostante avesse ripetutamente affermato d'essere capace di schiacciare sotto le unghie, in un solo pomeriggio, da uno a due miliardi di microbi del morbillo.

Ad ogni modo, le pantomime dietro ai vetri, nessuno gliele aveva proibite.

Siccome la camera dei bambini era situata al secondo piano, Pippi aveva poggiato una scala a pioli contro la finestra, e per Tommy ed Annika era terribilmente eccitante starsene distesi a letto e cercare di prevedere sotto quale aspetto Pippi sarebbe loro apparsa dalla scala quel giorno. Infatti non si ripeteva, da una volta all'altra: o mascherata da spazzacamino, o da spettro incappucciato di bianco, oppure da strega; arrivava persino a recitare intere commedie, al di là dei vetri, sostenendo da sola i ruoli più svariati. Quante e quali acrobazie eseguiva sulla scala! Dopo essere salita su uno degli ultimi pioli, si metteva a far oscillare la scala avanti e indietro in maniera cosi spericolata, da strappare urla di spavento a Tommy e ad Annika, che temevano di vederla precipitare da un minuto all'altro. Ma questo non avvenne mai. E, sempre per divertire Tommy ed Annika, Pippi scendeva poi dalla scala a testa in giù.

Ogni giorno, inoltre, si recava in città a comperare per i suoi amici mele, aranci e caramelle; e ogni cosa veniva deposta in un cestino legato a un lungo spago. Il Signor Nilsson aveva il compito di afferrare lo spago, di arrampicarsi fin da Tommy e di consegnarglielo, in maniera ch'egli potesse tirare a sé il cestino. A volte il Signor Nilsson arrivava con delle lettere da parte di Pippi, se lei aveva degli affari da sbrigare e non poteva venire di persona. Ma questo non accadeva fortunatamente che di rado, e in realtà Pippi si gingillava sulla scala quasi tutti i giorni. A volte schiacciava il naso contro il vetro della finestra e rovesciava le palpebre o faceva altre orribili smorfie, promettendo a Tommy e ad Annika una moneta d'oro a testa se avessero resistito a non ridere. Ma era assolutamente impossibile trattenersi: Tommy e Annika ridevano anzi tanto, da rischiare di rotolare dai loro letti.

Presto guarirono e furono in grado di alzarsi, ma erano pallidi e magri da far pietà. Il primo giorno della loro convalescenza, Pippi si piazzò in cucina a tener loro compagnia mentre mangiavano la pappa di semolino, o meglio, mentre avrebbero dovuto mangiare la pappa di semolino.

La cerimonia infatti andava paurosamente a rilento, e la loro mamma era disperata al vederli ruminare di malavoglia.

"Su, mangiate la vostra buona pappa" diceva. Annika girava e rigirava il cucchiaio nel piatto, ma sentiva che non sarebbe stata capace di inghiottire nemmeno una punta di cucchiaio.

"Perché volete costringermi a mangiare?" si lamentò.

"Non essere così stupida!" disse Pippi. "Chiaro come il sole che devi mangiare la tua squisita pappa di semolino; se infatti ti rifiuti di mangiare la tua squisita pappa di semolino, non potrai mai diventare grande e forte; e se non diventerai grande e forte, non avrai mai l'energia necessaria per costringere i tuoi bambini, quando ne avrai, a mangiare la loro squisita pappa di semolino. No, Annika, cosi non va: rischieresti di causare un pauroso caos nei pasti dell'intera nazione, se tutti la pensassero come te!"

Tommy ed Annika mangiarono allora due cucchiaiate di semolino a testa, sotto lo sguardo severo di Pippi.

"Dovreste navigare un po', per imparare a mangiare" disse, dondolandsi sulla sedia. "Mi ricordo di quando, sulla nave di mio padre, improvvisamente Fridolf una bella mattina non riusci a mangiare più di sette piatti di semolino.

Papà era preoccupatissimo per il suo scarso appetito: "Mio piccolo Fridolf" gli disse con il pianto alla gola, "sei preso da una malattia che ti consuma. Meglio che tu per oggi rimanga nella tua cuccetta, finché non ti senti un po' più in gamba e hai la forza di mangiare come un uomo normale. Verrò io a rincalzarti le coperte e a portarti la "madicina"".

"Si dice medicina" la corresse Annika.

"Fridolf si distese allora nella sua cuccetta oscillante" riprese Pippi, "chiedendosi preoccupato che razza di epidemia lo avesse colpito per non farcela a mangiare più di sette piatti di semolino. Se ne stava lì dunque a meditare se sarebbe vissuto fino a sera, quando papà arrivò con la "madicina". Era una "madicina" nera e disgustosa, ma si può dir quel che si vuole, ricostituente lo era. Infatti Fridolf ne aveva appena ingoiato il primo cucchiaio, che una lingua di fuoco gli si sprigionò dalla bocca; cacciò allora un urlo che fece tremare la Saltamatta da poppa a prua e che fu udito da tutti i battelli entro un raggio di cinquanta miglia marine. Il cuoco non aveva ancora avuto il tempo di sparecchiare dopo colazione, che Fridolf emerse dalla sua cabina vomitando fumo come una locomotiva, tra frequenti e acutissimi mugolii, si sedette a tavola, e cominciò a divorare semolino, gridando dalla fame anche dopo il quindicesimo piatto. Qui però di semolino non ce n'era più, e al cuoco non rimase altro da fare che accingersi a lanciare patate bollite fredde nella bocca spalancata di Fridolf. Appena il cuoco accennava a voler smettere, Fridolf si metteva a ringhiare con furore, e il cuoco comprese che, se non voleva finir lui stesso divorato, non gli rimaneva altro da fare che continuare. Ma purtroppo non disponeva che di centodiciassette misere patate, e quando ne ebbe gettata l'ultima nelle fauci di Fridolf, raggiunse d'un balzo la porta e se la richiuse alle spalle a chiave.

Allora tutti noi ci mettemmo a controllare i movimenti di Fridolf attraverso una finestra: si lamentava come un bimbo affamato, e s'ingoiò in rapida successione il vassoio del pane, la caraffa dell'acqua e quindici piatti. Poi fu la volta della tavola da cui sradicò le quattro gambe, per addentarle con foga tale, che la segatura gli schizzava di bocca. Per essere degli asparagi, come credeva, disse che li trovava un po' legnosi. La tavola gli sembrò anche migliore e parve gustarla moltissimo, giacché dichiarò ch'era il più buon panino imbottito che avesse mangiato dalla sua infanzia. Allora papà decise che Fridolf doveva essersi completamente rimesso dalla malattia che lo consumava poche ore prima; entrò dunque in cucina e gli disse che doveva cercare di dominarsi fino all'ora del pranzo, al quale ci sarebbe stato del maiale e del puré di rape.

"Mmmm... capitano" fu quel che Fridolf disse, asciugandosi la bocca.

"Ma ancora una cosa, capitano" aggiunse, con gli occhi che gli luccicavano dall'ingordigia: "quando si cena, e perché non si anticipa un po' l'orario dei pasti?"

Pippi piegò il capo e osservò di traverso Tommy ed Annika e i loro piatti di semolino.

"Come volevasi dimostrare, voi avete bisogno di un soggiorno sul mare per curare la vostra inappetenza".

In quel momento il postino stava passando davanti alla casa della famiglia Settergren, diretto a Villa Villacolle; ma, scorta per caso Pippi attraverso la finestra, le gridò:

"Pippi Calzelunghe, c'é una lettera per te!"

Tale fu la meraviglia di Pippi, che per poco non cadde dalla sedia.

"Una lettera!? Per me!? Una lera vettera, una vera lettera, voglio dire!? Non ci credo, se non la vedo".

Ma era proprio una vera lettera, coperta di stranissimi francobolli.

"A te, Tommy" disse Pippi, "che conosci l'arte del leggere".

E Tommy lesse:

"Mia cara Pippilotta, quando riceverai questa mia, potrai scendere al porto appena vorrai e trovarci la Saltamatta. Ho in programma infatti di venire senz'altro a prenderti per portarti con me nell'isola Cipcip. Giusto che tu veda il paese in cui tuo padre é divenuto un re così potente; qui la vita é piacevole, e sono sicuro che ti ci troverai bene. I miei fedeli sudditi nutrono inoltre un intenso desiderio di conoscere la famosissima Principessa Pippilotta di cui hanno tanto sentito parlare. Così, non voglio sentir storie: tu verrai. Questa é la mia volontà di sovrano e di padre.

Un bel bacio con lo schiocco e molti cari saluti ti invia il tuo vecchio padre.

Re Efraim primo Calzelunghe Imperatore dei Cipcipoidi".

Terminata la lettura, regnò nella cucina un profondo silenzio.

 

18. Pippi torna ad imbarcarsi

 

Ed ecco che una bella mattina la Saltamatta entrò nel porto imbandierata da poppa a prua. La banda cittadina era schierata sul molo e suonava a piene guance negli strumenti a fiato un'allegra marcia di benvenuto, mentre i cittadini al completo s'erano dati convegno per assistere all'accoglienza di Pippi a suo padre, re Efraim primo Calzelunghe. C'era pure un fotografo, pronto a scattare un'istananea sul loro primo abbraccio.

Pippi era così impaziente, che saltava su e giù sul molo, e la passerella non era ancora stata gettata che il capitano Calzelunghe e Pippi s'erano slanciati già l'uno nelle braccia dell'altra con acuti strilli di gioia. Il capitano Calzelunghe era talmente felice di rivedere sua figlia, che la lanciò svariate volte in aria; Pippi, dal canto suo, era così pazza di gioia, che lanciò in aria suo padre più volte ancora. L'unico a non essere soddisfatto era il fotografo, che non riusciva a prendere una fotografia come si deve, perché ora Pippi ed ora suo padre si trovavano per aria, assolutamente fuori campo.

Anche Tommy ed Annika si fecero avanti per salutare il Capitano Calzelunghe, ma ahimé, com'erano palliducci e debolini! Era quella la prima volta che uscivano, dopo la loro malattia. Naturalmente Pippi dovette salire a bordo per salutare Fridolf e tutti gli altri suoi amici marinai, e Tommy ed Annika ebbero il permesso di seguirla. Che effetto strano faceva aggirarsi su una nave che veniva da così lontano! Tommy ed Annika aprirono bene gli occhi per non perderne un solo particolare. Pippi abbracciò i marinai in una morsa così stretta che la loro respirazione si mantenne difficoltosa per ben cinque minuti; dopo di che issò il capitano Calzelunghe sulle spalle e lo trasportò attraverso la folla fino a Villa Villacolle. Tommy ed Annika, tenendosi per mano, li seguivano sgambettando.

"Viva re Efraim!" gridava la gente, che considerava quella una giornata storica per la città. Qualche ora più tardi il capitano Calzelunghe era a letto e russava in maniera da far vibrare l'intera Villa Villacolle; in cucina se ne stavano intanto Pippi, Tommy ed Annika, seduti intorno alla tavola su cui si vedevano ancora i resti di una squisita cenetta notturna. Tommy ed Annika erano muti e pensierosi: a che cosa stavano pensando? Annika pensava, all'incirca, che sarebbe stato molto meglio morire, e Tommy si sforzava di ricordare se esistesse qualcosa al mondo di davvero divertente, ma non gli veniva in mente nulla: tutto sommato, gli sembrava che la vita fosse un deserto.

Pippi invece si trovava in uno stato di esilarante esaltazione: accarezzava il Signor Nilsson che s'aggirava con cautela fra piatti e bicchieri, accarezzava Tommy ed Annika come se fossero due animaletti anch'essi, fischiava e cantava passando da un motivo all'altro, accennava di tanto in tanto ad un passo di danza, e non sembrava accorgersi della depressione di Tommy e di Annika. "Che meraviglia tornare a navigare!" esclamò. "Pensate; essere in mare, in assoluta libertà!"

Tommy ed Annika sospirarono.

"E poi mi eccita l'idea di vedere l'isola Cipcip; starsene distesi a riva e immergere gli alluci nel vero e proprio Mare del Sud, mentre basta sbadigliare, perchè una banana matura vi cada dritta in bocca!" Tommy ed Annika tornarono a sospirare.

"Credo che sarà davvero divertente giocare con i bambinelli negri di laggiù" aggiunse Pippi. Tommy ed Annika sospirarono di nuovo.

"Ma perché sospirate?" chiese Pippi.

"Avete forse qualche prevenzione contro quei deliziosi bambinelli negri?"

"No, certo" disse Tommy.

"Stiamo soltanto pensando che dovrà passare molto tempo, prima che tu ritorni a Villa Villacolle".

"Questo é sicuro" disse Pippi gioiosamente, "ma non me ne rattristo affatto: penso ci si possa divertire quasi più nell'isola Cipcip, che qui!"

Annika volse a Pippi un visetto pallido e angustiato.

"Oh, Pippi" chiese, "quanto starai via?"

"Mah, e chi lo sa? Fin verso Natale, credo".

Annika emise un gemito.

"Se poi fosse proprio divertente vivere nell'isola Cipcip, ci si potrebbe anche rimanere per tutta la vita. Olalà!" esclamò Pippi, e accennò a un nuovo passo di danza. "Per chi ha delle basi culturali così poco solide, fare la principessa negra non é mica un mestiere da buttar via!"

Gli occhi di Tommy ed Annika si fecero stranamente lucidi, nei loro visetti pallidi. E improvvisamente Annika chinò il volto sulla tavola e scoppiò in lacrime.

"Per quanto, ragionandoci su meglio" disse Pippi, "non credo che avrò voglia di starmene lì per sempre. Si può anche averne abbastanza della vita di corte e stancarsi di tutto. Così, un bel giorno, vi dirò: Tommy ed Annika, che ne direste di filarcela di nuovo a Villa Villacolle?"

"Come saremo felici, quando ce lo scriverai!" esclamò Tommy.

"Scrivere?" si meravigliò Pippi. "Avete forse le orecchie foderate di prosciutto? Non ho nessuna intenzione di scrivere, ma di dirvi semplicemente: Tommy ed Annika, ora torniamo a Villa Villacolle".

Annika sollevò la testa dal tavolo, e Tommy chiese:

"Che cosa intendi dire?"

"Che cosa intendo? Parlo arabo? O forse mi sono dimenticata di comunicarvi che mi accompagnerete all'isola Cipcip? Eppure ero convinta di avervelo accennato".

Tommy ed Annika balzarono in piedi, col respiro affannoso. Ma poi Tommy disse:

"Queste non sono che chiacchiere: mamma e papà non ce ne darebbero mai il permesso!"

"Ma sì" disse Pippi, olimpica, "ne ho già parlato alla vostra mamma".

Fu silenzio nella cucina di Villa Villacolle esattamente per cinque secondi, ma poi venne interrotto da due urli: la manifestazione di gioia di Tommy ed Annika. Il Signor Nilsson, che stava seduto sulla tavola intento a spalmare il burro sul suo cappello, alzò il capino, meravigliatissimo.

E ancor più meraviglia gli causò la vista di Pippi, Tommy ed Annika che si prendevano per mano e cominciavano a ballare sfrenatamente. Tanto saltarono e urlarono, che il lampadario si staccò dal soffitto e rovinò a terra. Ma allora il Signor Nilsson gettò il coltello del burro dalla finestra e cominciò a ballare anch'esso.

"Ma é proprio vero, vero davvero?" chiese Tommy, quando, calmatisi, i bambini si furono seduti sulla cassa della legna per discutere la cosa. Pippi annuì.

Era vero: Tommy ed Annika sarebbero proprio andati nell'isola Cipcip. Naturalmente quasi nessuna delle comari della cittadina mancò di recarsi dalla signora Settergren per chiederle:

"Ma sul serio intendi mandare i tuoi bambini nel Mare del Sud con PippiCalzelunghe? Scherzi, vero?"

"E perché dovrei scherzare?" rispose alle comari la signora Settergren. "I bambini sono stati ammalati e il dottore dice che hanno bisogno di un cambiamento d'aria. Quanto a Pippi, da quando la conosco non ha mai fatto qualcosa che sia poi risultata nociva per Tommy ed Annika; nessuno meglio di lei saprà prendersi cura dei miei bambini".

"Sarà...  ma proprio PippiCalzelunghe!" mormorarono le comari arricciando il naso con aria schizzinosa.

"Proprio lei" confermò la signora Settergren. "Forse Pippi Calzelunghe non ha sempre un comportamento esemplare, ma in compenso ha molto buon cuore". Non era ancor giunta la primavera quando, una sera ventosa, Tommy ed Annika abbandonarono per la prima volta nella loro vita la piccola città per avventurarsi, insieme con Pippi, nel vasto e straordinario mondo. Tutti e tre stavano affacciati al parapetto del veliero, mentre il vento fresco della sera gonfiava le vele della Saltamatta. Tutti e tre... forse sarebbe più esatto dire tutti e cinque, perché anche il Signor Nilsson e il cavallo erano della partita. Sul molo, tutti i compagni di scuola dei bambini stavano quasi per piangere dalla struggente invidia che li soffocava; come sempre, il giorno seguente sarebbero andati a scuola, non senza aver prima studiato, come lezione di geografia, proprio le isole del Mare del Sud! Per un bel po' Tommy ed Annika non avrebbero avuto lezioni da preparare: "La salute innanzitutto; lo studio può aspettare" aveva detto il dottore "Del resto possono documentarsi sul posto" aveva aggiunto Pippi. Anche la mamma e il papà di Annika erano sul molo, e ai due strinse il cuore quando li videro asciugarsi gli occhi col fazzoletto. Tuttavia non potevano fare a meno di sentirsi felici, così felici che quasi ne soffrivano. Dolcemente la Saltamatta si staccò dal molo. "Ehi, Tommy ed Annika!" gridò Settergren.

"Quando arrivate al Mare del Nord ricordatevi di mettervi due maglie e..." Ma il seguito delle sue parole venne inghiottito dalle grida di addio della gente stipata sul molo, dai nitriti selvaggi del cavallo, dagli strilli di felicità di Pippi e dalle poderose strombettate del capitano Calzelunghe che si soffiava il naso. Il viaggio era cominciato, la Saltamatta veleggiava sotto le stelle, mentre candidi blocchi di ghiaccio le danzavano intorno alla prua e il vento le cantava nelle vele. "Oh, Pippi" esclamò Annika, "provo sensazione così strana: comincio a pensare che anch'io vorrò fare il pirata, quando sarò grande!"

 

19. Pippi approda

 

"L'isola Cipcip! Proprio di fronte a noi!" gridò una serena mattina di sole Pippi, mentre, coperta d'un solo straccetto intorno ai fianchi, se ne stava di vedetta.

Avevano navigato per giorni e notti, per settimane e mesi, su mari sconvolti dalla bufera o su acque dolci e propizie, alla luce delle stelle e della luna, sotto nuvole minacciose e scure o nel sole rovente: così a lungo avevano navigato, che Tommy ed Annika avevano quasi dimenticato che impressione facesse abitare in una casa di una piccola città.

La loro mamma sarebbe rimasta senza dubbio stupita, se avesse potuto vederli ora: altro che faccine pallide! Sani ed abbronzati, con gli occhi vivaci, si arrampicavano per le sartie non meno agilmente di Pippi.

I vestiti erano loro caduti di dosso ad uno ad uno, come inutili pelli, man mano che il clima si era fatto più caldo; e dei bambini che avevano attraversato il Mare del Nord infagottati in due maglie, non erano rimasti che due agili ragazzetti bruni, ciascuno col suo straccetto intorno ai fianchi.

"Che vita meravigliosa!" esclamavano Tommy ed Annika ogni mattina, svegliandosi nella cuccetta che dividevano con Pippi, la quale a quell'ora era spesso già alzata e intenta al timone.

"Mai marinaio migliore di mia figlia ha navigato per i sette mari!" soleva dire il capitano Calzelunghe. E aveva ragione: non c'era insidioso scoglio nascosto sotto la superficie del mare, né secca pericolosa che Pippi non riuscisse a scansare facilmente, guidando la Saltamatta con mano sicura.

Ma ora il viaggio stava per giungere al termine:

"L'isola Cipcip! Proprio di fronte a noi!" aveva gridato Pippi.

Ed essa infatti si stendeva dinanzi agli occhi dei naviganti, coperta di verdi palme e lambita dal più azzurro dei mari.

Due ore più tardi la Saltamatta fece manovra entro la piccola baia del lato occidentale dell'isola, davanti agli occhi stupiti dei Cipcipoidi, che tutti, uomini, donne e bambini, s'erano raccolti sulla riva per ricevere il loro re e la sua bambina dai capelli rossi. Un bisbigliare concitato serpeggiò tra la folla quando la passerella fu gettata.

"Ussamkura kussomkara!" si gridava da ogni parte, e significava: "Ben tornato, grasso sovrano bianco!"

Il re Efraim scese maestosamente lungo la passerella, indossando il suo vestito di lana blu a righe, mentre Fridolf da prua suonava sulla fisarmonica il nuovo inno nazionale dei Cipcipoidi: "Arrivano i nostri a cavallo d'un caval!"

Re efraim agitò la mano in un regale cenno di saluto e gridò:

"Muoni manana!" che significava: "Ben trovati, carissimi!"

Lo seguiva Pippi, reggendo il cavallo alto sulla testa; un mormorio d'ammirazione si levò dai Cipcipoidi: benché avessero sentito spesso parlare di Pippi e della sua forza erculea, faceva effetto del tutto diverso constatarlo con i propri occhi. Anche Tommy ed Annika sbarcarono tra le ovazioni dei selvaggi, e così tutto l'equipaggio; ma in realtà i Cipcipoidi non avevano occhi che per Pippi. Il capitano Calzelunghe se la issò sulle spalle perché l'intera popolazione potesse vederla, e allora nuovamente un mormorio d'ammirazione ondeggiò sulla folla. Quando poi Pippi ebbe issato il capitano Calzelunghe su una spalla e il cavallo sull'altra, il mormorio diventò un rombo.

L'intera popolazione dell'isola Cipcip non superava i centoventi abitanti.

"Mi sembra che questo sia un numero più che sufficiente di sudditi da governare" diceva il capitano Calzelunghe: "se fossero di più, come farei a tenerci dietro?"

Le abitazioni erano delle confortevoli capannine tra le palme, di cui la più grande e bella apparteneva al re Efraim; a ciascuno degli uomini dell'equipaggio della Saltamatta era inoltre riservata una capanna, per andarci a vivere quando il veliero fosse ancorato nella piccola baia. D'altronde vi era rimasto quasi perennemente negli ultimi tempi; ché solo di tanto in tanto s'era resa necessaria una spedizione in un'isola a nord distante cinquanta miglia, dove c'era un negozio in cui ci si recava a comperare del tabacco da fiuto per il capitano Calzelunghe.

Sotto una palma di cocco, una bellissima, piccola capanna di recente costruzione era riservata a Pippi, ma vi trovarono posto anche Tommy ed Annika. Però prima di lasciarli entrare nella capanna per togliersi di dosso la polvere del viaggio, il capitano Calzelunghe volle mostrare loro una cosa. Afferrò Pippi per un braccio e la ricondusse sulla riva.

"Fu qui" disse, indicando il punto esatto col suo grasso dito, "proprio qui che approdai la prima volta, dopo che il vento mi ebbe fatto volare in mare".

Gli indigeni vi avevano eretto un cippo commemorativo in omaggio a quel fatto eccezionale. Sulla pietra stava inciso in lingua cipcipoide:

"Attraverso il grande, vasto mare arrivò il nostro grasso, bianco sovrano.

Questo é il luogo dove egli approdò, mentre l’ albero del pane fioriva. Che egli possa conservarsi sempre così grasso e così forte com'era quando arrivò."

Il capitano Calzelunghe lesse l'iscrizione a Pippi, Tommy ed Annika, con voce tremante dall'emozione.

E quand'ebbe finito si soffiò violentemente il naso.

Il sole stava per tramontare e si preparava a scomparire in seno all'eterno Mare del Sud, quando i tamburi dei Cipcipoidi presero a rullare invitando la gente a far festa e a recarsi nel luogo di raduno, posto nel centro del villaggio. Vi si trovava il bel trono di re Efraim, intrecciato in canne di bambù e decorato con fiori di ibisco, dov'egli troneggiava da re. Accanto al suo seggio ce n'era uno più piccolo, che i Cipcipoidi avevano costruito per Pippi; per Tommy ed Annika avevano intrecciato in fretta due seggioline di bambù.

I tamburi rullarono con violenza massima quando re Efraim, dignitosissimo, prese posto sul trono. Toltosi il vestito di lana blu a righe, aveva indossato l'uniforme regale, corona in testa, gonnellino di paglia intorno alla pancia, collana di denti di pescecane al collo e grossi anelli alle caviglie. Pippi si sedette con indifferenza sul suo trono: aveva tuttora il solito straccetto intorno ai fianchi, ma nei capelli s'era infilata dei fiori rossi e bianchi per essere un po' più elegante. Annika aveva fatto lo stesso, ma nessuno era riuscito a convincere Tommy a mettersi dei fiori tra i capelli.

Re Efraim era stato molto a lungo lontano dal governo, cosi che allora cominciò ad attendervi con grande intensità. Intanto i neri bambinelli cipcipoidi andavano avvicinandosi al trono di Pippi: per qualche misteriosa ragione s'erano messi in capo che la pelle bianca fosse molto più bella della nera, e si accostavano perciò pieni di ossequio a Pippi, Tommy ed Annika. Oltre tutto, Pippi era anche principessa: arrivati dinanzi a lei, essi caddero tutti insieme in ginocchio e chinarono la fronte a terra.

Pippi balzò dal trono.

"Che cosa vedo mai !" esclamò.

"Giocate anche qui ai cercacose? Aspettatemi: voglio giocare con voi!"

Si mise in ginocchio e annusò il terreno.

"Pare che altri cercacose ci abbiano preceduto" disse tristemente dopo un bel po': "qui non c'é nemmeno uno spillo, ve lo assicuro io".

E tornò sul trono. Vi s'era appena risieduta, che nuovamente i bambini chinarono il capo davanti a lei.

"Se avete perduto qualcosa" disse Pippi, "potete star sicuri che non si trova qui. Tanto vale alzarsi".

Fortunatamente il capitano Calzelunghe aveva dimorato a lungo nell'isola, e parecchi Cipcipoidi avevano imparato abbastanza bene la sua lingua; era logico che non conoscessero il significato di parole difficili come "contrassegno" o "general maggiore", ma nondimeno afferravano il senso di parecchie frasi. Persino i bambini capivano le espressioni più comuni, come "non toccare questo", o frasi simili. Anzi un ragazzino, di nome Momo, sapeva parlare parecchio la lingua dei bianchi, perché soleva indugiare nelle vicinanze delle capanne dell'equipaggio ad ascoltare i discorsi dei marinai. E una graziosa bambina negra, chiamata Moana, non era da meno.

Ora dunque Momo si provò a spiegare a Pippi perché stessero inginocchiati davanti a lei.

"Tu essere muolto buona principessa bianca" le disse.

"Io essere nient'affatto muolto buona principessa bianca" disse Pippi, con l'accento cipcipoide. "Io essere soprattutto Pippi Calzelunghe, e ora mandare a quel paese questa seduta regale".

E saltò dal trono, imitata da re Efraim che aveva discusso a sufficienza tutti i problemi governativi.

Come una rossa sfera il sole tramontò sul Mare del Sud, e presto tutto il cielo arse di stelle. I Cipcipoidi accesero un immenso rogo nel centro del luogo di raduno, e re Efraim seguito da Pippi, Tommy ed Annika e dall'intero equipaggio della Saltamatta si buttò nell'erba a guardare i Cipcipoidi che danzavano intorno al fuoco.

Il rullìo cupo dei tamburi, l'esotica danza, i profumi mischiati delle migliaia di sconosciuti fiori della giungla, il firmamento luminoso sopra le loro teste, tutto faceva provare a Tommy e ad Annika una strana e affascinante sensazione.

Le onde eterne del mare scandivano il tempo con ritmo potente.

"E un'isola stupenda, questa" disse Tommy più tardi, quando Pippi, Annika e lui se ne stavano rannicchiati a nanna nella loro confortevole ed intima capanna sotto le palme di cocco.

"Sembra anche a me" convenne Annika. "E tu, Pippi, che cosa ne dici?"

Ma Pippi se ne stava distesa in silenzio, con i piedi sul guanciale secondo il suo costume.

"...i cavalloni dell'Oceano" mormorò in sogno.

 

20. Pippi fa la morale a un pescecane

 

La mattina seguente, di buon'ora, Pippi, Tommy ed Annika strisciarono a quattro zampe fuori della capanna. Ma i bambini cipcipoidi li avevano preceduti: se ne stavano già seduti tutti eccitati sotto la palma da cocco aspettando che i bambini bianchi uscissero a giocare. Parlavano in lingua cipcipoide con grande sveltezza e ridevano così che i loro denti brillavano nel bruno del volto.La banda dei ragazzini s'incamminò dunque compatta verso la spiaggia, capitanata da Pippi. L'apparizione di una candida spianata di sabbia e di un'azzurra, invitante distesa di mare, fece fare a Tommy e ad Annika dei salti di gioia; un banco corallifero, che serviva da diga, cingeva l'isola, e il tratto intermedio di mare brillava come uno specchio terso. Bambini bianchi e bambini neri, sfilatisi i loro straccetti, vi si tuffarono fra strilli e risate. Poi, appena usciti dall'acqua, corsero a rotolarsi nella sabbia bianca, e Pippi, Tommy ed Annika convennero che sarebbe stato preferibile per loro avere la pelle nera, tant'era divertente l'effetto che la candida sabbia faceva infarinando quei corpicini color carbone. Ma anche vedere Pippi, che dopo aver scavato una fossa nella sabbia ed esservisi seppellita fino alla gola, non mostrava che una faccia lentigginosa e due trecce rosse, era uno spettacolo abbastanza buffo.

Tutti i bambini le si buttarono intorno in ginocchio per "Raccontare di bambini bianchi in paese di bambini bianchi" pregò Momo a quella faccia lentigginosa. "Bambini bianchi amare mortificazioni" rispose Pippi. "Si dice moltiplicazioni" corresse Annika. "E d'altronde" continuò risentita, "non si può dire che proprio le amiamo"."Bambini bianchi amare mortificazioni" ribatté Pippi, testarda; "bambini bianchi diventare matti se non avere ogni giorno loro dose di mortificazioni". Non ebbe però la costanza di continuare a blaterare alla maniera cipcipoide, e proseguì nel proprio linguaggio: "Se si sente piangere un bambino bianco, si può star sicuri o che la scuola é stata rasa al suolo da un incendio, oppure che é stato concesso un giorno di vacanza per la raschiatura dei pavimenti, o che la maestra s'é scordata di assegnare qualche problema di mortificazioni. Non parliamo poi di quel che succede alle vacanze estive! un piangere e un lamentarsi continuo così da augurarsi la morte, pur di non udirlo. Quando il portone della scuola si chiude per le vacanze estive, non c'é occhio che rimanga asciutto: gli scolari se ne tornano a casa cantando cupi inni di dolore, quando non scoppiano in singhiozzi al pensiero che dovranno passare diversi mesi prima di ritrovarsi di fronte ad una mortificazione. Sì, é una sciagura senza pari" concluse Pippi, e sospirò profondamente.

"Bumm!" fu quanto Tommy ed Annika riuscirono ad esclamare. Momo però non aveva afferrato bene che cosa fosse una mortificazione, e reclamava una spiegazione particolareggiata. Tommy stava proprio per fornirgliela, ma Pippi lo prevenne.

"Capisci" disse, "é così: 7x7= 102. Divertente, no?"

"Non fa affatto 102" corresse Annika.

"No, perché 7x7 fa 49" commentò Tommy."Tenete sempre presente che qui ci troviamo nell'isola Cipcip" ribatté Pippi, "dove il clima é diverso e il terreno più fertile.

Cosicché 7x7 dà qui un risultato maggiore!"

"Bumm!" fu di nuovo il commento di Tommy e di Annika. A questo punto la lezione di aritmetica venne interrotta dall'arrivo del capitano che annunciò come lui, gli uomini dell'equipaggio e la popolazione cipcipoide al gran completo fossero in procinto di partire alla volta di un'isola vicina, dove sarebbero rimasti due giorni a caccia di cinghiali: giacché aveva gran voglia di una fetta di arrosto di maiale fresco. Anche le donne cipcipoidi avrebbero partecipato alla spedizione col compito di stanare i cinghiali spaventandoli con grida selvagge. Ciò significava che i bambini sarebbero rimasti soli nell'isola Cipcip.

"Non vi dispiace mica?" domandò il capitano Calzelunghe.

"Indovinala, grillo!" esclamò Pippi. "Il giorno in cui mi capiterà di sentire che un bambino si rattrista all'idea di arrangiarsi da solo, senza l'intrusione dei grandi, giuro che imparerò l'intera tavola "piragotica" all'inverso!"

"Questa sì che é una risposta!" approvò capitano Calzelunghe. E così re Efraim e tutti i suoi sudditi, armati di lance e scudi, presero posto in diverse grandi canoe e si allontanarono remando dall'isola Cipcip. Pippi portò le mani a imbuto alla bocca e gridò loro dietro: "Andatevene in tutta tranquillità, ma se non sarete di ritorno per il mio cinquantesimo compleanno, vi farò cercare tramite la radio!".

Appena soli, Pippi, Tommy ed Annika, Momo, Moana e tutti gli altri bambini si guardarono l'un l'altro con aria estremamente soddisfatta: una meravigliosa isola del Sud sarebbe stata in loro completo dominio per diversi giorni!

"E ora che cosa facciamo?" chiesero Tommy ed Annika.

"Prima di tutto andiamo su un albero a procurarci la colazione" disse Pippi, e subito s'arrampicò su una palma in cerca di noci di cocco. Momo e gli altri bambini colsero dei frutti di pane e delle banane. Pippi accese il fuoco sulla riva del mare, e si mise ad arrostire i frutti di pane, per poi distribuire a ognuno dei bambini, che intanto s'erano buttati a sedere in cerchio intorno al falò, una sostanziosa colazione a base di frutti di pane arrostiti, latte di noci di cocco e banane. Non esistendo cavalli nell'isola Cipcip, i bambini negri si appassionavano moltissimo a quello di Pippi, e quel giorno, a chi ne aveva il coraggio, venne permesso di montarlo per un po'. Moana poi dichiarò che le sarebbe piaciuto immensamente fare una volta o l'altra un viaggio nel paese dei bianchi, dato che vi esistevano degli animali talmente strani. Nel frattempo, il Signor Nilsson era scomparso: s'era avventurato di sua iniziativa in una spedizione nella giungla, dove s'era incontrato con un bel numero di parenti.

"E adesso che cosa si fa?" domandarono Tommy ed Annika, quando ne ebbero avuto abbastanza di montare a cavallo.

"Bambini bianchi volere vedere belle grotte, sì, no?" chiese Momo. "Bambini bianchi certamente volere vedere belle grotte, sì, sì" rispose subito Pippi. L'isola Cipcip era corallina, e al lato sud alte pareti di corallo cadevano a strapiombo nel mare. In esse le onde avevano scavato delle grotte meravigliose, di cui alcune si trovavano sotto il livello del mare ed erano costantemente invase dalle acque, altre invece erano situate nella parte alta della parete di roccia, e quella era l'abituale palestra di gioco dei bambini cipcipoidi. Una ricca provvista di noci di cocco e d'altre leccornie era ammucchiata nella grotta più grande; ma arrivarci rappresentava una vera e propria impresa: bisognava arrampicarsi con cautela per le ripide pareti della montagna, appigliandosi agli spigoli e alle asperità della roccia, stando ben attenti a non precipitare in mare. Questo non avrebbe costituito in se stesso un pericolo, se le acque non fossero state popolatissime di pescecani molto ghiotti di carne di bambini. Nonostante ciò, i bambini cipcipoidi si immergevano spesso alla ricerca di ostriche perlifere, ma allora uno di essi doveva stare di guardia, e gridare "can! can!" appena avvistava una pinna di pescecane. Nella grotta grande era riposto un bel mucchietto di perle scintillanti, trovate dai bambini negri nelle valve delle ostriche perlifere; le usavano per giocare a palline, senza avere la più pallida idea dell'immenso valore ch'esse rappresentavano per i bianchi.

Due o tre perle, comunque, il capitano Calzelunghe le portava con sé quando andava a comperare del tabacco da fiuto, ricevendone in cambio tutte quelle cose di cui pensava che i suoi sudditi potessero aver bisogno; per quanto, in linea di massima, ritenesse ch'essi, anche così, se la passavano bene. E non aveva torto. I bambini, dunque, potevano continuare tranquillamente a giocare a palline con le perle.

Quando Tommy glielo propose, Annika si rifiutò energicamente di scalare la montagna fino alla grotta grande. Il primo tratto non sarebbe stato difficile, dato che un cornicione sufficientemente vasto consentiva di procedere senza pericolo, ma poi esso andava via via restringendosi finché, negli ultimi metri, era necessario arrampicarsi issandosi da un appiglio all'altro, in certi punti rari e distanti."Mai e poi mai!" disse Annika. Arrampicarsi per un sentieruolo di montagna dove c'era a mala pena qualcosa cui appigliarsi e in più avere a dieci metri sotto di sé un mare pieno di pescecani in attesa che qualcuno precipitasse, non era esattamente quel che Annika intendeva per divertimento. Tommy andò su tutte le furie.

"Non bisognerebbe mai portarsi dietro delle sorelle nei Mari del Sud!" esclamò, cominciando ad arrampicarsi. "Guardami! Basta fare così...."

"Plopp" si udì, mentre Tommy cadeva in acqua. Annika lanciò uno strillo acutissimo, e persino i bambini cipcipoidi fecero una faccia terrorizzata. "can! can!" strillarono, indicando il mare in  cui si scorgeva nettamente una pinna dirigersi a tutta velocità verso Tommy.

"Plopp" si udi nuovamente: era Pippi ch'era saltata in acqua.

Raggiunse Tommy quasi contemporaneamente alla pinna, mentr'egli urlava di terrore: sentiva già, infatti, i denti affilati del mostro lungo le gambe. Ma proprio allora Pippi afferrò la bestia assetata di sangue e con ambedue le mani la sollevò fuori dall'acqua.

"Tu ignori le elementari regole del galateo" lo redarguì Pippi, mentre il pescecane si guardava intorno disorientato e boccheggiante, giacché non gli riusciva di respirare bene, fuor d'acqua.

"Se prometti di non farlo più, ti lascio andare" continuò Pippi con serietà, e così dicendo lo lanciò con tutte le sue forze più lontano che potè. Il pescecane si affrettò ad allontanarsi, decidendo in cuor suo di trasferirsi nell'Atlantico appena ne avesse avuto la possibilità.

Tommy intanto s'era arrampicato su una sporgenza della roccia e se ne stava lì rannicchiato a tremare in tutto il corpo, mentre le gambe gli sanguinavano. Pippi, quando lo raggiunse, si comportò in maniera stranissima: prima lo sollevò in aria e poi lo abbracciò così stretto da lasciarlo quasi senza fiato; infine lo mollò di colpo e andò ad accucciarsi su uno scoglio. E pianse nascondendosi la faccia tra le mani. Tommy, Annika e i bambini cipcipoidi la guardavano stupiti e reverenti.

"Tu piangere perché Tommy stare per essere divorato" argomentò Momo. "No" disse Pippi asciugandosi bruscamente gli occhi, "io piangere perché povero piccolo pescecane essere rimasto oggi senza pranzo".

 

21. Pippi fa la morale a Jim e a Buck

 

I denti del pescecane non avevano avuto che il tempo di graffiare la pelle di Tommy, di modo che, quando questi si fu calmato, dichiarò che poteva e voleva raggiungere la grotta grande. Allora, per prudenza, Pippi intrecciò una corda di paglia e la fissò ad una pietra; poi, arrampicatasi agile come un camoscio fino alla grotta, ne saldò l'altro capo nell'interno. In questo modo, persino Annika ebbe il coraggio necessario all'impresa: con una solida corda alla quale reggersi, l'ascesa non presentava più alcun pericolo.

Era una grotta splendida, e così grande, che tutti i bambini c'entrarono comodamente.

"Questa grotta é quasi meglio della nostra quercia cava, a Villa Villacolle" disse Tommy.

"Meglio forse no, ma bella altrettanto" disse Annika che, al pensiero della quercia così vicina alla sua casa, sentiva un lieve struggimento al cuore, e non voleva ammettere che qualche luogo fosse migliore di quello.

Momo mostrò ai bambini bianchi quante noci di cocco e quanti frutti di pane fossero immagazzinati nella grotta; era una tal provvista che si sarebbe potuto abitare nella grotta per molte settimane senza morir di fame. E Moana fece loro vedere una canna di bambù cava che, stappata, lasciò uscire una collezione delle più straordinarie perle ch'essi avessero mai ammirato. Pippi, Tommy ed Annika ne ricevettero ognuno una manciata.

"Articoli di lusso usate in questo paese, quando giocate a palline" commentò Pippi.

Era delizioso starsene seduti sull'ingresso della grotta a guardare la distesa di mare scintillante al sole, e divertentissimo mettersi a pancia in giù a sputare nell'acqua.

Tommy propose una gara a chi sputava più lontano. Momo era un vero asso dello sputo, ma in nessun modo ce la faceva a battere Pippi, che aveva una maniera invidiata da tutti di proiettare la saliva attraverso gli incisivi.

"Se oggi sta piovigginando laggiù, in Nuova Zelanda, la colpa é mia" disse Pippi.

Tommy ed Annika se la cavavano male.

"Bambini bianchi non sapere sputare" disse Momo con superiorità.

Non annoverava Pippi tra i bianchi, evidentemente.

"I bambini bianchi non sanno sputare!" esclamò Pippi. "Ma che cosa dici mai! Se sono obbligati ad impararlo dalla prima elementare: sputo in lungo, sputo in alto e sputo di frequenza! Dovresti vedere la maestra di Tommy ed Annika: per Giove, se quella sa sputare! Ha ricevuto il primo premio per sputo di frequenza e quando se ne va in giro sputon sputoni, l'intera città esulta".

"Bumm!" commentarono Tommy ed Annika.

Pippi fece solecchio e scrutò la distesa del mare.

"Vedo una barca all'orizzonte: un minuscolo battello a vapore. Chissà cosa mai viene a fare qui!"

Ed era proprio il caso di chiederselo. A bordo del battello, che stava avvicinandosi con discreta velocità all'isola Cipcip, si trovavano, oltre a un buon numero di marinai negri, anche due uomini bianchi.

Si chiamavano Jim e Buck ed erano due uomini rudi, neri di sporcizia, con un aspetto da banditi. Infatti, erano proprio dei banditi.

S'era dato il caso che una volta, quando il capitano Calzelunghe era entrato in quel famoso negozio a comperare del tabacco da fiuto, Jim e Buck vi si trovassero. Lo avevano visto posare sul banco un paio di perle di rara grandezza e bellezza e sentito dire che nell'isola Cipcip i bambini ne usavano per giocare a palline. Da quel giorno avevano avuto un solo scopo nella vita: quello di andare nell'isola Cipcip e di impadronirsi del maggior numero possibile di perle. Sapevano però che il capitano Calzelunghe era terribilmente forte, e avevano anche paura dell'equipaggio della Saltamatta; così stabilirono di aspettare che si verificasse l'esodo di tutti gli uomini per una qualsiasi caccia.

Ora l'occasione era giunta: nascosti dietro un'isola nelle vicinanze, avevano visto col cannocchiale allontanarsi dall'isola Cipcip il capitano Calzelunghe, i marinai e la popolazione indigena al completo; ora aspettavano che le canoe fossero del tutto fuori di vista.

"Gettate l'ancora!" ordinò Buck, quando il battello fu giunto in prossimità dell'isola. Dall'alto della loro grotta, Pippi e gli altri bambini osservavano in silenzio le loro mosse. Appena l'ancora venne gettata, Jim e Buck saltarono nella iole e presero a remare verso terra.

Ai marinai negri era stato ordinato di rimanere a bordo.

"Adesso ce ne andiamo quatti quatti al villaggio e li cogliamo di sorpresa" disse Jim. "Non sono rimasti che le donne e i bambini".

"Mah, ho visto tante donne nelle canoe, che mi sembra che nell'isola non dovrebbero esserci rimasti che i bambini" disse Buck. "Speriamo che stiano giocando a palline!" aggiunse con una grassa risata.

"Perché" gridò Pippi dalla grotta, "vi divertite tanto a giocare a palline? Quanto a me, preferisco saltare la cavallina".

Jim e Buck si voltarono stupiti e scorsero le testoline di Pippi e degli altri bambini spuntare dalla grotta. A quella vista brillò sui loro volti un furbesco sorriso di soddisfazione.

"Eccoli, i ragazzini" disse Jim.

"Magnifico!" esclamò Buck. "Uno scherzo, per noi, vincere una partita simile!"

Comunque, stabilirono di prenderli con l'astuzia: non conoscendo il nascondiglio in cui i bambini conservavano le loro perle, reputavano fosse consigliabile raggirarli con la gentilezza.

Finsero dunque di non essere affatto venuti nell'isola Cipcip per impadronirsi delle perle, ma di trovarcisi per una gitarella di piacere.

E siccome erano accaldati e sudati, Buck propose, per cominciare, di fare un bagno.

"Torno un attimo a bordo a prendere i nostri costumi" disse, e se ne andò.

Così Jim rimase solo sulla spiaggia.

"Bel posto per un tuffo, questo!" gridò con fare conciliante ai bambini.

"Splendido!" gli gridò Pippi di rimando. "Davvero splendido, per i pescecani: ci fanno il bagno ogni giorno!"

"Storie!" esclamò Jim. "Non c'é nemmeno l'ombra di un pescecane, qui!"

Tuttavia rimase soprappensiero e, quando Buck fu di ritorno con i calzoncini da bagno, gli riferì quel che gli era stato detto.

"Storie!" esclamò Buck. E poi, a Pippi: "Sei tu che pretendi che qui sia pericoloso fare un tuffo?"

"Non ho mai detto una cosa simile" ribatté Pippi.

"Strano davvero" disse Jim: "non hai forse detto che qui ci sono dei

pescecani?"

"Questo sì; ma non che sia pericoloso... Se il mio stesso nonno materno ci ha fatto un bagno l'anno passato!"

"Vedi dunque..." disse Buck.

"E proprio venerdì é tornato a casa dall'ospedale" proseguì Pippi, "con le più superbe gambe di legno che si sian mai viste applicate a un vecchietto".

E sputò pensosamente in acqua.

"Non si può dunque dire che sia pericoloso, anche se, a fare il bagno qui, si rischiano dei bei bocconi di braccia e di gambe. Voi mi capite.

Ma fin quando le gambe di legno non costeranno più di una corona al paio, non approvo che per pura avarizia ci si debba privare di un bagno ristoratore".

E sputò di nuovo.

"Oltre tutto, mio nonno tiene come un bambino alle sue gambe di legno: dice che gli sono indispensabili, quando deve lanciarsi in una mischia".

"Sai che cosa ti dico? Che mi dai l'impressione di mentire" disse Buck. "Giacché tuo nonno deve essere senz'altro d'età avanzata, non avrà per niente voglia di gettarsi in una mischia".

"Se ne ha voglia!" gridò Pippi con voce stridula "il più pazzo vecchietto che mai abbia picchiato in testa il suo avversario con la sua gamba di legno. Si sente letteralmente male, se non può fare a botte dalla mattina alla sera. Se non se ne presenta l'occasione, si morde il naso in preda al furore più cieco".

"Quanto chiacchieri!" esclamò Buck infastidito. "Non può mica mordersi il naso da sé!"

"Certo che ci riesce" assicurò Pippi, "se monta su una sedia!"

Buck meditò alquanto su questo concetto, ma infine così rispose: "Non resisto più a starmene a sentire le tue sciocchezze. Vieni Jim, che ci spogliamo".

"Posso però assicurarvi" riprese Pippi "che mio nonno ha il naso più lungo del mondo: ben cinque pappagalli riescono ad appollaiarvisi uno accanto all'altro".

A tale uscita Buck s'infuriò per davvero.

"Mostriciattolo dai capelli rossi, ma sai che sei la ragazzina più bugiarda che ho conosciuto? Non ti vergogni? Credi di darmi a bere che cinque pappagalli se ne stiano appollaiati sul naso di tuo nonno? E confessalo, che sono balle!"

"Sì" ammise Pippi mestamente, "sono proprio balle belle e buone!"

"L'hai detto!" esclamò Buck. "Esattamente quel che pensavo!"

"Una bugia terribile" proseguì Pippi ancor più mestamente.

"L'avevo capito subito" disse Buck.

"Infatti il quinto pappagallo" strillò Pippi scoppiando in un pianto dirotto, "il quinto pappagallo é costretto a stare su una gamba sola!"

"Va a quel paese!" scattò Buck, e se ne andò, insieme con Jim, a spogliarsi dietro un cespuglio.

"Ma non l'hai mica, un nonno materno, Pippi" la rimproverò Annika.

"Certo che no" ammise Pippi allegramente. "Perché, occorre averne uno?"

Buck fu il primo a infilarsi i calzoncini da bagno, e si tuffò elegantemente da uno scoglio dirigendosi a vigorose bracciate verso il mare aperto. Dalla grotta, intanto, i bambini lo osservavano tesi d'interesse. D'un tratto scorsero balenare alla superficie la pinna di un pescecane.

"Can! can!" gridò Momo.

Buck, che stava rigirandosi voluttuosamente nell'acqua, si voltò di scatto e scorse il feroce animale farglisi addosso.

Mai si vide alcuno nuotare così velocemente, come allora Buck. In un battibaleno toccò terra e uscì dall'acqua. Era congestionato e furibondo, quasi imputasse a Pippi la presenza dei pescecani.

"Vergognati!" le gridò. "Il mare é tutto un pescecane!"

"Ho forse sostenuto il contrario?" chiese Pippi, piegando graziosamente il capo. "Vedi bene che non dico mai bugie".

Jim e Buck tornarono dietro al cespuglio a rivestirsi. Reputarono ormai giunto il momento  di pensare alle perle, soprattutto perché non si poteva prevedere fino a quando il capitano Calzelunghe e gli altri sarebbero rimasti lontani.

"Ascoltatemi, mocciosi" disse Buck: "ho sentito dire che questa é un'ottima zona per la pesca delle perle. Sapete dirmi se é vero?"

"E come no!" disse Pippi. "Tintinnano le perle sotto i piedi, quando si cammina sul fondo del mare.

Basta che tu ci vada, e te ne renderai conto".

Ma Buck non aveva alcuna intenzione di provare.

"Ogni ostrica" proseguì Pippi "nasconde una grande perla, grande pressappoco quanto questa".

E gli fece vedere una gigantesca perla lucente, la cui vista eccitò tanto Jim e Buck, che a stento poterono star fermi.

"Ne avete delle altre così?" chiese Jim. "Avremmo intenzione di comprarvele".

Naturalmente questa era una bugia bella e buona: Jim e Buck non possedevano il denaro sufficiente per acquistarle, e intendevano estorcere le perle ai bambini con truffe e tranelli.

"Direi che dovremmo avere, ad occhio e croce, cinque o sei litri di perle simili, qui nella grotta" rispose Pippi.

Jim e Buck non riuscirono a dissimulare il loro compiacimento.

"Perfetto!" esclamò Buck. "Portatele qui, che ve le comperiamo tutte".

"Eh no, non é giusto!" disse Pippi. "Vi siete posti il problema con che cosa giocherebbero poi a palline questi poveri bambini?"

Ci volle un po' perché Jim e Buck arrivassero a concludere che non sarebbero mai riusciti a carpire le perle con l'astuzia; ma quello che non potevano ottenere con l'inganno, l'avrebbero certamente raggiunto con la forza: ormai conoscevano il nascondiglio delle perle; non si trattava che di arrampicarsi alla grotta e prenderle.

Il problema era ora di raggiungere la grotta.

Ma Pippi, durante le trattative, aveva staccato zitta zitta la corda, e ora i bambini potevano dirsi al sicuro.

Jim e Buck non erano estremamente invogliati all'idea di arrampicarsi fino alla grotta, ma non rimaneva ormai per loro altra soluzione.

"Vacci tu, Jim" disse Buck.

"No, vacci tu, Buck" disse Jim.

"Vacci tu, Jim!" disse Buck, che era più forte di Jim. Così Jim cominciò ad arrampicarsi, aggrappandosi disperatamente a tutte le sporgenze che riusciva a raggiungere, mentre un sudore ghiaccio gli colava lungo la schiena.

"Per amor di Dio, tienti forte, che tu non cada!" gli gridò Pippi a mo' d'incoraggiamento. Fu proprio allora che Jim cadde. Buck strillò e bestemmiò, sulla spiaggia, e anche Jim strillò al vedere due pescecani dirigere la loro rotta proprio su di lui. Quando non gli furono più che a un metro, Pippi li colpì magistralmente sul muso con una noce di cocco, lasciandoli intontiti e permettendo così a Jim di nuotare a riva e di arrampicarsi su un terrazzino di roccia. L'acqua gli colava dai vestiti ed egli aveva nell'insieme un aspetto piuttosto malconcio.

"Provaci anche tu" disse a Buck che lo stava rimproverando, "così vedrai quant'é facile".

"Certo, voglio proprio dimostrarti come si fa" rispose fieramente Buck, iniziando la scalata.

I bambini seguivano attentamente i suoi movimenti, e Annika cominciò persino ad aver paura, man mano che egli si avvicinava.

"Ahi, ahi, non mettere il piede lì, altrimenti farai un bel capitombolo" disse a un tratto Pippi.

"Dove?" chiese Buck.

"Lì" indicò Pippi.

Buck abbassò lo sguardo ai piedi...

"Se andiamo avanti di questo passo, consumeremo quintali di noci di cocco" disse Pippi un minuto dopo, avendone appena lanciata una per dissuadere i pescecani dal mangiare Buck, che stava dibattendosi disperatamente in mare. Ne uscì furibondo, senza un filo di paura, e si rimise immediatamente a scalare la montagna, perché s'era fitto in capo di arrivare alla grotta per impossessarsi di quelle benedette perle.

Questa volta gli riuscì meglio. Era di fronte all'imbocco della grotta, quando gridò trionfante:

"Ora, mocciosi, vedrete se ve la farò pagar cara!"

Allora Pippi non fece altro che puntargli l'indice sulla pancia.

"Plaff!" si udì.

"Avresti almeno potuto portare con te una provvista di noci di cocco!" gli gridò dietro, mirando al naso un pescecane che stava avvicinandosi a Buck. Ma altri pescecani sopraggiunsero, e Pippi si vide costretta a lanciare più noci, di cui una andò a colpire in testa Buck.

"Santo cielo, eri tu!" esclamò Pippi, all'udire il grido di dolore dell'uomo. "Così, visto dall'alto, assomigli tutto ad un grande pescecane disgustoso".

Jim e Buck decisero di attendere i bambini all'uscita.

"Quando avranno fame, saranno ben costretti a venire fuori" disse Buck cupamente. "E allora ne vedremo delle belle!"

"Sarebbe un gran dispiacere per me, se finiste per morire di fame nella vostra grotta!" gridò loro.

"Devo dire che hai buon cuore" gli strillò Pippi in risposta, "ma non é il caso che tu ti preoccupi, per i prossimi quindici giorni. Dopo, forse, saremo costretti a razionare le noci di cocco!"

Spaccò una gran noce di cocco, ne bevve il latte e ne mangiò la deliziosa polpa.

Jim e Buck bestemmiarono. Il sole stava tramontando, ed essi cominciarono ad organizzarsi per passare la notte lungo la riva: non s'arrischiavano ad andare a dormire sul battello, temendo che, nel frattempo, i bambini sgattaiolassero via con tutte le perle. Si distesero dunque su una pietra, nei loro abiti bagnati, con profondo disagio.

Nella grotta intanto i bambini stavano mangiando noci di cocco e puré di frutti di pane, con gli occhi che luccicavano dalla gioia. Una cena squisita e una giornata davvero eccitante e piacevole! Di tanto in tanto si sporgevano a guardare Jim e Buck; ormai s'era fatto scuro e a mala pena riuscivano a individuare le loro sagome sul fondo grigio della roccia. Era una fortuna che non potessero udirli bestemmiare.

Improvvisamente si scatenò un acquazzone violento come usa nei paesi tropicali, e torrenti d'acqua si abbatterono dal cielo. Pippi sporse dalla grotta la punta del naso.

"Avete una fortuna sfacciata!" gridò a Jim e a Buck.

"Cosa te lo fa pensare?" chiese Buck, con novella speranza. Forse i bambini hanno mutato consiglio e hanno deciso di consegnarci le perle, pensò. "Perché dici che abbiamo fortuna?"

"Perché eravate già zuppi prima che si scatenasse questo acquazzone. Altrimenti sarebbe stata la pioggia, a bagnarvi fino all'osso".

Qualcuno bestemmiò, a riva, ma sarebbe stato impossibile stabilire con prensione se si trattava di Jim o di Buck.

"Buonanotte, buonanotte, e sogni d'oro", augurò Pippi. "E altrettanto a noi!".

I bambini si coricarono sul terreno della grotta, e Tommy ed Annika si avvicinarono a Pippi e la presero per mano. C'era un bel calduccio nella grotta, e fu dolce lasciarsi sprofondare nel sonno, mentre fuori sibilava la pioggia.

 

22. Pippi si stanca di Jim e di Buck

 

21:51

La notte trascorse tranquilla per i bambini, ma non per Jim e Buck, che la passarono a bestemmiare la pioggia, prima, ad accusarsi poi a vicenda di non essere stati capaci d'impadronirsi delle perle e soprattutto d'aver avuto l'infelice idea di venirsene all'isola Cipcip. Ma quando il sole sorse ad asciugare i loro indumenti bagnati, e il vispo musetto di Pippi spuntò dalla grotta, più che mai si sentirono risoluti a riuscire nell'impresa e a partirsene ricchi dall'isola. Non riuscivano però a prevedere come.

Nel frattempo il cavallo di Pippi aveva cominciato a preoccuparsi, chiedendosi dove mai Pippi, Tommy ed Annika fossero andati a cacciarsi; e il Signor Nilsson, ch'era intanto tornato dalla sua riunione di famiglia nella giungla, stava ponendosi la medesima domanda, oltre a chiedersi che cosa avrebbe detto Pippi quando si fosse accorta che aveva perso il suo cappellino di paglia.

Con un salto il Signor Nilsson andò a sistemarsi sulla coda del cavallo e questo si avviò passo passo in cerca di Pippi, cominciando coll'ispezionare il lato sud dell'isola. Qui scorse la testa di Pippi che spuntava da una grotta, e nitrì di gioia.

"Pippi, guarda che arriva il tuo cavallo!" gridò Tommy.

"Col Signor Nilsson sulla coda!" gridò Annika.

Li udirono Jim e Buck, e seppero cosi che il cavallo che stava avvicinandosi apparteneva a Pippi, a quella peste dai capelli rossi che era nella grotta.

Buck si fece avanti e afferrò il cavallo per la criniera.

"Ascolta, mostro d'una bambina!" gridò. "Tra un attimo sparerò al tuo cavallo".

"Sparerai al mio cavallo, che io amo con tutta me stessa?!" esclamò Pippi. "Il mio caro e buon cavallino?! Non puoi!"

"Certo che posso" disse Buck. "A meno che tu non scenda e non mi consegni tutte le perle. Tutte, hai inteso? Altrimenti sparo al tuo cavallo in questo stesso istante!"

Pippi lo guardò gravemente.

"Senti" disse, "te lo chiedo con tutta la grazia di cui sono capace: non colpire il mio cavallo e nello stesso tempo lascia ai bambini le loro perle per giocare".

"Hai sentito che cosa ho detto?" chiese minacciosamente Buck. "Qui subito con le perle, altrimenti..."

E a Jim, a bassa voce:

"Aspetta solo che arrivi con le perle, e la farò verde e gialla di botte, per ringraziarla della nottata di pioggia che ci ha fatto passare. Quanto al cavallo, ce lo portiamo a bordo e lo rivendiamo su qualche altra isola".

Poi nuovamente a Pippi:

"Allora, che hai deciso? Vieni o no?"

"Va bene, vengo" rispose Pippi.

"Ma non dimenticare che l'hai voluto tu!"

Con estrema leggerezza volteggiò da un appiglio all'altro, come se si fosse trattato del più comodo viottolo di periferia, poi saltò sul terrazzino di roccia dove si trovavano Buck, Jim e il cavallo, arrestandosi di fronte a Buck. Era lì, piccola e sottile, col suo straccetto intorno alla vita e le treccine rosse ritte in fuori. Gli luccicavano gli occhi d'un bagliore sinistro.

"Dove sono le perle, mocciosa?" ringhiò Buck.

"Non ci si occuperà di perle, oggi" disse Pippi "piuttosto, salterete la cavallina".

Buck allora emise un ruggito che fece tremare di terrore Annika, lassù nella grotta.

"Ora é proprio il momento di picchiarvi a sangue, te e il cavallo!" gridò; e fece per buttarsi su Pippi.

Ma: "Attento alla discesa, buon uomo!" esclamò Pippi e, afferrato Buck per la vita, lo scagliò tre metri in aria. Ricevette un bel colpo, il "buon uomo", quando ripiombò sulla roccia. Allora Jim perse la testa e sferrò un pugno potente a Pippi; questa balzò di lato con un risolino soddisfatto, e subito dopo anche Jim volava nel chiaro cielo mattutino. Un minuto più tardi i due malviventi stavano seduti sulla roccia, lamentandosi ad alta voce.

Pippi li sollevò uno per lato.

"Non bisogna perder la testa a tal punto per il gioco delle palline!" disse. "Bisogna pur imporsi dei limiti nella brama dei piaceri!"

Quindi li trascinò fino alla loro iole e ve li scaraventò dentro.

"Tornatevene a casa e chiedete alla mamma cinque ***œore per comperarvi delle palline di pietra" disse ancora. "Vi assicuro che servono altrettanto bene allo scopo".

Non passò molto che il battello partì sbuffando dall'isola Cipcip, e mai più si rivide in quelle acque.

Pippi accarezzò il cavallo e il Signor Nilsson le saltò su una spalla. Proprio allora, dietro l'estrema punta dell'isola, spuntò una lunga fila di canoe: erano il capitano Calzelunghe e la sua tribù di ritorno da una fortunata caccia.

Pippi gridò facendo ampi cenni di saluto, ed essi risposero agitando le loro pagaie.

Poi Pippi tese di nuovo la corda, in maniera che Tommy, Annika e gli altri bambini potessero abbandonare la grotta senza pericolo; e quando un attimo dopo le canoe attraccarono alla piccola baia accanto alla Saltamatta, la schiera dei bambini al completo era pronta a riceverli.

Il Capitano Calzelunghe fece una carezza a Pippi:

"Tutto bene?" chiese.

"Perfettamente" rispose Pippi.

"Ma no, non é vero" intervenne Annika: "stava per finire proprio male!".

"Già, me n'ero scordata" disse Pippi: "proprio perfettamente non é andata; appena giri l'occhio, papà Efraim, ne succedono di tutti i colori".

"Cos'é dunque accaduto?" s'informò papà Efraim, preoccupato.

"Qualcosa di terribile" disse Pippi: "il Signor Nilsson ha perduto il suo cappello di paglia!".

 

23. Pippi abbandona l'isola Cipcip

 

Stupende giornate seguirono, giornate meravigliose, calde e splendenti, tra il sole, l'acqua azzurra scintillante e il profumo dei fiori.

Ora Tommy ed Annika erano così abbronzati, da confondersi quasi con i bambini cipcipoidi, e le lentiggini erano dilagate su tutta la faccia di Pippi.

"Questo soggiorno comincia ad avere per me la funzione di una vera e propria cura di bellezza" diceva con aria compiaciutissima: "sono più lentigginosa che mai. Se continuo così, finirò per diventare irresistibile!"

Veramente, Momo, Moana e gli altri bambini cipcipoidi pensavano già che Pippi fosse irresistibile; mai s'erano divertiti tanto come allora e adoravano Pippi, come del resto amavano anche Tommy ed Annika, che li contraccambiavano di tutto cuore.

Perciò si divertivano tanto tutti insieme, e giocavano e giocavano da mattina a sera. Spesso si trattenevano nella grotta, dove Pippi aveva trasportato delle coperte, così che, quando i bambini ne avevano voglia, potevano pernottarvi ancora più comodamente di prima. Pippi aveva anche fabbricato una scala a corda che scendeva fino al livello dell'acqua sotto la grotta e lungo la quale i piccoli Cipcipoidi salivano e scendevano per bagnarsi nel mare e sguazzarvi con entusiasmo. Così si poteva fare il bagno senza pericolo, tanto più che Pippi aveva anche cintato un largo tratto di mare con delle reti, in modo che i pescecani non potessero arrecar fastidio. Era divertentissimo nuotare fuori e dentro le grotte lungo il mare, e persino Tommy ed Annika avevano imparato a tuffarsi sott'acqua in cerca di ostriche perlifere. La prima perla che Annika trovò, fu una grande e bellissima perla rosata che decise di portare a casa e di far montare ad anello, in ricordo dell'isola CipCip.

A volte giocavano che Pippi era Buck che cercava di raggiungere la grotta per rubare le perle. Allora Tommy ritirava la scala a corda e Pippi era costretta ad arrampicarsi alla meglio lungo la parete di roccia. "Arriva Buck! Arriva buck!" si mettevano a gridare i bambini quando lei giungeva ad infilare la testa nella grotta, e ad uno ad uno le davano dei grandi spintoni, finché Pippi cadeva all'indietro e precipitava in mare. E lì continuava per un bel pezzo a sguazzare a testa in giù con solo i piedi fuor d'acqua, mentre i bambini ridevano tanto da rischiare di cadere dalla grotta.

Quand'erano stanchi di stare lì, potevano rimanere nella loro casa di bambù che Pippi e i bambini avevano costruito, benché Pippi, naturalmente, avesse fatto la maggior parte del lavoro. Era grande e perfettamente quadrata, tutta intrecciata in sottili canne di bambù, sulla quale ci si poteva arrampicare torno torno, nell'interno e sul tetto, ch'era un piacere. Nel bel mezzo della casa si elevava un'alta palma di cocco in cui Pippi aveva intagliato dei gradini, così ch'era possibile arrampicarsi fino in cima. Il panorama che si godeva da quell'altezza era davvero incomparabile. Fra due altre palme, Pippi aveva poi sistemato un'altalena di paglia; era magnifico: se ci si dondolava con più lena possibile, e proprio nel colmo dello slancio ci si lasciava andare, si finiva direttamente in acqua.

Pippi raggiungeva tali altezze e riusciva a volare talmente al largo che, diceva, "un bel giorno vado a finire in Australia, e allora non sarò divertente per chi mi prende sulla testa!"

Spesso poi i bambini facevano delle gite nella giungla. Qui si levava un'alta montagna, dal cui fianco scaturiva una cascata e Pippi s'era fitta in capo di lasciarsi cadere lungo l'acqua chiusa in un barile.

Proponimento che mise in atto: trasportò fino a quel punto uno dei barili della Saltamatta e ci si infilò dentro, dopo di che Momo e Tommy richiusero il coperchio e spinsero il barile nella cascata. Esso rotolò sul filo dell'acqua con velocità estrema, e infine, urtando contro le rocce, andò in mille pezzi; i bambini videro Pippi scomparire tra i gorghi, e credettero che non sarebbero più riusciti a rivederla viva.

Ma lei tornò a galla in carne ed ossa e constatò, appena ebbe toccato terra: "Bisogna proprio dire che queste botti tengono un'ottima velocità!"

I giorni passavano dunque allegri e veloci, ma presto sarebbe sopraggiunto il periodo delle piogge, quando il capitano Calzelunghe soleva rinchiudersi nella sua capanna a meditare sulla vita, e forse allora Pippi non si sarebbe trovata a suo agio nell'isola Cipcip. Tommy ed Annika, d'altra parte, si chiedevano sempre più spesso come stavano passandosela a casa il babbo e la mamma e avrebbero desiderato essere con loro per Natale. Così non furono poi tanto tristi, quando Pippi disse loro una bella mattina:

"Tommy ed Annika, che ne direste di filarcela di nuovo a Villa Villacolle?"

Per Momo, per Moana e per gli altri bambini cipcipoidi fu naturalmente un giorno di lutto quello in cui videro Pippi, Tommy ed Annika imbarcarsi sulla Saltamatta per far vela verso la loro patria; ma Pippi giurò che sarebbero ritornati spessissimo nell'isola Cipcip. I bambini cipcipoidi avevano intrecciato corone di fiori bianchi, che allacciarono intorno al collo di Pippi, Tommy ed Annika in segno di commiato, e la loro canzone d'addio seguì come un lamento la nave che scivolava via sul mare. Anche re Efraim, che i doveri di governo costringevano a rimanere, si trovava sulla riva; Fridolf s'era impegnato, in vece sua, a trasportare a casa i bambini.

Il capitano Calzelunghe si soffiò il naso nel suo grande fazzoletto in cui usava starnutire dopo aver annusato una presa di tabacco, e agitò la mano in cenno di saluto. Piangendo come fontane, Pippi, Tommy ed Annika risposero, continuando ad agitare il braccio, finché il capitano Calzelunghe e i bambini non scomparvero dalla loro vista.

Un forte vento in poppa li sospinse durante tutto il viaggio di ritorno.

"E meglio che tiriate fuori in tempo le vostre magliette, prima di arrivare al Mare del Nord" disse Pippi.

"Uffa, é vero!" sbuffarono Tommy ed Annika.

Ma presto dovettero accorgersi che la Saltamatta, nonostante il robusto vento in poppa, non ce l'avrebbe fatta ad arrivare a destinazione per Natale. Tommy ed Annika se ne rattristarono assai: pensate, niente Albero e niente regali, per quell'anno!

"A saperlo, saremmo potuti rimanere nell'isola Cipcip!" disse Tommy, in tono irritato.

Ma annika pensò al suo papà e alla sua mamma e si sentì ugualmente felice di tornare a casa; comunque si trovava anche lei d'accordo con Tommy ch'era ben triste giocarsi un Natale a quel modo.

Una buia sera del principio di gennaio, Pippi, Tommy ed Annika videro finalmente le luci della cittadina brillare loro incontro: erano arrivati!

"Ed ecco concluso il famoso viaggio nel Mare del Sud" disse Pippi, scendendo per la passerella in compagnia del cavallo.

Non c'era alcuno ad attenderli, perché nessuno poteva sapere quando sarebbero ritornati. Pippi issò Tommy, Annika e il Signor Nilsson sul cavallo, e così si avviarono passo passo verso Villa Villacolle. Il cavallo doveva stare molto attento dove posava gli zoccoli, perché le strade e i sentieri erano coperti di neve. Tommy ed Annika aguzzavano gli occhi, cercando di vedere attraverso il nevischio; presto avrebbero riabbracciato mamma e papà! All'improvviso, provavano per loro una terribile nostalgia.

Da casa Settergren la luce splendeva invitante, e oltre ai vetri si potevano scorgere il papà e la mamma di Tommy ed Annika seduti al tavolo da pranzo.

"Ecco mamma e papà!" esclamò Tommy, e la sua voce tremò di gioia.

Ma Villa Villacolle era immersa nell'oscurità e coperta di neve, e Annika si preoccupò all'idea che Pippi dovesse andarci a dormire tutta sola.

"Pippi cara, vieni da noi per questa notte!" disse.

"Eh, no!" rispose Pippi, che aveva già varcato il cancello e stava sprofondando ad ogni passo nella neve. "Prima devo mettere un po' d'ordine a Villa Villacolle".

E continuò a procedere a gran passi da un mucchio di neve all'altro, che le arrivavano quasi alla cintola.

Il cavallo la seguiva trotterellando.

"Ma gelerai, lì dentro!" esclamò Tommy. "E tanto che la casa non é stata riscaldata".

"Via" disse Pippi, "finché il cuore é caldo e fa 'tictac' come si deve, non c'é pericolo di gelare!"

 

24. Pippi non vuole diventare grande

 

La mamma e il papà di Tommy e di Annika abbracciarono stretti i loro bambini e li baciarono a lungo; poi prepararono una squisita cenetta notturna e rimboccarono loro le coperte, quando si furono coricati. E rimasero seduti per ore ed ore sul bordo dei loro lettini, ad ascoltarli raccontare delle meravigliose avventure che avevano vissuto nell'isola Cipcip. Erano felici tutti e quattro. Pure c'era una cosa che non andava, ed era la faccenda del Natale; Tommy ed Annika non volevano confessare alla loro mamma che li rattristava il fatto di non aver avuto il loro Albero di Natale e le strenne natalizie, pure era proprio così. Provavano una strana impressione a ritrovarsi di nuovo a casa, come sempre accade dopo una lunga assenza, e le cose sarebbero andate meglio se fossero ritornati per la vigilia di Natale.

Anche il pensiero di Pippi dava loro molta pena: probabilmente in quel momento se ne stava coricata a Villa Villacolle con i piedi sul guanciale, senza nessuno nessuno che le rimboccasse le coperte. L'indomani sarebbero andati a trovarla il più presto possibile.

Ma il giorno dopo la loro mamma non volle lasciarli andare, giacché li aveva avuti lontani per tanto tempo, e inoltre doveva venire a trovarli la nonna materna, che si sarebbe trattenuta da loro a pranzo.

Tommy ed Annika si domandavano ad ogni istante come Pippi stesse passando la giornata, e quando cominciò a farsi buio non resistettero più oltre.

"Mammina cara, dobbiamo andare a salutare Pippi" disse Tommy.

"E va bene, filate, ma tornate presto" sospirò la signora Settergren.

E Tommy ed Annika non se lo fecero ripetere due volte.

Giunti al cancello di Villa Villacolle, si arrestarono incantati: pareva proprio una cartolina natalizia. Da tutte le finestre della villa, coperta di soffice neve, la luce brillava allegramente, e sulla veranda era accesa una fiaccola, che proiettava i suoi bagliori lontano, sulla bianca distesa. Un sentierino era stato coscienziosamente spalato fino alla veranda, così che Tommy ed Annika, per raggiungerla, non furono costretti a sprofondare nella neve.

Proprio mentre stavano stropicciando i piedi sui gradini per togliersi la neve dalle scarpe, la porta si aperse e Pippi apparve.

"Buon Natale e benvenuti nella qui presente dimora!" disse, e li spinse in cucina. Vi troneggiava niente meno che... un Albero di Natale!

Le candele erano accese e diciassette tra bengala e girandole diffondevano, scoppiettando, un intimo odore di bruciaticcio. Sulla tavola facevano mostra di sé ogni sorta di dolci natalizi, e prosciutto, e salsicce, e perfino pupazzetti biscottati e ciambelle. Nel forno il fuoco era acceso, e accanto al cassone della legna stava il cavallo, che si grattava educatamente con una zampa.

Su e giù dai rami dell'abete, fra il roteare delle girandole, il Signor Nilsson correva come un disperato.

"Secondo i miei piani" disse Pippi, "il Signor Nilsson avrebbe dovuto fare da Angelo natalizio. Ma é bravo chi riesce a tenerlo fermo".

Tommy ed Annika erano rimasti senza fiato.

"Oh Pippi" esclamò finalmente Annika, "che meraviglia! Quando hai avuto il tempo di preparare tutto questo?"

"Sono un tipo attivo" disse Pippi, con modestia.

All'improvviso Tommy ed Annika si sentirono straordinariamente felici.

"Mi sembra sia stata una buona idea, tornarcene a Villa Villacolle" disse Tommy.

Si misero dunque a sedere intorno alla tavola e si rimpinzarono d'una quantità di prosciutto, di pasticcio di riso e di biscotti, finché decisero che tutto era più squisito perfino delle banane e dei frutti del pane.

"Che delizia!" esclamò Annika.

"Ecco che, nonostante tutto, siamo riusciti a festeggiare il Natale ugualmente. Per quanto senza regali, si capisce".

"Meno male che me l'hai ricordato!" disse Pippi. "M'ero completamente scordata dei vostri regali; ci sono, ma dovete cercarveli da voi".

Tommy ed Annika arrossirono dal piacere: subito saltarono dalla sedia e cominciarono a cercare. Nel cassone della legna Tommy trovò un gran pacco, sul quale stava scritto "Tommy": conteneva una bella scatola di colori. Sotto il tavolo Annika trovò un pacchetto col suo nome, e dentro al pacchetto c'era un grazioso parasole rosso.

"Questo lo porterò con me nell'isola Cipcip, la prossima volta" disse Annika.

Due altri pacchetti erano appesi sotto la cappa del camino; uno risultò contenere una piccola jeep per Tommy, l'altro un servizio da bambole per Annika. Un ultimo pacco stava poi appeso alla coda del cavallo e dentro c'era una sveglia, che Tommy ed Annika avrebbero dovuto tenere nella loro stanza da letto.

Quando ebbero trovato tutti i loro regali natalizi, Tommy ed Annika corsero ad abbracciare fortemente Pippi per ringraziarla; la sorpresero mentre, affacciata alla finestra della cucina, stava contemplando la coltre di neve che copriva il giardino.

"Domani costruiremo una grande capanna di neve" disse, "e vi accenderemo dentro una candela, di sera".

"Oh, sì , costruiamola!" esclamò Annika, sentendosi nel dir cosi sempre più contenta d'essere ritornata a casa.

"Sto pensando che potremmo anche spianare una pista da sci che parta dal tetto e si congiunga alle colline sottostanti" continuò Pippi.

"Voglio che il cavallo impari a sciare, ma non ho ancora scoperto se ha bisogno di quattro sci, oppure se gliene bastano solo due".

"Ci divertiremo un mondo, domani" disse Tommy. "Che fortuna d'essere ritornati nel bel mezzo delle vacanze di Natale!"

"Ci divertiremo sempre un mondo" aggiunse Annika: "qui a Villa Villacolle, nell'isola Cipcip e dovunque".

Pippi annuì, d'accordo. Stavano seduti tutti e tre sul tavolo di cucina, sorridendo tra sé e sé a questo pensiero; ma ad un tratto un'ombra di mestizia passò sul volto di Tommy.

"Non voglio diventare mai grande" disse con decisione.

"Nemmeno io" fece eco Annika.

"Davvero, non c'é da augurarselo" approvò Pippi: "le persone grandi non si divertono mai; hanno solo molto da lavorare, degli abiti buffi, i calli e le tasse cumunali".

"Tasse comunali, si dice" corresse Annika.

"Indifferente, tanto s'intende sempre la stessa robaccia" disse Pippi. "E poi sono pieni di superstizioni e di fisime: credono per esempio che succeda chissà cosa, magari di tagliarsi, se ci si infila il coltello in bocca, e così via".

"Non sanno nemmeno giocare" disse Annika. "Che noia, dover diventar grandi!"

"E chi ha mai detto che si deva?" chiese Pippi. "Se la memoria non m'inganna, devo avere un paio di pillole da qualche parte..."

"Che pillole?" domandò Tommy.

"Delle pillole ottime per chi non vuole diventar grande" disse Pippi, saltando dal tavolo.

Cercò dappertutto, in armadi e cassetti, e un istante dopo ricomparve con tre granelli del tutto simili a tre piselli gialli.

"Piselli?" chiese Tommy, stupito.

"Sembrano proprio dei piselli, eh? E invece non lo sono affatto" disse Pippi. "Sono delle "pilloleùCunegunde". Me le diede molto tempo fa, a Rio, un vecchio capo indiano quando gli dissi, con un giro di parole, che non ci facevo una malattia per diventare grande".

"Bastano queste pillole?" chiese Annika, dubbiosa.

"Senz'altro" assicurò Pippi. "Ma bisogna inghiottirle al buio, e recitare questa formula magica:

Piccole e belle Cunegunde,

non voglio mai diventare grunde".

"Grande, vuoi dire" la riprese Tommy.

"Se ho detto 'grunde', significa che voglio dire 'grunde'" disse Pippi. "Il trucco sta proprio qui: quasi tutti dicono 'grande', e non potrebbero commettere sbaglio peggiore, perché allora si comincia a crescere e non si smette più. C'era una volta un ragazzo che mangiò di queste pillole dicendo 'grande' invece di 'grunde', e cominciò a crescere in maniera paurosa, metri e metri al giorno. Una cosa tristissima. Finché riusciva a mordere le mele direttamente dall'albero, proprio come se fosse stato una giraffa, ancora ancora era comodo, ma presto non gli riuscì più: era troppo alto. E quando le amiche di sua madre venivano in visita, e dovevano dire: "Oh, come ti sei fatto grande!", erano costrette a gridarglielo col megafono, perché potesse udirle.

Di lui non si scorgeva altro che un paio di gambe magre e lunghissime, che sparivano lassù tra le nuvole, come due aste portabandiera. Da lui, non una parola... ah, sì, soltanto una volta, quando si mise a leccare il sole e si fece una bolla sulla lingua; allora cacciò un urlo tale, che i fiori sulla terra appassirono. Questo fu il suo ultimo segno di vita, per quanto le sue gambe continuassero ad aggirarsi per le strade di Rio, causando un grande scompiglio nel traffico, immagino".

"Non ho il coraggio di mangiare queste pillole" disse Annika, spaventata: "sarebbe terribile, se dovessi sbagliare".

"Non puoi sbagliare" la rassicurò Pippi. "Se lo pensassi, sta' certa che non ti offrirei le mie pillole, perché sarebbe un magro divertimento poter giocare soltanto con le tue gambe. Pensa: Tommy, io e le tue gambe! Che bella compagnia!"

"Va là che non sbagli, Annika!" la incitò Tommy.

Smorzarono le candele dell'Albero di Natale, così che fu tutto buio in cucina, meno accanto al forno, dove il fuoco faceva filtrare improvvisi bagliori dallo sportello. I tre bambini si misero a sedere in silenzio per terra e si presero per mano Pippi diede a Tommy e ad Annika una pillola Cunegunda per ciascuno, mentre un brivido d'emozione correva loro per la spina dorsale: pensate, un attimo dopo le pillole miracolose si sarebbero depositate nel loro stomaco, e questo era sufficiente perché non dovessero mai, mai, diventare grandi. Che meraviglia!

"Ora!" sussurrò Pippi.

Ed essi ingoiarono le loro pillole.

"Piccole e belle Cunegunde, non voglio mai diventare grunde" recitarono tutti e tre contemporaneamente.

Era fatto. Pippi riaccese la luce.

"Splendido!" esclamò. "Com'é semplice evitare di diventare grandi, di avere calli e altri malanni. Solo, le pillole sono rimaste così a lungo nel mio armadio, che non si può essere proprio matematicamente sicuri che non abbiano perduto il loro potere. Ad ogni modo, speriamo per il meglio".

Annika stava pensando.

"Oh Pippi" disse sgomenta, "e tu che dovevi fare il pirata, da grande!"

"Via, posso diventarlo ugualmente!" disse Pippi. "Posso diventare un piccolissimo pirata feroce, che sparge morte e desolazione intorno a me".

"Immaginate" riprese dopo un attimo di silenzio, "immaginate una vecchietta che si trovi a passare di qui fra moltissimi anni e ci scorga giocare in giardino. Allora forse ti chiederà, Tommy: Quanti anni hai, bambino mio bello?, e tu risponderai: Cinquantatré se ben ricordo!"

Tommy rise, tutto soddisfatto "Mi troverà piuttosto piccolo di statura" osservò.

"Naturalmente" fu d'accordo Pippi "Ma allora tu puoi spiegarle, ch'eri più grande, quando eri più piccolo".

Qui Tommy ed Annika si ricordarono che la loro mamma s'era raccomandata di non trattenersi troppo a lungo.

"Ora dobbiamo andare a casa" disse Tommy.

"Ma ritorniamo domani" disse Annika.

"Ci conto" disse Pippi: "alle otto si comincia la capanna di neve".

Li accompagnò al cancello e, mentre ritornava di corsa a Villa Villacolle, le trecce le si agitavano intorno in una danza selvaggia.

"Sai" stava dicendo poco dopo Tommy, mentre si lavava i denti, "sai che, se non mi avessero avvertito ch'erano delle pillole Cunegunde, avrei scommesso la testa che si trattava di comuni piselli gialli?"

Annika era alla finestra della loro stanza da letto, in pigiama rosso, e guardava in direzione di Villa Villacolle. "Guarda, di qui si vede Pippi!" esclamò tutta contenta.

Tommy la raggiunse d'un balzo. Era proprio vero: ora che l'albero non aveva più foglie, si poteva vedere fin dentro la cucina di Pippi.

Pippi stava seduta al tavolo, la testa poggiata alle palme, e con aria sognante fissava una piccola candela dalla fiamma tremula.

"Ha... ha l'aria di essere cosi sola!." disse Annika con un nodo alla gola. "Oh, Tommy, se fosse già mattina e potessimo correre subito da lei!"

Rimasero così a lungo, in silenzio, con gli occhi fissi nell'oscurità di quella sera d'inverno. Le stelle brillavano sopra Villa Villacolle, e dentro c'era Pippi; ci sarebbe sempre stata. Era meraviglioso pensare che gli anni sarebbero passati, ma che Pippi, Tommy ed Annika non sarebbero mai diventati grandi. Se le pillole Cunegunde non avevano perduto il loro potere, nuove primavere sarebbero sopraggiunte, e nuove estati, e autunni, e inverni, ma il gioco dei bambini sarebbe continuato. L'indomani avrebbero costruito una capanna di neve e iniziato una pista da sci dal tetto di Villa Villacolle; a primavera si sarebbero arrampicati sull'albero cavo dove crescevano le gazzose, avrebbero fatto i cercacose e cavalcato il destriero di Pippi, si sarebbero seduti sul cassone della legna a raccontarsi delle storie, sarebbero forse anche partiti alla volta dell'isola Cipcip per salutare Momo e Moana e tutti gli altri, ma sarebbero sempre ritornati a Villa Villacolle. Era una certezza che allargava il cuore: Pippi sarebbe rimasta a Villa Villacolle per sempre.

"Se guardasse da questa parte, potremmo salutarla" disse Tommy.

Ma Pippi stava fissando con occhi sognanti qualcosa d'invisibile davanti a sé.

Infine spense la candela.

 

 

FINE