XXIX
Riunita
l'assemblea, alzandosi sugli altri,
Achille così si
rivolse al re degli uomini.
dall'«Omero» di Pope
Cora era davanti
agli altri prigionieri, cingendo con le braccia Alice con la tenerezza
dell'amore fraterno. Nonostante il terribile e minaccioso spiegamento di
selvaggi che la circondavano, nessuna paura per sé impediva alla nobile
fanciulla di tenere gli occhi fissi sulla pallida e ansiosa figura della
tremante Alice. Al loro fianco c'era Heyward, con un interesse per
entrambe che, in un momento di tanta incertezza, quasi non conosceva
preferenza per colei che più amava. Occhio di Falco si era messo un po'
dietro a loro, con una deferenza al rango superiore dei compagni che
nemmeno il fatto di trovarsi nello stesso frangente poteva indurlo a
dimenticare.
Uncas non c'era.
Quando tornò il
completo silenzio e dopo la solita lunga e solenne pausa, uno dei due capi
anziani che sedevano a fianco del patriarca si alzò e domandò ad alta voce
in un inglese perfettamente comprensibile: «Quale dei miei prigionieri è
La Longue Carabine?»
Né Duncan né
l'esploratore risposero. Il primo però volgendosi alla scura e silenziosa
assemblea, indietreggiò di un passo quando il suo sguardo cadde sul viso
malvagio di Magua. Egli comprese subito che l'astuto selvaggio aveva a che
fare, per qualche misteriosa ragione, con la loro attuale comparizione
davanti al popolo, e decise di impedire in qualsiasi modo l'esecuzione dei
suoi sinistri piani. Era stato presente ad una esecuzione sommaria degli
indiani e ora temeva che il compagno sarebbe stato scelto per una seconda.
In questo dilemma, senza perder tempo a riflettere, improvvisamente decise
di coprire l'inestimabile amico, qualunque fosse il rischio in cui potesse
incorrere. Prima però che avesse il tempo di parlare, la domanda venne
ripetuta a voce più alta e più chiaramente.
«Dateci le armi»
disse il giovane con tono superbo, «e mandateci in quei boschi. I fatti
parleranno per noi!»
«Questo è il
guerriero il cui nome ha riempito le nostre orecchie!» replicò il capo
guardando Heyward con quella sorta di curioso interesse che sembra
inseparabile dall'uomo quando vede uno dei suoi simili a cui il merito o
il caso, la virtù o il crimine, hanno dato notorietà. «Chi ha portato
l'uomo bianco al campo dei Delaware?»
«Le mie
necessità. Vengo in cerca di cibo, riparo e amici.»
«Non può essere,
i boschi sono pieni di selvaggina. La testa di un guerriero non ha bisogno
di altro riparo che un cielo senza nubi, e i Delaware sono nemici, non
amici degli Yangee. Via! La bocca ha parlato ma il cuore taceva.»
Duncan, un po'
incerto sul modo di continuare, rimase in silenzio, ma l'esploratore, che
aveva ascoltato tutto attentamente, avanzò risoluto.
«Se non ho
risposto al nome di ‹La Longue Carabine›, non è stato né per vergogna, né
per paura, perché né l'una né l'altra sono attributi di un uomo onesto. Ma
io non concedo ai Mingo il diritto di dare un nome a uno i cui amici hanno
tenuto conto delle sue doti per questo; specialmente quando questo titolo
è una menzogna, dato che ‹Ammazzacervo› ha una canna scanalata e non è una
carabina. Sono io, dunque, l'uomo che ha ricevuto il nome di Nathaniel
dalla sua famiglia, il complimento di ‹Occhio di Falco› dai Delaware che
vivono sul loro fiume, e a cui gli Irochesi hanno presunto di dare il
titolo di ‹Lunga Carabina›, senza alcuna autorizzazione da parte di chi è
il maggior interessato alla cosa.»
Gli occhi di
tutti i presenti che fino a quel momento avevano scrutato la persona di
Duncan, si volsero ora verso la dritta, ferrea corporatura di questo nuovo
pretendente all'ambito appellativo. Non era affatto rilevabile che fossero
in due desiderosi di arrogarsi un onore simile, perché gli impostori,
benché rari, non erano sconosciuti fra gli indigeni. Riguardava però le
giuste e severe intenzioni dei Delaware che non vi fossero errori di sorta
sulla faccenda. Alcuni dei loro anziani si consultarono in privato, poi,
secondo tutte le apparenze, decisero di interrogare il visitatore
sull'argomento.
«Il mio fratello
ha detto che un serpente si è insinuato nel mio campo» disse il capo a
Magua, «qual è dei due?»
L'Urone indicò
l'esploratore.
«Crederà un
saggio Delaware che il lupo possa abbaiare?» esclamò Duncan, ancora più
convinto delle cattive intenzioni del vecchio nemico «un cane non mente,
ma quando mai si è sentito un lupo dire la verità?»
Gli occhi di
Magua si fecero di fuoco, ma ricordandosi improvvisamente della necessità
di mantenere la presenza di spirito, si volse altrove con silenzioso
disprezzo, ben sicuro che la sagacia degli indiani non avrebbe mai mancato
di giungere alla verità nei punti controversi. Non fu deluso, perché dopo
un'altra breve consultazione, il cauto Delaware si rivolse ancora a lui e
gli comunicò la decisione dei capi, sebbene con linguaggio prudente.
«Il mio fratello
è stato chiamato bugiardo» disse, «e i suoi amici sono in collera. Essi
vogliono dimostrare che egli ha detto la verità. Date dei fucili ai miei
prigionieri, e lasciamo che dimostrino quale è il nostro uomo.»
Magua finse di
considerare l'espediente - che egli ben sapeva essere dettato dalla
sfiducia in lui - come un complimento, e fece un gesto di assenso, ben
contento che la sua sincerità venisse dimostrata da un tiratore abile come
l'esploratore. Le armi furono messe in mano degli amichevoli antagonisti
che furono invitati a sparare ad un vaso di terra che, per caso, era stato
posto su un ceppo al di sopra della moltitudine seduta, ad una cinquantina
di iarde dal luogo dove si trovavano.
Heyward sorrise
fra sé all'idea di una competizione con l'esploratore, benché ben deciso a
perseverare nell'inganno finché non avesse compreso le vere intenzioni di
Magua. Alzando il fucile con la massima attenzione e dopo aver aggiustato
il tiro per tre volte, sparò. La pallottola tagliò il legno a pochi
pollici dal vaso, e una generale esclamazione di soddisfazione annunciò
che il colpo era considerato una prova di grande abilità nell'uso
dell'arma. Persino Occhio di Falco scosse il capo, come volesse dire che
era meglio di quanto si aspettasse.
Ma, invece di
manifestare l'intenzione di competere con un tiratore così bravo, rimase
appoggiato al suo fucile per più di un minuto, come fosse completamente
sprofondato nei suoi pensieri. Fu però riscosso da questa meditazione da
uno dei giovani indiani che avevano fornito le armi, il quale ora toccò la
sua spalla dicendo in un inglese estremamente scorretto: «Può il viso
pallido batterlo?»
«Sì, Urone!»
esclamò l'esploratore, sollevando il corto fucile con la mano destra e
scuotendola verso Magua come fosse una canna. «Sì Urone, potrei colpirti
ora, e nessun potere terreno potrebbe impedirlo. Il falco che si alza in
volo per catturare la colomba, non è più certo di quanto non sia io ora di
prendere te, se scegliessi di inviarti una pallottola al cuore! Perché non
dovrei? Perché!... Perché i comandamenti della mia razza me lo
proibiscono, e se lo facessi attirerei il male su teste tenere e
innocenti. Se conosci un essere che si chiama Dio, ringrazialo per questo
dal profondo dell'anima: ne hai ben ragione!»
Il viso acceso,
gli occhi collerici e la figura imponente dell'espolatore, produssero un
effetto di segreta venerazione in tutti coloro che lo udirono. I Delaware
trattennero il fiato in attesa e persino Magua, pur diffidando della
tolleranza del nemico, rimase immobile e calmo dove si trovava, stretto
dalla folla, come uno che avesse messo radici sul posto.
«Battilo,»
ripeté il giovane Delaware al fianco dell'esploratore.
«Batti che cosa,
sciocco! che cosa!» esclamò Occhio di Falco, sempre brandendo
rabbiosamente l'arma al di sopra della propria testa, sebbene i suoi occhi
non cercassero più la persona di Magua. «Se il bianco è il guerriero che
dice», disse l'anziano capo, «che colpisca più vicino al segno.»
L'esploratore
rise forte - un rumore che fece sussultare Heyward come un suono
innaturale; poi appoggiando pesantemente l'arma alla mano sinistra tesa,
la scaricò, apparentemente per effetto dell'urto, facendo saltare in aria
i frammenti del vaso e sparpagliandoli dappertutto. Quasi nello stesso
istante si udì il rumore del fucile che sbatteva in terra, mentre lo
lasciava cadere con aria sprezzante.
La prima
impressione di una scena così strana lasciò tutti avvinti e ammirati. Poi
un basso, crescente mormorio percorse la moltitudine, e alla fine rumori
crescenti espressero i sentimenti contrastanti che agitavano la folla.
Mentre qualcuno esprimeva la propria soddisfazione per questa destrezza
senza precedenti, la stragrande maggioranza della tribù era incline a
ritenere il successo del colpo un risultato del caso. Heyward si affrettò
a confermare un'opinione tanto favorevole ai suoi propositi.
«È stato un
caso!» esclamò, «Nessuno può sparare senza prendere la mira!»
«Un caso!» gli
fece eco l'uomo dei boschi eccitato, ora ostinatamente deciso ad affermare
la propria identità ad ogni costo e al quale i segreti suggerimenti di
Heyward di accondiscendere all'inganno risultavano del tutto
incomprensibili. «Quell'Urone bugiardo pensa forse che sia un caso?
Dategli un altro fucile e metteteci faccia a faccia senza riparo o
sotterfugio, lasciate quindi che la Provvidenza e i nostri occhi decidano
la questione fra noi! Non faccio questa proposta a voi, Maggiore, perché
il nostro sangue è dello stesso colore e serviamo lo stesso padrone.»
«Che l'Urone è
un bugiardo è molto evidente» replicò Heyward freddamente; «lo avete voi
stesso udito asserire che La Longue Carabine siete voi.»
È impossibile
dire quale violenta asserzione avrebbe fatto il cocciuto Occhio di Falco
nel suo avventato desiderio di rivendicare la propria identità, se
l'anziano Delaware non si fosse ancora una volta intromesso.
«Il falco che
viene dalle nuvole può tornare quando vuole» disse «Date loro i fucili.»
Questa volta
l'esploratore afferrò il fucile con avidità, né Magua, benché assistesse
ai movimenti del tiratore con occhi vigili, ebbe ulteriore motivo di
apprensione.
«Ora, che si
provi, davanti a questa tribù Delaware, quale è il migliore di noi» gridò
l'esploratore dando dei colpetti al calcio del fucile con quel dito che
aveva premuto tanti fatali grilletti. «Vedete la zucca che penzola da
quell'albero, Maggiore, se siete un tiratore degno delle frontiere, fatemi
vedere a romperne l'involucro!»
Duncan vide
l'oggetto e si preparò a ripetere la prova. La zucca consisteva in uno di
quei piccoli recipienti usati dagli indiani, ed era sospesa ad una ramo
morto di un piccolo pino per mezzo di un laccio di pelle di daino, ad un
centinaio di iarde di distanza. L'amor proprio è un sentimento così
stranamente composito, che il giovane soldato, pur conoscendo la completa
inutilità dell'approvazione dei suoi selvaggi arbitri, dimenticò i motivi
immediati della contesa in un desiderio di eccellere. Si è già detto che
la sua abilità era tutt'altro che disprezzabile e ora decise di mettercela
tutta. Se la sua vita fosse dipesa dall'esito della gara, la mira di
Duncan non avrebbe potuto essere più ponderata e cauta. Egli sparò, tre o
quattro giovani indiani che si erano precipitati a vedere dopo la
detonazione, annunciarono con un grido che la pallottola era conficcata
nell'albero, a pochissima distanza dall'obbiettivo. I guerrieri emisero
una esclamazione di piacere, poi si volsero con aria interrogativa ad
osservare i movimenti del rivale.
«Può andare per
gli Americani Reali!» disse Occhio di Falco, ancora una volta ridendo nel
suo modo silenzioso e sentito. «Ma se il mio fucile avesse di tanto
deviato dalla sua giusta traiettoria, molte martore, la cui pelle è ora un
manicotto per signora, sarebbero ancora nei boschi, già, e molti Mingo,
che se ne sono andati a rendere il conto finale, sarebbero qui ancor oggi
a compiere le loro malefatte nelle province. Spero che la squaw che
possiede quella zucca ne abbia altre nella wigwam, perché questa non terrà
più l'acqua!»
L'esploratore
aveva innescato l'arma e armato il cane mentre parlava, quando ebbe finito
indietreggiò di un passo e lentamente sollevò la bocca da terra; il
movimento fu sicuro, uniforme e diretto. Quando l'arma fu perfettamente
orizzontale si fermò per un solo istante, senza un tremito o una sola
esitazione, come se l'uomo e l'arma fossero scolpiti nella pietra. Durante
questo istante di immobilità, l'arma sputò il suo contenuto in un luminoso
bagliore di fuoco. Di nuovo i giovani indiani balzarono avanti, ma la loro
frettolosa ricerca e gli sguardi delusi annunciarono che non avevano
trovato alcuna traccia della pallottola.
«Via» disse
l'anziano capo in tono di profondo disgusto, «sei un lupo nella pelle di
un cane. Parlerò alla ‹Lunga Carabina› degli Yangee.»
«Ah, se avessi
l'arma che mi ha procurato il nome che usate, sarei riuscito a tagliare il
laccio e far cadere la zucca senza romperla!» replicò Occhio di Falco,
perfettamente calmo nonostante i modi dell'altro. «Sciocchi, se volete
trovare la pallottola di un bravo tiratore di questi boschi, dovete
cercare dentro l'oggetto e non attorno ad esso!»
I giovani
indiani compresero subito cosa voleva dire - perché questa volta parlò in
delaware - e, togliendo la zucca dall'albero, la sollevarono con un grido
esultante, mostrando un buco sul fondo prodotto dalla pallottola che era
passata attraverso la solita apertura al centro della parte superiore. A
questa inattesa scoperta, un'alta, forte espressione di piacere proruppe
dalle bocche di tutti i guerrieri presenti. Ciò decise la controversia e
restituì a Occhio di Falco la sua pericolosa reputazione. Gli stessi occhi
curiosi e ammirati che si erano volti a Heyward, furono finalmente diretti
alla figura segnata dalle intemperie dell'esploratore, il quale divenne
immediatamente il principale oggetto di attenzione per i semplici e rozzi
esseri che lo circondavano. Quando l'improvvisa e rumorosa emozione si fu
un po' placata, l'anziano capo riprese il suo esame.
«Perché volevate
chiudermi le orecchie?», disse rivolto a Duncan; «sono forse i Delaware
degli sciocchi che non sanno distinguere la giovane pantera dal gatto?»
«Tuttavia essi
si accorgeranno che l'Urone è un uccello cinguettante,» disse Duncan,
sforzandosi di adottare il linguaggio figurato degli indigeni.
«Va bene.
Sapremo chi può chiudere le orecchie di uomini. Fratello,» aggiunse il
capo volgendo lo sguardo a Magua, «i Delaware ascoltano.»
Così apostrofato
e chiamato a dichiarare il proprio intento, l'Urone si alzò, e avanzando
con grande decisione e dignità al centro del cerchio, dove si trovò faccia
a faccia con i prigionieri, si accinse a parlare. Prima di aprire bocca
però, fece scorrere lentamente lo sguardo su tutta la linea di visi
attenti, come volesse accordare le sue parole alle capacità dell'uditorio.
Su Occhio di Falco gettò un'occhiata di rispettosa inimicizia, su Duncan
uno sguardo di inestinguibile odio, si degnò appena di notare la figura
tremante di Alice, ma quando il suo sguardo incontrò la ferma, altera e
pur bella forma di Cora, i suoi occhi indugiarono un momento con una
espressione che sarebbe stato difficile definire. Poi, pieno delle sue
fosche intenzioni, parlò nella lingua del Canadà che egli ben sapeva
essere compresa dalla maggior parte del suo uditorio.
«Lo Spirito che
ha fatto gli uomini ha dato loro colori diversi,» cominciò l'astuto Urone.
«Alcuni sono più neri del pigro orso. Di questi Egli ha detto che devono
essere schiavi e ordinò loro di lavorare per sempre, come il castoro.
Potete sentirli lamentarsi quando il vento del sud soffia più forte dei
bufali mugghianti lungo le rive del grande lago salato, dove le grandi
canoe vanno e vengono con loro a torme. Alcuni li ha fatti col viso più
pallido degli ermellini della foresta: a questi ha ordinato di essere
commercianti, cani per le loro donne e lupi con i loro schiavi. Egli ha
dato a questa gente la natura del piccione, ali infaticabili, giovani più
numerosi delle foglie degli alberi, e appetiti da divorare la terra. Le
loro lingue sono simili al richiamo fasullo del gatto selvatico, hanno un
cuore di coniglio, l'astuzia del porco (ma nessuno quella della volpe) e
braccia più lunghe delle gambe dell'alce. Con la lingua costoro tappano le
orecchie degli indiani, il cuore suggerisce loro di pagare guerrieri per
combattere le proprie battaglie; con l'astuzia raccolgono i beni della
terra, e hanno braccia che la racchiudono dalle sponde dell'acqua salata
fino alle isole del grande lago. La voracità li fa star male. Dio ha dato
loro abbastanza, e tuttavia essi vogliono tutto. Questi sono i visi
pallidi.»
«Ad alcuni Egli
ha dato pelli più luminose e rosse del sole lassù,» continuò Magua,
indicando solennemente la livida luce che lottava con la nebbia
all'orizzonte; «e questi ha foggiato secondo i suoi intenti. Ha dato loro
le sue isole così come le aveva fatte, coperte di alberi e piene di
selvaggina. Il vento ha aperto le radure, il sole e la pioggia hanno fatto
maturare i suoi frutti, poi venne la neve per dire loro di essere
riconoscenti. Che bisogno hanno di strade per viaggiare? Essi vedevano
attraverso le colline! Quando il castoro lavorava, egli rimaneva nascosto
a guardarlo. Il vento lo rinfrescava d'estate, in inverno le pelli lo
tenevano caldo. Se hanno combattuto fra loro è stato per provare che erano
uomini. Erano coraggiosi, giusti, ed erano felici.»
A questo punto
l'oratore fece una pausa e si guardò attorno ancora una volta per
constatare se la sua storia leggendaria aveva toccato la sensibilità degli
ascoltatori. Incontrò ovunque sguardi fissi al suo, teste ritte e narici
dilatate, come se ciascuno di loro si sentisse in grado e fosse desideroso
di riparare da solo ai torti fatti alla sua razza.
«Se il Grande
Spirito ha dato lingue diverse ai suoi figli rossi,» continuò a voce bassa
e in tono ancora patetico, «è stato perché tutti gli animali potessero
comprenderli. Alcuni li ha messi fra le nevi, col loro cugino, il castoro.
Alcuni li ha posti vicino al sole che tramonta, sulla strada dei felici
territori di caccia. Altri sulle terre che circondano le vaste e fresche
acque; ma ai più grandi e a coloro che ama di più, Egli diede le sabbie
del lago salato. Conoscono i miei fratelli il nome di questo popolo
favorito?»
«I Lenape!»,
esclamarono in coro venti voci piene di ardore.
«Erano i
Lenni-Lenape,» replicò Magua, ostentando di inchinarsi per rispetto alla
loro passata grandezza. «Era la tribù dei Lenape! Il sole sorgeva
dall'acqua salata e tramontava dove l'acqua era dolce, e mai si nascondeva
ai loro occhi. Ma perché dovrei io, un Urone dei boschi, raccontare a un
popolo saggio le sue stesse tradizioni? Perché ricordare loro i torti
subiti, la loro antica grandezza, le loro imprese, la loro gloria, la loro
felicità - le loro perdite, le loro sconfitte, le loro miserie? Non c'è
nessuno fra loro - che ha visto tutto questo e che sa essere vero? Ho
detto. La mia lingua è muta perché il mio cuore è di piombo. Ascolto.»
Poiché la voce
dell'oratore si fermò improvvisamente, tutti i visi e gli occhi si volsero
insieme verso il venerabile Tamenund. Dal momento in cui aveva preso
posto, fino a questo istante, le labbra del patriarca non si erano mosse,
e a mala pena gli era sfuggito quanche segno di vita. Per tutta la scena
iniziale, nella quale l'abilità dell'esploratore era stata così
chiaramente stabilita, era rimasto seduto, inchiodato dalla debolezza e
apparentemente ignorando coloro che erano al suo cospetto. Ai ben modulati
suoni della voce di Magua, tuttavia, manifestò qualche segno di
consapevolezza, e una volta o due addirittura alzò il capo come per
ascoltare. Ma quando lo scaltro Urone parlò del suo popolo facendone il
nome, le palpebre del vecchio si sollevarono ed egli guardò la moltitudine
con una sorta di ottusa e vuota espressione, della quale si sarebbe potuto
supporre che appartenesse a uno spettro. Poi fece uno sforzo per alzarsi,
e sostenuto dagli aiutanti, poté mettersi sui due piedi, in una posizione
imponente di dignità, benché tutto il suo corpo vacillasse per la gran
debolezza.
«Chi rievoca i
figli di Lenape?» disse in una profonda voce gutturale, resa terribilmente
udibile per il silenzio sospeso della moltitudine: «Chi parla di cose
passate? L'uovo non diventa forse verme... e il verme mosca, per poi
morire? Perché parlare ai Delaware di una felicità passata? È meglio
ringraziare Manitu per ciò che rimane.»
«È un Wyandot,»
disse Magua avvicinandosi alla rozza piattaforma su cui si trovava
l'altro, «un amico di Tamenund.»
«Amico!» ripeté
il saggio sulla cui fronte si addensò un cupo cipiglio che gli conferì un
po' di quella severità che aveva reso i suoi occhi tanto terribili quando
era nel pieno delle sue forze. «I Mingo sono forse padroni del mondo? Cosa
porta un Urone qui?»
«Giustizia. I
suoi prigionieri sono con i suoi fratelli ed egli viene per accampare i
suoi diritti su di loro.»
Tamenund volse
il capo verso uno dei suoi sostenitori e ascoltò la breve spiegazione che
costui gli diede. Poi guardando il richiedente lo esaminò un momento con
profonda attenzione. Dopo di che disse con voce bassa e riluttante:
«La giustizia è
la legge del grande Manitu. I miei figli danno cibo allo straniero.
Quindi, Urone, prendi ciò che ti appartiene e vattene.»
Dopo aver
pronunciato questo solenne giudizio, il patriarca si sedette e richiuse
gli occhi, come preferisse le immagini della sua esperienza passata agli
oggetti visibili del mondo. Contro tale decreto non vi fu Delaware tanto
ardito da mormorare, o da opporvisi. Queste parole erano appena state
pronunciate quando quattro o cinque giovani guerrieri, avvicinatisi ad
Heyward e all'esploratore, legarono loro le braccia con tanta destrezza e
rapidità da immobilizzarli entrambi in un istante. Il primo era troppo
assorbito dal suo prezioso e quasi insensibile fardello, per essere
consapevole delle loro intenzioni prima che fossero eseguite; il secondo,
che considerava anche la tribù ostile dei Delaware come una razza
superiore si sottomise senza resistere. Forse, però, i modi
dell'esploratore non sarebbero stati così passivi se avesse compreso a
pieno la lingua nella quale si era svolto il precedente dialogo.
Magua gettò
un'occhiata di trionfo sull'intera assemblea prima di procedere
all'esecuzione dei suoi propositi. Vedendo che gli uomini non erano in
grado di fare resistenza, volse gli sguardi a colei che teneva in maggior
conto. Cora incontrò i suoi occhi con un'espressione così ferma e calma
che la sua decisione vacillò. Poi, ricordando il suo antico trucco, prese
Alice dalle braccia del guerriero al quale ella si appoggiava e, facendo
cenno a Heyward di seguirlo, fece cenno alla folla di aprirsi. Ma Cora,
invece di obbedire all'impulso che egli si aspettava, si precipitò ai
piedi del patriarca e levando la voce esclamò forte:
«Giusto e
venerabile Delaware, ci appelliamo alla tua saggezza e al tuo potere per
avere pietà! Sii sordo a quell'astuto e implacabile mostro, che avvelena
le tue orecchie con menzogne per soddisfare la propria sete di vendetta.
Tu che hai vissuto a lungo e hai visto i mali del mondo, dovresti sapere
come addolcire le calamità di coloro che soffrono.»
Gli occhi del
vecchio si aprirono a fatica ed egli ancore una volta guardò la
moltitudine. Mentre i toni penetranti della supplice salivano alle sue
orecchie, essi si mossero verso la persona di lei, e alla fine vi si
fermarono in uno sguardo fisso. Cora si era gettata in ginocchio, e con le
mani convulsamente serrate e strette al seno, rimase come un magnifico
modello vivente del suo sesso, che guardava il viso del vecchio, appassito
ma maestoso, con una sorta di sacra reverenza. Poco a poco l'espressione
dei lineamenti di Tamenund mutarono e, abbandonando la loro vacuità per
l'ammirazione, si illuminarono con un po' di quella intelligenza che un
secolo prima soleva comunicare il suo fuoco giovanile alle vaste tribù dei
Delaware. Alzandosi senza aiuto e apparentemente senza sforzo, domandò con
una voce che fece sussultare gli astanti per la fermezza:
«Chi sei?»
«Una donna. Una
di una razza odiata, se vuoi... una Yangee. Ma una donna che non ti ha mai
fatto del male e che non può far male al tuo popolo, anche se lo volesse,
una che chiede aiuto.»
«Ditemi, figli
miei,» continuò il patriarca con voce roca, rivolgendosi a quelli che lo
circondavano, benché i suoi occhi indugiassero ancora sulla forma
inginocchiata di Cora, «dove si sono accampati i Delaware?»
«Sulle montagne
degli Irochesi, al di là delle chiare fonti dell'Horican.»
«Molte estati
brucianti sono andate e venute,» continuò il saggio, «dall'ultima volta in
cui ho bevuto le acque dei miei fiumi. I figli di Minquon sono i più
giusti fra gli uomini bianchi, ma essi avevano sete, e se ne sono
impadroniti. Ci hanno forse seguito fin qui?»
«Noi non
seguiamo nessuno, non desideriamo nulla,» rispose Cora. «Prigionieri
contro il nostro volere, siamo stati portati fra voi e domandiamo solo il
permesso di andarcene in pace. Non sei tu Tamenund... il padre, il
giudice, stavo quasi per dire il profeta, di questo popolo?»
«Io sono
Tamenund dai molti giorni.»
«Saranno ora
sette anni che uno del tuo popolo si è trovato alla mercé di un capo
bianco di questa provincia. Egli dichiarò di essere del sangue del buono e
giusto Tamenund. ‹Vai›, disse il bianco, ‹per amore di tuo padre, sei
libero.› Ricordi il nome del guerriero inglese?»
«Ricordo che
quando ero un ragazzo ridente,» replicò il patriarca, con la memoria
caratteristica della tarda età, «stavo sulla spiaggia del mare e vidi una
grande canoa, con ali più bianche di quelle del cigno e più grandi di
quelle di molte aquile, venuta dal sole che sorge.»
«No, no, non sto
parlando di un tempo così lontano, ma di un favore fatto a un tuo figlio
da uno della mia razza: anche il più giovane dei tuoi guerrieri può
ricordarlo.»
«È stato quando
gli Yangee e gli Olandesi combattevano per i territori di caccia dei
Delaware? Allora Tamenund era un capo e per primo mise da parte l'arco per
il lampo dei visi pallidi...»
«No, nemmeno
allora,» interruppe Cora, «molto dopo, parlo di una cosa di ieri, certo,
certo, non l'hai dimenticata.»
«È stato solo
ieri,» continuò il vecchio con commovente solennità, «che i figli di
Lenape erano padroni del mondo. I pesci del lago salato, gli uccelli, le
bestie e i Mengwe dei boschi appartenevano loro come Sagamore.»
Cora chinò il
capo delusa, e per un amaro momento lottò col proprio dolore. Poi,
sollevando gli splendidi lineamenti e gli occhi radiosi, continuò in toni
poco meno penetranti di quelli della voce ultraterrena del patriarca
stesso:
«Dimmi, Tamenund
è un padre?
Il vecchio
abbassò lo sguardo su di lei dalla sua posizione elevata con un sorriso
benigno sul viso devastato, poi, volgendo lentamente gli occhi sull'intera
assemblea rispose:
«Di un popolo.»
«Per me non
chiedo nulla. Come per te e per i tuoi, venerabile capo,» continuò ella
premendosi convulsamente le mani sul petto e chinando il capo finché le
sue guance in fiamme non furono quasi completamente nascoste nel groviglio
delle scure trecce lucenti che le cadevano in disordine sulle spalle. «La
maledizione dei miei antenati è ricaduta pesantemente sulla loro figlia.
Ma quella laggiù non ha mai conosciuto il peso della collera celeste fino
ad ora. Ella è figlia di un debole vecchio, i cui giorni sono prossimi
alla fine. Molti, moltissimi l'amano e trovano felicità in lei, ed ella è
troppo buona, troppo preziosa, per divenire vittima di una canaglia.»
«So che i visi
pallidi sono una razza orgogliosa e avida. So che sostengono non solo di
possedere la terra, ma anche che il più miserabile del loro colore è
migliore dei Sachems degli uomini rossi. I cani e i corvi della loro
tribù,» continuò grave il vecchio capo, senza tener conto di ferire lo
spirito dell'ascoltatrice, la cui testa era quasi schiacciata al suolo per
la vergogna mentre egli proseguiva, «abbaierebbero e gracchierebbero prima
di prendere una donna nelle loro wigwam la cui razza non sia quella che ha
il colore della neve. Ma che non si vantino troppo forte davanti a Manitu.
Essi sono entrati in questa terra al sorgere del sole e possono ancora
andarsene quando tramonterà. Spesso ho visto le locuste spogliare gli
alberi delle loro foglie, ma la stagione dei fiori è sempre tornata.»
«È così,» disse
Cora; ella trasse un lungo sospiro come se si riavesse da un rapimento,
sollevò il capo mentre ricacciava il velo splendente, e con gli occhi
scintillanti che contrastavano col pallore mortale del viso, aggiunse: «ma
il perché... non ci è concesso di saperlo. C'è ancora uno del tuo popolo
che non è stato portato davanti a te, prima di lasciar partire l'Urone
trionfante, ascoltalo.»
Vedendo Tamenund
che si guardava intorno dubbioso uno dei suoi compagni disse:
«È un serpente,
un pellerossa al soldo degli Yangee. Lo teniamo per la tortura.»
«Fatelo venire,»
replicò il saggio. Poi Tamenund si accasciò di nuovo nel suo scanno, e mentre i giovani si preparavano a eseguire l'ordine, regnò un silenzio così profondo che si sentivano le foglie ondeggianti alla leggera brezza mattutina frusciare nella foresta circostante.
XXX
Se me lo
negate, vergogna alla vostra legge!
I decreti di
Venezia non hanno efficacia:
Attendo il
giudizio; rispondete, l'avrò?
Shakespeare
Nessun suono
umano interruppe il silenzio per molti angosciosi minuti. Poi la
moltitudine ondeggiante si aprì e si richiuse, ed Uncas si trovò nel
cerchio vivente. Tutti quegli occhi curiosi che fino a quel momento
avevano scrutato i lineamenti del saggio come fonte di informazione,
erano ora volti con segreta ammirazione alla ritta, agile e perfetta
figura del prigioniero. Ma né la presenza alla quale si trovava, né
l'attenzione esclusiva che attirava, disturbarono in alcun modo
l'autocontrollo del giovane Mohicano. Egli gettò una lenta occhiata
indagatrice attorno a sé, e incontrò l'espressione decisamente ostile
che si impadroniva del viso dei capi, con la stessa calma con cui
avrebbe incontrato lo sguardo curioso dei bambini. Ma quando, ultima di
questo altero esame, la persona di Tamenund cadde sotto il suo sguardo,
i suoi occhi divennero fissi, come se ogni altro oggetto fosse già
dimenticato. Poi, avanzando a passo lento e silenzioso verso lo spiazzo
elevato, si mise proprio davanti allo sgabello del saggio. Qui non fu
notato, benché egli stesse in profonda osservazione, finché uno dei capi
informò il vecchio della sua presenza.
«In che lingua
questo prigioniero parla a Manitu?» domandò il patriarca senza aprire
gli occhi.
«Come i suoi
padri,» rispose Uncas, «nella lingua dei Delaware.»
A questo
improvviso e inatteso annuncio, percorse la folla un basso e feroce
brontolio che avrebbe potuto essere paragonato al ruggito del leone
quando la sua irascibilità è risvegliata - terribile monito della sua
collera futura. L'effetto fu altrettanto forte per il saggio, anche se
diversamente manifestato. Egli si passò una mano davanti agli occhi,
come per escludere la prova di uno spettacolo tanto vergognoso, mentre
ripeteva in toni bassi e gutturali le parole che aveva appena udito.
«Un Delaware!
Ho vissuto tanto da vedere le tribù dei Lenape allontanarsi dal loro
fuoco del consiglio e sparpagliarsi come branchi di cervi in rotta fra
le colline degli Irochesi! Ho visto le accette di un popolo straniero
tagliare i boschi di valli che il vento del cielo aveva risparmiato! Ho
visto vivere nelle wigwam degli uomini le bestie che corrono sulle
montagne e gli uccelli che volano al di sopra degli alberi; ma mai prima
d'ora avevo trovato un Delaware tanto miserabile da strisciare come un
serpente velenoso negli accampamenti del suo stesso popolo.»
«Gli uccelli
cinguettanti hanno aperto il becco,» replicò Uncas nei dolci toni della
sua voce musicale, «e Tamenund ha udito la loro canzone.»
Il saggio
sussultò e piegò il capo da una parte, come per cogliere i suoni
fuggevoli di una melodia di passaggio.
«Sogna forse
Tamenund!» esclamò. «Quale voce gli giunge alle orecchie? Gli inverni
sono forse andati a ritroso? L'estate ritornerà sui figli di Lenape?»
Un solenne e
rispettoso silenzio seguì queste parole incoerenti del profeta Delaware.
Il suo popolo prontamente interpretò questo linguaggio inintelligibile
come uno di quei misteriosi colloqui che si credeva egli tenesse di
frequente con una intelligenza superiore, ed aspettò il risultato della
rivelazione con sgomento. Dopo una paziente pausa, uno degli anziani,
vedendo che il saggio aveva perduto la memoria di colui che gli stava
davanti, osò ricordargli la presenza del prigioniero.
«Il falso
Delaware trema per la paura di udire le parole di Tamenund,» disse. «È
un cane che ulula quando gli Yangee gli mostrano una traccia.»
«E voi,»
replicò Uncas, «siete cani che uggiolano quando i Francesi vi gettano i
resti del loro daino!»
Venti coltelli
luccicarono in aria, e altrettanti guerrieri balzarono in piedi a questa
mordace e forse meritata ritorsione; ma un gesto di uno dei capi soffocò
l'esplosione della loro rabbia e ristabilì un'apparenza di calma. Il
compito sarebbe forse stato più difficile se un movimento di Tamenund
non avesse indicato che egli avrebbe parlato ancora.
«Delaware!»
riprese il saggio. «Poco meriti il tuo nome. La mia gente non ha visto
il sole splendere per molti inverni; il guerriero che abbandona la sua
tribù quando è sovrastata da nubi è doppiamente traditore. La legge di
Manitu è giusta. È così, finché i fiumi scorrono e le montagne stanno
ferme, finché i fiori sbocciano e fioriscono sugli alberi, deve essere
così. Egli è vostro, figli miei: trattatelo come merita.»
Non una delle
membra si mosse, né fu tratto alcun respiro più profondo del solito
finché le ultime sillabe di questo decreto finale non furono uscite
dalle labbra di Tamenund. Poi, improvvisamente, sorse un grido di
vendetta che parve prorompere dalle labbra di tutto il popolo,
spaventevole presagio di crudeli intenzioni. in mezzo a questi
prolungati e selvaggi gridi, un capo proclamò ad alta voce che il
prigioniero era condannato a sostenere la tremenda prova del fuoco. Il
cerchio si ruppe e grida di giubilo si mescolarono al trambusto e al
tumulto dei preparativi. Heyward lottò disperatamente con coloro che lo
avevano catturato, gli occhi inquieti di Occhio di Falco cominciarono a
guardarsi attorno con un'espressione di particolare ansia, e Cora si
gettò ai piedi del patriarca per invocare ancora una volta pietà.
Uncas fu il
solo a conservare la calma durante tutti questi difficili momenti. Egli
assistette ai preparativi con sguardo fermo, e quando gli aguzzini
vennero a prenderlo li accolse con atteggiamento fermo ed eretto. Uno di
essi, più feroce e selvaggio, se ciò fosse possibile, dei suoi compagni,
afferrò la camicia alla cacciatora del giovane guerriero e con un solo
sforzo gliela strappò di dosso. Poi, con un grido di sfrenato piacere,
balzò verso la vittima che non opponeva resistenza e si preparò a
condurla al palo. Ma proprio nel momento in cui il selvaggio sembrava
più che mai estraneo a sentimenti umani, la sua intenzione mutò
improvvisamente, quasi una forza soprannaturale fosse intervenuta in
aiuto di Uncas. Le pupille del selvaggio sembrarono schizzare dalle
orbite, la sua bocca si spalancò, e l'intera figura si irrigidì in un
atteggiamento di meraviglia. Alzando la mano con movimento lento e
regolare, indicò con un dito il petto del prigioniero. I compagni si
affollarono intorno a lui con stupore, e tutti gli occhi, come i suoi,
fissarono intensamente la figura di una piccola tartaruga, in un blu
brillante, magnificamente tatuata sul petto del prigioniero.
Per un solo
istante Uncas godette del suo trionfo, sorridendo calmo alla scena. Poi,
aprendo la folla con un ampio e altero gesto del braccio, si pose
davanti al popolo con l'aria di un re, e la sua voce sovrastò il
mormorio di ammirazione che percorse la moltitudine.
«Uomini dei
Lenni-Lenape!» egli disse. «La mia razza sostiene la terra! La vostra
debole tribù sta sul mio guscio! Quale fuoco che un Delaware accenda può
bruciare il figlio di mio padre,» aggiunse indicando il semplice blasone
della sua pelle, «il sangue che uscirebbe da una simile stirpe
spegnerebbe le vostre fiamme! La mia razza è l'antenata dei popoli!»
«Chi sei?»
domandò Tamenund, alzandosi, attratto dai toni impressionanti che udì
più che dal significato delle parole del prigioniero.
«Uncas, figlio
di Chingachgook,» rispose il prigioniero semplicemente, volgendo le
spalle al popolo e chinando il capo con reverenza per il rango e l'età
dell'altro, «un figlio del grande Unamis.»
«L'ora di
Tamenund è vicina!» esclamò il saggio. «Finalmente la notte si è fatta
giorno! Ringrazio Manitu perché qui c'è uno che prenderà il mio posto al
fuoco del consiglio. Uncas, il figlio di Uncas, è ritrovato! Lasciate
che gli occhi di un'aquila morente guardino il sole che nasce.»
Il giovane
salì con leggerezza e orgoglio sulla piattaforma, di dove divenne
visibile a tutta la moltitudine agitata e piena di meraviglia. Tamenund
lo teneva alla lunghezza del suo braccio e osservava ogni curva dei suoi
bei lineamenti con lo sguardo instancabile di chi ricorda i giorni della
felicità,
«È Tamenund un
ragazzo?» esclamò alla fine il profeta sconcertato.
«Ho forse
sognato per tanti inverni che il mio popolo era sparso come sabbia... di
Yangee più numerosi delle foglie degli alberi! La freccia di Tamenund
non spaventerebbe un cerbiatto; il suo braccio è avvizzito come il ramo
di una quercia morta; la lumaca lo batterebbe nella corsa, e tuttavia
c'è Uncas davanti a lui come se stessero per andare insieme a combattere
i visi pallidi! Uncas, la pantera della sua tribù, il figlio maggiore
dei Lenape, il più saggio dei Mohicani Sagamore! Ditemi, Delaware,
Tamenund ha forse dormito per cento inverni?»
Il calmo e
profondo silenzio che seguì queste parole bastò a rivelare la rispettosa
reverenza con la quale il popolo riceveva le comunicazioni del
patriarca. Nessuno osò rispondere, benché tutti aspettassero col fiato
sospeso di udire il seguito. Uncas, tuttavia, guardandolo in volto con
l'amore e la venerazione di un figlio prediletto, ritenne si addicesse
al suo alto e riconosciuto rango di rispondere:
«Quattro
guerrieri della sua razza hanno vissuto e sono morti,» disse, «da quando
l'amico di Tamenund ha condotto il suo popolo in battaglia, il sangue
della tartaruga è stato in molti capi, ma tutti sono tornati alla terra
dalla quale erano venuti, tranne Chingachgook e suo figlio.»
«È vero... è
vero» replicò il saggio mentre un'ondata di ricordi distruggeva tutte le
sue piacevoli fantasie e lo riportava alla storia del suo popolo. «I
nostri saggi hanno detto spesso che due guerrieri di razza pura erano
sulle colline degli Yangee; perché il loro posto al fuoco del consiglio
è stato vuoto così a lungo?»
A queste
parole il giovane alzò la testa che fino a quel momento aveva tenuta
leggermente china in segno di reverenza, e levando la voce in modo da
essere udito dalla moltitudine si accinse a spiegare una volta per
sempre la politica della sua famiglia.
«Una volta
dormivamo dove si poteva sentire il lago salato parlare nella sua
collera. Allora eravamo capi e Sagamore della terra. Ma quando un viso
pallido fu visto in ogni ruscello, noi seguimmo il cervo e tornammo al
fiume del nostro popolo. I Delaware se n'erano andati. Pochi dei loro
guerrieri rimasero a bere dal fiume che amavano. Poi mio padre disse:
qui cacceremo. Le acque del fiume vanno nel lago salato. Se andassimo
verso il sole che tramonta troveremmo fiumi che si gettano nei grandi
laghi di acqua dolce: là un Mohicano morrebbe, come i pesci di mare
nell'acqua dolce. Quando Manitu sarà pronto e dirà ‹vieni›, noi
seguiremo il fiume verso il mare e prenderemo ciò che ci appartiene.
Questo, Delaware, è il credo dei figli della Tartaruga. I nostri occhi
sono volti al sole che sorge e non al sole che tramonta. Noi sappiamo
donde viene, ma non sappiamo dove va. Ho detto.»
Gli uomini dei
Lenape ascoltarono le sue parole con tutto il rispetto che la
superstizione può suscitare, trovando un segreto fascino persino nel
linguaggio figurato col quale il giovane Sagamore espose le sue idee.
Uncas osservò l'effetto della sua breve spiegazione con occhi
intelligenti, poi, vedendo che gli ascoltatori erano soddisfatti, a poco
a poco abbandonò l'aria autoritaria che aveva assunto. Poi, lasciando
che il suo sguardo vagasse sulla folla silenziosa che aveva fatto ressa
attorno all'alto sedile di Tamenund, per la prima volta vide Occhio di
Falco legato. Balzando ansioso dal podio, si fece strada per mettersi al
fianco dell'amico, poi tagliandogli i lacci a colpi rapidi e rabbiosi,
fece segno alla folla di dividersi. Gli indiani obbedirono in silenzio,
poi si disposero ancora in cerchio, come prima della sua apparizione fra
di loro. Uncas prese l'esploratore per mano e lo condusse ai piedi del
patriarca.
«Padre,» egli
disse, «guarda questo viso pallido, è un uomo giusto e amico dei
Delaware.»
«È figlio di
Minquon?»
«No, egli è un
guerriero noto agli Yangee e temuto dai Maqua.»
«Che nome si è
guadagnato con le sue imprese?»
«Noi lo
chiamiamo Occhio di Falco,» rispose Uncas usando il termine Delaware,
«perché la sua vista non sbaglia mai. I Mingo lo conoscono meglio per la
morte che ha dato ai loro guerrieri. Per loro egli è ‹Il Lungo Fucile›.»
«La Longue
Carabine!» esclamò Tamenund aprendo gli occhi e guardando l'esploratore
con severità. «Il mio figliolo non ha fatto bene a chiamarlo amico.»
«Chiamo amico
chi prova di essere tale,» rispose il giovane capo con grande calma ma
con aria risoluta. «Se Uncas è il benvenuto fra i Delaware, lo sia anche
Occhio di Falco con i suoi amici.»
«Questo viso
pallido ha ucciso molti dei miei giovani, il suo nome è grande per i
colpi che ha inferto ai Lenape.»
«Se un Mingo
ha sussurrato questo alle orecchie del Delaware, ha mostrato solo di
essere un uccello che cinguetta,» disse l'esploratore che ora ritenne
fosse venuto il momento di vendicarsi di accuse così offensive, e
parlando nella lingua di colui al quale era rivolto, modificando però le
sue immagini indiane con le proprie particolari nozioni. «Che ho ucciso
i Maqua non sono uomo da negarlo nemmeno al loro consiglio del fuoco; ma
che la mia mano abbia fatto del male a un Delaware di proposito, è
contrario alla disposizione del mio animo, che è di amicizia verso di
loro e verso tutto ciò che appartiene al loro popolo.»
Una bassa
esclamazione di assenso passò fra i guerrieri che si scambiarono sguardi
con l'odio di chi comincia ad accorgersi di aver commesso un errore.
«Dov'è
l'Urone?» domandò Tamenund. «Egli mi ha tappato le orecchie!»
Magua, i cui
sentimenti durante la scena del trionfo di Uncas possono essere più
facilmente immaginati che descritti, rispose al richiamo avanzando
baldanzoso verso al patriarca.
«Il giusto
Tamenund,» egli disse, «non terrà ciò che un Urone ha prestato.»
«Dimmi, figlio
del mio fratello,» replicò il saggio evitando il viso torvo di Le Subtil
e volgendosi volentieri ai più nobili lineamenti di Uncas, «ha l'Urone
il diritto del vincitore su di te?»
«Non ne ha. La
pantera può cadere nelle trappole preparate dalle donne, ma essa è forte
e sa come fuggirne.»
«La Longue
Carabine?»
«Se ne ride
dei Mingo. Vai Urone, domanda alle tue squaw il colore dell'orso».
«Lo straniero
e la fanciulla bianca che sono venuti al mio campo insieme?»
«Possono
andarsene per un sentiero aperto».
«E la donna
che l'Urone ha lasciato con i miei guerrieri?»
Uncas non
rispose.
«E la donna
che il Mingo ha portato al mio campo?» ripeté Tamenund grave.
«È mia» gridò
Magua agitando trionfante la mano verso Uncas.
«Mohicano, tu
sai che è mia.»
«Mio figlio
tace,» disse Tamenund, tentando di leggere l'espressione del viso che il
giovane aveva distolto da lui con dolore.
«È così,» fu
la bassa risposta.
Seguì una
pausa breve e impressionante, durante la quale era chiaro con quanta
riluttanza la moltitudine ammetteva la giustizia della pretesa del
Mingo. Alla fine il saggio dal quale soltanto dipendeva la decisione
disse con voce ferma:
«Urone,
vattene.»
«Come è
venuto, giusto Tamenund», domandò lo scaltro Magua, «oppure con le mani
piene della fede dei Delaware? La wigwam di Le Renard Subtil è vuota.
Riempila con ciò che gli appartiene.»
Il vecchio
meditò per qualche tempo, poi, chinando il capo verso uno dei suoi
venerabili compagni, domandò:
«Le mie
orecchie sono aperte?»
«È vero.»
«Questo Mingo
è un capo?»
«Il primo del
suo popolo.»
«Ragazza, tu
cosa vuoi? Un grande guerriero ti chiede in moglie. Vai, la tua stirpe
non perirà.»
«Meglio, mille
volte meglio, sarebbe,» esclamò inorridita Cora, «che affrontare una
simile degradazione!»
«Urone, il suo
cuore è nelle tende dei suoi padri. Una donna che non vuole rende
infelice la wigwam.»
«Ella parla
con la lingua della sua gente,» replicò Magua guardando la vittima con
uno sguardo di amara ironia. «Appartiene ad una razza di mercanti, e
contratterà per uno sguardo benevolo. Che Tamenund dica l'ultima
parola.»
«Prenditi le
conchiglie e il nostro affetto.»
«Nulla,
soltanto ciò che Magua ha portato qui.»
«Allora parti
con ciò che è tuo. Il grande Manitu proibisce ai Delaware di essere
ingiusti.»
Magua avanzò e
afferrò la prigioniera per un braccio, i Delaware indietreggiarono in
silenzio, e Cora, come consapevole che ogni protesta sarebbe stata
inutile si preparò a subire il suo destino senza opporre resistenza.
«Aspetta,
aspetta!» gridò Duncan balzando avanti. «Urone, abbi pietà! Il suo
riscatto ti farà più ricco di quanto non sia mai stato chiunque del tuo
popolo».
«Magua è un
pellerossa, non vuole le perline dei visi pallidi.»
«Oro, argento,
polvere, piombo... tutto ciò che serve ad un guerriero sarà nella tua
wigwam.»
«Le Subtil è
molto forte,» gridò Magua scuotendo la mano che teneva stretto il
braccio inerte di Cora, «egli ha la sua vendetta!»
«Potente Guida
della Provvidenza!» esclamò Heyward serrando le mani con angoscia. «Si
può sopportare una cosa simile? A te, giusto Tamenund, mi appello per
pietà.»
«La parola del
Delaware è data,» rispose il saggio chiudendo gli occhi e lasciandosi
andare sul suo sedile, come esausto per lo sforzo mentale e fisico. «Gli
uomini non parlano due volte.»
«Che un capo
non perda tempo a disdire ciò che ha detto prima, è saggio e
ragionevole,» disse Occhio di Falco, facendo cenno a Duncan di tacere,
«ma è altrettanto prudente per ogni guerriero pensare bene prima di
scagliare il tomahawk sulla testa del prigioniero. Urone, non ho
simpatia per te, né posso dire che un Mingo abbia ricevuto molti favori
dalle mie mani. È bene dunque concludere che, se questa guerra non
finirà presto, molti altri dei vostri guerrieri mi incontreranno nei
boschi. Lascio sciegliere a te, dunque, se preferisci nel tuo
accampamento una donna oppure uno come me: un uomo che il tuo popolo
sarà lieto di vedere senza armi.»
«La Longue
Carabine darà la sua vita per la donna?» domandò Magua esitante perché
si era già mosso per lasciare il luogo con la sua vittima.
«No, no, non
giungo a tanto,» replicò Occhio di Falco, indietreggiando con giusta
discrezione nel notare l'interesse con cui Magua ascoltava la sua
proposta. «Sarebbe uno scambio impari dare un guerriero nel fiore
dell'età e dell'efficenza, foss'anche per la migliore donna delle
frontiere. Potrei acconsentire ad andare nei quartieri d'inverno, ora,
sei settimane prima che le foglie cambino... a condizione che tu liberi
la ragazza.»
Magua scosse
il capo e fece un segno impaziente alla folla di aprirsi.
«Bene dunque,»
aggiunse l'esploratore con l'aria di chi non ha ancora pensato a tutto.
«Metterò ‹Ammazzacervo› nell'affare. Ascolta la parola di un cacciatore
esperto, quest'arma non ha pari nelle province.» Magua ancora sprezzò la
proposta, continuando nei suoi tentativi per disperdere la folla.
«Forse,»
aggiunse l'esploratore, perdendo la finta calma man mano che l'altro
manifestava indifferenza alle sue proposte di scambio, «se ci mettessi
anche la condizione di insegnare ai tuoi giovani le virtù dell'arma, si
potrebbero appianare le piccole disparità di giudizio fra di noi.»
Le Renard
ordinò fieramente ai Delaware, che indugiavano ancora, formando una
cinta impenetrabile attorno a lui nella speranza che egli ascoltasse le
proposte amichevoli - di aprire la strada, minacciando con lo sguardo di
appellarsi ancora alla infallibile giustizia del loro profeta.
«Ciò che è
preordinato deve prima o poi accadere,» continuò Occhio di Falco,
volgendo uno sguardo triste e umile a Uncas. «Questa canaglia conosce il
proprio vantaggio e ne approfitterà! Dio ti benedica ragazzo; hai
trovato amici della tua razza e spero che si dimostreranno sinceri come
qualcuno che hai incontrato senza sangue indiano nelle vene. Quanto a
me, presto o tardi devo morire, è perciò bene che siano in pochi a
lamentare la mia morte. Dopo tutto è probabile che quei demoni si
sarebbero impadroniti del mio scalpo prima o poi, così un giorno o due
non fa grande differenza nell'eterno computo del tempo. Dio ti
benedica.» Aggiunse risoluto l'uomo dei boschi piegando il capo; ma poi,
cambiandone ancora una volta direzione, rivolse uno sguardo malinconico
al giovane: «ho amato te e tuo padre, Uncas, benché non avessimo la
pelle dello stesso colore e le nostre doti fossero in qualche modo
diverse. Di' al Sagamore che non l'ho mai dimenticato nemmeno nelle
peggiori situazioni, quanto a te, pensami qualche volta quando sarai su
una buona traccia e, ricordati ragazzo, che ci sia un cielo o due, c'è
un sentiero nell'altro mondo dove gli uomini onesti si ricongiungono.
Troverai il fucile dove lo abbiamo nascosto, prendilo e tienilo per mio
ricordo; e... ascolta, ragazzo, poiché le tue doti naturali non ti
negano di fare uso della vendetta, usala con un po' di libertà sui
Mingo; ciò potrà alleviare il dolore per la mia perdita e sarà di
conforto alla tua mente. Urone, accetto la tua offerta, libera la donna,
sono tuo prigioniero!» Un mormorio di approvazione, soffocato ma
distinto, percorse la folla a questa generosa proposta, persino i più
selvaggi fra i guerrieri Delaware manifestarono piacere per la virilità
di tanto sacrificio. Magua si fermò e per un angoscioso attimo, si
sarebbe detto dubbioso sul da farsi, poi, volgendo gli occhi a Cora con
un'espressione in cui ferocia e ammirazione erano stranamente mescolate,
prese la sua decisione per sempre.
Mostrò
disprezzo per l'offerta gettando indietro il capo, e disse con voce
ferma e decisa:
«Le Renard
Subtil è un grande capo e ha una sola idea. Vieni,» aggiunse appoggiando
la mano sulla spalla della prigioniera con troppa familiarità, per
spingerla avanti: «un Urone non è un chiacchierone, andiamo.»
La fanciulla
indietreggiò con altero riserbo femminile, e i suoi neri occhi
lampeggiarono, mentre per l'oltraggio il ricco sangue le saliva alle
tempie, simile alla luce fuggevole del sole che passava.
«Sono tua
prigioniera e al momento opportuno sarò pronta a seguirti anche fino
alla morte. Ma la violenza non è necessaria,» disse freddamente, poi,
volgendosi a Occhio di Falco, aggiunse: «Generoso cacciatore! Ti
ringrazio dal profondo dell'anima. La tua offerta è inutile, né potrebbe
essere accettata; ma ancora potete servirmi anche al di là delle vostre
nobili intenzioni. Guardate quella bambina mortificata e avvilita! Non
abbandonatela finché non l'avrete lasciata nelle abitazioni degli uomini
civili. Non vi dirò» aggiunse stringendo forte la mano dell'esploratore,
«che suo padre vi ricompenserà... perché quelli come voi sono al di
sopra delle ricompense degli uomini.... ma vi ringrazierà e vi benedirà.
E, credetemi, la benedizione di un uomo giusto e vecchio ha valore in
cielo. Potessi io riceverne una dalle sue labbra in questo terribile
momento».
La voce le
venne meno e per un momento rimase in silenzio; poi, avanzando di un
passo verso Duncan che sosteneva la sorella svenuta, continuò con voce
più soffocata, ma nella quale i sentimenti e i modi del suo sesso
lottavano disperatamente: «Non c'è bisogno che vi dica di avere cura del
tesoro che possedete. Voi l'amate, Heyward, ciò nasconderebbe mille
difetti, se ne avesse. Ella è gentile, mite, dolce e buona come può
esserlo creatura mortale. Non v'è imperfezione nel suo spirito o nel suo
corpo di cui anche il più nobile di voi potrebbe stancarsi. È bella, oh,
quanto incomparabilmente bella!» disse appoggiando la sua bellissima, ma
meno chiara mano, con malinconico affetto sulla fronte di alabastro di
Alice, scostandone i capelli d'oro che le ricadevano a riccioli sulle
ciglia, «e tuttavia la sua anima è pura e immacolata come la sua pelle!
Potrei dire molto, molto di più, forse, di quanto la fredda ragione non
ammetterebbe, ma risparmierò voi e me stessa...»
La sua voce
divenne impercettibile e il suo viso si chinò sulla sorella. Dopo averle
dato un lungo appassionato bacio, si alzò e, col pallore della morte sul
volto, ma senza una lacrima negli occhi febbrili, si rivolse al
selvaggio, con gli stessi modi alteri di prima e aggiunse: «Ora,
signore, se così vi piace, vi seguirò.»
«Sì, vai,»
gridò Duncan mettendo Alice fra le braccia di una ragazza indiana. «Va,
Magua, va. Questi Delaware hanno leggi che proibiscono loro di
trattenerti, ma io non ho questo obbligo. Va, mostro malvagio... perché
indugi?»
Sarebbe
difficile descrivere l'espressione con la quale Magua ascoltò questa
minaccia. Prima ebbe una evidente esplosione di gioiosa ferocia che fu
subito sostituita da uno sguardo di astuta freddezza.
«I boschi sono
aperti,» si limitò a dire. «Mano Aperta può venire.»
«Aspettate,»
gridò Occhio di Falco afferrando Duncan per un braccio e trattenendolo
con la forza, «non conoscete l'astuzia di quel demonio. Vi trascinerebbe
in un'imboscata, e alla morte...»
«Urone,»
interruppe Uncas che, sottomesso ai rigidi costumi del suo popolo aveva
assistito a tutta la scena con profonda attenzione, «Urone, la giustizia
dei Delaware viene da Manitu. Guarda il sole. Ora è fra i rami più alti
di quell'abete. Il tuo sentiero è breve e aperto. Quando lo vedrai al di
sopra degli alberi ci saranno uomini sulle tue tracce.»
«Sento un
corvo!» esclamò Magua con un riso beffardo. «Via!» aggiunse agitando una
mano verso la folla che si era lentamente aperta per permettergli di
passare. «Dove sono le sottane dei Delaware! Che mandino le loro frecce
e i loro fucili agli Wyandots, avranno selvaggina da mangiare e grano da
sarchiare. Cani, conigli, ladri... sputo su di voi!»
Queste
provocazioni di commiato furono ascoltate in un minaccioso silenzio di
morte; con queste sarcastiche parole sulle labbra, egli passò
indisturbato e si avviò verso la foresta, seguito dalla prigioniera
inerte e protetto dalle leggi inviolabili dell'ospitalità indiana.
XXXI
Flue -
Uccidere i ragazzi e devastare i rifornimenti!
E' chiaramente
contro la legge delle armi;
e, notate
bene, una
delle peggiori
furfanterie del mondo.
Enrico IV
Fintanto che
il nemico e la sua vittima furono visibili, la moltitudine rimase
immobile, come stregata da qualche potenza favorevole all'Urone; ma nel
momento in cui i due scomparvero si fece agitata ed eccitata da feroci e
potenti passioni. Uncas mantenne il suo posto sulla piattaforma, tenendo
gli occhi fissi alla figura di Cora finché i colori del suo vestito si
confusero col fogliame della foresta; poi discese, e avanzando
silenziosamente tra la folla scomparve nella capanna dalla quale era da
poco uscito. Alcuni tra i più seri e attenti guerrieri che avevano colto
le fiamme di collera che lampeggiavano negli occhi del giovane capo
mentre passava, lo seguirono verso il luogo che aveva scelto per
meditare. Tamenund e Alice furono portati via e fu ordinato alle donne e
ai bambini di sciogliersi. Durante l'ora grave che seguì, l'accampamento
parve un alveare di api indaffarate che aspettavano solo l'apparizione e
l'esempio del capo per prendere un lungo e importante volo.
Alla fine un
giovane guerriero uscì dalla capanna di Uncas e si avviò deciso, con una
sorta di marcia solenne, verso un pino nano che cresceva fra fenditure
della terrazza rocciosa; qui strappò un pezzo di corteccia dal tronco,
poi tornò donde era venuto senza parlare. Presto lo seguì un altro che
spogliò l'alberello dei suoi rami, lasciando solo il tronco nudo e
inciso. Un terzo dipinse il palo a striscie di un colore rosso scuro.
Tutti questi segni di progetti ostili da parte dei capi furono accolti
dagli uomini che stavano fuori in un silenzio cupo e sinistro.
Finalmente il Mohicano riapparve, spogliato di tutto tranne che della
cintura e dei gambali e con la metà della bella persona nascosta da una
dipintura di un nero minaccioso.
Uncas avanzò a
passo lento e dignitoso verso il palo, e cominciò subito ad aggirarlo a
passi misurati, non diversi da un'antica danza, levando
contemporaneamente la voce di un selvaggio e irregolare canto di guerra.
Le note raggiungevano i limiti estremi delle possibilità umane: a volte
erano malinconiche, squisitamente lamentose e rivaleggiavano persino con
le melodie degli uccelli, poi con passaggi improvvisi e impressionanti,
facevano tremare gli ascoltatori con la profondità della loro energia.
Le parole erano poche e spesso ripetute: esse procedevano poco a poco,
da una sorta di invocazione o inno alla deità, ad un accenno allo scopo
del guerriero, e finivano come erano cominciate, con un riconoscimento
della sua sottomissione al Grande Spirito. Se fosse possibile tradurre
il linguaggio denso e melodioso nel quale parlava, l'ode potrebbe
suonare pressappoco così:
Manitu! Manitu! Manitu!
Tu sei grande, tu sei buono, tu sei saggio:
Manitu! Manitu!
Tu sei giusto.
Nei cieli, nelle nuvole. Oh! Io vedo
Molte macchie... molte scure, molte rosse:
Nei cieli, Oh! Io vedo
Molte nuvole.
Nei boschi, nell'aria, Oh! Io odo
L'urlo, il lungo grido e il lamento:
Nei boschi, Oh! lo odo
L'alto grido!
Manitu! Manitu! Manitu!
Io sono debole, tu sei forte; io sono lento...
Manitu! Manitu!
Aiutami.
Alla fine di
ciò che si potrebbe definire ogni verso, egli faceva una pausa, levando
una nota più alta delle altre, particolarmente adatta al sentimento
appena espresso. La prima chiusura fu solenne, e intendeva dare l'idea
della venerazione; la seconda, descrittiva, rasentava il terrore; e la
terza era costituita del ben noto terrificante grido di guerra, che
proruppe dalle labbra del giovane guerriero come fosse una combinazione
di tutti gli spaventosi fragori di una battaglia. L'ultimo fu come il
primo: umile e implorante. Tre volte ripeté questo canto e altrettante
aggirò il palo nella sua danza.
Alla fine del
primo giro, un capo dei Lenape molto serio e stimato seguì l'esempio di
Uncas, cantando però altre parole di carattere analogo. I guerrieri, uno
dopo l'altro, si unirono alla danza, finché tutti quelli che avevano
fama e autorità non ne fecero parte. Ora lo spettacolo divenne selvaggio
e terrificante, perché i visi dei capi si fecero più minacciosi per i
terribili ritmi ai quali mescolavano le loro voci gutturali. Fu allora
che Uncas colpì fortemente il palo col tomahawk e levò la voce in quello
che si potrebbe definire il suo grido di battaglia. Questo gesto indicò
che aveva assunto l'autorità del capo nella spedizione progettata.
Questo segnale
risvegliò tutte le passioni sopite del popolo. Un centinaio di giovani,
che fino a quel momento si erano trattenuti con la diffidenza tipica
dell'età, si precipitarono in massa frenetica sull'emblema immaginario
del loro nemico e lo fecero a pezzi, scheggia per scheggia, finché
dell'albero non rimase null'altro che le radici nel terreno. Durante
questo momento tumultuoso, i più sfrenati atti di guerra furono
rappresentati sui frammenti dell'albero, con la stessa ferocia che se si
fosse trattato delle vere vittime di quella crudeltà. Alcuni vennero
scotennati, altri ricevettero gli attacchi dell'ascia affilata e
vibrante, ad altri ancora venivano inflitti i colpi del fatale coltello.
In breve, la manifestazione di zelo e di selvaggio piacere erano così
inequivocabili che la spedizione si trasformò in una dichiarazione di
guerra nazionale. Uncas, appena dopo aver colpito il palo, uscì dal
cerchio e levò gli occhi verso il sole che stava raggiungendo il punto
in cui la tregua con Magua sarebbe finita. Presto ne venne dato
l'annuncio con un gesto significativo, accompagnato da un grido che vi
corrispondeva, e l'intera moltitudine eccitata smise di mimare la guerra
con gridi di piacere, per prepararsi alle più rischiose imprese della
realtà.
L'intero
aspetto dell'accampamento cambiò istantaneamente. I guerrieri, già
armati e dipinti, si fecero immobili, come incapaci di qualsiasi
manifestazione emotiva. Le donne invece uscirono dalle capanne con canti
di gioia e di lamento così stranamente mescolati che sarebbe stato
difficile dire quale era la passione preponderante. Nessuna, però
rimaneva oziosa. Alcune trasportavano i loro oggetti più amati, altre i
loro piccoli e altre ancora i loro anziani ed infermi nella foresta che
si estendeva come un tappeto verdeggiante e splendente lungo il fianco
della montagna.
Anche Tamenund
si riparò qui, con tranquilla compostezza, dopo un breve e commovente
colloquio con Uncas, dal quale il saggio si separava con la riluttanza
di un padre che da poco ha ritrovato un figlio da lungo perduto. Nel
frattempo Duncan constatò che Alice si trovava al sicuro, poi cercò
l'esploratore, con un viso che manifestava con quanta ansia anch'egli
anelasse alla prossima contesa. Occhio di Falco invece era troppo
abituato ai canti di guerra e ai preparativi degli indigeni, per
mostrare interesse nella scena che si stava svolgendo. Si limitò a
controllare il numero e la qualità dei guerrieri che di volta in volta
manifestavano l'intenzione di accompagnare Uncas in campo. Di
quest'ultimo particolare egli si sentì subito soddisfatto perché - come
abbiamo già visto - la forza del giovane capo comprese tutti i
combattenti della tribù. Dopo che questo punto concreto fu risolto in
modo soddisfacente, egli mandò un ragazzo indiano alla ricerca di
«Ammazzacervo» e del fucile di Uncas nel luogo dove avevano nascosto le
armi quando si erano avvicinati all'accampamento Delaware; misura questa
doppiamente prudente perché mentre evitava che le armi subissero il loro
stesso destino nel caso che fossero trattenuti come prigionieri, dava
anche loro il vantaggio di apparire fra gli stranieri come esseri
sofferenti, piuttosto che come uomini provvisti di mezzi di difesa e di
sussistenza.
Nello
scegliere un altro per eseguire il compito di recuperare il
preziosissimo fucile, Occhio di Falco non aveva perso di vista la sua
abituale cautela. Egli sapeva che Magua non era venuto solo e sapeva
anche che spie Uroni sorvegliavano i movimenti dei nemici lungo tutto il
limitare del bosco. Perciò avrebbe potuto essergli fatale fare un simile
tentativo; per un guerriero le cose non sarebbero andate meglio, mentre
per un ragazzo il pericolo sarebbe cominciato solo dopo che avesse
ritrovato l'oggetto. Quando Heyward lo raggiunse, l'esploratore stava
aspettando con calma il risultato dell'esperimento.
Il ragazzo che
era stato ben istruito e che era sufficientemente astuto, col petto
gonfio per l'orgoglio di essere stato oggetto di tanta fiducia, e con le
speranze della sua giovane ambizione, procedette noncurante verso la
radura nei boschi, dove entrò in un punto poco lontano dal luogo dove i
fucili erano nascosti. Ma nel momento in cui fu nascosto dal fogliame
degli arbusti, si vide la sua scura forma scivolare come quella di un
serpente verso il tesoro desiderato. L'impresa riuscì, e un momento dopo
fu visto sfrecciare attraverso lo stretto spiazzo che delimitava la base
della terrazza sulla quale sorgeva il villaggio, portando una preda in
ogni mano. Aveva raggiunto i dirupi e stava arrampicandosi a balzi lungo
i loro fianchi, quando uno sparo proveniente dai boschi mostrò quanto
prudente era stato l'esploratore. Il ragazzo rispose con un grido debole
ma pieno di disprezzo, e immediatamente fu inviata una seconda
pallottola da un'altra parte del rifugio. Un istante dopo apparve più in
alto; sollevando trionfante i fucili, mentre avanzava con aria di
conquistatore verso il famoso cacciatore che gli aveva fatto l'onore di
affidargli un incarico tanto importante.
Nonostante il
vivo interesse di Occhio di Falco per la sorte del messaggero, ricevette
‹Ammazzacervo› con una soddisfazione che per un momento gli fece
dimenticare tutto il resto. Dopo aver esaminato l'arma con occhio da
intenditore, aver aperto e chiuso lo scodellino dieci o quindici volte,
e dopo aver fatto varie altre prove ugualmente importanti con
l'otturatore, si volse verso il ragazzo e gli domandò con molta
gentilezza se era ferito. Il monello lo guardò orgogliosamente in faccia
ma non rispose.
«Ah! vedo,
quelle canaglie ti hanno scorticato un braccio!» aggiunse l'esploratore
sollevando l'arto della paziente vittima attraversato da una profonda
ferita che mostrava la carne, fatta da una pallottola. «Ma un po' di
ontano schiacciato agirà come un incantesimo. Nel frattempo la fascerò
con una fila di conchiglie! Hai cominciato presto la tua attività di
guerriero, mio bravo ragazzo, e probabilmente ti porterai molte
cicatrici onorate nella tomba. Conosco uomini che hanno già scotennato,
ma che non possono mostrare segni come questo. Vai!» Aggiunse dopo
avergli legato il braccio. «Sarai un capo!»
Il
ragazzo se ne andò, più orgoglioso del sangue che gli usciva dalla
ferita di quanto lo sarebbe il più vanitoso dei cortigiani del suo
nastro scarlatto; poi camminò fra i ragazzi della sua età, oggetto di
generale ammirazione ed invidia.
Ma in un
momento carico di tanti seri doveri, questo gesto isolato di coraggio
giovanile non attirò l'attenzione e le lodi generali che gli sarebbero
state attribuite in circostanze meno pressanti. Era servito comunque a
far valutare ai Delaware la posizione e le intenzioni del nemico. Di
conseguenza un gruppo dei guerrieri, più adatti al compito del debole
benché volonteroso ragazzo, ricevette l'ordine di snidare quei
vigliacchi. Il compito fu presto eseguito, anche perché gli Uroni si
ritirarono quando si accorsero di essere stati scoperti. I Delaware li
inseguirono fino ad una certa distanza dal loro accampamento, poi si
fermarono per attendere ordini temendo di essere attirati in
un'imboscata. Poiché entrambe le parti si erano nascoste, la foresta
tornò ad essere immobile e silenziosa quanto poteva esserlo in un dolce
mattino d'estate. Il calmo ma impaziente Uncas riunì i capi e distribuì
i compiti. Presentò Occhio di Falco come guerriero che spesso era stato
messo alla prova e sempre si era dimostrato meritevole di fiducia.
Quando si avvide che l'amico era stato accolto con benevolenza, gli
affidò il comando di venti uomini, come lui agili, astuti e risoluti.
Fece capire ai Delaware il rango di Heyward nelle truppe Yangee, poi gli
offrì un incarico di pari importanza. Ma Duncan lo rifiutò, dichiarando
di essere pronto a servire come volontario al fianco dell'esploratore.
Dopo queste disposizioni il giovane Mohicano affidò a vari capi indigeni
diverse incombenze di responsabilità, e poiché il tempo stringeva, diede
il segnale della partenza. Fu obbedito lietamente, ma in silenzio, da
più di duecento uomini.
L'ingresso
nella foresta avvenne senza alcun incidente, né incontrarono esseri
viventi che potessero dare l'allarme o fornire le informazioni
necessarie, finché arrivarono ai nascondigli dei loro stessi
esploratori. Qui venne ordinato l'alt, e i capi si riunirono per tenere
un consiglio a bassa voce.
In questa
riunione furono proposti diversi piani di operazione, ma nessuno si
confaceva alla volontà dell'appassionato capo. Se Uncas avesse seguito
le proprie inclinazioni, avrebbe condotto i suoi seguaci ad una carica
senza indugiare un solo momento, e avrebbe esposto la contesa al rischio
di una sortita improvvisa; un simile procedimento però sarebbe stato in
contrasto con tutte le pratiche apprese e le opinioni dei suoi compagni.
Dovette perciò adattarsi ad una cautela che nel presente stato d'animo
esecrava, e ascoltare consigli che irritavano il suo spirito focoso,
esasperato dal pensiero del pericolo di Cora e dell'insolenza di Magua.
Dopo un
insoddisfacente conciliabolo di parecchi minuti, si vide un individuo
isolato che avanzava dalla parte del nemico, apparentemente con tanta
fretta da indurre a credere che potesse essere un messaggero incaricato
di fare qualche pacifica proposta. Quando costui si trovò a un centinaio
di iarde dal nascondiglio dietro il quale si era riunito il consiglio
dei Delaware, lo straniero esitò e parve incerto sulla via da prendere,
alla fine si fermò. Ora tutti gli occhi erano volti a Uncas come alla
ricerca di istruzioni sul da farsi.
«Occhio di
Falco,» disse il giovane capo a bassa voce, «quest'uomo non deve più
parlare agli Uroni.»
«È venuto il
suo momento,» disse l'esploratore laconico, infilando la lunga canna del
fucile fra il fogliame e prendendo la sua mira decisa e fatale. Ma,
invece di premere il grilletto, abbassò la bocca dell'arma e si lasciò
andare ad un accesso della sua peculiare ilarità. «Ho preso quel
poveraccio per un Mingo perché sono un miserabile peccatore!» disse. «Ma
quando i miei occhi hanno cercato fra le sue costole il punto dove
assestare la pallottola... lo crederesti, Uncas... ho trovato quel
soffiatore di zufoli del musicante; insomma, si tratta dell'uomo che si
chiama Gamut, la cui morte non può giovare a nessuno, e la cui vita, se
la sua lingua può fare qualcosa di diverso dal cantare, può essere utile
ai nostri fini. Se i suoni non hanno perso le loro virtù, presto avrò un
colloquio con questo onest'uomo e in un tono che lui troverà più
gradevole del linguaggio di ‹Ammazzacervo›.»
Così dicendo,
Occhio di Falco mise da parte il fucile; poi, sgattaiolando fra i
cespugli finché si trovò a portata dell'udito di David, tentò di
ripetere gli sforzi musicali che lo avevano condotto con tanta sicurezza
e éclat attraverso l'accampamento urone. I raffinati organi di
Gamut non potevano essere facilmente ingannati (e, a dire il vero,
sarebbe stato difficile per chiunque, tranne Occhio di Falco, produrre
un simile fracasso), di conseguenza, poiché aveva già udito una volta
prima di allora quei suoni, ora sapeva donde venivano. Il poveraccio
sembrò sollevato da una situazione di grande imbarazzo, perché seguendo
la direzione della voce - compito questo per lui non molto meno penoso
di quanto sarebbe stato dover affrontare una batteria - presto scoprì il
cantore nascosto:
«Mi domando
cosa ne penseranno gli Uroni!» disse l'esploratore ridendo mentre
prendeva l'amico per un braccio e lo trascinava indietro. «Se quelle
canaglie si trovano a portata di udito, diranno che ci sono due matti
invece di uno! Ma eccoci al sicuro,» aggiunse indicando Uncas e i
compagni. «Adesso dateci la storia delle invenzioni dei Mingo in buon
inglese e senza variazioni di voce.»
David si
guardò attorno e fissò i capi dall'aria feroce con muta meraviglia; ma
rassicurato dalla presenza di visi noti, raccolse le idee abbastanza da
dare una risposta sensata.
«I pagani sono
fuori in buon numero,» disse David, «e, temo, con cattive intenzioni.
C'è stato un gran urlare e un'empia festa in queste ultime ore, e il
tutto con suoni tali che solo i profani possono emettere; tanto che io
sono fuggito per andare dai Delaware in cerca di pace.»
«Le vostre
orecchie non avrebbero guadagnato molto al cambio se foste stato di
piede più lesto,» replicò l'esploratore un po' seccamente. «Ma lasciamo
stare; dove sono gli Uroni?»
«Sono nascosti
nella foresta, tra qui e il loro villaggio, in forze tali che la
prudenza dovrebbe consigliarvi di tornare immediatamente.»
Uncas gettò
un'occhiata lungo la fila di alberi che nascondevano la sua banda e
pronunciò il nome di: «Magua?»
«È fra loro.
Aveva con sé la fanciulla che ha soggiornato con i Delaware, e dopo
averla lasciata nella caverna si è messo, come un lupo rabbioso, alla
testa dei selvaggi. Non so cosa lo ha turbato tanto!»
«L'ha
lasciata, avete detto, nella caverna!» interruppe Heyward «È bene che
conosciamo la sua posizione! Non si può fare qualcosa per liberarla
subito?»
Uncas guardò
ansioso l'esploratore prima di domandare:
«Cosa dice
Occhio di Falco?»
«Datemi venti
fucili, io girerò a destra, lungo il fiume, e passando per le grotte dei
castori raggiungerò il Sagamore e il colonnello. Poi sentirete il grido
da quella parte: con questo vento lo si può lanciare facilmente ad un
miglio di distanza. Poi tu, Uncas, li attaccherai di fronte; quando
verranno alla portata dei nostri fucili, assesteremo loro un colpo che,
lo prometto sul buon nome di vecchio uomo delle frontiere, piegherà la
loro linea come un arco di frassino. Dopo di che raggiungeremo il loro
villaggio e prenderemo la donna dalla caverna; con ciò si potrà farla
finita con la tribù con un colpo e una vittoria, secondo il modo di dar
battaglia dei bianchi, oppure alla moda indiana: con uno stratagemma e
un'imboscata. Può non esserci molta erudizione, Maggiore, in questo
piano, ma con pazienza e coraggio può essere realizzato.»
«Mi piace
molto!» esclamò Duncan, che vide che la liberazione di Cora era stata la
prima preoccupazione dell'esploratore. «Mi piace molto, tentiamolo
subito.»
Dopo un breve
conciliabolo, il piano venne maturato e reso più comprensibile alle
diverse compagnie; si stabilirono i segnali, i capi si separarono, e
ciascuno si avviò al posto assegnatogli.
XXXII
Ma la
maledizione si propagherà,
e fiamme
funebri si innalzeranno,
Finché il
grande re, senza riscatto,
Rimanderà al
suo Crysa la fanciulla dagli occhi neri.
Pope
Mentre Uncas
così disponeva le sue forze, i boschi erano silenziosi e, eccezion fatta
per coloro che si erano riuniti in consiglio - apparentemente disabitati
come quando erano usciti freschi dalle mani dell'Onnipotente Creatore.
L'occhio poteva spaziare in ogni direzione lungo i filari degli alberi,
ma non si vedevano oggetti che non appartenessero a quello scenario
pacifico e sonnolento. Qua e là si sentiva svolazzare un uccello fra i
rami dei faggi, e di tanto in tanto uno scoiattolo lasciava cadere una
noce, attirando per un momento gli sguardi allarmati della compagnia, ma
non appena l'occasionale interruzione finiva, si udiva l'aria mormorare
sulle loro teste, lungo la superficie verdeggiante e ondulata della
foresta che si stendeva, interrotta soltanto da fiumiciattoli o laghi,
per una così vasta zona del paese.
Il tratto di
foresta che si trovava tra i Delaware e il villaggio dei loro nemici,
sembrava non fosse mai stato calpestato da piedi umani, tanto vivo e
profondo era il silenzio in cui era immerso. Ma Occhio di Falco, il cui
compito lo portava al primo posto nell'avventura, conosceva troppo bene
il carattere di coloro coi quali stava per scontrarsi, per fidarsi di
quella quiete ingannevole.
Quando vide la
sua piccola compagnia riunita, egli gettò «Ammazzacervo» nel cavo del
braccio, e facendo un silenzioso segno di seguire, condusse i compagni
molte pertiche indietro, nel letto di un fiumiciattolo che avevano
attraversato nell'andata. Qui si fermò e, dopo aver atteso che tutti i
seri e attenti guerrieri arrivassero vicino a lui, domandò in delaware:
«Qualcuno dei miei giovani sa dove ci conduce questo percorso?»
Un Delaware
stese una mano con due dita divaricate, e indicando il punto in cui si
univano alla radice, rispose:
«Prima che il
sole abbia percorso tutto il suo arco, l'acqua piccola sarà in quella
grossa.» Poi aggiunse indicando la direzione del luogo menzionato:
«Insieme bastano ai castori.»
«Pensavo la
stessa cosa,» replicò l'esploratore dando un'occhiata verso l'alto, dove
le cime degli alberi si aprivano, «considerando la sua direzione e la
posizione delle montagne. Uomini, ci manterremo nascosti fra le sue
sponde finché non sentiremo gli Uroni.»
I compagni
emisero la solita esclamazione di assenso, ma vedendo che il capo stava
per mettersi di persona alla loro testa per proseguire, uno o due fece
segno che non tutto era come avrebbe dovuto. Occhio di Falco, che
comprese i loro sguardi significativi si girò e vide così che la
compagnia era stata seguita dal maestro di canto.
«Sapete,
amico,» domandò l'esploratore serio, e forse con un po' del sussiego di
chi sa di potersi permettere questo tono, «che questa è una banda di
guerrieri scelti per un'impresa disperata e posta sotto il comando di
uno che, anche se questo lo dovrebbe dire un altro più qualificato, non
permetterà loro di rimanere oziosi? Forse non tra cinque minuti, ma non
più tardi di una mezz'ora, passeremo sul corpo di un Urone, vivo o
morto.»
«Benché non mi
abbiate spiegato le vostre intenzioni,» replicò David, il cui viso era
un poco arrossito e i cui occhi tranquilli e inespressivi brillavano di
un fuoco insolito, «i vostri uomini mi hanno fatto pensare ai figli di
Giacobbe quando sono andati a dare battaglia ai Sechemiti che
perfidamente aspiravano ad unirsi in matrimonio con una donna favorita
dal Signore. Ebbene, ho viaggiato a lungo nel bene e nel male con la
fanciulla che cercate, e benché io non sia uomo d'armi, con i fianchi
cinti e la spada affilata, pure, assesterei volentieri qualche colpo per
aiutarla.»
L'esploratore
esitò, come a valutare fra sé i pro e i contro di un così strano
arruolamento, poi rispose:
«Voi non
conoscete l'uso di alcuna arma. Non portate fucili e, credetemi, quello
che i Mingo ricevono lo restituiscono abbondantemente.»
«Benché non
possa vantarmi di essere Golia,» replicò David traendo una fionda
dall'abito multicolore e grottesco, «non ho dimenticato l'esempio del
ragazzo ebreo. Con questo antico strumento di guerra ho fatto molto
esercizio quando ero giovane, e forse da allora l'abilità non mi ha
completamente lasciato.»
«Già,» disse
Occhio di Falco esaminando i lacci e il grembiale di pelle di daino con
occhio freddo e scoraggiante. «Questo potrebbe essere di qualche utilità
fra le frecce, o anche fra i coltelli, ma questi Mangwe sono stati
forniti dai francesi di buoni fucili a canna rigata. Tuttavia sembra
essere vostra prerogativa passare in mezzo al fuoco senza danno, e come
siete stato favorito fino a questo momento... Maggiore, voi avete
lasciato il vostro fucile senza sicura: un solo sparo prima del tempo
significherebbe venti cotenne perdute per niente... cantore, seguiteci,
potrete esserci utile per gridare.»
«Vi ringrazio
amico,» replicò David facendo provvista, come il regale omonimo, di
ciotoli del ruscello, «benché non desideri uccidere, se mi aveste
mandato via, il mio spirito ne sarebbe stato turbato.»
«Ricordate,»
aggiunse l'esploratore dandosi un colpetto sulla testa in modo
significativo nel punto dove Gamut aveva ancora la cicatrice, «stiamo
andando a combattere e non a fare musica. Finché non sarà dato il
segnale generale, solo i fucili potranno parlare.»
David fece un
cenno di assenso con la testa, come per dimostrare che avrebbe obbedito;
poi Occhio di Falco, gettando ancora un'occhiata osservatrice ai
seguaci, fece segno di proseguire.
La loro strada
correva per una distanza di un miglio lungo il letto del corso d'acqua.
Benché protetti da ogni pericolo immediato di essere visti dalle sponde
scoscese e dalla fitta macchia che orlava il fiumiciattolo, nessuna
precauzione conosciuta dagli indiani in caso di attacco fu trascurata.
Lungo ciascuna delle due sponde un guerriero strisciava, più che non
camminasse, in modo da poter gettare di tanto in tanto un'occhiata verso
la foresta; ogni poco si fermavano per ascoltare eventuali rumori dalla
parte nemica, con sensi tanto acuti da essere difficilmente concepibili
in un uomo meno vicino allo stato di natura. La loro marcia, tuttavia,
non fu disturbata, e raggiunsero il punto dove il corso d'acqua più
piccolo si gettava in quello più grande senza che si manifestasse il
minimo indizio che la loro avanzata era stata notata. Qui l'esploratore
si fermò di nuovo per esaminare i segni della foresta.
«Probabilmente
avremo una buona giornata di combattimento,» disse in inglese rivolto a
Heyward e guardando in alto verso le nubi che cominciavano a muoversi in
larghe distese attraverso il firmamento, «un sole splendente e una canna
che luccica non sono amici di una buona vista. Tutto è favorevole; il
vento soffia nella nostra direzione e ci porterà i loro rumori e il loro
fumo - cosa questa di non poca importanza - mentre per noi ci sarà prima
lo sparo e poi una visuale chiara. Ma qui finisce il nostro riparo. I
castori hanno avuto a disposizione questo torrente per centinaia di
anni, e fra il loro cibo e le loro dighe ci sono molti tronconi
rosicchiati, ma pochi alberi viventi.»
Occhio di
Falco in verità aveva, con queste poche parole, dato una descrizione non
cattiva della prospettiva che avevano davanti. Il torrente era di
ampiezza molto irregolare, a volte si infilava in strette fessure della
roccia, altre si allargava per acri di terra bassa, formando piccole
zone che si sarebbero potute chiamare stagni. Ovunque sulle rive c'erano
i resti di alberi morti che andavano deteriorandosi, a tutti gli stadi
della rovina, da quelli che scricchiolavano sui loro tronchi vacillanti,
a quelli di recente privati delle loro scabre cortecce che così
misteriosamente contengono il principio della loro vita. Alcuni tronchi
lunghi e bassi, ricoperti di muschio, erano sparpagliati, come monumenti
di una passata generazione da lungo scomparsa.
Tutti questi
minimi particolari erano notati dall'esploratore con una serietà e un
interesse di cui probabilmente non erano mai stati oggetto prima. Egli
sapeva che l'accampamento degli Uroni si estendeva a solo mezzo miglio
dal ruscello; e con l'ansia caratteristica di chi teme un pericolo
nascosto, era molto preoccupato di non trovare la minima traccia della
presenza dei nemici. Una volta o due sentì l'impulso di ordinare una
sortita improvvisa e di attaccare il villaggio di sorpresa, ma la sua
esperienza lo avvertì subito del pericolo di un tentativo tanto inutile.
Poi tese l'orecchio intento e con dolorosa incertezza per controllare se
rumori ostili provenivano dalla zona dove aveva lasciato Uncas; ma nulla
sentiva, tranne il sospiro del vento che cominciava a soffiare nel cuore
della foresta, in raffiche che minacciavano tempesta. Alla fine, spinto
più da una insolita impazienza che dall'esperienza, decise di fare una
sortita, mascherando le sue forze e risalendo il torrente con cautela e
decisione.
Nel corso di
queste considerazioni, l'esploratore era rimasto al riparo di una felce,
mentre i compagni giacevano sul fondo della gola attraverso la quale
sfociava il corso d'acqua più piccolo; questi ultimi, però quando
sentirono il basso ma percettibile segnale, sgattaiolarono su per la
sponda come altrettanti scuri spettri, e silenziosamente si disposero
intorno a lui. Indicando la direzione che desiderava prendere, Occhio di
Falco avanzò, il gruppo si divise in diverse file e seguendo le sue orme
con tanta cura da lasciare - fatta eccezione per Heyward e David - le
tracce di un solo uomo.
La compagnia
si era appena scoperta, quando si udì alle loro spalle la raffica di una
dozzina di fucili, e un Delaware, saltando in aria come un cervo ferito,
cadde disteso, morto sul colpo.
«Ah! Temevo
qualcosa del genere!» esclamò l'esploratore in inglese, aggiungendo
velocemente nella sua lingua adottiva: «Uomini, al riparo, e
all'assalto!»
La banda si
disperse a queste parole, ed Heyward, prima che si riavesse dalla
sorpresa, si trovò solo con David. Fortunatamente gli Uroni si erano già
ritirati ed egli scampò al loro fuoco. Ma questo stato di cose era
evidentemente destinato a non durare a lungo, perché l'esploratore diede
l'esempio nell'incalzare la loro ritirata con una scarica del suo fucile
e passando come una saetta di albero in albero, mentre il nemico perdeva
terreno.
Si sarebbe
detto che l'assalto fosse stato compiuto da un piccolo gruppo di Uroni
che continuavano tuttavia ad aumentare a mano a mano che, ritirandosi,
si univano agli amici, finché il fuoco di risposta fu quasi, se non
completamente, della stessa intensità di quello dei Delaware che
avanzavano. Heyward si gettò fra i combattenti e, imitando la necessaria
precauzione dei compagni, sparò una rapida raffica del suo fucile. La
contesa ora si era fatta intensa e le forze si equilibravano. I feriti
erano pochi perché entrambe le parti si mantenevano il più possibile al
riparo degli alberi, senza esporsi mai, tranne che per prendere la mira.
Ma le sorti si andavano facendo sfavorevoli a Occhio di Falco e alla sua
compagnia. Il lungimirante esploratore si accorse del pericolo senza
però sapere come porvi rimedio. Si accorse che era più pericoloso
ritirarsi che mantenere la posizione, e vide che i nemici inviavano
uomini sui fianchi; il che rese difficile ai Delaware il compito di
mantenersi al coperto, tanto da far quasi tacere il loro fuoco. In
questo momento imbarazzante, quando cominciavano a credere che l'intera
tribù nemica li avrebbe gradatamente circondati, udirono un grido di
guerra e uno strepito di armi risuonare sotto gli archi della foresta,
dalla parte dove era appostato Uncas: una depressione che, in certo
senso, si trovava sotto il punto in cui Occhio di Falco e i compagni
stavano combattendo.
Gli effetti di
questo attacco furono istantanei e di gran sollievo per l'esploratore e
i suoi amici. Si sarebbe detto che, benché l'assalto fosse avvenuto un
po' in anticipo, e di conseguenza fosse fallito, il nemico, a sua volta,
non conoscendone né l'obiettivo, né il numero, avesse lasciato una forza
troppo piccola a resistere all'impetuoso attacco del giovane Mohicano.
Questo fu doppiamente evidente dalla rapidità con cui la battaglia dalla
foresta si spostò in su, verso il villaggio, nonché dal fatto che il
numero degli assalitori diminuì istantaneamente, perché si erano
precipitati ad aiutare a mantenere il fronte che ora si era rivelato il
loro principale punto di difesa.
Incoraggiando
i suoi seguaci con le parole e con l'esempio, Occhio di Falco diede
l'ordine di lanciarsi sui nemici. La carica, in quel primitivo modo di
combattere, consisteva semplicemente nello spingersi, più vicini al
nemico passando di riparo in riparo. In questa azione l'esploratore fu
subito obbedito e con successo. Gli Uroni furono costretti a
indietreggiare, e il teatro della contesa si spostò dallo spazio più
aperto dove era cominciata, al luogo dove gli assaliti trovarono una
macchia in cui fermarsi. Qui la battaglia si protrasse, dura e con esito
incerto, perché i Delaware, anche se nessuno di loro cadde, avevano
cominciato a sanguinare abbondantemente in conseguenza dello svantaggio
iniziale.
In questo
momento critico Occhio di Falco trovò modo di portarsi vicino allo
stesso albero dietro il quale era riparato Heyward, mantenendo la
maggior parte dei suoi guerrieri a portata di voce alla sua destra, di
dove assicurò un fuoco nutrito, benché infruttuoso, sui nemici nascosti.
«Voi siete
giovane, Maggiore,» disse Occhio di Falco lasciando cadere il calcio di
«Ammazzacervo» e appoggiandosi alla canna, un po' affaticato per lo
sforzo precedente, «e in futuro vi sarà dato di guidare eserciti contro
questi diavoli di Mingo. Qui potete osservare la filosofia di una
battaglia indiana. Essa consiste principalmente nell'avere mano pronta,
occhio attento e un buon riparo. Ora, se aveste qui una compagnia di
Americani Reali, in che modo li mettereste all'opera in un caso come
questo?»
«La baionetta
aprirebbe la strada.»
«Già, c'è
della ragione di bianco in ciò che dite, ma ci si deve chiedere, in
queste foreste, quante vite si possono risparmiare. Niente cavalli...»
continuò l'esploratore scuotendo il capo pensoso. «Un cavallo, mi
vergogno a dirlo, deve prima o poi decidere questo genere di scaramucce.
Le bestie sono meglio degli uomini e alla fine siamo costretti a
servirci dei cavalli. Una volta messo uno zoccolo ferrato sotto il
mocassino di un pellerossa e se il suo fucile si è vuotato una volta,
egli non smetterà più di ricaricarlo.»
«Questo è un
argomento che sarebbe meglio discutere un altro momento,» replicò
Heyward, «carichiamo?» «Non vedo come si contraddicano le doti di un
uomo nel passare da parole vuote a utili riflessioni,» replicò
l'esploratore. «Quanto ad una sortita sono poco d'accordo, perché si
sarebbe costretti a sprecare una o due cotenne nel tentativo. E
tuttavia,» aggiunse piegando la testa di lato per cogliere i rumori del
lontano combattimento, «se vogliamo essere utili a Uncas, dobbiamo
sbarazzarci di queste canaglie che abbiamo davanti!»
Poi, girandosi
con aria eccitata e decisa, chiamò forte i suoi indiani, nella loro
lingua. La risposta alle sue parole fu un grido, e ogni guerriero aggirò
rapidamente il proprio albero. La vista di tanti corpi scuri che
balenavano davanti ai loro occhi nello stesso istante, provocò una
rapida, e perciò inutile, raffica dalla parte degli Uroni. Senza
fermarsi nemmeno per respirare i Delaware saltarono a lunghi balzi verso
il bosco, come altrettante pantere che si lanciano sulla preda. Occhio
di Falco era in testa, brandendo il suo terribile fucile e animando i
seguaci con l'esempio. Alcuni dei più anziani e astuti Uroni che non si
erano lasciati ingannare dall'artificio che aveva suscitato il loro
fuoco, ora lanciarono una rapida e mortale scarica dei loro fucili e
diedero ragione ai timori di Occhio di Falco colpendo a morte tre
guerrieri che si trovavano davanti. Il colpo però non bastò a respingere
l'impeto della carica. I Delaware irruppero nel riparo con la ferocia
che era loro propria e spazzarono via ogni traccia di resistenza.
Per un solo
istante vi fu un combattimento corpo a corpo, poi gli assaliti
perdettero rapidamente terreno, finché raggiunsero il lato opposto del
boschetto, dove rimasero nascosti con quella ostinazione che è tipica
degli animali inseguiti. In questo momento critico, quando le sorti
della lotta stavano di nuovo diventando dubbie, si udì la detonazione di
un fucile alle spalle degli Uroni e una pallottola arrivò fischiando da
una delle capanne di castori che si trovavano nella radura, seguita dal
feroce e terrificante grido di guerra.
«Ecco che
parla il Sagamore!» esclamò Occhio di Falco, rispondendo al grido con la
sua voce stentorea. «Adesso abbiamo alleati davanti e alle spalle!»
L'effetto
sugli Uroni fu istantaneo. Scoraggiati da un assalto proveniente da una
zona che non lasciava loro alcuna opportunità di riparo, i loro
guerrieri lanciarono un enorme grido di disappunto e, abbandonando ogni
ordine di combattimento, si sparpagliarono per la radura, incuranti di
tutto tranne che della fuga. Nel corso di questo tentativo molti caddero
sotto le pallottole e i colpi dei Delaware gettatisi all'inseguimento.
Non ci
soffermeremo a descrivere nei particolari l'incontro tra l'esploratore e
Chingachgook, o il più commovente colloquio di Duncan e Munro. Poche
parole frettolose servirono a spiegare lo stato di cose da entrambe le
parti; poi Occhio di Falco, indicando alla sua banda il Sagamore,
rassegnò la sua autorità di capo nelle mani del Mohicano. Chingachgook
assunse l'alta carica cui aveva diritto per nascita e per esperienza,
con la dignità grave che sempre dà forza ai mandati di un guerriero
indigeno. Seguendo le orme dell'esploratore, egli condusse di nuovo la
compagnia nella macchia, mentre i suoi uomini scotennavano gli Uroni
caduti e nascondevano i corpi dei morti man mano che procedevano, finché
raggiunsero un punto dove Occhio di Falco ordinò di fare sosta.
I guerrieri,
stremati dalla precedente lotta, si appostarono su un piccolo tratto di
terreno pianeggiante, cosparso di alberi sufficienti a nasconderli.
Davanti a loro, quasi precipitando, la terra si estendeva per parecchie
miglia in una stretta, cupa e boscosa vallata. Era in questa foresta che
Uncas ancora combatteva col grosso delle forze uroni.
Il Mohicano e
i suoi amici avanzarono verso il ciglio della collina e ascoltarono con
orecchie esperte, i suoni del combattimento. Pochi uccelli sorvolavano
il cuore frondoso della vallata, cacciati dalla paura fuori dai loro
nidi nascosti, e qua e là una leggera nube vaporosa che sembra già sul
punto di confondersi con l'atmosfera, si alzava al di sopra degli alberi
e indicava qualche punto dove la lotta era stata furiosa e incerta.
«Il
combattimento sta raggiungendo la massima intensìtà,» disse Duncan
indicando la direzione di una nuova esplosione di armi da fuoco, «siamo
troppo al centro della loro traiettoria per essere utili.»
«Piegheranno
verso l'avvallamento dove il riparo è più fitto,» disse l'esploratore,
«e ciò ci porterà al loro fianco. Va, Sagamore, sei appena in tempo a
lanciare il grido di guerra, poi guida i tuoi giovani. Io combatterò
questa battaglia con guerrieri del mio colore. Tu mi conosci Mohicano,
nessun Urone attraverserà quella sporgenza che c'è alle tue spalle senza
che ‹Ammazzacervo› se ne occupi.»
Il capo
indiano indugiò ancora un momento per esaminare i segni della battaglia
che adesso stava rapidamente spostandosi verso la cima del dirupo, segno
questo che i Delaware trionfavano; né lasciò il luogo finché fu messo in
guardia della vicinanza degli amici come dei nemici dalle pallottole dei
primi che cominciavano a spiovere sulle foglie secche cadute, quali
chicchi di grandine che precedano lo scoppio di una tempesta. Occhio di
Falco e i tre compagni indietreggiarono di alcuni passi verso un riparo
e attesero il risultato con una calma che solo la pratica può conferire
in simili frangenti.
Non passò
molto tempo prima che le detonazioni dei fucili smettessero di
echeggiare nei boschi per risuonare all'aria aperta. I guerrieri
apparvero qua e là, sospinti verso i margini della foresta e si
riunirono poi nella radura come il luogo in cui avrebbe dovuto svolgersi
la resistenza finale. Essi furono presto raggiunti da altri, finché si
vide una lunga fila di figure scure acquattate al riparo con
l'ostinazione della disperazione. Heyward cominciava a diventare
impaziente e volse lo sguardo ansioso a Chingachgook. Il capo era seduto
su una roccia: niente era visibile tranne il viso calmo, intento a
considerare lo spettacolo con occhio così fermo da far pensare che fosse
appostato semplicemente per assistere alla lotta.
«È venuto il
momento per i Delaware di colpire!» disse Duncan.
«Non ancora,
non ancora,» replicò l'esploratore.
«Quando
sentirà arrivare gli amici, farà loro sapere che è qui. Guardate,
guardate, quelle canaglie stanno entrando nel folto dei pini, come api
che si sistemano dopo il volo. Soltanto una squaw potrebbe ficcare una
pallottola in un groviglio simile di pelli scure!»
In
quell'istante fu lanciato l'urlo, e una dozzina di Uroni cadde sotto la
raffica di Chingachgook e della sua banda. Al grido che seguì fu
risposto con un solo urlo di guerra proveniente dalla foresta attraverso
l'aria, che ne fu piena come se mille gole avessero unito i loro sforzi.
Gli Uroni esitarono e abbandonarono il centro della linea, mentre Uncas
usciva dalla foresta attraversando la radura che avevano abbandonato,
alla testa di un centinaio di guerrieri.
Facendo gesti
con le mani a destra e a sinistra, il giovane capo indicò il nemico ai
suoi seguaci che si separarono per l'inseguimento. Ora il combattimento
li divise perché entrambe le ali degli Uroni in rotta cercavano di nuovo
protezione nei boschi, incalzati da vicino dai vittoriosi guerrieri
Lenape. Non era passato più di un minuto che i suoni stavano già
allontanandosi in diverse direzioni e poco a poco si fecero meno
distinti sotto gli archi echeggianti della foresta. Un gruppetto di
Uroni aveva tuttavia disdegnato di cercare riparo e si ritiravano come
leoni alle strette, risalendo lentamente e con aria fosca il declivio
che Chingachgook e la sua banda avevano appena abbandonato per
partecipare più da vicino alla lotta. In questo gruppo si distingueva
Magua, tanto per il suo aspetto feroce e selvaggio che per l'aria di
altezzosa autorità che ancora manteneva.
Nell'ansia di
accelerare l'inseguimento, Uncas era rimasto quasi solo, ma quando i
suoi occhi intravidero la figura di Le Subtil, dimenticò ogni altra
considerazione. Levando il grido di guerra che fece accorrere sei o
sette guerrieri, e incurante della disparità di numero, si lanciò sul
nemico. Le Renard, che sorvegliava i suoi movimenti, lo accolse con
segreta gioia. Ma proprio mentre pensava che la precipitazione avesse
lasciato l'impetuoso assalitore alla sua mercé, si udì un altro grido, e
la Longue Carabine fu visto lanciarsi in suo soccorso, seguito dai
compagni bianchi. L'Urone si girò immediatamente e cominciò una rapida
ritirata su per il dirupo.
Non vi fu
tempo per saluti o complimenti, perché Uncas, benché non si fosse
accorto della presenza dell'amico continuava l'inseguimento con la
velocità del vento. Invano Occhio di Falco lo chiamava per dirgli di
ripararsi; il giovane Mohicano tenne testa al pericoloso fuoco dei
nemici e presto li costrinse ad una fuga rapida quanto la sua precedente
velocità. Per fortuna la corsa fu di breve durata e i bianchi erano
molto favoriti dalla posizione, altrimenti il Delaware avrebbe presto
distanziato tutti i compagni ed egli sarebbe caduto vittima della
propria temerarietà. Ma prima che potesse darsi una simile calamità,
inseguitori e inseguiti entrarono nel villaggio Wyandot, a brevissima
distanza l'uno dall'altro.
Eccitati dalla
presenza delle loro abitazioni e stanchi per l'inseguimento, gli Uroni
si fermarono e combatterono intorno alla capanna del consiglio con la
furia della disperazione. L'assalto e la sortita furono come il
passaggio di un turbine distruttore. Il tomahawk di Uncas, i colpi di
Occhio di Falco e persino il braccio ancora nervoso di Munro, furono
impegnati in quel breve momento, e il terreno intorno fu presto coperto
di nemici. Magua, benché audace e molto esposto, sfuggiva ancora ad ogni
insidia contro la sua vita, con quella sorta di mitica protezione che
pare favorire le sorti degli eroi delle leggende antiche. Levando un
grido che esprimeva rabbia e disappunto immensi, l'astuto capo, visti i
compagni caduti, fuggì veloce come un dardo, seguito dagli unici due
amici sopravvissuti e lasciando i Delaware occupati a togliere ai morti
il sanguinoso trofeo della vittoria.
Ma Uncas, che
lo aveva invano cercato nella mischia, balzò in avanti all'inseguimento,
mentre Occhio di Falco, Heyward e David gli tenevano dietro. Il massimo
che poté fare l'esploratore fu di mantenere la bocca del fucile un po'
più avanti dell'amico per il quale essa agì come uno scudo incantato.
Magua parve ad un certo punto voler fare uno sforzo estremo per
vendicare le sue perdite, ma abbandonando queste intenzioni subito dopo
averle manifestate, balzò nella macchia di arbusti, inseguito dai
nemici, e improvvisamente imboccò la caverna che già il lettore conosce.
Occhio di Falco che si era trattenuto dallo sparare solo per rispetto a
Uncas, levò un grido di trionfo e dichiarò ad alta voce che ora potevano
essere certi della loro preda. Gli inseguitori si infilarono nella lunga
e stretta entrata, appena in tempo per intravedere le figure degli Uroni
in ritirata. Il loro passaggio attraverso le gallerie naturali e le
abitazioni sotterranee della caverna erano preceduti da strilli e urli
di centinaia di donne e bambini. Il luogo, visto nella sua luce fosca e
incerta, richiamava l'immagine delle regioni infernali dove trascorrono
moltitudini di spiriti infelici e di demoni selvaggi.
Uncas teneva
gli occhi fissi sempre su Magua, come se la vita per lui avesse un solo
scopo. Heyward e l'esploratore gli stavano dietro, spinti anche se forse
in minor grado, dallo stesso sentimento. Ma la via si andava facendosi
intricata in quegli scuri e cupi passaggi, e la visuale dei guerrieri in
ritirata risultava sempre meno distinta e frequente; per un momento
credettero di averne perduto la traccia, quando videro fluttuare un
vestito bianco all'estremità opposta di un passaggio che sembrava
condurre alla montagna.
«È Cora,»
esclamò Heyward con una voce in cui orrore e piacere erano stranamente
mescolati.
«Cora! Cora!»
gli fece eco Uncas, balzando in avanti come un cervo.
«È la
ragazza!» gridò l'esploratore. «Coraggio signorina, veniamo, veniamo!»
La caccia
continuò con un impegno reso dieci volte maggiore dalla vista della
prigioniera. Uncas abbandonò il fucile e balzò in avanti con incredibile
impeto. Heyward si precipitò ad imitare il suo esempio ed entrambi
furono resi consapevoli della follia di questa azione dal crepitio di un
fucile che l'Urone trovò il tempo di scaricare attraverso il passaggio
nella roccia la cui pallottola ferì lievemente il giovane Mohicano.
«Dobbiamo
avvicinarci!» disse l'esploratore, superando gli amici con un salto
disperato. «Quei demoni ci bersaglieranno a questa distanza e, guardate,
tengono la ragazza in modo da farsene scudo!»
Benché non
facessero caso alle sue parole, o piuttosto non le sentissero, il suo
esempio fu seguito dai compagni che, con uno sforzo incredibile, si
avvicinarono ai fuggiaschi abbastanza da intravedere che Cora era tenuta
fra due guerrieri, mentre Magua dava le direttive della fuga. In quel
momento le forme dei quattro si stagliarono contro uno spiraglio del
cielo, poi scomparvero. Quasi folli di delusione, Uncas e Heyward
aumentarono gli sforzi che già sembravano sovrumani e uscirono dalla
caverna al fianco della montagna, in tempo per vedere il percorso degli
inseguiti. Il sentiero si arrampicava lungo il dirupo e continuava
rischioso e faticoso.
Impacciato dal
fucile e, forse, meno interessato dei compagni alle sorti della
prigioniera, l'esploratore si lasciò superare, mentre Uncas rimase
davanti a Heyward. Così, rocce, precipizi, e difficoltà che in altri
tempi e altre circostanze sarebbero stati considerati invalicabili,
furono superati in un tempo incredibilmente breve. Ma gli impetuosi
giovani furono ricompensati dal vedere che, impacciati dalla presenza di
Cora, gli Uroni stavano perdendo terreno.
«Fermati, cane
Wyandot!» esclamò Uncas, facendo roteare il lucente tomahawk in
direzione di Magua. «Una ragazza Delaware ti intima di fermarti!»
«Non andrò
oltre,» gridò Cora fermandosi inaspettatamente su una sporgenza della
roccia che sovrastava un profondo precipizio, non molto lontano dalla
cima della montagna. «Uccidimi se vuoi, detestabile Urone; non andrò più
oltre.»
Coloro che
sostenevano la ragazza trassero i tomahawk con l'empia gioia che si
pensa provino i demoni nel compiere i loro misfatti, ma Magua fermò le
braccia alzate. Il capo Urone, dopo aver gettato su una roccia le armi
che aveva strappato ai compagni, trasse il suo coltello e si volse verso
la prigioniera con uno sguardo in cui passioni contrastanti lottavano
furiosamente.
«Donna,»
disse, «scegli la wigwam o il coltello di Le Subtil!»
Cora non lo
guardò, ma, cadendo sulle ginocchia, alzò gli occhi e tese le braccia al
cielo dicendo con voce umile ma ancora fiduciosa:
«Sono tua! Fai
di me ciò che più ti aggrada!»
«Donna,»
ripeté Magua roco e tentando invano di cogliere uno sguardo dei suoi
occhi sereni e splendenti, «Scegli!»
Ma Cora non
udì né badò alla domanda. Il corpo dell'Urone tremava in tutte le sue
fibre ed egli levò in alto il braccio, ma lo lasciò ricadere confuso,
come incerto. Ancora una volta lottò con se stesso e risollevò l'arma
accuminata, ma proprio in quel momento si udì sopra di loro un grido
lacerante e apparve Uncas, che piombò come folle, sulla sporgenza da
un'altezza vertiginosa. Magua indietreggiò di un passo, e uno dei suoi
seguaci, approfittando dell'occasione, immerse il coltello nel seno di
Cora.
L'Urone si
lanciò come una tigre sul seguace ribelle che già si ritirava, ma il
corpo di Uncas che si abbatté su di loro separò gli snaturati
contendenti. Sviato nel suo scopo da questa interruzione e reso folle
dal delitto al quale aveva appena assistito, Magua immerse la sua arma
nel dorso chino del Delaware, emettendo un grido inumano nel commettere
quel gesto da vile. Ma Uncas si risollevò e come una pantera ferita che
si rivolta contro il nemico, colpì l'assassino di Cora che cadde ai suoi
piedi, con uno sforzo nel quale spese le ultime forze che gli venivano
meno. Poi con uno sguardo duro e fermo si volse verso Le Subtil ed
espresse con gli occhi tutto quello che avrebbe fatto se le forze non lo
avessero abbandonato. Questi afferrò il braccio inerte del Delaware che
ormai non opponeva resistenza, e infilò il coltello nel suo petto ben
tre volte prima che la vittima, sempre tenendo lo sguardo fisso sul
nemico con un'espressione di inestinguibile disprezzo, cadesse morta ai
suoi piedi.
«Pietà! Pietà!
Urone,» gridò Heyward dall'alto con voce quasi soffocata dall'orrore.
«Abbi pietà e ne riceverai!»
Agitando il
coltello verso il giovane implorante, il vittorioso Magua emise un grido
così feroce, selvaggio e tuttavia gioioso da far giungere i suoni del
suo bieco trionfo fino alle orecchie di coloro che combattevano nella
valle, un centinaio di piedi più sotto.
Un grido di
risposta proruppe dalle labbra dell'esploratore, la cui alta persona fu
vista muoversi rapida verso di lui, lungo i pericolosi dirupi, a passi
audaci e incuranti, come se possedesse il potere di camminare nell'aria.
Ma quando il cacciatore raggiunse la scena dello spietato massacro, la
sporgenza era occupata solo dai morti. Diede un solo sguardo alle
vittime, poi gettò un'occhiata alle difficoltà della salita che aveva
dinanzi.
Una figura
stava ritta sul ciglio della montagna, proprio sull'orlo dell'altezza
vertiginosa, con le braccia sollevate in un tremendo atteggiamento di
minaccia. Senza fermarsi a vedere chi fosse, Occhio di Falco alzò il
fucile, ma una roccia che cadde sulla testa di uno dei fuggitivi di
sotto, rivelò il viso dell'onesto Gamut che mandava lampi di
indignazione. Poi Magua uscì da una fenditura, e camminando con fredda
indifferenza sul corpo dell'ultimo dei suoi compagni, saltò un largo
crepaccio e si arrampicò sulle rocce, fino a un punto dove il braccio di
David non lo poteva raggiungere. Un solo balzo lo avrebbe portato sul
ciglio del precipizio, in salvo. Prima di spiccare il salto, però,
l'Urone si fermò e agitando una mano verso l'esploratore gridò:
«I visi
pallidi sono cani! I Delaware sono donne! Magua li lascia sulla roccia
per i corvi!»
Con una risata
roca, fece un salto disperato e cadde un po' al di qua del precipizio,
ma riuscì ad afferrare un arbusto che cresceva sull'orlo. La forma di
Occhio di Falco era accovacciata come quella di una bestia che sta per
spiccare il salto, e la sua intera persona tremava così violentemente di
impazienza, che la bocca del fucile spianato a metà vibrava come una
foglia agitata dal vento. Senza stancarsi con sforzi inutili, l'astuto
Magua lasciò scivolare il corpo per tutta la lunghezza delle braccia e
trovò uno spuntone su cui appoggiare i piedi. Poi, raccogliendo tutte le
sue forze, rinnovò il tentativo e riuscì a trascinare le ginocchia
sull'orlo della montagna.
Fu proprio
quando il corpo del nemico era così raccolto, che l'esploratore si portò
alla spalla l'arma vibrante. Le rocce che lo circondavano non erano più
ferme del suo fucile nell'istante in cui egli ne riversò il contenuto.
Le braccia dell'Urone si abbandonarono, e l'intero corpo cadde
leggermente riverso, mentre le ginocchia mantenevano la loro posizione.
Volgendo uno sguardo implacabile sui nemici, scosse una mano in una
sfida sinistra.
Ma la presa si
allentò e la sua scura persona fu vista fendere a capofitto l'aria, per
un fuggevole istante, finché sfiorò l'orlo degli arbusti abbarbicati
alla montagna, nel suo rapido volo verso la distruzione.
XXXIII
Essi
combatterono da coraggiosi, a lungo e bene
Ricoprirono il
suolo di Mussulmani uccisi,
Vinsero, ma
Bottaris cadde,
Sanguinando da
ogni vena.
I pochi amici
sopravvissuti videro
Il suo sorriso
quando risuonò il loro esultante urrà,
E il rosso
campo fu conquistato;
Poi videro le
sue palpebre chiuse nella morte
Calme come per
il riposo della notte,
Simili a fiori
al calar del sole.
Hallek
Il sole trovò
i Lenape in lutto il giorno successivo. Il fragore della battaglia era
finito, essi avevano saziato l'antico rancore e vendicato i recenti
dissidi con i Mengwe distruggendone l'intera comunità. La nera e
tenebrosa atmosfera che fluttuava attorno al luogo dove si erano
accampati gli Uroni, rivelava da sola la sorte della tribù nomade;
mentre centinaia di corvi che lottavano sulla fosca sommità della
montagna o svolazzavano in rumorosi stormi per le vaste distese dei
boschi, indicavano in modo terrificante il punto in cui si era svolta la
scena del combattimento. In breve, un occhio pratico dei segni di una
guerra alle frontiere, avrebbe facilmente potuto rintracciare tutti gli
infallibili indizi degli spietati resti lasciati da una vendetta
indiana.
Tuttavia, il
sole sorse sui Lenape, popolo in lutto. Non si udivano gridi esultanti
né canzoni di trionfo che accompagnassero la gioia della vittoria.
L'ultimo combattente era tornato dal suo compito mortale, soltanto per
spogliarsi dei terrificanti emblemi della sua impresa sanguinaria e
unirsi ai lamenti dei compagni, popolo afflitto. L'umiltà prese il posto
dell'orgoglio e dell'esultazione, mentre le passioni umane più feroci
erano già state seguite dalle più profonde e inequivocabili
manifestazioni di dolore.
Le capanne
erano abbandonate, ma una vasta cinta di visi seri circondava un luogo
nelle vicinanze, dove ogni essere vivente si era raccolto e dove tutti
stavano in profondo e terribile silenzio. Nonostante le differenze di
rango, sesso, età e condizione degli esseri che si erano riuniti a
formare quel muro vivente di corpi tutti erano animati da una sola
emozione. Tutti gli occhi erano fissi al centro del cerchio nel quale
stava l'oggetto di tanto comune interesse.
Sei fanciulle
Delaware, con le lunghe trecce fluenti sciolte sul seno erano in
disparte ed erano le sole a dare segni di vita: esse spargevano di
quando in quando erbe dolci e profumate o fiori della foresta su un
letto di frasche fragranti che, sotto un drappeggio funebre di abiti
indiani, portava tutto ciò che rimaneva della ardente, nobile e generosa
Cora. Il suo corpo era avvolto negli stessi semplici indumenti e il suo
viso era escluso per sempre agli sguardi degli uomini. Ai suoi piedi era
seduto Munro. La sua testa di vecchio era china fin quasi al suolo,
piegata dalla forza dei colpi della Provvidenza; ma un'angoscia
soffocata si agitava sulla sua fronte rugosa, in parte nascosta solo
dalle ciocche grigie che gli erano ricadute, neglette, sulle tempie.
Gamut era al suo fianco, con l'umile testa nuda, esposta ai raggi del
sole, mentre i suoi occhi meravigliati e turbati sembravano ugualmente
divisi tra il volumetto che conteneva tante strane ma sante massime, e
l'essere per il cui bene la sua anima anelava offrire consolazione.
Vicino c'era anche Heyward, appoggiato ad un albero, che si sforzava di
trattenere quelle improvvise manifestazioni di dolore che si addiceva
alla sua virilità di soffocare.
Ma per triste
e malinconico che fosse questo gruppo, era molto meno commovente
dell'altro che si trovava al lato opposto della stessa stanza. Seduto
come fosse vivo, col corpo e le membra sistemati in atteggiamento grave
e dignitoso, si vedeva Uncas, ricoperto dei più splendidi ornamenti che
la ricchezza della tribù aveva potuto fornire. Ricche piume ondeggiavano
sul suo capo, cinture di conchiglie, collari, bracciali e medaglie,
adornavano la sua persona a profusione, ma i suoi occhi vuoti e i
lineamenti assenti contraddicevano con troppa evidenza il vano
spettacolo di fierezza che volevano offrire.
Proprio
davanti al cadavere, c'era Chingachgook, senza armi, dipinture o
ornamenti di sorta, tranne il blasone blu splendente della sua razza,
indelebilmente impresso sul suo petto.
Per tutto il
tempo in cui la tribù era rimasta così riunita, il guerriero Mohicano
aveva mantenuto uno sguardo fermo e ansioso sul viso freddo e senza vita
del figlio. Quello sguardo era così fisso ed intenso e il suo
atteggiamento così immobile, che un estraneo non avrebbe potuto
distinguere il vivo dal morto, se non per gli occasionali guizzi dello
spirito turbato che di quando in quando attraversavano il viso scuro
dell'uno, e la calma mortale che si era impadronita per sempre dei
lineamenti dell'altro.
L'esploratore
era vicino a lui, appoggiato in atteggiamento meditabondo alla fatale,
vindice arma; mentre Tamenund, sostenuto dagli anziani della tribù
occupava un posto più alto, di dove poteva osservare la muta, afflitta
assemblea del suo popolo.
All'interno
della cerchia c'era un soldato che portava l'uniforme di un popolo
straniero: fuori c'era il suo cavallo da guerra, al centro di un gruppo
di domestici a cavallo, evidentemente pronti ad intraprendere un lungo
viaggio. L'abbigliamento dello straniero rivelava che egli occupava un
posto di responsabilità presso la persona del capo del Canada e che,
come ora si dimostrava, trovando il suo compito di pace frustrato dalla
feroce impetuosità degli alleati, si limitava a rimanere silenzioso e
triste spettatore dei frutti di una contesa che non aveva fatto in tempo
a prevenire.
Il giorno si
avvicinava alla fine della prima parte, ma la moltitudine continuava a
mantenere quel silenzio sospeso cominciato all'alba. Nessun suono più
forte di qualche singhiozzo soffocato si era udito fra loro, né un arto
si era mosso per tutto quel lungo, doloroso periodo, tranne che per
compiere le semplici e toccanti offerte che di tanto in tanto venivano
fatte in commemorazione dei morti. Soltanto la pazienza e la
sopportazione della forza indiana rendevano possibile questa apparenza
di astrazione che ora sembrava aver trasformato in pietra tutte quelle
scure e immobili figure.
Finalmente il
saggio dei Delaware allungò un braccio e, appoggiandosi alle spalle dei
compagni, si alzò con un' aria così debole che sembrava che un'altra era
si fosse frapposta fra l'uomo che si trovava davanti al suo popolo il
giorno precedente, e quello che ora vacillava sul podio.
«Uomini dei
Lenape!» disse con voce cupa, che sembrava carica di qualche missione
profetica. «La faccia di Manitù è nascosta dietro una nube! I suoi occhi
sono distolti da voi, le sue orecchie sono chiuse, la sua lingua non dà
risposta. Voi non lo vedete, tuttavia il suo giudizio è davanti a voi.
Che i vostri cuori siano aperti e i vostri spiriti non mentano. Uomini
dei Lenape! La faccia di Manitu è dietro una nube».
Il profondo e
terribile silenzio che seguì questo annuncio, quando esso ebbe raggiunto
le orecchie della moltitudine, diede l'impressione che lo spirito
venerato che adoravano avesse pronunciato quelle parole senza la
mediazione di organi umani; persino l'inanimato Uncas parve un essere
vivente, se paragonato all'umile folla sottomessa dalla quale era
circondato. Non appena però l'effetto immediato trascorse poco a poco,
basse voci murmuri intonarono una sorta di canto in onore dei morti. Il
canto era di donne, dolce e lamentoso da commuovere.
Le parole non
avevano una connessione regolare, ma come una taceva, un'altra intonava
l'elogio funebre, o lamento, comunque lo si voglia chiamare, e dava
libero sfogo alle sue emozioni nella lingua che i suoi sentimenti e la
circostanza le suggerivano. Ad intervalli, colei che parlava era
interrotta da una generale esplosione di dolore, durante la quale le
fanciulle intorno alla bara di Cora strappavano alle cieca le frasche e
i fiori dal suo corpo, come smarrite dal dolore. Ma nei momenti più
dolci del lamento, gesti emblemi di purezza e dolcezza venivano gettati
di nuovo al loro posto, con manifestazioni di tenerezza e rimpianto.
Benché rese meno comprensibili da molte interruzioni e accessi di
dolore, una traduzione delle loro parole potrebbe avere un senso che, in
sostanza avrebbe rivelato un nesso logico.
Una ragazza,
scelta per il suo rango e le sue virtù, cominciò con delicate allusioni
alle qualità del guerriero deceduto, arricchendo le espressioni con
quelle immagini orientali che gli indiani hanno probabilmente portato
con sé dagli estremi confini dell'altro continente, e che costituiscono
un legame fra le storie dei due mondi. Ella lo chiamava «pantera della
sua tribù», e lo descriveva come uno i cui mocassini non lasciano
traccia sulla rugiada, il cui balzo era come quello del cerbiatto, i cui
occhi erano più lucenti di una stella nella scura notte e la cui voce in
battaglia era alta come il tuono di Manitu. Gli ricordò la madre che lo
aveva portato in seno e si soffermò a lungo sulla felicità che ella
doveva aver provato nell'aver un simile figlio. Lo pregò di dirle,
quando l'avesse incontrata nel mondo degli spiriti, che le ragazze
Delaware avevano sparso lacrime sulla tomba di suo figlio e l'avevano
chiamata benedetta.
Poi, quelle
che seguirono, cambiando tono in una melodia ancora più dolce e tenera,
allusero, con la delicatezza e la sensibilità femminili, alla fanciulla
straniera che aveva lasciato questa terra con lui, così da rendere la
volontà del Grande Spirito troppo chiara per essere trascurata. Lo
ammonirono di essere gentile con lei e di tener conto che ella ignorava
quelle arti così necessarie al conforto di un guerriero come lui.
Indugiarono sulla sua pura bellezza e la sua nobile fermezza, senza
ombra di invidia, e deliziate come si pensa siano gli angeli di fronte a
meriti superiori, aggiungendo che queste qualità sarebbero state più che
sufficienti a rimediare alle lievi imperfezioni delle sua educazione.
Dopo di che
altre, nella dovuta successione, parlavano alla fanciulla stessa, nel
basso, dolce linguaggio della tenerezza e dell'amore. La esortarono ad
essere allegra e di non temere nulla per il suo futuro. Sarebbe stato
suo compagno un cacciatore che sapeva come provvedere ai suoi minimi
bisogni; e al suo fianco c'era un guerriero in grado di proteggerla da
ogni pericolo. Le promisero che il suo sentiero sarebbe stato piacevole
e il fardello lieve, la ammonirono a non aver rimpianti per gli amici
della giovinezza e per i luoghi dove dimorarono i suoi padri,
assicurandole che i «benedetti terreni di caccia dei Lenape» avevano
valli amene, torrenti puri e fiori dolci come quelli del «paradiso dei
visi pallidi». La consigliarono di essere attenta ai desideri del suo
compagno e di non dimenticare mai la differenza che Manitu aveva tanto
saggiamente stabilito fra di loro.
Poi, in
un'appassionata esplosione, cantarono in coro l'indole dello spirito del
Mohicano. Lo chiamarono nobile, coraggioso e generoso, in possesso di
tutto ciò che si addiceva a un guerriero e che una fanciulla poteva
amare. Celando le proprie idee nelle più remote e sottili immagini,
rivelarono che, nel breve periodo in cui lo avevano conosciuto, avevano
scoperto, con l'intuito del loro sesso, le inclinazioni del suo spirito.
Le fanciulle Delaware non avevano incontrato il suo favore! Egli era di
una razza che un tempo era stata signora delle sponde del lago salato, e
i suoi desideri lo avevano condotto verso un popolo che abitava presso
le tombe dei suoi padri. Perché non incoraggiare questa predilezione!
Che ella avesse un sangue più puro e più ricco degli altri del suo
popolo, era chiaro solo a guardarla. Che era pari ai pericoli e ai
rischi di una vita nei boschi, la sua condotta lo aveva provato; ed ora,
aggiunsero, il «saggio della terra» l'aveva trapiantata in un luogo dove
avrebbe trovato spiriti affini e avrebbe potuto essere felice per
sempre.
Poi, con un
altro cambiamento di tono e di argomento, fecero allusioni alla vergine
che piangeva nella capanna adiacente. La paragonarono ai fiocchi di
neve: pura, bianca, vivida e soggetta a sciogliersi all'ardente calura
estiva o a congelare al gelo dell'inverno. Esse non dubitavano che fosse
gradita agli occhi del giovane capo, la cui pelle e il cui dolore
apparivano tanto simili ai suoi; ma benché lungi dall'esprimere una
preferenza, era evidente che la giudicavano meno meritevole della
fanciulla che ora piangevano. Non le negarono però quegli attributi che
il suo fascino poteva giustamente reclamare. I suoi riccioli furono
paragonati ai rigogliosi viticci, i suoi occhi all'azzurra volta
celeste, e la nube più pura tra le splendenti vampe del sole fu
dichiarata meno attraente della sua freschezza.
Durante questi
e simili canti, non si udiva altro che il mormorio della musica,
interrotto com'era, o piuttosto reso terribile, dalle violente
espressioni di dolore del coro. Anche i Delaware ascoltavano come
rapiti, ed era molto evidente, dai mutamenti dei loro volti espressivi,
quanto profonda e sincera fosse la loro commozione. Persino David non si
trattenne dal porgere orecchio a toni così dolci; e molto prima che il
canto finisse, il suo sguardo rivelò che la sua anima era soggiogata.
L'esploratore
che, solo tra i bianchi, comprendeva le parole, abbandonò un po'
l'atteggiamento meditabondo e piegò il viso da un lato per coglierne il
significato, man mano che le fanciulle procedevano. Ma quando esse
parlarono delle future prospettive di Cora e Uncas, scosse il capo come
chi conoscesse l'errore del loro semplice credo, e riprendendo
l'atteggiamento abbandonato lo mantenne finché la cerimonia - se
cerimonia si può chiamare questo rito così pregno di sentimento - fu
terminata. Fortunatamente per i sentimenti di Heyward e di Munro, essi
non conoscevano il significato dei suoni appassionati che udivano.
Chingachgook
costituiva la sola eccezione all'interesse manifestato dagli indigeni
presenti. Il suo sguardo non mutò per tutta la durata della scena, né un
muscolo del suo viso rigido si mosse, nemmeno nei momenti più
appassionati e patetici del lamento funebre. I freddi, inanimati resti
del figlio erano tutto per lui, e ogni senso pareva in lui raggelato,
tranne quello della vista, così che i suoi occhi potessero gettare un
ultimo sguardo a quei lineamenti che aveva tanto amato e che ora stavano
per essergli nascosti per sempre.
A questo punto
delle onoranze funebri, un guerriero, molto rinomato per le sue imprese,
e in particolare per le prestazioni nel recente combattimento, un uomo
dall'aria risoluta e grave, uscì lentamente dalla folla e si mise vicino
al morto.
«Perché ci hai
lasciato, orgoglio dei Wapanachki?» disse rivolgendosi alle orecchie
sorde di Uncas, come se la vuota argilla mantenesse le facoltà dell'uomo
animato. «La tua vita è stata come quella del sole tra gli alberi, la
tua gloria più splendente della sua luce a mezzogiorno. Te ne sei
andato, giovane guerriero, ma cento Wyandot sgombrano dai rovi il tuo
sentiero verso il mondo degli spiriti. Chi, di quelli che ti hanno visto
in battaglia, avrebbe creduto che tu potessi morire? Chi prima di te ha
mostrato a Uttawa la via alla lotta? I tuoi piedi erano come le ali
dell'aquila, il tuo braccio più pesante dei rami che cadono dal pino, e
la tua voce come quella di Manitu quando parla fra le nuvole. La lingua
di Uttawa è debole,» aggiunse guardandosi attorno con sguardo
malinconico, «e il suo cuore troppo pesante. Orgoglio dei Wapanachki,
perché ci hai lasciato?»
Fu seguito da
altri in un ordine prestabilito, finché la maggior parte degli uomini
più valorosi e distinti della tribù ebbero offerto il loro tributo di
preghiere, con canti o parole, in onore del capo morto. Quando tutti
ebbero finito, un silenzio profondo e sospeso tornò a regnare.
Poi si udì un
basso suono profondo, simile all'accompagnamento soffocato di una musica
lontana, che si levava abbastanza alto nell'aria da essere udito, e
tuttavia così indistinto da lasciare materia di dubbio sul suo carattere
e sul luogo donde provenisse. Fu tuttavia seguito da un'altro canto, poi
da un altro ancora, ciascuno in chiave sempre più alta, finché giunse
alle orecchie, prima in esclamazioni strascicate e ripetute, e
finalmente a parole. Le labbra di Chingachgook erano abbastanza
dischiuse da rivelare che si trattava della monodia del padre. Benché
non un occhio fosse volto verso di lui, né venisse mostrato il minimo
segno di impazienza, era chiaro dal modo in cui le teste della
moltitudine si levarono per ascoltare, che essi erano assorbiti dai
suoni con un'intensità e un'attenzione che nessuno, tranne Tamenund in
persona, aveva mai suscitato prima. Ma ascoltarono invano. I suoni
divennero abbastanza forti da essere percettibili, poi divennero più
deboli e tremuli finché caddero, come portati via da un soffio di vento
di passaggio. Le labbra del Sagamore si chiusero ed egli rimase seduto
in silenzio, con gli occhi fissi e la persona immobile, simile a una
creatura uscita dalle mani dell'Onnipotente con la forma, ma senza lo
spirito di un uomo. I Delaware, che sapevano da questi segni che l'animo
dell'amico non era ancora pronto ad affrontare una così dura prova di
forza, distolsero l'attenzione da lui, e con innata delicatezza
sembrarono rivolgere i pensieri alle esequie della fanciulla straniera.
Uno dei capi
anziani diede il segnale alle donne che affollavano la parte del cerchio
dove giaceva Cora. Obbedienti, le donne sollevarono la bara all'altezza
del loro capo e avanzarono a passi lenti e regolari, intonando, mentre
procedevano, un'altra lamentazione in onore della morta. Gamut, che era
stato osservatore attento dei riti che giudicava tanto pagani, si chinò
sulla spalla del padre affranto e mormorò:
«Stanno
andandosene con le spoglie della vostra figliola, non vogliamo seguire e
vedere di dar loro una sepoltura cristiana?»
Munro
sussultò, come se le trombe del giudizio avessero risuonato alle sue
orecchie, e gettando un'occhiata rapida e ansiosa attorno, si alzò e
seguì il semplice corteo, con l'aspetto di un soldato, ma portando tutto
il peso del suo dolore di padre. I suoi amici gli stavano vicini con un
dolore troppo forte per essere definito semplice partecipazione. Persino
il giovane francese si era unito alla processione con l'aria di un uomo
sensibilmente toccato per la fine prematura di una donna tanto bella. Ma
quando anche l'ultima e più umile donna della tribù fu unita alla strana
e tuttavia ordinata schiera, gli uomini di Lenape strinsero il cerchio e
lo riformarono attorno alla persona di Uncas, silenziosi, gravi e
immobili come prima.
Il luogo
scelto per la sepoltura di Cora era una montagnola dove aveva messo
radici un gruppo di pini giovani e robusti che gettavano sul luogo
un'ombra melanconica e appropriata. Quando vi arrivarono le ragazze
depositarono il loro peso e continuarono per parecchi minuti ad
aspettare, con la tipica pazienza e discrezione degli indigeni, che
coloro i cui sentimenti erano maggiormente implicati dessero qualche
segnale per la sistemazione. Alla fine l'esploratore, che era il solo a
comprendere i loro costumi, disse nella loro lingua:
«Le mie
figliole hanno fatto bene, i bianchi le ringraziano.»
Soddisfatte di
questa prova di riconoscenza le fanciulle depositarono il corpo in una
bara, fabbricata ingegnosamente e non senza eleganza con una corteccia
di betulla, dopo di che la calarono nella sua scura, ultima dimora. La
cerimonia di coprire i resti e di nascondere i segni della terra fresca
con foglie e altri consueti oggetti, fu compiuta nella stessa forma
semplice e silenziosa. Ma quando le fatiche di questi esseri gentili che
avevano eseguito il triste e amichevole ufficio furono terminate, esse
esitarono mostrando di non sapere come procedere. Fu a questo punto del
rito che l'esploratore si rivolse di nuovo a loro:
«Le mie
giovanì donne hanno fatto abbastanza,» disse. «Lo spirito dei visi
pallidi non ha bisogno di cibo o vesti, perché la disposizione della
loro anima si accorda al cielo della loro razza. Vedo,» aggiunse
gettando un'occhiata a David che stava disponendo il libretto in modo da
manifestare la sua intenzione di intonare un canto sacro, «che uno che
conosce meglio le usanze cristiane sta per parlare.»
Le fanciulle
si mantennero con modestia da una parte e, dopo essere state le attrici
principali della scena, divennero umili e attente spettatrici di quanto
seguì. Mentre David si impegnava a riversare i pii sentimenti del suo
spirito, non sfuggì loro alcun segno di sorpresa, né uno sguardo
impaziente. Ascoltarono come se comprendessero il significato di quelle
strane parole e sembravano provare insieme il dolore, la speranza e la
rassegnazione che esse intendevano comunicare.
Infervorato
dalla scena alla quale aveva appena assistito e forse influenzato anche
dalle sue segrete emozioni, il maestro di canto superò se stesso. La sua
voce piena e ricca non soffrì al paragone dei dolci toni delle fanciulle
e la sua melodia più modulata possedeva, almeno per coloro cui era
particolarmente dedicata, la forza della comprensibilità. Finì l'inno
come lo aveva cominciato: in mezzo a un silenzio grave e solenne.
Quando però la
cadenza finale giunse alle orecchie degli ascoltatori, occhiate timorose
e un generale ma soffocato moto della piccola folla, rivelarono che ci
si aspettava qualcosa dal padre della morta. Munro parve rendersi conto
che era venuto per lui il momento di compiere quello che è, forse, lo
sforzo maggiore di cui sia capace l'animo umano. Scoprì la testa grigia
e volse lo sguardo alla timida e silenziosa folla che lo circondava con
viso fermo e composto. Poi, facendo cenno all'esploratore di ascoltare,
disse:
«Dite a queste
gentili e delicate fanciulle che un uomo dal cuore spezzato e in declino
le ringrazia. Dite loro che l'Essere che noi tutti adoriamo sotto nomi
diversi, terrà conto della loro carità, e che non è lontano il tempo in
cui ci ritroveremo davanti al Suo trono senza distinzione di sesso,
rango, o colore.»
L'esploratore
ascoltò la voce tremula con cui il veterano pronunciò queste parole e
scosse lentamente il capo quando terminarono, come dubitasse della loro
efficacia.
«Dire questo a
loro,» disse, «sarebbe come dire che la neve non viene d'inverno o che
il sole splende più caldo quando gli alberi sono spogli.»
Poi,
volgendosi alle donne, comunicò loro la gratitudine dell'altro nel modo
che giudicava più adatto alle capacità delle ascoltatrici. La testa di
Munro era già ricaduta sul petto e stava già sprofondando nella
maliconia, quando il giovane francese nominato prima, osò toccargli
leggermente il gomito. Non appena ebbe attirato l'attenzione del vecchio
afflitto, indicò un gruppo di giovani indiani che si avvicinavano con
una portantina leggera ma accuratamente coperta, poi indicò il sole.
«Vi comprendo,
signore», replicò Munro con voce forzatamente ferma, «vi comprendo. È la
volontà del cielo e io vi soggiacio. Cora, bambina mia! Se le preghiere
di un padre straziato potessero giovarti, quanto saresti benedetta!
Venite, signori,», aggiunse guardandosi attorno con aria di nobile
compostezza, benché l'angoscia che tremava sul suo viso spento fosse
troppo forte per essere nascosta, «il nostro compito qui è finito;
andiamo.»
Heyward obbedì
volentieri a un invito che lo allontanava da un luogo dove ad ogni
istante sentiva che l'autocontrollo lo stava abbandonando. Mentre i
compagni salivano, però, trovò il tempo di stringere la mano
dell'esploratore e di ripetere i termini di un impegno che avevano preso
di incontrarsi entro le postazioni dell'esercito britannico. Poi,
balzando lietamente in sella, spronò il cavallo verso il fianco della
portantina dove singhiozzi bassi e soffocati erano i soli segni della
presenza di Alice. Così, Munro con la testa di nuovo piegata sul petto,
Heyward e David che seguivano in doloroso silenzio e scortati
dall'aiutante di Montcalm con la guardia, tutti i bianchi ad eccezione
di Occhio di Falco, passarono davanti agli occhi dei Delaware, e presto
furono inghiottiti dalla foresta.
Ma il legame
che, attraverso le comuni calamità, aveva unito i sentimenti di questi
semplici abitanti dei boschi agli stranieri che li avevano visitati in
modo così fugace, non furono facilmente spezzati. Passarono anni prima
che la leggenda della fanciulla bianca e del giovane guerriero Mohicano
cessasse di ingannare il tempo nelle lunghe notti e nelle tediose marce,
o di risvegliare nei giovani e nei coraggiosi il desiderio di vendetta.
Né furono dimenticati gli attori secondari di questi avvenimenti. Con la
mediazione dell'esploratore che per anni servì da legame fra loro e la
vita civile, appresero che «Testa Grigia» si riunì presto ai suoi padri
- sopraffatto, come essi erroneamente credevano, dalle disgrazie
militari - e che ‹Mano Aperta› aveva condotto la figlia sopravvissuta
lontano, nelle colonie dei visi pallidi, dove le sue lacrime avevano
finalmente cessato di scorrere ed erano state seguite da quei sorrisi
luminosi che meglio si addicevano alla sua gaia natura.
Ma questi
avvenimenti riguardano un tempo successivo a quello del nostro racconto.
Lasciato da tutti quelli del suo colore, Occhio di Falco ritornò al
luogo dove lo spingevano le sue tendenze, con una forza che nessun
vincolo ideale può dare. Arrivò appena in tempo per gettare uno sguardo
di addio ai lineamenti di Uncas che i Delaware stavano già avvolgendo
nei suoi ultimi abiti di pelle. Essi si fermarono per lasciare che il
risoluto uomo dei boschi gli gettasse un appassionato e prolungato
sguardo, e quando questo ebbe fine, il corpo fu avvolto per non essere
mai più scoperto. Seguì una processione come quella precedente, e
l'intera tribù si raccolse attorno alla temporanea tomba del capo -
temporanea perché si era convenuto che, in futuro, le sue ossa avrebbero
riposato tra quelle del suo popolo.
Il movimento,
come il sentimento, fu simultaneo e generale. Attorno al luogo della
sepoltura venne mantenuta la stessa solenne espressione di dolore, lo
stesso stretto silenzio e la stessa deferenza a colui che soffriva più
di tutti, come abbiamo già descritto. Il corpo fu deposto in
atteggiamento di riposo, col viso rivolto al sole nascente con in mano
gli arnesi da guerra e di caccia, pronto per il viaggio finale. Venne
lasciata un'apertura nella bara che lo proteggeva dal suolo, in modo che
lo spirito potesse comunicare con la sua dimora terrena quando fosse
necessario, e il tutto fu protetto dalla voracità e dagli assalti delle
bestie da preda, con ingegnosità caratteristica degli indigeni. Così
finirono i riti materiali e tutti i presenti si volsero alla parte più
spirituale della cerimonia.
Chingachgook
ridiventò oggetto della comune attenzione. Egli non aveva ancora
parlato, e ci si aspettava qualcosa di consolante e istruttivo da un
capo così rinomato, in un'occasione di tanto interesse. Conscio dei
desideri del popolo, il guerriero fermo e contenuto, levò il viso che
fino a quel momento era rimasto sprofondato nell'abito e si guardò
attorno con occhio risoluto. Le sue labbra serrate ed espressive si
dischiusero, e per la prima volta nella lunga cerimonia, si udì
distintamente la sua voce.
«Perché si
lamentano i miei fratelli?» disse, guardando la scura stirpe di
guerrieri afflitti che lo circondavano «Perché piangono le mie figlie?
Forse perché un giovane è andato verso i felici terreni di caccia;
perché un capo ha compiuto i suoi giorni con onore? Egli era buono, era
rispettoso, era coraggioso. Chi può negarlo? Manitu aveva bisogno di un
simile guerriero e lo ha chiamato a sé. Quanto a me, figlio e padre di
Uncas, sono un pino schiantato nella radura dei visi pallidi. La mia
razza se n'è andata dalle sponde del lago salato e dalle colline dei
Delaware. Ma chi può dire che il Serpente della sua tribù ha dimenticato
la sua saggezza? Io sono solo...»
«No, no!»
esclamò Occhio di Falco, che aveva osservato con sguardo ardente i
rigidi lineamenti dell'amico con una sorta di padronanza di sé simile
alla sua, ma divenuto ormai insopportabile per lui. «No, no, Sagamore,
non solo. Forse gli attributi delle nostre razze sono diversi. Ma Dio ci
ha messi vicini, così che potessimo percorrere lo stesso sentiero. Io
non ho famiglia, e come te posso dire di non avere un popolo. Egli era
tuo figlio e un pellerossa di nascita, e forse il tuo sangue era più
vicino al suo. Ma se mai io dimenticherò il ragazzo che tanto spesso ha
combattuto al mio fianco in guerra e dormito vicino a me in pace, possa
Colui che ha creato noi tutti, comunque siano il nostro colore e le
nostre inclinazioni, dimenticarmi. Il ragazzo ci ha lasciato, ma
Sagamore, tu non sei solo.»
Chingachgook
afferrò la mano che nel calore dei sentimenti l'esploratore gli aveva
teso attraverso la terra fresca, e in questo atteggiamento di amicizia i
due risoluti e intrepidi uomini dei boschi chinarono il capo insieme,
mentre lacrime cocenti cadevano ai loro piedi e bagnavano la tomba di
Uncas come gocce di pioggia.
Nel terribile
silenzio che accolse questo prorompere di sentimenti dei due più
rinomati guerrieri della regione, Tamenund levò la voce per disperdere
la moltitudine. «Basta,» disse, «Andate, figli dei Lenape, la collera di Manitu non è finita. Perché dovrebbe rimanere Tamenund? I visi pallidi sono signori della terra, e l'ora dei pellerossa non è ancora tornata. Il mio giorno è stato troppo lungo. Nel mattino ho visto i figli di Unamis felici e forti, e tuttavia, prima che giungesse la notte ho visto l'ultimo guerriero della saggia razza dei Mohicani». |