di J. Fenimore Cooper |
Introduzione
dell'autore
Si ritiene che la scena di
questo racconto, così come la maggior parte delle notizie necessarie per
comprenderne i riferimenti, siano resi in modo sufficientemente chiaro
nel testo stesso o nelle note d'accompagnamento. Tuttavia i punti oscuri
delle tradizioni indiane sono così tanti, e tale è la confusione ancora
esistente nei nomi indiani, da imporre la necessità di qualche
spiegazione. Pochi uomini rivelano maggiori diversità o, se così si può
dire, maggiori antitesi di carattere, del guerriero oriundo del Nord
America. In guerra egli è audace, spaccone, astuto, spietato, frugale,
altruista; in pace è giusto, generoso, ospitale, vendicativo,
superstizioso, modesto, e generalmente casto. Naturalmente tutti questi
attributi non sono propri a ciascuno di loro, ma sono talmente la parte
predominante delle caratteristiche di questo popolo da costituirne la
peculiarità.
In generale si crede che gli
aborigeni del continente americano abbiano un'origine asiatica. Vi sono
particolarità fisiche e morali che confermano questa teoria, mentre
altre tuttavia la negano.
L'autore ritiene che il colore
della loro pelle sia proprio agli indiani stessi, e, mentre gli zigomi
suggeriscono con forte evidenza una origine tartara, non si può dire lo
stesso degli occhi. Il clima può aver influenzato fortemente i primi, ma
è difficile dire come abbia potuto provocare la sostanziale differenza
che esiste nei secondi. L'immaginazione degli indiani, tanto nella
poesia che nella eloquenza è orientale, raffinata e, forse resa migliore
dal limitato livello di cultura.
L'indiano trae le metafore dalle
nuvole, dalle stagioni, dagli uccelli, dalle bestie e dal mondo
vegetale. In tutto ciò, forse, egli non fa più di quanto non farebbe
qualsiasi altro popolo fornito di energia ed immaginazione il quale sia
costretto a porre dei limiti alla fantasia attraverso l'esperienza. Ma
il nord americano veste le proprie idee di panni diversi da quelli
dell'africano ed è in sé orientale. La sua lingua ha la ricchezza e la
pienezza sentenziosa dei cinesi. Egli esprime una frase con una sola
parola e sintetizza il significato di una intera proposizione in una
sillaba; o addirittura riassume diversi concetti mediante la più
semplice inflessione della voce.
I filologi hanno detto che, se
si vuol essere precisi, non vengono parlate che due o tre lingue tra le
numerose tribù che un tempo occupavano il territorio ora facente parte
degli Stati Uniti. Essi attribuiscono la nota difficoltà che un popolo
ha nel capire l'altro, alle corruzioni e ai dialetti. Lo scrittore
ricorda di essere stato presente ad un'intervista tra due capi delle
grandi praterie ad ovest del Mississippi, e in quell'occasione essi si
servirono di un interprete che parlava le due lingue. I guerrieri
avevano un'aria amichevole e apparentemente parlarono molto, tuttavia,
secondo quanto riferì l'interprete, ciascuno di loro ignorava
completamente quanto l'altro stava dicendo. I due appartenevano a tribù
ostili ed erano arrivati ad un accordo sotto l'influenza del governo
americano; inoltre è degno di nota il fatto che una politica comune li
portasse a scegliere un comune argomento. Ognuno di essi esortava
l'altro a mettersi a disposizione nel caso che gli eventi della guerra
gettassero l'una o l'altra delle parti nelle mani del nemico.
Qualunque sia la verità riguardo
alle origini e allo spirito delle lingue indiane, è certo che ora esse
hanno termini tanto diversi, da presentare la maggior parte degli
svantaggi propri alle lingue sconosciute. Ecco la ragione di tutto
l'imbarazzo sorto nell'apprendere la storia degli indiani, nonché di
molte delle incertezze ancora esistenti circa le loro tradizioni.
Come le nazioni di più alte
pretese, gli indiani d'America forniscono un'immagine della loro tribù o
razza molto diversa da quella data dagli altri popoli. Sono molto
inclini a sopravvalutare la propria perfezione e a sottovalutare quella
dei rivali o nemici: e ciò potrebbe essere una conferma del racconto di
Mosè sulla Creazione.
Inoltre, l'abitudine dei bianchi
a corrompere i nomi ha contribuito in larga parte a rendere più oscure
le tradizioni degli aborigeni. Perciò il termine usato nel titolo di
questo libro ha subito dei cambiamenti: da Mahicanni a Mohicani, poi
Mohegani. L'ultimo di questi era il termine comunemente usato dai
bianchi. Basterebbe ricordare che gli olandesi (i primi ad insediarsi a
New York), inglesi e francesi poi, diedero ciascuno un proprio
appellativo alle diverse tribù che abitavano il paese scenario della
nostra storia; e insieme ricordare che gli stessi indiani attribuivano
nomi diversi non solamente ai loro nemici, ma anche a se stessi, per
comprendere definitivamente la causa di tanta confusione.
In queste pagine, Lenni-Lenape,
Lenope, Delawares, Wapanachki e Mohicani indicano tutti lo stesso popolo
o tribù della stessa razza. I Mengwa, i Maqua, i Mingo e gli Irochesi,
anche se non sono propriamente gli stessi vengono unificati dal
narratore perché sono politicamente confederati ed in opposizione a
quelli nominati prima. Mingo era un termine strano indicante disonore,
così come, ma in minor misura, Mengwa e Maqua.
I Mohicani possedevano il
territorio che fu il primo ad essere occupato dagli europei in questa
parte del continente, di conseguenza essi furono i primi ad essere
spodestati.
Il destino apparentemente
inesorabile di tutti questi popoli - i quali scompaiono davanti alla
marcia o, per meglio dire, alle incursioni della civiltà, così come
scompare la verzura delle loro foreste native davanti alla morsa del
gelo - essi se lo rappresentano come se tutto fosse già accaduto. C'è
abbastanza verità storica nella descrizione da giustificare l'uso che ne
è stato fatto.
In realtà, il paese che fa da
sfondo al racconto che segue ha subito piccoli cambiamenti da quando gli
eventi storici cui si allude hanno avuto luogo, così come sono cambiate
tutte le altre zone di uguale estensione che si trovano entro i confini
degli Stati Uniti. Esistono ora stazioni climatiche alla moda e ben
frequentate nei dintorni della fonte ove Occhio di Falco si fermava a
bere, e strade attraversano quelle foreste che egli e i suoi amici erano
costretti a percorrere senza nemmeno un sentiero. A Glenn v'è un grosso
villaggio, e mentre William Henry e persino fortezze di datazione più
recente sono da indicarsi solo come rovine, ora c'è un altro villaggio
sulle rive dell'Horican. Ma, al di là di ciò, le imprese e le energie di
un popolo che ha fatto tanto altrove, non hanno per nulla influito qui.
Tutto quanto era selvaggio al tempo in cui si svolsero gli ultimi
episodi della leggenda resta tuttora pressocché selvaggio, anche i
pellerossa hanno completamente abbandonato questa parte degli stati.
Di tutte le tribù menzionate in
queste pagine esistono ancora i pochi esemplari semicivilizzati degli
Oneida che vivono nelle riserve assegnate loro dallo Stato di New York.
Tutte le altre sono scomparse, sia dalle regioni dei loro padri che, in
generale, dalla faccia della terra.
C'è un punto ancora sul quale
desideriamo spendere una parola prima di chiudere la prefazione.
Occhio di Falco chiama «Horican»
il Lac du Saint Sacrement. Poiché riteniamo si tratti da parte
nostra di una appropriazione del nome, forse è venuto il momento di
ammettere la cosa. Mentre questo libro veniva scritto, un quarto di
secolo fa, ci accorgemmo che il nome francese di questo lago era troppo
complicato, quello americano troppo banale, e quello indiano quasi
impronunciabile, tanto che nessuno di essi poteva essere usato
familiarmente in un'opera di fantasia. Esaminando una vecchia mappa si
riuscì ad accertare che una tribù di indiani, chiamata «Les Horicans»,
dai francesi, abitava le vicinanze di questo magnifico specchio d'acqua.
Poiché non si poteva accettare ogni parola pronunciata da Natty Bumppoo
come pura verità, ci siamo presi la libertà di fargli dire «Horican» al
posto di «Lago George». La parola pare avere avuto accoglienza
favorevole e, tutto considerato, è forse lo stesso se la manteniamo
invece di risalire fino alla Casa degli Hannover per dare un nome al
nostro specchio d'acqua più bello.
Fatta questa confessione per
scarico di coscienza, lasciamo che essa eserciti la sua autorità come
meglio ritiene.
Il mio orecchio è aperto e il
mio cuore preparato:
Il peggio che puoi rivelarmi è
perdita terrena:
Dimmi: ho perduto il segno?
Shakespeare
Era caratteristica tipica delle
guerre coloniali del Nord America che le fatiche e i pericoli di quelle
terre selvagge dovessero essere affrontati ancor prima d'incontrare il
nemico. Grandi ed impervie foreste delimitavano i possedimenti delle
province nemiche inglesi e francesi. Il duro colonizzatore e il civile
europeo che combatteva al suo fianco, spesso perdevano mesi nella lotta
contro le rapide e le correnti, o nel varcare gli ardui passi delle
montagne alla ricerca di un'opportunità per mostrare il loro coraggio in
più bellicosi cimenti. Ma, nell'emulare la pazienza e l'abnegazione
degli esperti guerrieri del luogo, essi imparavano a superare ogni
difficoltà; e, col tempo, sembrò che non ci fosse recesso di bosco
sufficientemente oscuro, né luogo segreto abbastanza solitario, da poter
evitare le incursioni di coloro che avevano impegnato la vita per
appagare la propria sete di vendetta, o per sostenere la fredda ed
egoistica politica dei lontani monarchi d'Europa.
Forse nessuna regione, in tutta
la vasta estensione delle frontiere intermedie, può fornire un quadro
così vivo della crudeltà e della ferocia della selvaggia guerra di quei
tempi, come il paese che si trova tra il corso superiore dell'Hudson e i
laghi adiacenti.
In quei luoghi le facilitazioni
che la natura offriva alla marcia dei combattenti erano troppo evidenti
perché venissero trascurate. Lo specchio d'acqua di forma allungata del
Champlain si estendeva in profondità dalle frontiere del Canadà fino ai
confini della vicina provincia di New York, formando un passaggio
naturale lungo metà della zona che i francesi erano costretti a tenere
in pugno per combattere i loro nemici. Vicino alla punta sud esso
riceveva l'apporto di un altro lago, le cui acque erano così limpide da
essere state scelte in esclusiva dai missionari Gesuiti per compiervi la
tipica purificazione del battesimo; tanto che ottenero per esso il
titolo di lago «du Saint Sacrement». Gli inglesi, sono meno zelanti,
ritennero di avere conferito sufficiente onore alle sue pure fonti
quando gli attribuirono il nome del loro principe regnante, il secondo
della casa degli Hannover. Ma, insieme, inglesi e francesi defraudarono
gli indifesi possessori di quel paesaggio ricco di boschi, del loro
diritto naturale a perpetuarne l'appellativo di «Horican».
Serpeggiando fra le innumerevoli
isole, incassato fra le montagne, il «lago sacro» si estendeva per una
dozzina di leghe più giù, verso sud. Con l'altopiano, che colà si
frapponeva alle acque, aveva inizio un passaggio via terra che
conduceva, colui che vi si avventurasse, alle rive dell'Hudson, in un
punto in cui, nonostante le solite difficoltà causate dalle rapide, o
cateratte - come erano chiamate allora nella lingua del luogo - il fiume
diventava navigabile fino al mare.
Nel perseguire audaci piani di
disturbo, la incessante intraprendenza dei francesi era diretta persino
alle lontane e difficili gole degli Alleghiani, e si può facilmente
immaginare che il loro proverbiale acume non si sarebbe lasciato
sfuggire i vantaggi naturali della regione appena descritta. Essa
divenne senza dubbio la sanguinosa arena nella quale furono combattute
la maggior parte delle battaglie per il possesso delle colonie. Vennero
eretti forti nei diversi punti che dominavano l'accesso alla strada,
essi venivano espugnati e riespugnati, rasi al suolo e ricostruiti, ogni
volta che la vittoria arrideva ai nemici. Mentre gli agricoltori si
ritiravano dai passaggi pericolosi per rifugiarsi entro i sicuri confini
del nucleo più antico, si vedevano eserciti, più grandi di quelli che
avevano spesso deciso le sorti degli scettri del paese d'origine,
immergersi in queste foreste, da cui tornavano raramente e in bande
scheletriche, stravolti dalle fatiche o scoraggiati dalla sconfitta.
Benché le arti pacifiche fossero sconosciute in questa infausta regione,
le sue foreste erano piene di uomini; tra i suoi recessi e le sue forre
risuonavano musiche marziali e l'eco delle montagne restituiva le risate
o ripeteva il grido sfrenato di molti giovani audaci ed incauti che vi
si gettavano per trovarvi il letargo della lunga notte di oblio. I fatti
che tenteremo di narrare si svolsero in questa atmosfera di lotta e
spargimento di sangue, durante il terzo anno dell'ultima guerra
combattuta tra Francia e Inghilterra per il possedimento di quel paese
che né l'una né l'altra era poi destinata a mantenere.
La stupidità dei capi militari
all'estero e la fatale mancanza di energia delle decisioni all'interno,
avevano fatto sì che la Gran Bretagna fosse costretta a rinunciare a
quell'orgogliosa posizione che le avevano guadagnato il talento e le
imprese dei suoi primi guerrieri e statisti.
Non più temuta dai nemici,
coloro che la servivano stavano rapidamente perdendo la fiducia dovuta
al rispetto di sé. In una decadenza tanto mortificante, i colonizzatori,
benché non responsabili di questa dabbenaggine, e in posizione troppo
subordinata per essere i veri colpevoli di questi errori, ne erano
tuttavia i complici naturali. Essi avevano da poco visto un esercito
scelto, proveniente da quel paese che riverivano come una madre, e che
avevano ciecamente creduto invincibili. Tale esercito, pur avendo a capo
un condottiero distintosi per le sue rare doti militari tra un gran
numero di soldati addestrati, era stato brutalmente costretto alla fuga
da un manipolo di francesi e indiani, e infine salvato
dall'annientamento solo grazie al sangue freddo e alla presenza di
spirito di un ragazzo della Virginia, la cui fama si è da allora diffusa
con la forza delle verità morali, fino agli estremi confini della
cristianità. Una vasta frontiera era rimasta indifesa a causa di questo
inatteso disastro, e mali reali furono preceduti da mille pericoli
fantastici ed immaginari. Gli allarmati colonizzatori, ad ogni
irrequieto soffio di vento che proveniva dalle immense foreste
dell'Ovest, ormai credevano vi fossero mescolati gli urli dei selvaggi.
Il carattere terrificante dei loro impietosi nemici aumentava a
dismisura gli orrori naturali della guerra. Innumerevoli recenti
massacri erano ancora vivi nella loro memoria, né vi era orecchio, in
quelle province, tanto sordo da non aver ascoltato avidamente il
racconto di qualche storia spaventosa di assassini a mezzanotte, nella
quale gli indigeni della foresta erano i principali, barbari
protagonisti. Quando il credulo ed eccitato viaggiatore riferiva dei
rischi corsi nelle terre selvagge, il sangue si agghiacciava nelle vene
dei pavidi, e le madri gettavano occhiate ansiose persino ai bambini che
sonnecchiavano al sicuro nelle città più grandi. In breve, il controllo
della ragione cominciò a non avere più effetto a causa dell'influenza
deformante della paura e ciò rese coloro che avrebbero dovuto ricordare
la propria natura umana, schiavi delle più basse passioni. Persino i
cuori più fiduciosi e saldi cominciarono a dubitare dell'esito della
contesa; e di ora in ora aumentava il numero della categoria abbietta di
coloro che credevano di prevedere che i possedimenti della corona
inglese sarebbero stati sottomessi dai nemici cristiani, o devastati
dalle incursioni dei loro spietati alleati. Perciò, quando al forte che
proteggeva la punta sud del passaggio tra l'Hudson e i laghi, si seppe
che Montcalm era stato visto risalire il Champlain con un esercito
«numeroso come le foglie degli alberi», la notizia fu accolta più con la
vile riluttanza della paura che con la gioia grave che il guerriero
dovrebbe sentire davanti al nemico. La notizia era stata portata sul
finire di un giorno di mezza estate, da un messaggero indiano che recava
anche una richiesta urgente da parte di Munro - comandante di una
fortificazione sulle rive del «lago sacro» di pronti e potenti rinforzi.
È già stato detto che queste due postazioni distavano meno di cinque
leghe una dall'altra. Il rudimentale sentiero che originariamente
formava la loro linea di comunicazione, era stato allargato per il
passaggio di carri, in modo che quella stessa distanza che il figlio
della foresta percorreva in due ore, poteva facilmente essere coperta da
un distaccamento di truppe, con necessario bagaglio, tra il sorgere e il
tramontare del sole di un giorno d'estate. I leali servitori della
corona britannica avevano dato ad uno di questi luoghi fortificati nella
foresta, il nome di William Henry, all'altro quello di Fort Edward,
conferendo così a ciascuno il nome di un principe favorito della casa
regnante. Il veterano scozzese sunnominato teneva il primo con un
reggimento di regolari e pochi coloniali; una forza di gran lunga troppo
piccola per tener testa alle formidabili truppe che Montcalm stava
conducendo ai piedi di quei terrapieni. A difesa del secondo stava il
Generale Webb, che comandava gli eserciti del re nelle province del
nord, con un corpo di più di cinquemila uomini. Unendo i diversi
distaccamenti del suo comando, questo ufficiale avrebbe potuto
raddoppiare il numero dei combattenti contro l'intraprendente francese
che si era avventurato tanto lontano dai suoi rinforzi con un esercito
di poco superiore al suo. Ma, suggestionati dalla loro diminuita
fortuna, ufficiali e uomini sembravano più disposti ad attendere
l'avvicinarsi del terribile nemico alle loro fortificazioni, piuttosto
che opporsi all'andamento di quella marcia, come avevano fatto i
francesi a Fort Quesne: intervenendo per impedire l'avanzata.
Nel campo trincerato che si
estendeva lungo il margine dell'Hudson formando una catena di baluardi
esterni al corpo principale del forte, dopo la prima sorpresa provocata
dalla notizia, si sparse la voce che all'alba sarebbe partito un
distaccamento scelto di cinquecento uomini diretti a William Henry, la
postazione situata all'estremo nord del passaggio via terra. Quella che
dapprima era solo una diceria divenne presto certezza quando, dal
quartiere del comandante in capo fino ai diversi corpi da lui scelti per
questo servizio, giunsero ordini di prepararsi per una imminente
partenza. Ora tutti i dubbi sulle intenzioni di Webb svanirono, seguì
un'ora o due fatta di passi frettolosi e di visi preoccupati. I
novellini dell'arte militare correvano disordinatamente da un punto
all'altro, ritardando i propri preparativi per gli eccessi del loro
impetuoso e inconsulto zelo; mentre i veterani più esperti si
preparavano con una determinazione superiore a ogni apparenza di fretta,
anche se l'espressione grave e gli occhi inquieti bastavano a rivelare
che essi non provavano un forte gusto professionale per quella guerra in
terre selvagge, a loro così nuove e terrificanti. Finalmente il sole
tramontò in una luce gloriosa dietro le lontane colline dell'ovest, e
quando l'oscurità stese il suo velo su quei luoghi solitari, diminuirono
i rumori dei preparativi; l'ultima luce si spense nella capanna di legno
di qualche ufficiale, gli alberi gettarono le loro ombre scure sulle
collinette e sul fiume mormorante, e presto pervase il campo un profondo
silenzio, simile a quello che regnava nella vasta foresta tutt'intorno.
Secondo gli ordini della notte
precedente, il pesante sonno dei soldati fu interrotto dai rulli dei
tamburi di guerra, la cui eco vigorosa fu udita al di là dei boschi
nell'aria umida del mattino, non appena il giorno cominciò a ridisegnare
gli ispidi contorni dei grandi pini circostanti, alla luce incipiente di
quel cielo dell'ovest mite e sereno.
In un batter d'occhio l'intero
campo fu in movimento; anche l'ultimo dei soldati si alzò dal giaciglio
per assistere alla partenza dei compagni e per condividere con loro
l'esaltazione e gli avvenimenti del momento. Il semplice schieramento
della compagnia scelta fu presto completato. Mentre i regolari mercenari
del re, ben addestrati, marciavano con sussiego a destra della fila, i
meno pretenziosi coloni mantenevano una più umile posizione sulla
sinistra, con una docilità che la lunga pratica aveva reso ormai facile.
Gli esploratori partirono; forti scorte precedettero e seguirono i
pesanti veicoli che portavano l'equipaggiamento; e prima che la grigia
luce mattutina venisse addolcita dai raggi del sole, il grosso dei
combattenti operò una conversione disponendosi in colonna, e lasciò il
campo ostentando un comportamento altamente militaresco che servì a
smorzare la segreta apprensione di molti novellini che stavano per
fornire la prima prova di sé con le armi.
Mentre i compagni in ammirazione
potevano ancora vederli, essi mantennero lo stesso fronte compatto e lo
stesso schieramento ordinato, finché le note dei pifferi non si fecero
più deboli nella distanza, e, alla fine, la foresta parve inghiottire
quella massa d'uomini che lentamente l'aveva penetrata. Oramai i rumori
più forti dell'invisibile colonna che si stava allontanando non erano
più portati dalla brezza a coloro che erano rimasti in ascolto, e anche
l'ultimo ritardatario era scomparso al loro seguito. Ma i segni di
un'altra partenza rimanevano ancora davanti ad una capanna di legno,
insolita per dimensioni e comodità, di fronte alla quale delle
sentinelle, note per essere addette alla sorveglianza della persona del
generale inglese, camminavano per la ronda. Quivi erano raccolti una
mezza dozzina circa di cavalli, bardati in modo tale da mostrare che
almeno due di essi erano destinati a portare esseri femminili, di un
rango che è raro incontrare nelle regioni selvagge di quel paese. Un
terzo cavallo portava le gualdrappe e le armi di un'ufficiale dello
stato maggiore; mentre i rimanenti, per l'aspetto modesto dei finimenti
e degli accessori di viaggio dei quali erano gravati, erano
evidentemente pronti ad accogliere altrettanti servi che stavano già in
attesa delle volontà di coloro che servivano. A rispettosa distanza da
questa scena inconsueta, erano raccolti diversi gruppi di curiosi
sfaccendati; alcuni ammiravano le qualità dei focosi destrieri militari,
altri assistevano ai preparativi con la stupida meraviglia di una
curiosità volgare. Vi era un uomo, tuttavia, che, per l'espressione del
volto e i gesti, costituiva una evidente eccezione tra coloro che
componevano quest'ultima classe di spettatori, non essendo né pigro, né
a quanto pareva, troppo ignorante. La figura di questo individuo era
goffa da non dirsi, ma non per questo particolarmente deforme. Le ossa e
le giunture erano del tutto simili a quelle di altri uomini, senza però
possederne le proporzioni. In piedi, la sua statura superava quella dei
suoi simili, ma seduto egli pareva rientrare entro i limiti consueti
della sua razza. La stessa disarmonia delle membra sembrava propagarsi
in tutto il suo essere. La testa era grande, le spalle strette; le
braccia erano lunghe e ciondoloni, mentre le mani erano piccole, se non
delicate. Le gambe e le cosce erano magre, quasi emaciate, ma di una
lunghezza fuori del comune; e le sue ginocchia potevano essere
considerate abnormi, se non fossero state a loro volta superate da basi
più grandi, sulle quali questa falsa superstruttura di confusi ordini
umani poggiava malamente. Gli abiti di costui, assortiti alla rinfusa e
senza giudizio, servivano soltanto a rendere la sua goffaggine ancor più
evidente. Una giacca blu-cielo, con falde corte e larghe e una bassa
mantellina, esponevano il lungo collo sottile e le gambe ancor più
lunghe e magre alle peggiori critiche dei maleintenzionati. La parte
inferiore del suo abbigliamento era di anchina gialla, strettamente
aderente alla figura e legata alla sporgenza delle ginocchia da grossi
nodi di nastro bianco, alquanto sporco per l'uso. Calze di cotone
screziato e scarpe, su una delle quali era applicato uno sperone
placcato, completavano l'abbigliamento all'estremità inferiore della sua
figura, di cui nessuna piega o particolare era dissimulato, al
contrario, risultava messo in mostra in modo studiato, ad opera della
vanità e della semplicità del proprietario. Da sotto la patta di
un'enorme tasca di un sudicio panciotto in seta decorata, pesantemente
ornata di galloni d'argento ossidato, sporgeva un attrezzo, che, per il
fatto di essere visto in una compagnia così marziale, avrebbe potuto
facilmente essere scambiato per qualche molesta e sconosciuta
apparecchiatura bellica. Piccola com'era, questa strana macchina aveva
eccitato la curiosità di gran parte degli europei dell'accampamento,
benché si fossero visti parecchi coloniali maneggiarla non solo senza
paura, ma addirittura con grande dimestichezza. Un largo cappello da
civile piazzato sulle ventitrè, simile a quello portato dai preti negli
ultimi trent'anni, sormontava il tutto, conferendo dignità a quella sua
aria bonaria e noncurante, che sembrava aver bisogno di tutti quegli
artifici per sorreggere la gravità di qualche alta incombenza fuori
dell'ordinario.
Mentre la gente comune si
manteneva a rispettosa distanza dagli alloggiamenti di Webb, l'individuo
che abbiamo descritto camminava con aria maestosa al centro del gruppo
dei domestici, distribuendo liberamente critiche o elogi sulla qualità
dei cavalli, a seconda che essi soddisfacessero o meno i suoi gusti.
«Amici, direi che questa bestia
non è stata allevata qui da noi, ma viene da terre straniere, o
piuttosto da quella isoletta sulle acque blu!» egli diceva con una voce
dai toni morbidi e dolci, e originale come le rare proporzioni della sua
figura. «Posso ben parlare di queste cose senza presunzione, perché sono
stato in tutti e due i porti: quello situato alla foce del Tamigi, ed è
chiamato col nome della capitale della Vecchia Inghilterra, e quello che
si chiama ‹Porto› con l'aggiunta della parola ‹Nuovo›; e ho veduto
piccoli vascelli e brigantini raccogliere le loro greggi come nell'arca,
diretti all'Isola di Giamaica, con l'intento di barattare e trafficare
in quadrupedi; ma mai prima d'ora ho visto una bestia che, come questa,
incarnasse il cavallo delle Scritture: «Esso scalpita nella valle, e
gioisce della sua forza: esso va avanti per incontrare gli armati. Fra
le trombe lancia un grido, ah, ah, e fiuta la battaglia di lontano tra
il tuonare dei capitani e gli strepiti. Si direbbe che la razza dei
cavalli di Israele abbia la sua discendenza fino ai giorni nostri; non
ti pare, amico?»
Non ricevendo risposta a questo
strano appello che, a dire il vero, essendo lanciato con vigore di toni
pieni e sonori, meritava qualche forma di attenzione, colui che si era
così espresso nel linguaggio del Libro sacro, si volse verso la figura
silenziosa alla quale si era involontariamente rivolto, e trovò un nuovo
e più interessante oggetto di ammirazione in colui che incontrò il suo
sguardo. I suoi occhi caddero sulla immobile, dritta e rigida figura del
«corriere indiano» che aveva portato al campo la sgradevole notizia
della notte precedente. Benché in stato di perfetto riposo e con l'aria
di chi disprezza, con tipica indifferenza, l'eccitazione e il trambusto
che lo circondano, mescolata alla quiete del selvaggio, c'era una tetra
ferocia che aveva il potere di fermar l'attenzione di occhi meno ingenui
di quelli che ora lo scrutavano con evidente stupore. L'indigeno portava
il tomahawk e il coltello della sua tribù, e tuttavia l'aspetto,
nell'insieme, non era quello di un guerriero. Al contrario, c'era
un'aria di trascuratezza nella sua persona, come derivante da una grande
e recente fatica, dalla quale egli non aveva ancora trovato modo di
rimettersi. I colori dei fregi di guerra erano colati, formando sul suo
feroce volto un impasto scuro che rendeva quei lineamenti bruni ancor
più selvaggi e repellenti di quanto sarebbero stati se si fosse tentato
di ottenere ad arte l'effetto che il caso aveva così prodotto. Il solo
sguardo, che scintillava come una stella di fuoco tra nubi minacciose,
mostrava la sua originaria barbarie. Per un istante il suo occhio
indagatore e diffidente, incontrò lo sguardo stupito dell'altro; poi
cambiò direzione, un po' furbesco e un po' sdegnoso e rimase fisso come
se volesse penetrare l'aria lontana. È impossibile dire quale imprevista
reazione avrebbe potuto suscitare nel bianco questa breve e silenziosa
comunicazione tra due uomini tanto singolari, se la viva curiosità non
fosse stata ancora una volta attirata da altri avvenimenti.
Un'agitazione generale tra i domestici e un leggero suono di voci
gentili, annunciò l'avvicinarsi di coloro che mancavano perché la
cavalcata si mettesse in movimento. L'ingenuo ammiratore del destriero,
immediatamente indietreggiò verso una giumenta bassa e sparuta, dalla
coda sottile come un frustino, che andava scegliendo con aria
inconsapevole l'erba appassita del campo vicino; qui, appoggiandosi con
un gomito ad una coperta che dissimulava una parvenza di sella, egli
assistette alla partenza, mentre un puledro stava tranquillamente
facendo il pasto mattutino dalla parte opposta dello stesso animale.
Un giovanotto in divisa di
ufficiale accompagnava ai loro destrieri due donne che, a giudicare dai
vestiti, erano pronte ad affrontare le fatiche di un viaggio nei boschi.
Una di esse, quella dall'aspetto più giovanile, - benché fossero giovani
entrambe - lasciava intravedere le sue radiose sembianze, i capelli
biondo oro e gli occhi di un blu risplendente, quando candidamente
lasciava che l'aria mattutina sollevasse il verde velo che le scendeva
dal cappello di castoro. Il rossore che ancora indugiava nel cielo
dell'ovest dietro i pini non era più luminoso e delicato della
freschezza delle sue guance, né il giorno nascente era più sereno del
vivace sorriso che ella concesse al giovane quanto questi l'aiutò a
salire in sella. L'altra, che era oggetto di uguali attenzioni da parte
del giovane ufficiale, celava il suo fascino allo sguardo della
soldataglia con una cura che più si addiceva ad una esperienza dovuta a
quattro o cinque anni in più. Si poteva osservare, tuttavia, che la sua
persona - benché modellata con le stesse squisite proporzioni, delle
quali non una andava perduta nonostante indossasse un vestito da viaggio
-era più piena e matura di quella della compagna.
Non appena le due donne furono
sedute, il loro accompagnatore saltò con leggerezza in sella, e i tre si
inchinarono a Webb che, dalla soglia del suo alloggiamento, attendeva
cortesemente che si avviassero; poi, girando i cavalli, procedettero con
il seguito a lenta andatura, verso la porta nord dell'accampamento.
Mentre coprivano quel breve tratto non si sentiva alcuna voce fra di
loro, ma una leggera esclamazione sfuggì alla più giovane delle donne,
quando il corriere indiano le scivolò vicino inaspettatamente ed indicò
la via lungo la strada militare che le stava davanti. Benché questa
improvvisa e sorprendente mossa dell'indiano non avesse fatto emettere
nessun suono all'altra, nella sorpresa ella lasciò che il velo si
aprisse, rivelando un'indescrivibile espressione di pietà, ammirazione
ed orrore, mentre i suoi occhi scuri seguivano gli agili movimenti del
selvaggio. Le trecce di questa dama erano di un nero lucente, come le
piume di un corvo. La sua carnagione non era scura, ma piuttosto carica
del colore di un sangue ricco, che sembrava pronto ad infrangere ogni
barriera. E tuttavia, non v'erano né volgarità né bisogno alcuno di
adombrare quel volto squisitamente regolare, dignitoso e
straordinariamente bello. Ella sorrise, come per compatire la propria
momentanea sbadataggine e in quel sorriso scoprì una fila di denti coi
quali il più puro avorio non avrebbe retto il confronto; nel ricomporre
il velo ella piegò il viso e continuò a cavalcare in silenzio, come se i
suoi pensieri fossero lontani da ciò che stava succedendo intorno a lei.
Shakespeare
Mentre una delle gentili
creature che abbiamo così superficialmente presentato al lettore era
persa nei suoi pensieri, l'altra subito si riebbe dallo spavento che
l'aveva indotta a fare quell'esclamazione, e ridendo della propria
debolezza, domandò al giovane che cavalcava al suo fianco:
«Heyward, simili spettri sono
frequenti nei boschi, oppure questa apparizione è uno spettacolo
speciale ordinato appositamente per noi? In questo caso la gratitudine
deve chiuderci la bocca, ma se è vera la prima ipotesi, Cora ed io
avremo grande bisogno di fare appello a quel coraggio ereditario di cui
ci vantiamo, ancor prima d'incontrare il terribile Montcalm.»
«Quell'indiano è un ‹corriere›
dell'esercito e, stando al costume del suo popolo, può essere
considerato un eroe,» rispose l'ufficiale. «Egli si è offerto
volontariamente di guidarci al lago attraverso un sentiero poco
conosciuto che ci farà arrivare prima che non seguendo i lenti movimenti
della colonna, e quindi in modo più piacevole.»
«Non mi piace,» disse la dama
con un brivido che era in parte affettato, ma tuttavia di autentico
terrore. «Voi lo conoscete Duncan, altrimenti non vi sareste affidato
tanto facilmente alla sua guida.»
«Dite piuttosto, Alice, che non
gli avrei affidato voi. Lo conosco bene, altrimenti non avrebbe la mia
fiducia, almeno in questo momento. Si dice che sia canadese, ma ha
prestato servizio con i nostri amici Mohawks che, come sapete, fanno
parte delle sei nazioni alleate. Da quanto ho udito, egli è capitato fra
noi per qualche strano caso con cui ebbe a che fare anche vostro padre e
nel quale il selvaggio fu trattato severamente - ma ho dimenticato
questa storia senza importanza; è sufficiente che egli ora sia nostro
amico.»
«Se è stato nemico di mio padre,
costui mi piace ancor meno!» esclamò la ragazza, ora veramente
preoccupata. «Non vorreste parlargli, Maggiore Heyward, in modo che io
possa sentir la sua voce? Per quanto ciò, forse sia sciocco, mi avete
spesso sentito sostenere che ho fiducia nelle inflessioni della voce
umana!» «Sarebbe inutile, e risponderebbe probabilmente con
un'esclamazione. Benché sia in grado di comprenderlo, egli finge, come
la maggioranza del suo popolo, di ignorare l'inglese, e meno che mai
acconsentirà a parlare ora che la guerra richiede fino al massimo grado
l'esercizio della sua dignità. Ma ecco che si ferma, senza dubbio il
sentiero segreto deve essere vicino.»
La supposizione del Maggiore
Heyward era esatta. Quando raggiunsero il punto dove si trovava
l'indiano, si cominciò a vedere uno stretto sentiero cieco che
s'inoltrava nel folto degli alberi: delimitanti la strada militare e sul
quale poteva passare una persona per volta anche se con un po' di
disagio.
«Ebbene, ecco la nostra strada»
disse il giovane a bassa voce, «non mostrate diffidenza, o potreste
provocare il pericolo che, a quanto pare, avete fiutato.»
«Cora, cosa ne pensi?» domandò
restia la bionda Alice. «Se viaggiassimo con le truppe, benché potremmo
trovare fastidiosa la loro presenza, non ci sentiremmo forse più al
sicuro?»
«Essendo poco abituata a
trattare coi selvaggi, Alice, vi ingannate su dove sia il pericolo
reale,» disse Heyward. «Se i nemici hanno raggiunto il passaggio via
terra, cosa del tutto improbabile dato che i nostri esploratori sono
ancora fuori, saranno certo dietro la colonna, dove possono trovare
cotenne in abbondanza. La strada del distaccamento è nota, mentre la
nostra, essendo stata fissata un'ora fa, è ancora segreta.»
«Dovremmo diffidare di quell'uomo
solo perché i suoi modi non sono i nostri e la sua pelle è scura?»
replicò Cora freddamente.
Alice non esitò oltre, ma dando
al suo Narraganset un vigoroso colpo di frusta, fu la prima a spingere
violentemente da parte i ramoscelli dei cespugli e a seguire il corriere
nell'oscuro, aggrovigliato sentiero.
Il giovane considerò quella che
aveva parlato per ultima con aperta ammirazione e addirittura lasciò che
la compagna più bionda, ma certamente non più bella, proseguisse
incustodita, mentre egli apriva premurosamente il passaggio a colei che
era stata chiamata Cora. I domestici, evidentemente istruiti in
precedenza, invece di penetrare il folto del bosco, seguirono la
colonna, ed Heyward spiegò che questa misura era stata suggerita
dall'esperienza della guida, allo scopo di ridurre i segni del loro
passaggio nel caso che i selvaggi canadesi avessero di molto preceduto
il loro esercito e stessero in agguato. Per parecchi minuti l'intrigo
del sentiero non permise altro dialogo; dopo di che uscirono dal vasto
lembo di sottobosco che cresceva lungo la linea della strada maestra e
s'inoltrarono sotto le alte, buie volte della foresta. Qui poterono
procedere con meno interruzioni e la guida, nel momento in cui si rese
conto che le donne avevano il controllo delle loro cavalcature, si portò
avanti ad una andatura tra il trotto e il passo, tenendo una velocità
che manteneva i sicuri e singolari animali che esse cavalcavano ad un
ritmo sostenuto ma comodo. Il giovane si era girato a parlare con Cora
dagli occhi neri, quando un lontano scalpiccio di zoccoli che risuonava
sulle radici della strada accidentata gli fece arrestare il cavallo, e
poiché le compagne avevano tirato le redini nel medesimo istante,
l'intera compagnia si fermò per ottenere una spiegazione all'imprevista
interruzione.
Improvvisamente videro un
puledro che, simile a un daino, passava tra gli affusolati tronchi dei
pini e, poco dopo, apparve la goffa figura dell'uomo che abbiamo
descritto nel capitolo precedente che spronava la sua sparuta bestia ad
una velocità che essa poteva a mala pena sostenere senza scoppiare del
tutto. Fino a quel momento questo personaggio era sfuggito
all'attenzione dei viaggiatori. Se è vero che costui aveva il potere di
trattenere uno sguardo distratto quando, in piedi, esibiva tutta la sua
statura, a maggior ragione le sue grazie di cavaliere attiravano
l'attenzione. Nonostante la costante applicazione dell'unico sperone ai
fianchi della giumenta, il meglio che potesse ottenere da essa era un
piccolo galoppo delle zampe posteriori, al quale, nei momenti difficili,
collaboravano quelle anteriori, benché in generale queste si
accontentassero di trotterellare. Forse la rapidità dei passaggi da
un'andatura all'altra creava un'illusione ottica tale da ingigantire le
possibilità della bestia; è certo comunque che Heyward, nonostante la
sua vasta esperienza in fatto di cavalli, non fu in grado di giudicare
quali fossero i movimenti con i quali l'inseguitore dirigeva quel
cammino sinuoso sulle sue tracce, con ardore tanto cocciuto.
La destrezza e i movimenti del
cavaliere non erano meno degni di nota di quelli del cavallo. A ciascun
cambiamento nelle evoluzioni di quest'ultimo, l'uomo sollevava l'alta
persona sulle staffe, e così facendo produceva, per l'eccessivo
allungarsi delle gambe, una crescita e una diminuzione della sua
statura, tali da confondere qualsiasi supposizione che si potesse fare
sulle sue dimensioni. Se a ciò si aggiunge che, a causa
dell'applicazione «ex parte» dello sperone, una metà della giumenta
sembrava muoversi più in fretta dell'altra e che il fianco tormentato
veniva insistentemente fatto segno di sferzate della cespugliosa coda,
si completa l'immagine dell'uomo e del cavallo.
Il cipiglio che aveva aggrottato
l'ampia, maschia, fronte di Heyward, si distese gradualmente, e nel
guardare lo sconosciuto le sue labbra si sollevarono in un leggero
sorriso. Alice non fece nessuno sforzo abbastanza efficace per
controllare la propria ilarità mentre persino gli scuri occhi pensosi di
Cora s'illuminarono di una gaiezza che, si sarebbe detto, fu controllata
più dall'abitudine che dalla natura della proprietaria. «Cercate
qualcuno qui?» Domandò Heyward quando l'altro arrivò abbastanza vicino:
«Spero che non siate messaggero di cattive notizie.»
«Precisamente,» rispose lo
sconosciuto usando il copricapo triangolare di castoro in modo da creare
un po' di movimento nell'aria soffocante dei boschi e lasciando gli
astanti dubbiosi sulla risposta che avrebbe dato alla domanda del
giovane; quando si fu rinfrescato il viso ed ebbe ricuperato il fiato
continuò: «Ho sentito che state andando a William Henry; poiché anch'io
viaggio in quella direzione, mi sono detto che la buona compagnia poteva
convenire ai desideri miei e vostri.»
«Voi sembrate possedere il
privilegio del voto decisivo,» replicò Heyward, «noi siamo in tre,
eppure avete consultato solo voi stesso.» «Precisamente, il primo punto
da stabilire è di conoscere il proprio parere. Una volta sicuri di ciò -
e dove c'entrano delle donne la cosa non è facile - il passo successivo
è di conformarvisi: ho cercato di fare entrambe le cose.»
«Se andate al lago avete
sbagliato strada» disse Heyward altezzoso, «la strada maestra è ad
almeno mezzo miglio dietro a voi.»
«Precisamente,» replicò lo
sconosciuto per nulla scoraggiato da questa fredda accoglienza, «ho
sostato ad ‹Edward› per una settimana, e avrei dovuto essere muto per
non domandare la strada che dovevo prendere; e se fossi muto dovrei
smettere di fare il mio mestiere.» Dopo aver abbozzato un sorriso
affettato come se la modestia gli impedisse di manifestare più
apertamente il suo apprezzamento di un'arguzia completamente
incomprensibile agli ascoltatori, continuò: «Non è prudente per chiunque
faccia la mia professione essere troppo in confidenza con quelli che
deve istruire, per la qual ragione io non seguo le file dell'esercito;
oltre a ciò suppongo che un gentiluomo del vostro stampo ne sappia un
bel po' in fatto di strade; perciò ho deciso di unirmi alla compagnia in
modo che la cavalcata divenga più piacevole e per far parte della
comitiva.»
«Una decisione assai arbitraria
e affrettata!» esclamò Heyward indeciso se dare sfogo allo sdegno
crescente o se ridergli in faccia. «Ma voi parlate di istruzioni e di
una professione, siete forse un ausiliario nelle forze coloniali come
istruttore nella nobile scienza di difesa e offesa, oppure siete di
quelli che disegnano linee ed angoli con la pretesa di spiegare la
matematica?»
Lo sconosciuto guardò
l'interlocutore per un momento con stupore; poi, abbandonando ogni segno
di autocompiacimento, con un'espressione di solenne umiltà, rispose:
«Quanto all'offesa spero che non ce ne sia da nessuna delle due parti e
con la difesa non ho nulla a che fare - per buona grazia di Dio non ho
commesso alcun considerevole peccato dall'ultima volta che ho chiesto il
Suo perdono. Non comprendo le vostre allusioni a linee e angoli, e
lascio le spiegazioni a coloro che sono stati prescelti per quel sacro
compito. Io non posso vantarmi di dote più alta che un po' di abilità
nell'arte di fare petizioni e ringraziamenti come si fa nei salmi.»
«Quest'uomo è evidentemente
discepolo di Apollo,» esclamò Alice divertita, «e lo prendo sotto la mia
speciale protezione. Via, liberatevi di quel cipiglio, Heyward, e per
amore delle mie orecchie curiose, permettetegli di viaggiare al nostro
seguito. Inoltre,» mormorò in fretta gettando un'occhiata a Cora che, un
po' discosta, seguiva lentamente i passi della silenziosa e accigliata
guida, «può essere un amico in più aggiunto alla nostra forza in caso di
bisogno.»
«Pensate proprio, Alice, che io
mi sarei fidato a far percorrere a coloro che amo questo passaggio
segreto se avessi supposto che poteva verificarsi una simile
eventualità?»
«No, no, non penso questo
adesso, ma questo strano individuo mi diverte e se egli ‹ha musica
nell'anima›, non rifiutiamo sgarbatamente la sua compagnia.»
Ella puntò col frustino verso il
sentiero con fare persuasivo, mentre i loro occhi s'incontravano in uno
sguardo che il giovane non si sforzò di rendere più breve; poi questi si
arrese al gentile ascendente di lei, affondò gli speroni nella
cavalcatura e in pochi balzi fu di nuovo al fianco di Cora.
«Sono felice di incontrarvi,
amico,» disse la fanciulla facendo cenno con la mano allo sconosciuto di
avvicinarsi, mentre incitava il Narraganset a riprendere l'andatura.
«Parenti parziali mi hanno quasi persuasa che io stessa non sono
completamente priva di merito in un duetto, e noi forse possiamo
allietare il cammino indulgendo alla nostra occupazione preferita.
Potrebbe essere di notevole vantaggio per me, ignorante come sono,
ascoltare le opinioni e le esperienze di un maestro in materia.»
«È di sollievo per lo spirito e
per il corpo abbandonarsi alla salmodia nei momenti adatti,» replicò il
maestro di canto, ubbidendo senza esitare all'invito di lei, «e nulla
rasserena la mente più di una così consolante comunione. Ma alla
perfezione della melodia sono necessarie quattro voci insieme. Voi avete
tutta l'aria di possedere una morbida e ricca voce di soprano; quanto a
me posso, con speciali accorgimenti, sostenere la parte di tenore nel
migliore dei modi; ma ci mancano il contralto e il basso! Quell'ufficiale
del re, che ha esitato ad ammettermi alla sua compagnia, potrebbe, a
giudicare dai toni della voce in una comune conversazione, soddisfare la
seconda delle nostre esigenze.»
«Non giudicate troppo
precipitosamente da apparenze spicce e ingannevoli,» disse la dama con
un sorriso, «benché il Maggiore Heyward possa, a volte, assumere toni
profondi, credetemi, gli accenti della sua voce, si confanno meglio ad
un tenore dolce, piuttosto che al basso che avete udito.»
«Egli dunque s'intende di
salmodia» domandò l'ingenuo compagno.
Alice sentì che stava per
mettersi a ridere, tuttavia riuscì a reprimere lo scoppio d'ilarità
prima di rispondere: «So che è piuttosto dedito alle canzoni profane. I
casi della vita militare sono poco adatti ad incoraggiare inclinazioni
più sobrie.»
«La voce, come gli altri
attributi è data all'uomo perché ne faccia buon uso e non uno cattivo.
Nessuno può dire di avermi mai visto trascurare le mie doti! Sono
contento che, benché si possa dire che la mia giovinezza sia stata
dedicata, come quella del reale David, ad apprendere la musica, nemmeno
una sillaba di versi volgari abbia mai profanato le mie labbra.»
«Voi, dunque, vi siete dedicato
esclusivamente al canto sacro!»
«Precisamente. Poiché i salmi di
David superano ogni altro linguaggio, così la salmodia che è stata loro
adattata dai sacerdoti e dai saggi di quella terra, supera ogni vana
poesia. Fortunatamente posso dire di non cantare altro che i pensieri e
i desideri dei re d'Israele; e benché i tempi impongano qualche leggero
cambiamento, le versioni che usiamo nelle colonie della Nuova
Inghilterra superano talmente ogni altra versione, che per ricchezza,
esattezza e semplicità spirituale, si avvicinano quanto più possibile
alla grande opera dello scrittore ispirato. Non mi fermo mai in alcun
luogo, addormentato o sveglio, senza un esemplare di questa opera
mirabile. Si tratta della ventiseiesima edizione, promulgata a Boston,
Anno D. 1744, ed è intitolata: ‹I salmi, gli Inni e i Canti spirituali
del Vecchio e Nuovo Testamento, fedelmente tradotti in metri inglesi ad
Uso, Edificazione e Conforto dei Santi, in Pubblico e in Privato,
specialmente nella nuova Inghilterra›.»
Durante questo elogio del raro
frutto dei poeti del suo paese, lo sconosciuto aveva tratto il libro di
tasca e, inforcando un paio di occhiali cerchiati di ferro, aprì il
volume con una cura e una venerazione che ben si confacevano ai suoi
santi propositi. Poi senza circonlocuzioni né scuse, cominciò con la
parola «Standish» e, portandosi alla bocca la strana macchina già
descritta ne cavò un suono acuto e stridulo, seguito da uno di un'ottava
sotto che proveniva dalla sua voce, e cominciò a cantare le seguenti
parole in toni così pieni, dolci e melodiosi da sfidare la musica, la
poesia e persino gli scomodi movimenti della sua bestia mal guidata:
«Quanto è bello, oh mirate,
E quanto fa bene
Stare all'unisono col fratello.
E così il prediletto balsamo
Scendeva dalla testa alla barba:
Giù per la barba di Aronne che fluiva
Lungo le sue vesti.»
Nel declamare queste abili rime,
lo straniero si accompagnava con un ritmico alzarsi ed abbassarsi della
mano destra e lasciava che le dita indugiassero un momento sulle pagine
del volume, la sollevava poi di nuovo, con un tale ghirigoro dell'arto
che soltanto un iniziato poteva sperare di riuscire ad imitare. Si
sarebbe detto che la lunga pratica avesse reso necessario questo
accompagnamento delle mani, poiché esso non cessò finché le due sillabe
della parola che il poeta aveva scelto a chiusura dei versi, non furono
doverosamente pronunciate.
Tale novità nel silenzio e nella
pace della foresta non poteva non coinvolgere l'udito di coloro che
viaggiavano poco più innanzi. L'indiano bisbigliò a Heyward alcune
parole in un inglese scorretto, e questi, a sua volta interruppe
bruscamente lo sconosciuto, ponendo fine per il momento ai suoi sforzi
musicali.
«Anche se non ci troviamo in
pericolo, la comune prudenza ci dovrebbe insegnare a viaggiare
attraverso questi luoghi solitari nel modo più silenzioso possibile. Voi
mi perdonerete quindi, Alice, se sciupo il vostro divertimento
domandando a questo signore di rimandare il suo canto ad una occasione
meno rischiosa.»
«Lo sciupate davvero,» rispose
la fanciulla maliziosa, «poiché non ho mai udito un miscuglio di
esecuzione e linguaggio peggiore di quello che stavo ascoltando, e mi
ero spinta in una dotta ricerca sulle cause di tale incompatibilità tra
suono e senso, quando avete rotto l'incanto di queste mie meditazioni
con quel vostro basso, Duncan!»
«Non so cosa intendiate con ‹mio
basso›,» rispose Heyward piccato, «ma so che la vostra sicurezza e
quella di Cora mi sono molto più care di qualsiasi concerto di Handel.»
Egli tacque, girò la testa con
un movimento brusco verso un folto d'alberi e gettò un'occhiata
circospetta alla guida che procedeva a passo tranquillo e con
indisturbata gravità. Il giovane sorrise tra sé perché gli era parso di
avere scambiato qualche luccicante bacca di bosco per gli occhi
scintillanti di un selvaggio in agguato, ma poi continuò a cavalcare e
riprese la conversazione che era stata interrotta da quel pensiero
vagante. Il Maggiore Heyward si sbagliò soltanto nel lasciare che il suo giovanile e generoso orgoglio gli facesse allentare la vigile sorveglianza. La cavalcata aveva di poco superato i rami dei cespugli che formavano il sottobosco, che questi furono scostati con cautela, e un viso umano feroce quanto l'arte dei selvaggi e scatenate passioni umane potevano renderlo, scrutò le orme dei viaggiatori che si allontanavano. Un guizzo di gioia attraversò i lineamenti dipinti di scuro dell'abitante della foresta nel seguire le tracce delle vittime designate che, ignare, continuavano a cavalcare. Le lievi, graziose figure delle dame ondeggiavano fra gli alberi ad ogni curva del sentiero, seguite dalla virile figura di Heyward e, alla fine, l'informe persona del maestro cantore sparì dietro gli innumerevoli alberi che si ergevano in file scure nello spazio intermedio.
Prima che questi campi fossero
falciati e coltivati
I nostri fiumi fluivano pieni
fino all'orlo:
La melodia delle acque riempiva
Il fresco sconfinato bosco;
E i torrenti spumeggiavano,
giocavano i ruscelli
E nell'ombra zampillavano fonti.
Bryant
Lasciando che l'ignaro Heyward
e i suoi fiduciosi compagni continuino ad inoltrarsi nella foresta,
dimora di esseri tanto pericolosi, dobbiamo usare di un privilegio
dell'autore e spostare la scena a pochi chilometri ad ovest del luogo
dove li abbiamo visti per l'ultima volta. Quel giorno due uomini
sostavano sulle rive di un piccolo ma impetuoso torrente, ad un'ora di
cammino dall'accampamento di Webb, con l'aria di aspettare qualcuno o
l'avvicinarsi di qualche evento inatteso. La grande volta dei boschi si
estendeva fino ai margini del fiume e, sovrastando l'acqua, conferiva,
alla già cupa corrente, una tinta ancor più fonda. I raggi del sole
cominciavano a farsi meno cocenti, e la calura intensa del giorno si era
attenuata, mentre i freschi vapori delle sorgenti e delle fonti si
sollevavano dai letti di foglie per arrestarsi nell'atmosfera. Quel
silenzio caratteristico dell'afa sonnolenta di un paesaggio americano in
luglio, pervadeva ancora il luogo solitario e alle orecchie saliva
soltanto qualche bisbiglio umano, il pigro ticchettio di un picchio, il
grido stonato di qualche gazza strepitante, o lo scroscio sordo di una
cascata lontana.
Questi deboli rumori discontinui
erano però troppo familiari a quegli abitanti della foresta per
distoglierne l'attenzione dal più interessante argomento del loro
dialogo. Mentre uno di questi due vagabondi aveva la pelle rossa e
l'abbigliamento primitivo di chi è nato nei boschi, l'altro rivelava,
attraverso la maschera del rozzo equipaggiamento quasi da selvaggio, una
carnagione più chiara, benché cotta dal sole e sciupata, di chi poteva
vantare una parentela europea. Il primo era seduto su un ceppo muschioso,
in posizione tale da permettergli di dare più enfasi al suo fervido
linguaggio con i pacati gesti espressivi di un indiano impegnato in una
discussione. Il suo corpo quasi nudo, presentava un terrificante emblema
di morte, disegnato nei colori bianco e nero mescolati. La testa,
accuratamente rasata, sulla quale era stato mantenuto soltanto il famoso
ciuffo di guerra da scotennare era priva di qualsiasi ornamento, ad
eccezione di una penna d'aquila che, attraverso la testa, gli pendeva
sulla spalla sinistra. Nella cintura portava infilati l'ascia di guerra
e un coltello per scotennare di fabbricazione inglese, mentre una specie
di fucile militare, del tipo dato in dotazione dalla politica dei
bianchi agli alleati selvaggi, era abbandonato sulle sue ginocchia nude
e nerborute. Il petto ampio, le membra pienamente formate e
l'espressione grave di questo guerriero, denotavano che egli aveva
raggiunto la maturità, benché nessun sintomo di decadenza avesse ancora
indebolito la sua virilità.
La corporatura dell'uomo bianco,
a giudicare dalle parti non nascoste dai vestiti, era quella di una
persona che aveva conosciuto durezze e difficoltà fin dalla prima
giovinezza. La sua persona, benché muscolosa era piuttosto scarna; ma
ogni singolo nervo e ogni muscolo sembravano tesi e induriti da
un'incessante esposizione alla fatica. Indossava una camicia alla
cacciatora verde foresta bordata di giallo smunto, e un berretto estivo
di pelo rasato. Portava anche un coltello infilato in una cintura di
conchiglie come quelle che chiudevano i succinti indumenti indiani, ma
non l'ascia di guerra. I mocassini erano ornati secondo la bizzarra moda
indigena, mentre, della parte inferiore del suo abbigliamento si
potevano vedere soltanto un paio di gambali di pelle di antilope
allacciati ai lati e fermati sopra le ginocchia con tendini di daino. Un
tascapane e un corno completavano il suo personale equipaggiamento. Ma
un lungo fucile, che la teoria dei bianchi più geniali aveva insegnato
essere la più pericolosa delle armi da fuoco, era appoggiato ad un
alberello vicino. Gli occhi del cacciatore, o esploratore che fosse,
erano piccoli, vivaci, acuti e irrequeti e mentre parlava vagavano
intorno a lui come cercassero selvaggina o sospettassero l'improvviso
avvicinarsi di qualche nemico in agguato. A parte questi indizi di
abituale diffidenza, il suo sguardo non solo non aveva traccia di
doppiezza ma, nel momento in cui lo presentiamo era carico di
un'espressione di franca onestà.
«Persino le tue tradizioni mi
danno ragione in questo caso, Chindachgook,» egli disse nella lingua
conosciuta da tutti gli indigeni che una volta abitavano il paese tra
l'Hudson e il Potomac e della quale daremo una libera traduzione ad uso
del lettore, sforzandoci, nello stesso tempo, di mantenere alcune
caratteristiche, sia dell'individuo che della lingua. «I tuoi padri
vennero dalle terre dove tramonta il sole, attraverso il grande fiume,
combatterono contro la gente del paese e presero la terra; i miei
vennero dal rosso cielo del mattino, sul lago salato e si comportarono
nel modo che era stato indicato loro dai tuoi; lasciamo quindi che Dio
giudichi la questione fra noi e gli amici risparmino le parole!»
«I miei padri combatterono col
nudo uomo rosso!» replicò l'indiano in tono risoluto nella stessa
lingua. «Non c'è forse differenza, Occhio di Falco, tra le nostre frecce
dalla punta di pietra e le pallottole di piombo con le quali voi
uccidete?»
«C'è della ragione in un
indiano, anche se la natura lo ha fatto con la pelle rossa,» disse il
bianco scuotendo la testa, mostrando così che questo richiamo al suo
senso della giustizia non era andato sprecato. Per un momento parve che
egli si rendesse conto di avere la peggio nella discussione, poi,
rianimandosi, rispose all'obiezione dell'avversario nel modo migliore
che gli era permesso dalle sue limitate cognizioni.
«Io non sono uno studioso e non
m'importa di chi s'intende di queste cose, ma a giudicare dalle
scintille che ho visto cacciando daini e inseguendo scoiattoli, direi
che un fucile nelle mani dei loro padri non era pericoloso quanto un
arco di noce e una buona punta di selce lanciata con l'abilità di un
indiano e scoccata con mira indiana.»
«Questa storia vi è stata
raccontata dai vostri padri,» replicò l'altro freddamente agitando una
mano. «Che cosa dicono i vostri anziani? Raccontano forse ai giovani
guerrieri che i visi pallidi incontrarono i pellerossa con i fregi di
guerra e armati dell'ascia di pietra o del fucile di legno?»
«Sono un uomo senza pregiudizi,
né mi faccio vanto dei privilegi naturali, tuttavia persino il peggior
nemico che ho sulla terra, un Irochese, oserebbe negare che sono un
bianco puro,» rispose l'esploratore esaminando con segreta soddisfazione
il colore chiaro della sua ossuta e nerboruta mano, «e ammetto senza
difficoltà che il mio popolo usa fare cose che, da onest'uomo, non posso
approvare. Essi sono soliti scrivere ciò che hanno fatto e visto invece
di raccontarlo nei villaggi, dove la menzogna può essere gettata in
faccia al vanaglorioso codardo e dove il coraggioso soldato può chiamare
il camerata a testimoniare della verità delle sue parole. Come
conseguenza di questa cattiva abitudine, un uomo che sia troppo
coscienzioso per sprecare il proprio tempo con le donne o ad imparare i
nomi dei segni neri, può non udire mai le gesta dei suoi padri né
sentire l'orgoglio di tentare di superarle. Per quanto mi riguarda,
giungo alla conclusione che i Bumppoo sapevano sparare perché io ho
un'istinto innato per i fucili che deve essermi stato tramandato di
generazione in generazione, giacché, come dicono i nostri santi
comandamenti, ci è concesso tutto il bene e tutto il male, benché sarei
restio a rispondere su tale questione a nome di altri. Ma ogni storia ha
due facce; perciò ti chiedo Chingachgook, che cosa avvenne, secondo le
tradizioni dei pellerossa quando i nostri padri s'incontrarono per la
prima volta?»
Seguì un minuto di silenzio
durante il quale l'indiano sedeva muto poi, pieno della dignità del
compito, cominciò il suo breve racconto con una solennità che ne
accresceva il tono sincero. «Ascolta, Occhio di Falco, e le tue orecchie
non udranno menzogna. Ecco ciò che i miei padri hanno detto e i Mohicani
hanno fatto.» Esitò un solo istante e, volgendo un'occhiata guardinga al
compagno, continuò con un tono che interrogava ed asseriva nello stesso
tempo.
«Questo torrente che sta ai
nostri piedi non corre forse verso l'estate, finché le sue acque non
divengono salate e la corrente inverte il suo corso?»
«Non si può negare che le vostre
tradizioni dicono il vero in entrambi questi casi,» disse il bianco,
«perché io sono stato laggiù e ho visto, benché non abbia mai saputo
spiegarmi quella metamorfosi delle acque per cui esse, così dolci
all'ombra, divengono amare al sole.»
«E la corrente?» domandò
l'indiano che attendeva la risposta con quella sorta d'interesse che si
prova nella conferma di una dichiarazione della quale ci si stupisce,
pur rispettandola: «I padri di Chingachgook non hanno mentito!»
«La sacra Bibbia non dice verità
più inconfutabili e questa è la cosa più vera che esista nella natura.
Questa corrente che rifluisce in senso contrario viene chiamata marea,
la qual cosa è presto spiegata e abbastanza chiara. Per sei ore le acque
entrano, per sei ore escono, ed eccone la ragione: quando l'acqua del
mare è più alta di quella del fiume rifluisce verso l'interno, finché il
fiume stesso raggiunge la massima altezza, poi esce di nuovo.»
«Le acque dei boschi e dei
grandi laghi scendono finché giacciono come la mia mano,» disse
l'indiano allungando l'arto orizzontalmente davanti a sé, «poi non
scorrono più.»
«Nessun uomo onesto lo
negherebbe» disse l'esploratore un po' punto sul vivo per l'implicita
sfiducia nella sua spiegazione del mistero delle maree «e ammetto che
ciò sia vero, ma solo su piccola scala e quando la terra è piana. Ma
tutto dipende dalla scala con cui quadri le cose. Ora, in piccolo, la
terra é piana, ma su larga scala è rotonda. In questo modo specchi
d'acqua e stagni, e persino le vaste, fresche acque dei laghi, possono
essere ferme come tu ed io sappiamo, avendole viste; ma quando le acque
si estendono su un largo tratto, come il mare, dove la terra è rotonda,
come potrebbe l'acqua essere tranquilla? Dovresti allo stesso modo
aspettarti che questo fiume stesse immobile entro i margini delle nere
rocce che stanno sopra di noi, e tuttavia le tue stesse orecchie ti
dicono che sta scrosciando su di esse proprio in questo momento!»
Anche se non convinto della
filosofia del compagno l'indiano era troppo fiero per tradire
scetticismo. Ascoltò come fosse convinto poi riprese il racconto nella
maniera solenne di prima: «Noi venimmo dalle terre dove il sole di notte
è nascosto, attraversammo le grandi pianure dove vivono i bufali, finché
raggiungemmo il grande fiume. Là combattemmo gli Alligewi finché la
terra fu rossa del loro sangue. Dalle rive del grande fiume alle spiagge
del lago salato non c'era nessuno ad incontrarci. I Maqua ci seguirono
da lontano. Dicemmo che il paese doveva essere nostro dal punto in cui
le acque finiscono di risalire questo corso d'acqua, fino al fiume che
sta a venti soli di cammino verso l'estate. Governammo da uomini la
terra che avevamo conquistato da guerrieri. Facemmo ritirare i Maqua
nella foresta con gli orsi. Essi assaggiarono solo il sale dei lick, non
pescarono più nel grande lago, noi gettammo loro le ossa.»
«Ho udito tutto ciò e lo credo,»
disse il bianco osservando che l'indiano s'era fermato, «ma è successo
molto prima che gli inglesi arrivassero nel paese.»
«Un pino cresceva allora dove
ora sorge questo castagno. I primi visi pallidi che vennero fra noi non
parlavano inglese. Essi vennero con una grande canoa quando i miei padri
avevano seppellito l'ascia di guerra con i pellerossa che vivevano
attorno a loro. A quel tempo, Occhio di Falco,» continuò egli tradendo
la profonda emozione solo nel lasciar cadere la voce in quei bassi toni
gutturali che rendono quella lingua - come già abbiamo detto - tanto
musicale; «a quel tempo, Occhio di Falco, noi eravamo un solo popolo, ed
eravamo felici. Il lago salato ci dava i suoi pesci, la foresta i suoi
cervi e l'aria gli uccelli. Prendevamo mogli che ci partorivano figli,
adoravamo il Grande Spirito e tenevamo i Maqua lontani dal suono dei
nostri canti di trionfo.»
«Sai qualcosa della tua famiglia
a quel tempo?» domandò il bianco. «Tu sei un'uomo giusto per essere un
indiano! E giacché suppongo che tu possegga le loro doti i tuoi padri
devono essere stati coraggiosi guerrieri e uomini saggi al fuoco del
consiglio.»
«La mia tribù è l'antenata dei
popoli, ma io sono di razza pura. Il sangue dei capi è nelle mie vene,
dove starà per sempre. Gli olandesi sbarcarono e diedero al mio popolo
l'acquavite, essi bevvero finché cielo e terra parvero congiungersi e da
stolti credettero di aver trovato il Grande Spirito. Poi si separarono
dalla loro terra. Passo dopo passo furono ricacciati dalle spiagge,
tanto che io, che sono un capo e un Sagamore, non ho mai visto splendere
il sole se non attraverso gli alberi, né ho mai visitato le tombe dei
miei padri.»
«Le tombe portano alla mente
sentimenti elevati» replicò l'esploratore profondamente toccato dalla
pacata sofferenza del compagno, «e spesso aiutano l'uomo nei suoi buoni
propositi; anche se per quanto mi riguarda, mi aspetto di lasciare le
mie ossa insepolte, ad imbiancare il bosco o ad essere dilaniate dai
lupi. Ma dove si trovano quelli della tua razza che si congiunsero alla
loro stirpe nel paese Delaware, tante estati fa?»
«Dove sono i fiori di quelle
estati! Caduti ad uno ad uno: così se ne andarono tutti quelli della mia
famiglia, ad uno ad uno, verso la terra degli spiriti. Io sono sulla
cima della collina e devo scendere a valle; e quando Uncas mi seguirà
non ci sarà più nessuno del sangue dei Sagamore, perché mio figlio è
l'ultimo dei Mohicani.»
«Uncas è qui!» disse un'altra
voce dagli stessi morbidi toni gutturali, vicino a lui. «Chi parla di
Uncas?»
All'improvvisa interruzione il
bianco sganciò il coltello dalla fondina di cuoio e con la mano fece un
gesto istintivo verso il fucile, ma l'indiano non si scompose e non
volse la testa al suono inatteso.
Nell'istante successivo un
giovane guerriero passò in mezzo a loro con passo felpato e si sedette
sulla riva dell'impetuoso torrente. Nessuna esclamazione sfuggì al padre
né, per parecchi minuti, venne fatta alcuna domanda e sembrò che
ciascuno aspettasse il momento per poter parlare senza tradire donnesca
curiosità o infantile impazienza. Il bianco parve trarre consiglio dal
loro atteggiamento e, lasciando la presa del fucile, rimase anch'egli
silenzioso e in disparte. Alla fine Chingachgook volse lentamente lo
sguardo verso il figlio e domandò:
«I Maqua osano forse lasciare le
impronte dei loro mocassini in queste foreste?»
«Sono stato sulle loro tracce,»
rispose il giovane indiano, «e so che sono tanti quante sono le dita
delle mie due mani, ma da codardi, rimangono nascosti.»
«Quei ladri sono usciti alla
ricerca di scalpi e di bottino!» disse il bianco che chiameremo Occhio
di Falco, come facevano i suoi compagni.
«Quel francese zelante, Montcalm,
manderà delle spie fino nel nostro accampamento e conoscerà il nostro
percorso!»
«Basta!» replicò il padre,
gettando uno sguardo al sole in declino «saranno snidati dai cespugli
come cervi. Occhio di Falco, mangiamo stasera, e domani mostreremo ai
Maqua che siamo uomini.»
«Sono pronto a fare entrambe le
cose: ma per combattere gli Irochesi è necessario trovare quei
vigliacchi e per mangiare è necessario prendere la selvaggina; parla del
diavolo che lui compare, ecco che il più bel paio di corna che abbia
visto in questa stagione muovere i cespugli in fondo alla collina! Ed
ora, Uncas,» continuò in un sussurro come chi ha appreso a stare in
guardia, «scommetto il mio caricatore tre volte pieno di polvere contro
un piede di conchiglie infilate che lo colpisco in mezzo agli occhi e
più vicino al destro che al sinistro.»
«Non puoi farcela!» disse il
giovane indiano scattando in piedi con giovanile impeto: «è tutto
nascosto, tranne la punta delle corna!»
«È soltanto un ragazzo!» disse
il bianco rivolto al padre e scuotendo la testa nel parlare. «Crede
forse che quando un cacciatore vede una parte dell'animale non possa
indovinare dove si trova il resto?»
Puntando il fucile, stava per
dare una dimostrazione di quella abilità della quale tanto si vantava,
quando il guerriero gli spostò l'arma verso l'alto e disse: «Occhio di
Falco, vuoi combattere i Maqua?»
«Questi indiani conoscono bene
la foresta per istinto!» replicò l'esploratore abbassando il fucile e
girandosi dall'altra parte come chi riconosce il proprio errore. «Devo
lasciare il cervo alla tua freccia, Uncas, o uccideremmo la bestia
perché quei ladri degli Irochesi se la mangino.»
Non appena il padre ebbe
approvato questa proposta con un espressivo gesto della mano, Uncas si
gettò a terra e si avvicinò all'animale con movimenti cauti. Quando fu a
poche yarde dal suo nascondiglio mise la freccia all'arco con la massima
cura, mentre le ramificazioni delle corna si muovevano come se il loro
proprietario fiutasse la presenza del nemico nell'aria. Un momento dopo
si udì lo scocco della corda, una striscia bianca fu vista guizzare
verso il folto degli arbusti ed un cervo ferito si' lanciò fuori del suo
rifugio per abbattersi proprio ai piedi del nemico nascosto. Evitando le
corna dell'animale infuriato, Uncas si precipitò al suo fianco e gli
attraversò il collo col coltello, e l'animale, rimbalzando verso la riva
del fiume, vi cadde, tingendo le acque del suo sangue.
«È stato fatto con la competenza
degli indiani!» disse l'esploratore ridendo fra sé, ma con grande
soddisfazione, «e lo spettacolo era bello davvero! Anche quando la
freccia colpisce da vicino, ci vuole un coltello per completare
l'opera.»
«Hugh!» esclamò il compagno
girandosi di scatto come un cane che fiuta la selvaggina.
«Ce n'è un branco, com'è vero
che sono vivo!» esclamò l'esploratore i cui occhi cominciarono a
brillare con l'abituale ardore del suo mestiere: «Se mi vengono a tiro
sparerò una pallottola anche se le Sei Nazioni insieme dovessero essere
nascoste entro il raggio del mio sparo! Cosa senti Chingachgook? Le mie
orecchie sono sorde ai rumori della foresta.»
«C'é un solo cervo ed è morto,»
disse l'indiano curvandosi fino a toccare il terreno con le orecchie:
«sento un rumore di passi!»
«Forse i lupi hanno fatto
fuggire gli animali verso il riparo e li stanno inseguendo.»
«No, stanno venendo i cavalli
dell'uomo bianco,» replicò l'altro alzandosi con aria solenne e
riprendendo il suo posto sul ceppo con la compostezza di prima. «Occhio
di Falco, essi sono tuoi fratelli, parla con loro.»
«Lo farò, e in un inglese cui il
re in persona non si vergognerebbe di rispondere» disse il cacciatore
usando la lingua della quale andava fiero, «ma non vedo niente, né sento
rumori di uomini o bestie; è strano che un indiano distingua rumori
prodotti dai bianchi meglio di uno il cui sangue, anche a detta dei suoi
nemici, è puro, pur avendo vissuto coi pellerossa abbastanza a lungo da
essere sospetto! Ah! ecco qualcosa che sembra lo schianto di un ramo
secco... ora sento muoversi i cespugli... sì, sì, ecco uno scalpiccio
che avevo scambiato per il rumore delle cascate... e... ma eccoli in
persona. Dio li salvi dagli Irochesi!»
Bene,
va per la tua strada,
Ma non uscirai da questo boschetto
Finché non avrai scontato quest'offesa...
Sogno di una notte di mezza
estate
«Chi va là?» domandò
l'esploratore gettandosi senza darlo a vedere il fucile sulla sinistra e
tenendo l'indice della mano destra sul grilletto, avendo cura però di
non assumere un atteggiamento minaccioso. «Chi viene qui, tra le bestie
e i pericoli di questi luoghi selvaggi?»
«Dei credenti in Dio ed amici
della legge e del re,» replicò colui che cavalcava davanti a tutti.
«Uomini che hanno viaggiato dal sorgere del sole, attraverso le ombre di
questa foresta, senza cibo e molto stanchi per il cammino.»
«Dunque vi siete persi,»
interruppe il cacciatore «e vi siete resi conto di quanto sia terribile
non sapere quando prender a destra o a sinistra.»
«È così: i lattanti non sono
dipendenti da coloro che li guidano più di quanto non lo siano agli
adulti, e di noi ora si può ben dire che abbiamo la statura, ma non la
conoscenza propria degli uomini. Sapete quanto dista da qui un fortino
della corona chiamato William Henry?»
«Uh!» esclamò l'esploratore che
non poté fare a meno di ridere apertamente, pur soffocando subito il
pericoloso rumore per rimandare la sua ilarità ad una occasione in cui
ci fosse meno rischio di essere uditi da nemici nascosti. «Siete tanto
lontani da quella pista quanto lo sarebbe un cane con l'Horican tra sé e
il cervo!
William Henry, amico? Se
siete amici del re e avete a che fare con l'esercito, la strada migliore
per voi sarebbe di seguire il fiume, giù fino a Edward, e sottoporre il
caso a Webb che sta sostando laggiù, invece di spingervi in questa gola
e di far riattraversare il Champlain a quell'insolente di francese per
ricacciarlo nella sua tana!»
Prima che lo sconosciuto potesse
dare una risposta a questa proposta inattesa, un altro uomo a cavallo
scostò violentemente gli arbusti e d'un balzo fu sul sentiero davanti al
suo amico.
«Qual'è dunque la distanza da
Fort Edward?» domandò il nuovo venuto. «Abbiamo lasciato stamattina il
luogo che ci consigliate di cercare e la nostra meta è la punta estrema
del lago.»
«Allora dovete essere diventati
ciechi prima di perdervi, perché la strada che attraversa il passaggio
via terra è divisa in due e, secondo i miei calcoli, è grande come una
strada di Londra, se non addirittura come quella che sta davanti al
palazzo reale.»
«Non vogliamo discutere sulla
bontà del passaggio,» replicò Heyward sorridendo; poiché, come il
lettore avrà già compreso, si trattava proprio di lui. «Per il momento
vi basti che ci siamo affidati ad una guida indiana perché ci portasse
attraverso un sentiero più breve, e più nascosto, e che ci siamo
ingannati sulla sua competenza. In parole povere, non sappiamo dove ci
troviamo.»
«Un indiano perso nella
foresta!» disse l'esploratore scuotendo il capo, dubbioso: «il sole che
brucia le cime degli alberi e i corsi d'acqua quando sono in piena, o il
muschio su ogni faggio che cade sotto il suo sguardo, gli dicono in
quale fase la stella polare brillerà la notte! I boschi sono pieni delle
tracce dei cervi che vanno verso i torrenti o ai lick, luoghi ben noti a
tutti; né le anatre sono ancora volate verso le acque del Canadà! È
strano che un indiano si perda tra l'Horican e le curve del fiume! È un
Mohawk?»
«Di nascita no, ma è stato
adottato da quella tribù; credo che il luogo della sua nascita sia molto
più a nord e che sia uno di quelli che chiamate Uroni.»
«Hugh!» esclamarono i due
compagni dell'esploratore i quali, mentre si svolgeva questa parte del
dialogo, erano rimasti seduti ed immobili, apparentemente indifferenti a
quanto stava succedendo, ma che ora scattarono in piedi con una vivacità
e un interesse che, per la sorpresa, avevano evidentemente avuto la
meglio sul loro riserbo.
«Un Urone,» ripeté l'esploratore
ostinato, scuotendo ancora una volta il capo con aperta diffidenza:
«sono una razza di ladri, né mi importa da chi siano stati adottati: di
loro non si può fare altro che dei codardi e dei vagabondi. Poiché vi
siete affidato alle cure di uno di loro mi meraviglio che non vi siate
imbattuto in altri.»
«Quanto a questo c'è poco
pericolo, poiché William Henry è tante miglia lontano da noi.
Dimenticate che vi ho detto che la nostra guida è un Mohawk ora, e che è
al nostro servizio da amico.»
«E io vi dico che chi nasce
Mingo, Mingo muore» replicò l'altro risoluto. «Un Mohawk, no, datemi un
Delaware o un Mohicano, quello sarà onesto; e se combatterà, cosa che
non tutti faranno poiché hanno lasciato che i loro astuti nemici, i
Maqua, li rendessero donne - ma se lo farà, contate su un Delaware o un
Mohicano se volete un guerriero!»
«Basta così,» disse Heyward
spazientito; «non voglio indagare sul carattere di un uomo che non
conosco e per il quale voi siete uno sconosciuto. Non avete ancora
risposto alla mia domanda; quanto siamo distanti dal grosso
dell'esercito a Edward? «Sembra che ciò dipenda da chi vi guida. Si
direbbe che un cavallo come quello possa fare un bel po' di strada tra
l'alba e il tramonto.»
«Non voglio dispute inutili con
voi, amico» disse Heyward dominando il disappunto e parlando con tono
più gentile; «se volete dirmi la distanza tra qui e Fort Edward e
condurmici, la vostra fatica non rimarrà senza ricompensa.»
«Se lo faccio, come posso sapere
che non sto guidando un nemico e una spia di Montcalm verso le
fortificazioni dell'esercito? Non tutti quelli che parlano inglese sono
onesti.»
«Se servite le truppe, di cui
credo siate un esploratore, dovreste aver sentito parlare del 60°
reggimento del re.»
«Il 60°! Potete dirmi poco degli
Americani Reali che io non sappia, anche se indosso una blusa alla
cacciatora invece di una giubba rossa.»
«Bene, allora, tra le altre
cose, conoscerete anche il nome del suo maggiore!»
«Il suo maggiore?» interruppe il
cacciatore drizzando la figura come chi è orgoglioso di un compito
affidatogli. «Se c'è un uomo nel paese che conosce il Maggiore Effingham,
eccolo davanti a voi.»
«È un corpo che ha molti
maggiori, il gentiluomo che avete nominato è quello anziano, ma io
intendo il più giovane di tutti; quello che comanda le compagnie di
guarnigione a William Henry.»
«Sì, sì, ho sentito di un
giovane gentiluomo molto ricco, che viene da una delle province del
lontano sud, che ha preso quel posto. Egli è troppo giovane per avere un
grado così alto e per essere messo al di sopra di uomini la cui testa
comincia ad imbiancare, tuttavia dicono che è un vero soldato e un prode
gentiluomo!»
«Chiunque sia e qualunque sia il
suo rango, vi sta parlando in questo momento e naturalmente non è un
nemico di cui possiate temere.»
L'esploratore guardò Heyward
sorpreso poi, sollevando il berretto, rispose in un tono di minor
confidenza anche se ancora un po' dubbioso: «Ho sentito dire che una
compagnia doveva lasciare l'accampamento stamane diretta al lago.»
«È la verità, ma avrei preferito
una strada più breve, fidando nell'esperienza dell'indiano di cui vi ho
parlato.»
«Così egli vi ha ingannato e poi
abbandonato?» «Niente di tutto questo, credo; che non ci ha abbandonato
è certo poiché potete trovarlo dietro a voi.»
«Vorrei dargli un'occhiata; se è
un vero Irochese lo vedrò dallo sguardo losco e da come è dipinto,»
disse l'esploratore passando davanti al cavallo di Hevward ed entrando
nel sentiero dietro alla giumenta del maestro di canto, il cui puledro
aveva approfittato della fermata per esigere il contributo materno.
Dopo aver scostato gli arbusti
ed essere avanzato di pochi passi incontrò le donne che aspettavano
inquiete e non senza apprensione l'esito della conversazione. Dietro a
loro stava il corriere appoggiato ad un albero, dove subì, immobile,
l'esame dell'esploratore, ma con uno sguardo così cupo e selvaggio che
poteva da solo fare paura. Soddisfatto del minuzioso esame l'esploratore
si allontanò. Passando di nuovo davanti alle donne si fermò un momento
per osservare la loro bellezza e rispose al sorriso e al cenno di Alice
con evidente compiacimento. Poi andò verso l'animale-madre e, dopo aver
speso un minuto nel cercar di comprendere che tipo fosse il suo
cavaliere, scosse la testa e ritornò da Heyward.
«Un Mingo, è un Mingo, e poiché
Dio lo ha fatto così, né i Mohawk né alcuna altra tribù può cambiarlo,»
disse quando fu di ritorno. «Se fossimo soli e se stanotte lasciaste
quel nobile cavallo alla mercè dei lupi, potrei io stesso farvi arrivare
a Edward entro un'ora, poiché sta ad un'ora di cammino da qui, ma con
quelle signore in vostra compagnia, è impossibile!»
«E perché? Sono sì stanche, ma
possono cavalcare ancora per qualche miglio.»
«È una impossibilità naturale!»
ripeté l'esploratore. «Non camminerei per un solo miglio in questa
foresta dopo che vi è calata la notte e in compagnia di quel corriere,
nemmeno per il miglior fucile delle colonie. È piena di Irochesi
nascosti e il vostro Mohawk bastardo sa troppo bene dove trovarli per
essere mio compagno.»
«Credete?» disse Heyward,
curvandosi sulla sella e abbassando la voce quasi in un sussurro;
«confesso che io stesso non sono stato senza sospetti, malgrado, a causa
delle mie compagne, mi sia sforzato di tenerli per me e abbia finto una
fiducia che non sempre provavo. È stato perché avevo qualche sospetto su
di lui che non l'ho più seguito, facendo in modo, come vedete, che lui
seguisse me.»
«Ho capito che era uno di quegli
imbroglioni non appena ho alzato gli occhi su di lui!» replicò
l'esploratore, portandosi un dito al naso in segno di avvertimento.
«Quel ladro è appoggiato ai piedi delle canne da zucchero che vedete al
di là degli arbusti, la sua gamba destra è parallela al tronco
dell'albero,» e aggiunse, dando un colpetto al fucile: «posso prenderlo
da dove mi trovo, tra l'anca e il ginocchio, con un solo colpo, metterei
fine così al suo girovagare fra i boschi, almeno per il prossimo mese.
Se tornassi da lui, l'astuto furfante sospetterebbe qualcosa e
fuggirebbe fra gli alberi come un cervo spaventato.»
«Questo no. Può essere
innocente, e un gesto così non mi piace. Tuttavia se fossi sicuro che ha
tradito...»
«Si è sicuri se si tiene conto
della disonestà di un Irochese,» disse l'esploratore sollevando il
fucile in una sorta di movimento istintivo.
«Aspettate!» interruppe Heyward.
«Questo no, dobbiamo pensare a qualche altro piano; e tuttavia ho molte
ragioni per credere che quel mascalzone mi abbia ingannato.»
Il cacciatore, che aveva già
abbandonato l'intenzione di immobilizzare il corriere, rifletté per un
momento, poi fece un gesto in seguito al quale i due compagni pellerossa
furono al suo fianco in un istante. Essi confabularono con fervore nella
lingua dei Delaware, ma a bassa voce; dai gesti del bianco, che spesso
erano diretti alla cima del piccolo albero, era evidente che indicava la
posizione del nemico nascosto. I due non ci misero molto a comprendere i
suoi desideri e, lasciando i fucili, si separarono, prendendo due lati
opposti del sentiero e si immersero nel boschetto con movimenti così
cauti che i loro passi non si udivano nemmeno.
«Ora tornate indietro,» disse
l'esploratore rivolto di nuovo a Heyward «e cercate di trattenere quel
demonio con le chiacchiere; questi Mohicani lo prenderanno senza nemmeno
sciupargli le giunture.»
«No» disse Heyward orgoglioso.
«Voglio acciuffarlo io stesso.»
«Sst! cosa potreste fare voi, a
cavallo, contro un indiano fra i cespugli?»
«Scenderò da cavallo.»
«E credete proprio che costui,
una volta visto uno dei vostri piedi fuori dalla staffa aspetterebbe che
anche l'altro se ne liberi? Chiunque venga in questa foresta ed abbia a
che fare con gli indigeni deve usare sistemi indiani se vuole riuscire
nelle sue imprese. Andate dunque, parlate apertamente a quel furfante e
abbiate l'aria di ritenerlo l'amico più sincero che avete sulla terra.»
Heyward si preparò ad ubbidire,
anche se molto disgustato per la natura del compito che era costretto ad
eseguire. Si andava però convincendo sempre più di aver lasciato che
l'importante incarico ricevuto giungesse ad una situazione critica a
causa della sua eccessiva fiducia. Il sole era già scomparso perché al
42° grado di latitudine il tramonto non è mai di lunga durata, ed i
boschi, improvvisamente privi di luce, stavano assumendo tinte fosche,
il che gli ricordava dolorosamente che si stava rapidamente avvicinando
l'ora che, di solito, i selvaggi scelgono per i loro più barbari e
crudeli atti di vendetta o di ostilità. Spinto dall'apprensione, lasciò
l'esploratore, il quale cominciò subito una conversazione ad alta voce
con lo sconosciuto che quel mattino si era unito alla compagnia in modo
così poco cerimonioso. Nel passare accanto alle gentili compagne,
Heyward mormorò alcune parole di incoraggiamento ed ebbe il piacere di
constatare che esse, benché stanche per le fatiche della giornata, non
avevano l'aria di sospettare che la situazione critica in cui si
trovavano, non fosse frutto del caso. Dando loro ragione di credere di
essere semplicemente impegnato in una consultazione riguardante la
prossima via da seguire, spronò il cavallo e tirò di nuovo le redini
solo quando l'animale lo ebbe portato a poche yarde dal luogo dove
l'infido corriere stava ancora appoggiato all'albero.
«Potete vedere, Magua,» disse
cercando di assumere un tono libero e cordiale, «che la notte si sta
chiudendo su di noi, eppure non siamo più vicini a William Henry di
quanto non fossimo quando lasciammo l'accampamento di Webb al sorgere
del sole. Voi avete sbagliato strada, né io ho avuto più fortuna. Ma,
per buona sorte, ci siamo imbattuti in un cacciatore, quello che udite
parlare al cantore, che è esperto in fatto di piste di cervi e
scorciatoie della foresta e che ha promesso di condurci ad un luogo dove
possiamo riposare sicuri fino al mattino.»
L'indiano fissò gli occhi
ardenti su Heyward e domandò nel suo imperfetto inglese: «È solo?»
«Solo?» rispose con esitazione
Heyward per il quale la menzogna era cosa troppo nuova perché ne facesse
uso senza imbarazzo. «Oh! non solo certamente, Magua, poiché sapete bene
che noi siamo con lui.»
«Allora Le Renard Subtil se ne
andrà,» replicò il corriere sollevando con calma la sacca che giaceva ai
suoi piedi; «così i visi pallidi vedranno soltanto persone del loro
colore.»
«Andate! Chi è che chiamate ‹Le
Renard›?»
«È il nome che i padri canadesi
hanno dato a Magua» replicò il corriere, con un'aria che mostrava
orgoglio per questa distinzione. «La notte è uguale al giorno per Le
Subtil, quando Munro lo aspetta.»
«E come si giustificherà Le
Renard col capo di William Henry riguardo alle sue figlie? Oserà egli
dire a quel focoso scozzese che le sue creature sono rimaste senza guida
nonostante Magua abbia promesso di esserlo?»
«Per quanto quella testa grigia
abbia una voce tonante e un lungo braccio, Le Renard non lo udrà, né
sentirà la sua presenza nei boschi.»
«Ma che cosa diranno i Mohawk?
Gli faranno delle sottane e lo pregheranno di stare nelle wigwam con le
donne, poiché nessuno avrà più fiducia in lui negli affari virili.»
«Le Subtil conosce il sentiero
per i grandi laghi e può trovare le ossa dei suoi padri,» fu la risposta
dell'imperturbabile corriere.
«Basta, Magua,» disse Heyward.
«Non siamo amici? Perché devono esserci parole amare fra di noi? Munro
ti ha promesso un premio per i tuoi servizi quando li avrai compiuti, e
io ti sarò debitore di un altro. Riposa dunque le tue stanche membra e
apri la bisaccia per mangiare. Abbiamo pochi minuti a disposizione, non
sprechiamoli in chiacchiere come donnette attaccabrighe. Quando le
signore si saranno rinfrescate, proseguiremo.»
«I visi pallidi si fanno cani
con le loro donne,» borbottò l'indiano nella lingua madre, «e quando
esse vogliono mangiare, i loro guerrieri devono lasciare l'ascia di
guerra per nutrire il loro ozio.»
«Cosa dici Renard?»
«Le Subtil dice che va bene.»
Poi l'indiano fissò gli occhi
penetranti nella franca espressione del volto di Heyward ma,
nell'incontrare il suo sguardo li girò in fretta, e, sedendosi
tranquillamente in terra, trasse ciò che restava di qualche pasto
precedente e cominciò a mangiare, non prima però di aver volto un lento
sguardo circospetto intorno a sé.
«Così va bene,» continuò Heyward.
«E Le Renard avrà forza e vista per trovare il sentiero domani mattina;»
si interruppe ad un rumore come di rami secchi e fruscio di foglie che
si levò dai cespugli adiacenti, ma, tornando subito padrone di sé,
continuò: «dobbiamo muoverci prima che si veda il sole, o Montcalm può
venire sul nostro cammino e tagliarci fuori dalla fortezza.»
La mano di Magua si abbassò
dalla bocca verso il fianco e, benché i suoi occhi fossero fissi al
terreno, girò la testa, dilatò le narici e sembrò addirittura che le sue
orecchie fossero più ritte del solito dandogli l'aspetto di un monumento
all'Attenzione.
Heyward, che osservava i suoi
movimenti con occhi vigili, sfilò, senza darlo a vedere, uno dei piedi
dalla staffa, mentre allungava una mano verso la pelle d'orso che
copriva la fondina della sella. Qualsiasi sforzo per scoprire il punto
verso cui il corriere guardava era completamente frustrato dal tremolio
dei suoi occhi che sembravano non fermarsi un solo istante su un oggetto
particolare e di cui, nello stesso tempo, si vedevano a malapena i
movimenti. Mentre era incerto su come comportarsi, Le Subtil si alzò
guardingo, ma con un moto così lento e cauto che il gesto non produsse
il benché minimo rumore. Heyward sentì che era venuto per lui il momento
di agire. Gettando la gamba al di là della sella, scese da cavallo
deciso ad avvicinarsi e prendere il traditore, affidando il risultato al
suo solo coraggio. Tuttavia, per prevenire ogni inutile allarme,
continuò a conservare un'aria calma ed amichevole.
«Le Renard Subtil non mangia,»
disse usando l'appellativo che aveva scoperto essere il più lusinghiero
per la vanità dell'indiano; «il suo grano non è arrostito bene sembra
asciutto. Lascia che guardi, forse nelle mie provviste si può trovare
qualcosa che stimolerà il suo appetito.»
Magua a questa offerta porse la
bisaccia. Lasciò persino che le loro mani si incontrassero senza tradire
la minima emozione o mutare la fissa posizione di allarme. Ma quando
sentì le dita di Heyward sfiorare il suo braccio nudo, diede un colpo
all'arto del giovane e lanciando un grido lacerante nel sfuggirlo, si
immerse d'un balzo nella macchia di fronte. Subito dopo apparve dai
cespugli la sagoma di Chingachgook con un aspetto spettrale nelle sue
dipinture, che si lanciò lungo il sentiero in un veloce inseguimento.
Poi si udì il grido di Uncas e il bosco fu illuminato da un bagliore
improvviso accompagnato dalla secca detonazione del fucile del
cacciatore.
In una notte come questa
Tisbe timorosamente camminò
nella rugiada
e vide l'ombra del leone davanti
a sè
Il Mercante di Venezia
La subitanea fuga della guida e
i gridi selvaggi degli inseguitori, fecero rimanere Heyward immobile per
alcuni istanti, in passiva sorpresa. Poi, ricordando l'importanza di
assicurarsi il fuggiasco, scostò gli arbusti che lo circondavano e si
lanciò per contribuire alla caccia. Ma, prima che avesse percorso un
centinaio di iarde, incontrò i tre stranieri, già di ritorno
dall'inutile inseguimento.
«Perché avete rinunciato così
presto?» esclamò. «Quel farabutto deve essersi nascosto dietro qualcuno
di questi alberi, e può ancora essere preso. Noi non siamo al sicuro
finché costui è in libertà.»
«Mandereste una nube a caccia
del vento?» replicò l'esploratore deluso. «Ho sentito quel demonio
strisciare nelle foglie secche come un vero serpente, e avendolo
intravisto proprio al di là di quel grosso pino, ho sparato come se
l'avessi avuto a tiro, ma non è servito, eppure, quanto a buona mira, se
qualcuno all'infuori di me avesse tirato il grilletto, avrei detto che
la sua vista è acuta: sono uno che ha esperienza e dovrei sapere bene
queste cose. Guardate quel sommacco, le sue foglie sono rosse, eppure,
come tutti sanno, i suoi frutti sono gialli di luglio.»
«È il sangue di Le Subtil! È
ferito e potrebbe cadere!»
«No, no» replicò l'esploratore,
decisamente non d'accordo con questa ipotesi. «L'ho preso di striscio ad
un arto, forse, ma si è messo a saltare ancora di più. La pallottola di
un fucile agisce su un animale in corsa, quando lo colpisce
superficialmente, proprio come uno dei nostri speroni su un cavallo,
cioè ne accellera i movimenti e infonde vita alle sue carni. Solo quando
viene trapassato, dopo aver rimbalzato un paio di volte, in genere
smette di saltare, si tratti di un indiano o di un cervo!»
«Siamo quattro uomini validi
contro uno ferito!»
«Siete stanco della vita?» lo
interruppe l'esploratore. «Quel diavolo rosso vi trascinerebbe entro il
raggio delle asce dei suoi compagni prima che abbiate il tempo di
sentirvi accaldato per la caccia. È stato imprudente per un uomo che ha
dormito così spesso tra i gridi di guerra, far partire un colpo di
fucile dove avrebbe potuto esser udito da qualcuno in agguato! Ma la
tentazione è stata naturale! Molto naturale! Venite amici, cambiamo
posto, e in modo tale da mettere l'astuto Mingo sulla pista sbagliata, o
domani, a quest'ora, le nostre cotenne asciugheranno al vento davanti
alla tenda di Montcalm.»
Questa raccapricciante
dichiarazione, pronunciata dall'esploratore con la fredda sicurezza di
un uomo che aveva piena coscienza del pericolo pur non temendo di
affrontarlo, servì a rammentare a Heyward l'importanza dell'incarico che
gli era stato affidato. Guardandosi attorno, in un vano sforzo di
penetrare l'oscurità che andava infittendosi sotto gli archi di fogliame
della foresta, ebbe la sensazione che, lontane dall'aiuto umano, le sue
fragili compagne sarebbero state presto alla mercè di quei barbari
nemici che, come bestie da preda, avrebbero atteso soltanto finché
l'oscurità che si stava addensando avrebbe reso i loro colpi più
fatalmente sicuri. La sua fantasia scossa, suggestionata dalla luce
incerta, trasformava ogni arbusto ondeggiante o i frammenti di qualche
albero caduto, in forme umane, e venti volte credette di intravedere gli
orridi visi dei nemici in agguato che spiavano furtivi dai loro
nascondigli, per sorvegliare continuamente i movimenti della compagnia.
Volgendo lo sguardo verso l'alto vide che le sottili nuvole lanose che
la sera aveva dipinto nel cielo blu stavano già perdendo le loro
delicate sfumature rosate, mentre il torrente incassato che scorreva
davanti a lui si poteva distinguere solo per gli scuri contorni delle
sue rive boscose.
«Che cosa si deve fare?» disse
provando la disperazione del dubbio in una così pressante situazione.
«Non abbandonatemi, per pietà! Restate a difendere coloro che accompagno
e ditemi senza reticenze la vostra ricompensa!»
I compagni che parlavano in
disparte nella lingua della loro tribù non prestarono attenzione a
questo improvviso e appassionato appello. Benché il dialogo si
mantenesse su toni bassi e cauti, ma un poco al di sopra di un
bisbiglio, Heyward, che ora si era avvicinato, potè facilmente
distinguere i toni concitati del guerriero più giovane da quelli
controllati del più vecchio. Era evidente che stavano dibattendo sulla
opportunità di qualche misura che riguardava da vicino il bene dei
viaggiatori.
Spinto dal forte interesse per
l'argomento e mal tollerando un indugio che sembrava carico di ulteriore
pericolo, Heyward si avvicinò ancor più al gruppo di uomini bruni, con
l'intenzione di rendere più precisa la sua offerta di ricompensa, quando
il bianco, facendo dei segni con la mano come per approvare la decisione
presa, si girò e disse in una sorta di soliloquio parlando in inglese: «Uncas
ha ragione! Non sarebbe da uomini lasciare al loro destino delle
creature tanto indifese, anche se ciò guasterà il nostro nascondiglio
per sempre. Se volete salvare questi teneri boccioli dai denti velenosi
del peggiore dei serpenti non avete né tempo da perdere, né risoluzioni
da scartare!»
«Come si può dubitare che io
abbia un simile desiderio? Non ho forse già offerto...»
«Offrite le vostre preghiere a
Colui che può darci la saggezza per far fronte alle astuzie dei demoni
che riempiono questa foresta» interruppe calmo l'esploratore. «Ma
risparmiatevi le promesse di denaro poiché è possibile che voi non
viviate abbastanza per tenervi fede, né io per goderne. Questi Mohicani
ed io faremo tutto ciò che mente umana può escogitare per salvare dalla
disgrazia simili fiori che, dolci come sono, non furono certo fatti per
luoghi selvaggi, e ciò senza sperare in nessuna ricompensa, se non in
quella che Dio sempre concede per una giusta condotta. Prima però dovete
promettere due cose tanto a nome vostro che dei vostri compagni,
altrimenti danneggeremo noi stessi, senza essere utili a voi.»
«Ditele!»
«Una è di stare in silenzio come
questi boschi addormentati, qualunque cosa succeda, e l'altra è tenere
segreto per sempre a qualsiasi mortale il luogo dove vi condurremo.»
«Farò di tutto per sottostare ad
entrambe queste condizioni.»
«Dunque seguiteci, stiamo
perdendo momenti preziosi come il sangue del cuore per un cervo ferito!»
Heyward poteva distinguere i
gesti impazienti dell'esploratore attraverso le ombre crescenti della
sera e seguì pronto i suoi passi verso il luogo dove aveva lasciato il
resto della compagnia. Quando raggiunsero le donne che attendevano con
ansia, egli le mise in breve al corrente delle condizioni della loro
nuova guida, nonché della necessità di acquietare ogni timore nelle
gravi prove che stavano per affrontare. Sebbene queste allarmanti
informazioni venissero accolte non senza segreto terrore, i modi seri e
convincenti del giovane, aiutati, forse, dalla natura del pericolo,
riuscirono a rendere i nervi delle fanciulle abbastanza saldi per
affrontare inattese e insolite prove. In silenzio e senza un momento di
indugio, esse gli permisero di aiutarle a smontare di sella e discesero
svelte verso la riva del fiume dove l'esploratore, a gesti espressivi
più che a parole, aveva riunito il resto della compagnia.
«Che fare di queste mute
creature?» mormorò il bianco, al quale sembrava affidato l'intero
controllo dei futuri movimenti. «Sarebbe tempo sprecato tagliare loro la
gola e gettarli nel fiume; e lasciarli qui significherebbe dire ai Mingo
che non devono cercare lontano per trovare i padroni!»
«Allora sciogliete loro le
briglie e lasciateli errare per i boschi,» si azzardò a suggerire
Heyward.
«No, sarebbe meglio sviare quei
demoni e far loro credere che devono uguagliare la velocità del cavallo
per continuare la caccia. Già, già, questo renderà cieche le loro
pupille di fuoco! Chingack... Sst! Che cosa muove i cespugli?»
«Il puledro.»
«Almeno il puledro deve morire,»
borbottò l'esploratore aggrappandosi alla criniera dell'agile animale
che però sfuggì facilmente alla presa.
«Uncas, le tue frecce!»
«Aspettate!» esclamò ad alta
voce il proprietario dell'animale condannato, senza tener conto del tono
usato dagli altri: «risparmiate il puledro di Miriam! Esso è la graziosa
prole di una madre fedele e non sarà di nessun danno.»
«Quando gli uomini combattono
per l'unica vita che Dio ha dato loro» disse l'esploratore in tono
severo, «persino la loro stessa specie non ha più valore delle bestie
della foresta. Se parlerete ancora vi lascerò alla mercè dei Magua! Tira
la freccia, Uncas, non abbiamo tempo per un secondo tiro.»
Il basso mormorio della sua voce
minacciosa era ancora nell'aria, quando il puledro ferito si alzò sulle
zampe posteriori, poi stramazzò sulle ginocchia. Gli andò incontro
Chingachgook il cui coltello più rapido del pensiero, gli attraversò il
collo, poi, lottando con la vittima che si dibatteva, la gettò nel fiume
sulla cui corrente essa scivolò via facendo sforzi affannosi per
respirare, mentre la sua vita si spegneva. Questo atto apparentemente
crudele, ma veramente necessario, si abbattè sugli spiriti dei
viaggiatori come un terribile avvertimento del pericolo nel quale si
trovavano e fu reso anche più impressionante dalla calma ma ferma
risolutezza dei protagonisti della scena. Le sorelle rabbrividirono e si
strinsero l'una all'altra, mentre Heyward istintivamente portò la mano a
una delle pistole che aveva appena tolto dalla fondina e si mise tra
coloro che gli erano state affidate e le ombre dense che sembravano
stendere un velo impenetrabile sul fitto della foresta.
Gli indiani, però, non esitarono
un momento, e afferrando le briglie, condussero gli spaventati e
riluttanti cavalli nel letto del fiume.
A poca distanza dalla riva li
fecero girare, e presto furono nascosti dalla sporgenza del terrapieno,
sotto il cui orlo si mossero, in direzione opposta al corso delle acque.
Nel frattempo, l'esploratore trasse una canoa di corteccia da un
nascondiglio sotto dei bassi arbusti, i cui rami ondeggiavano con il
fluire della corrente, e silenziosamente fece segno alle donne di
entrare. Esse accondiscesero senza esitare, ma si volsero più volte
spaventate e ansiose verso l'oscurità che si faceva più fitta e che ora
si stendeva come una cupa barriera lungo le sponde del fiume.
Non appena Cora e Alice furono
sedute, l'esploratore, senza preoccuparsi dell'acqua, fece reggere a
Heyward un lato della fragile imbarcazione, poi si mise a quello opposto
e i due la ressero contro la corrente, seguiti dall'afflitto
proprietario del puledro morto. Proseguirono così per un lungo tratto,
in un silenzio interrotto solo dallo sciacquio dei mulinelli che
gorgogliavano intorno a loro, o dal leggero sciabordio causato dai loro
cauti passi. Heyward lasciò tacitamente la guida della canoa
all'esploratore, il quale si avvicinava o si allontanava dalla riva a
seconda che dovesse evitare i frammenti di rocce o le parti più profonde
del fiume, con una prontezza che mostrava la sua conoscenza del percorso
che stavano seguendo. Di tanto in tanto egli si fermava, e nel cuore di
un silenzio vivo che il sordo ma crescente mugghiare della cascata
serviva soltanto a rendere più impressionante, si metteva in ascolto con
vigile intensità, per cogliere qualsiasi rumore che potesse provenire
dalla foresta addormentata. quando era sicuro che tutto fosse
tranquillo, e non percepiva, nemmeno con l'aiuto dei suoi sensi esperti,
alcun segno di nemici vicini, decideva di riprendere il lento e cauto
procedere. Alla fine raggiunsero un punto del fiume dove lo sguardo
vagante di Heyward si concentrò su un ammasso di oggetti neri, raccolti
dove l'alta riva gettava un'ombra più lunga delle altre sulle acque
cupe. Incerto se proseguire, indicò il luogo all'attenzione del
compagno.
«Già,» replicò l'esploratore
senza scomporsi, «gli indiani hanno nascosto le bestie secondo il
criterio degli indigeni! L'acqua non lascia traccia e persino gli occhi
di una civetta sarebbero ciechi nell'oscurità di una simile voragine.»
L'intera compagnia fu presto
riunita, ed ebbe un'altra consultazione tra l'esploratore e i suoi nuovi
compagni, durante la quale coloro il cui destino dipendeva dalla lealtà
e abilità di questi stranieri sconosciuti, ebbero poca possibilità di
conoscere a fondo la situazione.
Il fiume era delimitato da alte
rocce scoscese, una delle quali sovrastava il luogo in cui si trovava la
canoa. Poiché queste, inoltre, erano sormontate da alti alberi che
sembravano in bilico sull'orlo del precipizio, davano l'impressione che
il torrente scorresse attraverso una fossa profonda e stretta. Tutto,
sotto quei rami bizzarri e quelle ispide cime d'alberi che qua e là
oscuramente si stagliavano contro la stellata volta celeste, giaceva
confuso nella cupa oscurità. Non lontano dietro a loro, l'ansa del fiume
limitava la visuale con gli stessi foschi e boscosi contorni; ma
davanti, e apparentemente a non grande distanza, l'acqua sembrava
ammassarsi contro il cielo, di dove precipitava entro caverne dalle
quali avevano origine quei lugubri suoni che avevano gremito l'aria
della sera. Sembrava proprio un luogo destinato alla solitudine, e le
sorelle furono invase da una dolce sensazione di sicurezza
nell'osservare queste romantiche, benché terribili, bellezze. Un
movimento generale delle guide, tuttavia, le richiamò, dalla
contemplazione dei fascini selvaggi che la notte aveva contribuito a
prestare a quel luogo, alla dolorosa consapevolezza del loro pericolo
reale.
I cavalli erano stati assicurati
ad alcuni arbusti sparsi che crescevano tra le fessure delle rocce, e
qui, in piedi, in mezzo all'acqua erano stati lasciati a passare la
notte.
L'esploratore fece sedere
Heyward e le affrante compagne di viaggio nella parte anteriore della
canoa ed egli prese posto nell'altra, eretto e fermo come se navigasse
in una imbarcazione di materiale ben più solido. Gli indiani
ripercorsero faticosamente il loro cammino verso il luogo che avevano
lasciato, quando l'esploratore, puntando il palo contro una roccia, con
una forte spinta, mandò direttamente il fragile guscio in mezzo alla
turbolenta corrente. Per molti minuti la lotta tra il leggero mezzo sul
quale navigavano e la rapida corrente fu dura e incerta. Non potendo
muovere nemmeno una mano e quasi timorosi di respirare per paura di
esporre la fragile struttura alla furia della corrente, i passeggeri
guardavano le rapide acque con febbrile apprensione. Venti volte essi
pensarono che i vortici li avrebbero spazzati via e distrutti quando la
mano del pilota afferrava con maestria la prua della canoa per
affrontare la rapida. Un lungo, vigoroso e - così parve alle donne -
disperato sforzo, pose termine alla lotta. Proprio mentre Alice si
copriva gli occhi per l'orrore, sotto l'impressione che essi stavano per
essere spazzati via entro il vortice ai piedi della cateratta, la canoa
si mise a galleggiare tranquilla al fianco di una roccia piatta, al
livello dell'acqua.
«Dove siamo? e cosa dobbiamo
fare ora?» domandò Heyward intuendo che lo sforzo dell'esploratore era
finito.
«Siete ai piedi di Glenn,»
replicò l'altro ad alta voce e senza timore di conseguenze, tra il rombo
della cateratta; «e la prossima cosa da fare è di approdare con calma
perché la canoa non si capovolga e non dobbiate ripercorrere questo
difficile tratto, ma più velocemente di come siete venuti; questa è una
rapida difficile da dominare quando il fiume si gonfia, e cinque persone
sono troppe da mantenere asciutte con un tronco di betulla e di albero
della gomma. Andate là sulla roccia e io porterò i Mohicani con la
cacciagione. È meglio dormire senza cotenna che morire di fame in mezzo
all'abbondanza.»
I passeggeri eseguirono con
gioia gli ordini. Non appena l'ultimo piede toccò la roccia, la canoa
girò rapidamente, mentre l'alta figura dell'esploratore fu vista per un
breve momento scivolare sulle acque, prima di sparire nell'oscurità
impenetrabile che si stendeva sul letto del fiume. Abbandonati dalla
guida, i viaggiatori rimasero per alcuni minuti in impotente ignoranza,
timorosi persino di muoversi sulle rocce sconnesse per paura che un
passo falso li precipitasse in una delle molte profonde e rombanti
caverne nelle quali le acque sembravano rovesciarsi da ogni lato. La
loro angoscia fu presto sollevata perché, con la collaborazione
dell'esperienza degli indigeni, la canoa fu gettata indietro entro i
vortici e galleggiò di nuovo vicino alla bassa roccia prima che
potessero rendersi conto che l'esploratore aveva avuto il tempo di
unirsi ai compagni.
«Ora siamo fortificati,
presidiati e approvvigionati,» gridò Heyward con gioia, «e possiamo
sfidare Montcalm e i suoi alleati. Ma ora, mia vigile sentinella, ditemi
qualcosa di quelli che sulla terraferma chiamate Irochesi!»
«Li chiamo Irochesi perché per
me ogni indigeno che parli una lingua straniera è un nemico, anche se ha
la pretesa di servire il re. Se Webb vuole fedeltà e onestà in un
indiano, fate che dia valore alle tribù del Delaware, e mandi gli avidi
e bugiardi Mohawk a Oneida con le Sei Nazioni di bricconi alle quali
appartengono per natura, insieme ai francesi!»
«Dovremmo dunque scambiare dei
guerrieri con degli inutili amici! Ho sentito dire che i Delaware hanno
lasciato da parte l'ascia e sono contenti di essere chiamati donne!»
«Già, vergogna agli olandesi e
agli Irochesi che con le loro diavolerie li hanno trascinati a quel
trattato! Ma io li ho conosciuti per vent'anni, e chiamo bugiardo colui
che dice che sangue vile scorre nelle vene di un Delaware. Voi avete
allontanato le loro tribù dalle spiagge del mare ed ora credete a ciò
che dicono i loro nemici, che la notte potete dormire tra due guanciali.
No, no, per me ogni indiano che parla una lingua straniera è un Irochese,
che le rocche delle loro tribù siano in Canadà o in York.»
Heyward, intuendo che la
testarda adesione dell'esploratore alla causa dei suoi amici Delaware o
Mohicani - poiché si trattava di rami dello stesso numeroso popolo -
rischiava di prolungare una inutile discussione, cambiò argomento.
«Trattato o non trattato, so
benissimo che i vostri due compagni sono guerrieri coraggiosi e
prudenti! Hanno sentito o visto qualcosa dei nostri nemici?»
«Bisogna sentire un indiano
prima di vederlo,» replicò l'esploratore salendo sulla roccia e gettando
il cervo in terra. «Quando seguo le tracce dei Mingo mi fido di più di
indizi diversi da quelli che cadono sotto gli occhi.»
«Le vostre orecchie vi dicono
forse che hanno rintracciato il nostro rifugio?»
«Mi spiacerebbe pensare di sì,
benché questo sia un posto che, con del buon coraggio, può essere tenuto
nonostante un aspro attacco. Non negherò comunque che i cavalli si sono
acquattati quando sono passato vicino a loro, come se fiutassero i lupi,
e il lupo è una bestia che gironzola attorno ad un'imboscata indiana, in
cerca degli avanzi dei cervi che i selvaggi uccidono.»
«Dimenticate il cervo ai vostri
piedi: oppure possiamo attribuire la loro visita al puledro morto? Ma!
Che rumore è questo?»
«Povera Miriam,» mormorò lo
sconosciuto; «il tuo puledro era destinato a diventare preda di bestie
voraci!» Poi improvvisamente, alzando la voce nel tumulto incessante
delle acque, cantò:
I primogeniti d'Egitto egli
colpì,
del genere umano e di quello
animale,
oh Egitto, meraviglie furono
spedite in mezzo a te,
al Faraone e anche ai suoi
servi!
«La morte del puledro pesa sul
cuore del suo proprietario,» disse l'esploratore; «ma è buon segno
vedere un uomo aver riguardo per i suoi muti amici. Egli ha fatto una
religione del credere che quello che deve accadere accadrà; e con una
simile consolazione non passerà molto tempo prima che egli ammetta la
ragionevolezza di uccidere un quadrupede per salvare vite umane. Forse è
come voi dite,» continuò poi riprendendo il filo dell'ultima
osservazione di Heyward; «e a maggior ragione dovremmo tagliare le
nostre bistecche e lasciare andare la carcassa giù per la corrente, o il
branco ululerà lungo il dirupo, invidioso di ogni boccone che
inghiottiremo. Inoltre, benché la lingua dei Delaware sia lo stesso che
un libro per gli Irochesi, quegli astuti furfanti sono abbastanza svelti
a comprendere le ragioni per cui un lupo ulula.»
Mentre faceva queste
osservazioni, l'esploratore era impegnato a raccogliere certi utensili
necessari; quando ebbe finito passò silenziosamente vicino al gruppo dei
viaggiatori accompagnato dai Mohicani, i quali sembrarono comprendere le
sue intenzioni con la prontezza dell'istinto. I tre scomparvero uno
dietro l'altro e parvero svanire nella scura superficie della roccia
perpendicolare che sorgeva per un'altezza di poche iarde non lontana dal
bordo dell'acqua.
VI
Di quei canti che una volta
trascorrevano dolci a Sion,
Egli sceglie un brano con
amorevole cura:
E «Adoriamo Dio», dice, con tono
solenne.
Burns
Heyward e le compagne
assistettero a questa misteriosa mossa con segreta inquietudine, poiché,
sebbene il comportamento del bianco fino a quel momento, non meritasse
rimproveri di sorta, il suo rozzo abbigliamento, i suoi modi bruschi e
le sue forti antipatie, uniti al carattere dei suoi silenziosi amici,
erano causa di viva diffidenza in menti che tanto di recente erano state
messe in allarme dal tradimento indiano.
Soltanto lo straniero non fece
caso a quanto stava accadendo. Si sedette su uno spuntone di roccia, e i
frequenti e profondi sospiri che traeva manifestavano i conflitti della
sua anima ed erano i soli segni che egli era ancora in sé. Poi si
sentirono delle voci soffocate come di uomini che si lanciano richiami
nelle viscere della terra, quando una luce improvvisa balenò su coloro
che stavano fuori e rivelò il tanto importante segreto del luogo.
All'estremità più lontana di una
stretta e profonda caverna nella roccia, che appariva molto lunga, a
giudicare dalla prospettiva e dalla natura della luce attraverso la
quale la si poteva vedere, era seduto l'esploratore che teneva in mano
un pezzo di pino fiammeggiante. Il forte bagliore della fiamma cadde sul
suo volto vigoroso, foggiato dalle intemperie, e sull'abbigliamento
adatto per la foresta, conferendo un'aria selvaggiamente romantica
all'aspetto di un individuo che, visto alla luce normale del giorno,
avrebbe mostrato le caratteristiche di un uomo notevole per la bizzarria
del vestire, la ferrea inflessibilità della corporatura e la singolare
mescolanza di acuta, vigile sagacia e insieme di squisita semplicità;
tratti questi che a volte avevano il sopravvento sulla sua possente
struttura muscolare. Non molto distante c'era Uncas in piedi, pienamente
visibile. I viaggiatori guardarono con ansia la dritta, flessibile
figura del giovane Mohicano, armoniosa e libera negli atteggiamenti e
nei movimenti naturali. Benché la sua persona fosse più del consueto
celata da una verde camicia alla cacciatora con le frange, simile a
quella del bianco, erano però visibili i suoi scuri occhi sfavillanti,
che non conoscevano la paura, ad un tempo terribili e calmi, e i
vigorosi lineamenti delle sue alte, possenti membra, pure nel loro rosso
naturale, nonché la dignitosa nobiltà della fronte ampia e le
proporzioni di una bella testa, rasata fino al folto ciuffo dello
scalpo. Questa fu la prima opportunità che ebbero Duncan e i suoi
compagni di vedere i forti lineamenti di uno dei loro accompagnatori
indiani, e ciascun membro della compagnia si sentì sollevato dal peso
dei dubbi, poiché l'orgogliosa e decisa, benché selvaggia, espressione
del giovane guerriero si imponeva alla loro attenzione. Essi sentirono
che costui era forse in parte immerso nelle tenebre dell'ignoranza, ma
che non avrebbe mai usato le sue ricche doti naturali per un tradimento.
L'ingenua Alice osservò la sua
aria libera e il suo portamento orgoglioso come avrebbe guardato qualche
prezioso reperto di scultura greca al quale fosse stata infusa la vita
con l'intervento di un miracolo; mentre Heyward, benché abituato a
vedere la perfezione che abbonda tra gli indigeni puri, espresse
apertamente la propria ammirazione per questo autentico campione di
nobili proporzioni umane.
«Potrei dormire tranquilla,»
sussurrò Alice, «con un giovane dall'aspetto tanto coraggioso e generoso
come sentinella. È certo, Duncan, che quei crudeli assassini, quelle
tremende scene di tortura delle quali abbiamo tanto letto e sentito
parlare, non si svolgono mai alla presenza di un essere come questo!»
«Egli, certamente, è un raro e
brillante esempio di quelle qualità naturali nelle quali si dice eccella
questo strano popolo,» rispose. «Sono d'accordo con voi Alice, nel
ritenere che simile fronte e simili occhi sono fatti per intimidire
piuttosto che per ingannare; ma cerchiamo di non farci illusioni
nell'aspettarci altra dimostrazione di quella che noi riteniamo virtù e
che non sia secondo l'uso dei selvaggi. Così come brillanti esempi di
grandi qualità sono troppo rari fra i cristiani, altrettanto sono
singolari e unici tra gli indiani; benché, ad onore della nostra comune
natura, entrambe le razze possono produrne. Speriamo dunque che questo
Mohicano non deluda le nostre aspettative, ma che provi ad essere quello
che il suo aspetto promette: un amico coraggioso e fedele.»
«Ora il Maggiore Heyward parla
come il Maggiore Heyward dovrebbe,» disse Cora. «Chi guardando questa
creatura, penserebbe al colore della sua pelle?»
Un breve silenzio di evidente
imbarazzo seguì questa osservazione, ma fu interrotto dall'esploratore
che, ad alta voce, li invitava ad entrare.
«Questo fuoco comincia ad avere
una fiamma troppo luminosa,» continuò mentre essi obbedivano, «e
potrebbe guidare i Mingo alla nostra distruzione. Uncas, metti la
coperta ed esponi il lato scuro per quei furfanti. Il pasto che vi
offriamo non è degno di un maggiore degli americani reali, ma ho visto
grossi distaccamenti di corpi d'armata accontentarsi di mangiare la
cacciagione cruda e senza sapore. Qui vedete, abbiamo sale in abbondanza
e possiamo fare un bell'arrosto. Ci sono rami freschi di sassofrasso sui
quali far sedere le signore; non saranno forse così eleganti come le
loro sedie di cinghiale della Guinea, ma emanano un profumo più dolce
della pelle di qualsiasi cinghiale, sia esso della Guinea o di altre
terre. Vieni, amico, non essere triste per il puledro; era un essere
innocente e non aveva ancora conosciuto le durezze della vita. La morte
lo avrà risparmiato dal sentire molte volte la groppa dolorante e i
piedi affaticati.»
Uncas eseguì l'ordine ricevuto
e, quando la voce di Occhio di Falco si arrestò, il rombo della
cateratta sembrò il brontolio di un tuono lontano.
«Siamo proprio al sicuro in
questa caverna?» domandò Heyward, «non c'è pericolo di sorprese? Un solo
uomo armato, a questa imboccatura, ci avrebbe alla sua mercé.»
Una figura spettrale emerse
maestosamente dal buio dietro l'esploratore e, afferrando un tizzone
ardente, lo portò verso l'altra estremità del rifugio. Alice si lasciò
sfuggire un grido appena percettibile e anche Cora si alzò quando quella
creatura terrificante si mosse verso la luce; ma Heyward le
tranquillizzò con una parola, assicurandole che si trattava della loro
guida Chingachgook, il quale, sollevando un'altra coperta, rivelava che
la caverna aveva due uscite. Poi, tenendo il tizzone in mano, attraversò
un anfratto della roccia profonda e angusta che correva ad angolo retto
rispetto alla galleria in cui essi si trovavano, ma che, diversamente da
quella, era a cielo aperto ed entrava poi in un'altra grotta,
corrispondente alla prima in tutti i particolari essenziali.
«Non capita spesso che delle
vecchie volpi come Chingachgook e me siano prese in una tana con una
sola apertura,» disse Occhio di Falco ridendo, «potete facilmente
scoprire il trucco di questo posto: la roccia è di calcare nero, che,
come tutti sanno, è tenera e può costituire un guanciale non scomodo
quando scarseggiano gli sterpi e il legno di pino; ebbene, la cascata un
tempo era a poche iarde sotto di noi, e posso ben dire ‹era›; un tempo
infatti, costituiva un tratto bello e regolare come tutti gli altri
lungo l'Hudson. Ma la vecchiaia è una grande rovina per la bellezza -
come queste gentili signore devono ancora imparare! - E il luogo
purtroppo è cambiato! Queste rocce sono piene di fenditure, in alcuni
punti sono più tenere che in altri e l'acqua ha scavato delle profonde
caverne, finché si è ritirata di qualche centinaio di piedi, qua
rompendo là consumando, ed ora le cascate non hanno né forma né
consistenza.»
«In che punto di esse ci
troviamo?» domandò Heyward.
«Beh, siamo vicino al luogo in
cui la Provvidenza le aveva poste all'inizio, ma dove, a quanto pare, si
sono rifiutate di rimanere. Le rocce erano più tenere intorno al punto
in cui ci troviamo, e così le acque hanno lasciato il centro del fiume
scoperto e asciutto, dopo aver scavato due piccoli buchi perché noi vi
ci nascondessimo.»
«Dunque ci troviamo su
un'isola?»
«Già! Ai fianchi abbiamo le
cascate, e sopra e sotto c'è il fiume. Se fosse giorno varrebbe la pena
salire sulla cima di questa roccia e ammirare la furia dell'acqua. Essa
cade senza alcuna regola, a volte saltella, a volte si precipita; qui
scorre a balzi, là a rovesci; in un punto è bianca come la neve e in un
altro verde come l'erba; qui vicino si perde in cavità profonde che
rombano e fan tremare la terra, ma più lontano gorgoglia e canta come un
ruscello, formando gorghi e gole tra le vecchie pietre, come avessero la
consistenza di argilla pestata. L'intero corso del fiume ne viene
scombussolato. Prima scorre dolcemente, come volesse discendere secondo
l'ordine delle cose, poi fa un angolo e affronta le sponde, né mancano
punti in cui pare tornare indietro, come se lasciasse le foreste contro
voglia, per mescolarsi al sale! Proprio così, signore, quella bella
stoffa, sottile come una ragnatela, che avvolge il vostro collo è
grossolana e somiglia a una rete da pesca se paragonata ai posticini che
potrei mostrarvi, dove il fiume costruisce ogni sorta di immagini, come
se, ribellatosi ad un ordine naturale, volesse cimentarsi in tutto. E
tuttavia, a che vale? Dopo che l'acqua ha potuto abbandonarsi al suo
capriccio per un po', come un uomo ostinato, è raccolta dalla stessa
mano che l'ha fatta, e poco più giù la si può vedere scorrere
regolarmente verso il mare, come era stato preordinato fin dalla
creazione della terra!»
Mentre ricevevano una
rassicurante conferma della sicurezza del rifugio da questa spontanea
descrizione di Glenn, gli auditori erano però molto inclini a giudicare
queste selvagge bellezze diversamente da Occhio di Falco. Nella
situazione in cui si trovavano non potevano permettere ai loro pensieri
di indugiare sul fascino della natura; e, poiché l'esploratore non aveva
trovato necessario interrompere le sue fatiche culinarie mentre parlava
- tranne che per indicare, con una forchetta rotta, la direzione di
qualche punto particolarmente critico nella corrente ribelle - essi
lasciarono ora che la loro attenzione fosse attratta dalla necessaria,
anche se più volgare, considerazione della cena. Il pasto, molto
migliorato dall'aggiunta di qualche piccola ghiottoneria che Heyward
aveva avuto la precauzione di portare con sé quando avevano abbandonato
i cavalli, ristorò considerevolmente l'affaticata compagnia.
Uncas servì le signore,
eseguendo i piccoli uffici che gli toccavano con un misto di dignità e
di trepida grazia che divertivano Heyward, perché egli ben sapeva che
ciò costituiva una novità assoluta nei costumi indiani i quali
proibivano ai guerrieri di abbassarsi a qualunque azione servile,
specialmente in favore delle donne. Ma, poiché i riti dell'ospitalità
erano considerati sacri tra gli indiani, questa piccola eccezione alla
dignità virile non suscitava alcun commento. Se vi fosse stato tra loro
un osservatore abbastanza attento e imparziale, avrebbe forse avuto
l'impressione che i servigi del giovane capo non erano del tutto
equamente distribuiti; infatti, mentre porgeva con sufficiente cortesia
ad Alice il recipiente di zucca con l'acqua dolce e la selvaggina su un
tagliere ben scavato dal legno dell'albero del pepe, nel rendere lo
stesso servigio alla sorella, i suoi occhi scuri indugiavano sullo
splendido, espressivo volto di lei. Una volta o due fu costretto a
parlare per attirare l'attenzione di coloro che serviva. In simili
occasioni faceva uso di un inglese scorretto e faticoso, ma abbastanza
comprensibile e che egli rendeva così dolce e musicale con la sua voce
profonda e gutturale, da costringere le due donne ad alzare lo sguardo
ammirate ed attonite. Nel corso di questi convenevoli furono scambiate
alcune frasi che servirono ad instaurare una forma di rapporto
amichevole fra i due gruppi.
Nel frattempo Chingachgook
manteneva il suo aspetto grave. Era seduto entro il raggio di luce, così
le frequenti occhiate inquiete degli ospiti potevano meglio distinguere
la naturale espressione del suo viso da quella terrificante provocata ad
arte con le dipinture di guerra. C'era una forte rassomiglianza tra
padre e figlio, con l'ovvia differenza dovuta all'età e alla robustezza.
La ferocia dell'espressione di Chingachgook ora sembrava acquietata, e
al suo posto era sopravvenuta la tranquilla, libera compostezza che
distingue un guerriero indiano quando non è impegnato in nessuno dei
grandi scopi della sua esistenza. Si poteva però facilmente notare, dai
guizzi che di tanto in tanto attraversavano il suo viso bruno, che
sarebbe bastato suscitare le sue passioni per rendere pienamente
efficace il terrificante trucco che aveva adottato per intimidire i
nemici. Intanto i vivaci occhi vigili dell'esploratore raramente si
fermavano. Costui mangiava e beveva con un appetito che nessun senso del
pericolo poteva turbare, ma l'attenzione sembrava non abbandonarlo mai.
Venti volte la zucca o la selvaggina gli rimasero sospese davanti alle
labbra, mentre girava la testa come a mettersi in ascolto di qualche
rumore sospetto - un movimento che non mancava mai di far meditare i
suoi ospiti sulla loro nuova situazione e di ricordare loro le
allarmanti ragioni per cui vi si trovavano. Poiché queste frequenti
pause non erano mai seguite da nessuna osservazione, la momentanea
inquietudine che provocavano passava presto e per un po' era
dimenticata.
«Venite, amico» disse Occhio di
Falco verso la fine del pasto tirando fuori un barilotto nascosto da uno
strato di foglie, rivolto allo straniero che gli sedeva accanto facendo
grande onore alle sue virtù culinarie, «provate un po' di birra d'abete,
porterà via ogni ricordo del puledro e vi darà animo. Bevo alla nostra
migliore amicizia, sperando che un po' di carne di cavallo non debba
lasciare rancori fra noi. Come vi chiamate?»
«Gamut, David Gamut,» rispose il
maestro di canto, accingendosi ad annegare i suoi dolori in un robusto
sorso della profumata e ben preparata miscela dell'uomo dei boschi.
«Un nome molto bello e, direi,
trasmesso da onesti avi. Sono un ammiratore dei nomi, benché i costumi
dei cristiani siano molti inferiori a quelli dei selvaggi in questo
particolare caso. Il più gran codardo che io abbia mai conosciuto si
chiamava Leone, e sua moglie Pazienza vi avrebbe reso sordo dai
rimproveri in meno tempo di quanto ci metta un cervo inseguito a
percorrere cinque metri. Per un indiano è questione di coscienza; il suo
nome corrisponde generalmente a ciò che è; non che Chingachgook, che
significa Grande Serpente, sia veramente un serpente, grande o piccolo
ma egli comprende i meandri e i giri della natura umana e inoltre è
silenzioso e colpisce i suoi nemici quando meno se lo aspettano. Qual è
la vostra professione?»
«Sono un indegno istruttore
nell'arte della salmodia.»
«Cosa?»
«Insegno canto ai giovani di
leva del Connecticut.»
«Potreste fare qualcosa di
meglio; quei furfanti vanno già anche troppo in giro per i boschi
ridendo e cantando mentre non dovrebbero respirare più forte di una
volpe nel suo nascondiglio. Sapete usare un fucile a canna liscia o
tenere in mano un'arma da fuoco?»
«Grazie a Dio non ho mai avuto
occasione di avere a che fare con simili strumenti per uccidere!»
«Forse sapete usare il compasso
e mettere sulla carta i corsi d'acqua e le montagne delle zone selvagge
sì da consentire, a quelli che verranno, di ricavare i luoghi dai nomi.»
«Non pratico questa attività.»
«Avete un paio di gambe che
potrebbero far sembrare breve un sentiero lungo! Immagino che a volte
viaggiate con dei messaggi per il generale!»
«Mai! Seguo esclusivamente la
mia alta vocazione, che è di istruire nella musica sacra!»
« È una strana professione,»
borbottò Occhio di Falco ridendo dentro di sé, «andare in giro per tutta
la vita come un tordo, facendo il verso a tutti gli alti e bassi che
possono uscire dalla gola degli altri. Ebbene amico, suppongo che sia
una vostra qualità e che non vi deve essere negata più che se sapeste
sparare o aveste qualche altra più utile inclinazione. Fateci sentire
che cosa sapete fare in quel campo, sarà un modo simpatico di darsi la
buona notte, poiché per queste signore è venuta l'ora di recuperare le
forze per la dura e lunga fatica che affronteremo quando il sole sarà
alto, prima che i Magua si mettano in movimento!»
«Acconsento con grande piacere,»
disse David, aggiustandosi gli occhiali dalla montatura di ferro ed
estraendo il suo amato volumetto che subito tese ad Alice. «Cosa può
essere più adatto e consolante che offrire una preghiera serale, dopo
una giornata di tanti pericoli?»
Alice sorrise, ma guardando
Heyward, arrossì esitante. «Concedetevelo» egli mormorò. «Come non
dovrebbe avere il suo peso, in un momento come quello presente, il
consiglio del nobile omonimo del salmista?»
Così incoraggiata, Alice fece
ciò verso cui si sentiva irresistibilmente spinta dalle sue pie
inclinazioni e dal suo vivo gusto per i suoni gentili. Il libro venne
aperto ad un inno che sembrava adattarsi alla situazione e nel quale il
poeta, non più assillato dal desiderio di superare l'ispirato re di
Israele, aveva seguito l'intuizione di un suo timido e rispettabile
talento. Cora espresse il desiderio di accompagnare la sorella, e la
canzone fu eseguita, non prima però che gli indispensabili preliminari
per l'intonazione fossero doverosamente compiuti dal metodico David.
L'aria era lenta e solenne. Di
quando in quando saliva fino alla piena estenzione delle ricche voci
delle sorelle che facevano ondeggiare il loro libricino in una santa
esaltazione, poi sprofondava in toni così bassi che il fruscio delle
acque si insinuava nella melodia come un cupo accompagnamento. Il gusto
istintivo e l'orecchio sicuro di David guidavano e modificavano i suoni
per adattarli all'angusta caverna, le cui crepe e fessure erano riempite
dalle note acute delle loro duttili voci. Gli indiani tenevano gli occhi
fissi alle rocce ed ascoltavano con un'attenzione che pareva renderli di
pietra. L'esploratore, che aveva invece appoggiato il mento ad una mano
con un'espressione di fredda indifferenza, distese pian piano i rigidi
lineamenti, finché egli sentì la sua ferrea natura soggiogata dal ritmo
susseguente dei versi: mentre riandava con la memoria alla giovinezza
trascorsa, quando era solito ascoltare simili suoni di preghiera
nell'abitato della colonia. I suoi occhi inquieti cominciarono ad
inumidirsi e, prima che l'inno finisse, calde lacrime sgorgarono da
quelle sorgenti che per lungo tempo erano sembrate inaridite a bagnarono
quelle guance che avevano più spesso subito le tempeste del cielo che le
prove della debolezza. I cantori stavano indugiando su uno di quei bassi
accordi morenti che l'orecchio divora con tanto avido rapimento, come
fosse cosciente che sta per perderli, quando un grido, che non sembrava
né umano né di questa terra, si levò nell'aria fuori dalla caverna, e
penetrò non solo nei suoi recessi ma anche nel profondo del cuore di
coloro che lo udirono. Fu seguito da un silenzio così profondo da
sembrare che le acque avessero arrestato il loro furioso cammino, a
causa di questa orrida ed insolita interruzione.
«Cos'è?» mormorò Alice, dopo
pochi momenti di pausa angosciosa.
«Cos'è?» ripeté Heyward ad alta
voce.
Né Occhio di Falco, né gli
indiani diedero alcuna risposta. Essi stettero in ascolto come se
aspettassero che il suono si ripetesse, in un atteggiamento che
esprimeva la loro stessa sorpresa. Alla fine confabularono in modo
concitato, nella lingua dei Delaware, ed Uncas, passando per l'apertura
interna più nascosta, lasciò cautamente la caverna. Quando egli se ne fu
andato, l'esploratore parlò per primo in inglese.
«Cos'è o cosa non è, nessuno qui
lo può dire, benché due di noi abbiamo percorso la foresta per più di
trent'anni! Credevo proprio che non vi fosse grido di indiano o di
animale che le mie orecchie non avessero udito: questo ha invece
dimostrato che io ero solo un vano e presuntuoso mortale!»
«Non era, dunque, il grido che
lanciano i guerrieri quando vogliono spaventare il nemico?» domandò Cora
che, in piedi, stava avvolgendosi il velo intorno alla persona, con una
calma sconosciuta alla sua agitata sorella.
«No, no, questo era tremendo e
impressionante e aveva una specie di suono inumano: se si è sentito una
volta il grido di guerra, non lo si confonde mai con niente altro!
Ebbene, Uncas,» disse in delaware al giovane capo che rientrava, «cosa
vedi? Le nostre luci trapelano forse dalla coperta?»
La breve risposta decisa venne
data nella stessa lingua.
«Non si vede niente da fuori,»
continuò Occhio di Falco scuotendo la testa deluso; «e il nostro rifugio
è ancora nel buio! Passate nell'altra caverna, voi che ne avete bisogno,
e cercate di dormire; dobbiamo metterci in marcia prima che sorga il
sole e sfruttare il più possibile il nostro tempo per arrivare a Edward,
mentre i Mingo fanno la loro dormitina mattutina.»
Cora ubbidì per prima, con una
fermezza che insegnò alla più pavida Alice la necessità di fare
altrettanto. Prima di andarsene, tuttavia, sussurrò a Duncan la
preghiera di seguirla. Uncas sollevò la coperta per farle passare, e
mentre le sorelle si voltarono per ringraziarlo di questa attenzione,
videro l'esploratore che si era seduto di nuovo davanti alla brace, col
viso appoggiato alle mani, in un atteggiamento in grado di rivelare che
egli stava meditando sull'inspiegabile interruzione che aveva
bruscamente fatto sospendere le loro devozioni serali.
Heyward prese con sé un ramo
acceso che gettò una pallida luce sulla scarsa visuale del loro nuovo
alloggio. Ponendolo in una posizione favorevole, egli raggiunse le due
donne che ora, per la prima volta si trovarono sole con lui dal momento
in cui avevano lasciato i bastioni amici di Forte Edward.
«Non lasciateci Duncan,» disse
Alice. «Non possiamo dormire in un posto come questo, con quell'orribile
grido che ancora risuona nelle nostre orecchie!»
«Prima esaminiamo bene la
sicurezza della nostra fortezza» rispose egli, «poi parleremo del
resto».
Si avvicinò all'estremità
opposta della caverna, verso un'uscita che, come le altre, era nascosta
da coperte e spostando lo spesso riparo, respirò la fresca aria
vivificante della cateratta. Un braccio di fiume scorreva lungo uno
stretto e profondo burrone che la corrente aveva scavato nella roccia
tenera proprio ai suoi piedi, formando, gli parve, un'efficace difesa da
quella parte: l'acqua infatti, poco oltre, precipitava, luccicava e
trascinava via ogni cosa nel modo più violento e disordinato.
«La natura ha formato
un'impenetrabile barriera da questa parte» continuò indicando il
declivio perpendicolare che scendeva verso la cupa corrente, prima di
riabbassare la coperta; «e, come sapete, quei bravi e sinceri amici
fanno la guardia davanti, per cui non vedo ragione di non seguire il
consiglio del nostro onesto ospite. Sono certo che Cora sarà d'accordo
con me nel dire che il sonno è necessario ad entrambe.»
«Cora può ammettere la
ragionevolezza del vostro suggerimento, benché non possa metterlo in
pratica,» replicò la maggiore delle sorelle, che si era messa al fianco
di Alice su un giaciglio di sassofrasso. «Vi sarebbero sufficienti cause
per cacciare il sonno, anche se ci fosse stato risparmiato lo spavento
di questo misterioso rumore. Domandatevi, Heyward, se delle figlie
possono dimenticare l'ansia che deve sopportare un padre sapendole in
simili luoghi selvaggi, in mezzo a tanti pericoli, senza che egli sappia
dove e come.»
«Egli è un soldato e sa tenere
in giusta considerazione i rischi della foresta.»
«È un padre e non può rinnegare
la sua natura.»
«Come è sempre stato comprensivo
con tutte le mie sciocchezze, tenero e indulgente per tutti i miei
desideri!» singhiozzò Alice. «Siamo state egoiste, sorella,
nell'insistere a fargli visita con simili rischi!»
«Forse sono stata imprudente
nell'insistere per ottenere il suo permesso in un momento di grande
difficoltà, ma volevo provargli che, benché altri possano averlo
abbandonato nella disgrazia, almeno le sue figlie gli erano fedeli!»
«Quando ad Edward udì del vostro
arrivo,» disse Heyward con dolcezza, «il suo cuore fu combattuto tra la
paura e l'amore, ma quest'ultimo, accresciuto se possibile della
separazione, ben presto prevalse. È lo spirito della mia nobile Cora che
le conduce, Duncan,» disse, «e io non vi porrò ostacoli. Vorrei che
colui che ha in mano l'onore del nostro reale signore mostrasse anche
soltanto metà della sua fermezza.»
«E non ha parlato di me, Heyward?»
domandò Alice con uno spunto geloso. «Certamente non ha dimenticato la
sua piccola Elsie!»
«Ciò sarebbe impossibile,»
replicò il giovane «vi ha chiamata con mille teneri nomignoli che non
posso osare ripetere, ma della cui verità posso caldamente testimoniare.
Una volta per esempio ha detto...»
Duncan si interruppe, perché,
mentre aveva gli occhi fissi a quelli di Alice, che si era girata verso
di lui con l'ardore dell'affetto filiale onde coglierne parole, lo
stesso forte orrido grido di prima, riempì l'aria e lo fece ammutolire.
Seguì un lungo silenzio sospeso, durante il quale essi si guardarono
nella spasmodica attesa di udirlo ancora. Finalmente la coperta fu
sollevata lentamente e all'imboccatura apparve l'esploratore, la cui
fermezza lo stava evidentemente abbandonando davanti a un mistero che
sembrava carico di pericolo e contro il quale tutta la sua astuzia e la
sua esperienza potevano dimostrarsi ora inutili. |