Capitolo VII
Essi non dormono.
Su quelle rocce, macabra compagnia
Li vedo seduti.
Gray
«Rimanere ancora
nascosti quando simili suoni si levano dalla foresta, sarebbe come
trascurare un avvertimento dato apposta per noi!» disse Occhio di Falco.
«Le signore possono tenersi nascoste, ma i Mohicani ed io faremo la
guardia sulle rocce dove ritengo che un maggiore della sessantesima verrà
a farci compagnia.»
«Il pericolo è dunque tanto
vicino?» domandò Cora.
«Solo colui che emette questi
strani suoni e lo fa per informare gli altri, conosce il nostro pericolo.
Sentirei di sbagliare se non dessi ascolto al suo volere e restassi
rintanato con simili avvertimenti nell'aria! Persino quell'anima delicata
che passa i suoi giorni cantando è scossa dal grido che abbiamo udito ed
è, dice, ‹pronto a gettarsi nella battaglia›. Se si trattasse solo di una
battaglia, sarebbe facilmente comprensibile a tutti noi e sapremmo cosa
fare, ma ho sentito dire che quando simili grida si odono tra cielo e
terra, sono presagio di un altro genere di guerra!»
«Se tutte le nostre ragioni di
paura, amico mio, derivano soltanto da cause soprannaturali, abbiamo ben
poco di che essere in allarme,» disse Cora tranquilla. «Siete sicuro che i
nostri nemici non abbiano escogitato qualche nuovo ed ingegnoso metodo per
terrorizzarci col pensiero che la loro vittoria potrebbe così diventare
più facile?»
«Signora,» replicò l'esploratore
in tono solenne, «per trent'anni ho ascoltato tutti i rumori dei boschi
come li ascolterebbe un uomo la cui vita e la cui morte dipendono dalla
bontà delle sue orecchie. Non c'è lamento di pantera o fischio di tordo,
né invenzione dei diabolici Mingo che possano trarmi in inganno! Ho
sentito la foresta gemere come gli esseri umani nel dolore; spesso e
ripetutamente ho sentito il vento suonare la sua musica tra i rami degli
alberi, e ho sentito lo schianto del fulmine nell'aria come il crepitio
della sterpaglia in fiamme quando sputava scintille e biforcute lingue di
fuoco; tuttavia mai ho creduto di udire qualcosa che non fosse dovuto al
piacere di Colui che poteva divertirsi con le cose che erano in suo
potere. Né i Mohicani né io, che sono un bianco puro, possiamo spiegare il
grido appena udito. Per questo crediamo che si tratti di un segnale per il
nostro bene.»
«È straordinario!» disse Heyward
prendendo le pistole da dove le aveva lasciate prima di entrare. «Bisogna
accertarsi se si tratta di un segno di pace o di guerra. Fate strada,
amico, io vi seguo.»
Nell'uscire dal luogo dove erano
rimasti confinati, l'intero gruppo provò subito un piacevole senso di
sollievo nel cambiare l'aria chiusa del nascondiglio con quella fresca e
vivificante che scherzava tutto attorno ai mulinelli e alle cascatelle
della cateratta. Una forte brezza serale spirava sulla superficie del
fiume e sembrava condurre il rombo delle cascate fino ai recessi delle
caverne, di dove usciva violenta e costante come il brontolio di un tuono
al di là delle lontane colline.
La luna era sorta, e già la sua
luce brillava qua e là sulle acque sotto di loro, anche se l'estremità
della roccia dove si trovavano risultava ancora in ombra. Ad eccezione dei
suoni prodotti dal fruscio delle acque e di qualche occasionale soffio di
vento che sussurrava, sfiorandoli in correnti irregolari, la scena era
silenziosa come solo la notte e la solitudine potevano renderla tale.
Invano gli occhi di ciascuno di loro si volgevano verso la riva opposta,
in cerca di qualche segno di vita che potesse spiegare la natura
dell'interruzione che avevano udito. I loro sguardi ansiosi e attenti
erano confusi da una luce ingannevole e si posavano solo sulla nuda roccia
o sugli alberi dritti e immobili.
«Qui non c'è da vedere che
l'oscurità e la quiete di una bella serata» mormorò Duncan. «Quanto
apprezzeremmo una sera così e tutti i suoi mormorii in un momento diverso,
Cora! Immaginatevi al sicuro, e ciò che ora aumenta il vostro terrore,
diventerebbe forse portatore di gioia...»
«Ascoltate!» interruppe Alice.
Questo avvertimento non era
necessario. Ancora una volta si levò lo stesso grido come provenisse dal
letto del fiume e superati gli angusti confini delle scogliere, si propagò
a onde nella foresta, in lontane cadenze morenti. «Può qualcuno qui dare
un nome a questo grido?» domandò Occhio di Falco quando l'ultima eco si
perse nei boschi. «Se è così, che parli: quanto a me, ritengo che non sia
di questa terra!»
«Ecco qui, dunque, uno che può
smentirvi,» disse Duncan. «Conosco perfettamente questo suono per averlo
sentito spesso sul campo di battaglia e in situazioni frequenti nella vita
di un soldato. È l'orrido grido di un cavallo in agonia, di solito emesso
quando soffre e, a volte, anche quando è terrorizzato. O il mio cavallo è
preda delle fiere della foresta, oppure vede il pericolo senza poterlo
evitare. Questo suono ha potuto ingannarmi dentro la caverna, ma ora,
all'aperto lo riconosco troppo bene per sbagliarmi!»
L'esploratore e i compagni
ascoltarono questa semplice spiegazione con l'interesse di chi apprende
idee nuove nel momento in cui si libera di quelle vecchie che si sono
dimostrate ospiti scomodi. I due indiani fecero la loro solita, espressiva
esclamazione «Hugh!» quando la verità penetrò nelle loro menti, mentre il
bianco, dopo una breve pausa meditabonda si accinse a rispondere.
«Non posso negare le vostre
parole,» disse, «dato che mi intendo poco di cavalli, nonostante sia nato
dove abbondano. Probabilmente i lupi stanno gironzolando sulla riva vicino
a loro e le timorose creature chiamano l'uomo in aiuto come meglio sanno.
Uncas - disse in delaware - Uncas, salta nella canoa e fai volteggiare un
tizzone fra il branco, o la paura riuscirà dove non riescono i lupi, e ci
lascerà senza cavalli domattina, quando avremo tanto bisogno di viaggiare
veloci!»
Il giovane indigeno era già sceso
verso l'acqua per obbedire, quando un lungo ululato salì verso la riva del
fiume e penetrò il cuore della foresta, come se le bestie, di loro
iniziativa, abbandonassero la preda per un terrore improvviso. Uncas, con
prontezza istintiva, indietreggiò e i tre uomini della foresta tennero un
altro dei loro appassionati conciliaboli a bassa voce.
«Ci siamo trovati come cacciatori
che abbian perduto i punti di riferimento nel cielo e per i quali il sole
sia rimasto nascosto a lungo per giorni,» disse Occhio di Falco girando le
spalle ai compagni; «ora cominciamo a conoscere ancora i segnali del
nostro cammino e i sentieri sono sgombri dai rovi! Sedetevi nell'ombra che
la luna getta da quei faggi - là è più fitta di quella dei pini - e
aspettiamo ciò che vorrà il Signore inviarci. Conversate a bassa voce,
benché sarebbe meglio, e forse tutto sommato più saggio, se ciascuno per
un po' parlasse solo coi propri pensieri!»
Il tono dell'esploratore era molto
solenne, sebbene non mostrasse alcun segno di apprensione non virile. Era
evidente che la momentanea debolezza che lo aveva colto era svanita con la
spiegazione del mistero che la sua esperienza non era riuscita a
penetrare, e, benché ora valutasse l'attuale situazione in tutta la sua
realtà, era però preparato ad affrontarla con l'energia della sua forte
natura. Questo sentimento sembrava essere comune anche agli indigeni, i
quali si misero in una posizione che permetteva loro di dominare con lo
sguardo entrambe le rive pur mantenendo nascosta la loro persona. In tali
circostanze la comune prudenza consigliava che Heyward e le compagne
prendessero la medesima precauzione, suggerita com'era dalla autorità di
tanta esperienza. Il giovane prese un mucchio di sassofrassi dal
sotterraneo e lo mise nell'andito che separava le due caverne, poi vi fece
accomodare le due sorelle che così protette dalle rocce erano al riparo da
qualsiasi proiettile e si risentivano meno in ansia, perché sicure che
nessun pericolo poteva avvicinarsi loro senza che venisse prima avvertito.
Heyward stesso prese posto con loro ed abbastanza vicino da poter
comunicare con le compagne senza alzare pericolosamente la voce; mentre
David, ad imitazione degli uomini dei boschi, aggiustò la persona tra le
fenditure delle rocce in modo che le sue membra così goffe non
offendessero ulteriormente la vista.
Così le ore trascorsero senza
altre interruzioni. La luna raggiunse lo zenit e la sua dolce luce
illuminò la graziosa scena delle sorelle che dormivano in pace l'una nelle
braccia dell'altra. Duncan coprì col largo scialle di Cora quello
spettacolo che tanto amava contemplare, poi lasciò che la sua testa
cercasse un sostegno nella roccia. David cominciò ad emettere dei suoni
che avrebbero fatto inorridire le sue orecchie delicate nei momenti di
veglia; in breve tutti, tranne Occhio di Falco e i Mohicani, vinti dal
sonno perdettero ogni idea di conoscenza. Ma la sorveglianza dei vigili
protettori non si allentò né diminuì. Essi stavano immobili come quella
roccia della quale sembravano far parte, con lo sguardo che scrutava senza
posa lungo le scure file di alberi che delimitavano le rive adiacenti
dello stretto fiume. Nessun suono sfuggì loro: il più attento esame non
avrebbe rivelato che essi stavano respirando. Era evidente che questo
eccesso di prudenza derivava da un'esperienza che nessuna astuzia di
nemici poteva trarre in inganno. Così passò il tempo, apparentemente senza
conseguenze, finché la luna tramontò e una pallida striscia sopra le cime
degli alberi, alla curva del fiume un po' più sotto, annunciò
l'avvicinarsi del giorno.
Allora, per la prima volta, Occhio
di Falco si mosse. Strisciò lungo le rocce e scosse Duncan dal pesante
sonno.
«È venuto il momento di mettersi
in viaggio» sussurrò. «Svegliate le gentili signore e siate pronti a
entrare nella canoa quando l'avrò portata al punto di approdo.»
«Avete passato una notte
tranquilla?» disse Heyward. «Quanto a me, credo che il sonno abbia avuto
la meglio sulla mia vigilanza.»
«Tutto è ancora immobile come a
mezzanotte. State in silenzio, ma affrettatevi.»
Nel frattempo Duncan si era
svegliato del tutto e immediatamente sollevò lo scialle dalle donne
addormentate. Il gesto fece alzare a Cora una mano come per cacciarlo,
mentre Alice mormorava con la sua voce gentile: «No, no, padre, non
eravamo sole: Duncan era con noi!»
«Sì, dolce innocenza» mormorò il
giovane. «Duncan è qui e finché la vita continua e il pericolo rimane,
egli non ti abbandonerà. Cora! Alice! Svegliatevi! È venuta l'ora di
partire!»
Un alto grido della più giovane
delle sorelle e la forma dell'altra che era scattata in piedi davanti a
lui in smarrito orrore, fu l'inattesa risposta che ricevette. Mentre
quelle parole erano ancora sulle labbra di Heyward, era sorto un tale
tumulto di urli e grida che persino il libero flusso del suo sangue fu
ricacciato indietro dal suo corso naturale verso la fonte del cuore. Per
un minuto circa sembrò che i demoni dell'inferno fossero diventati i
padroni dell'aria che li circondava e che stessero sfogando i loro
selvaggi umori con barbari strepiti. I gridi non venivano da alcuna
particolare direzione, benché era evidente che riempivano i boschi e -
così parve agli sgomenti ascoltatori - persino le caverne, le rocce, il
letto del fiume e l'aria che li sovrastava.
David sollevò l'alta persona in
mezzo a quel fracasso infernale e con le mani sulle orecchie esclamò: «Da
dove viene questo baccano? Si è forse spalancato l'inferno, che gli uomini
emettono suoni come questi?»
I bagliori e le detonazioni di una
dozzina di fucili dalla riva opposta del fiume, seguirono questa incauta
esposizione della sua persona e lasciarono lo sfortunato maestro di canto
inanimato sulle rocce dove aveva dormito così a lungo. I Mohicani
risposero arditamente al grido intimidatorio dei nemici, che levarono un
urlo di selvaggio trionfo alla caduta di Gamut. I lampi dei fucili si
incrociarono allora rapidi e intensi, ma entrambe le parti erano troppo
esperte per lasciare anche un solo braccio esposto alla mira nemica.
Duncan attese con trepida ansia di udire i colpi della pagaia, ritenendo
che la fuga fosse, a questo punto, la loro unica via di salvezza. Il fiume
scorreva con la consueta velocità, ma non si vedeva comparire la canoa da
nessuna parte delle cupe acque. Stava già immaginando che l'esploratore li
avesse crudelmente abbandonati, quando una striscia infuocata sorse dalla
roccia sotto di lui e un feroce grido, mescolato al rantolo dell'agonia,
annunciò che il messaggero della morte, inviato dalla fatale arma di
Occhio di Falco, aveva trovato una vittima. A questa piccola sconfitta gli
assalitori istantaneamente si ritirarono e pian piano il luogo tornò
silenzioso come prima dell'improvviso tumulto.
Duncan colse il momento favorevole
per precipitarsi verso il corpo di Gamut e lo trascinò entro lo stretto
rifugio che proteggeva le sorelle. Un minuto dopo l'intera compagnia era
riunita in questo luogo relativamente sicuro.
«Il poveraccio si è salvato la
cotenna» disse Occhio di Falco, sfiorando con calma la testa di David. «Ma
costui è la prova che un uomo può nascere con una lingua troppo lunga! È
stata pura follia esporre sei piedi di carne e sangue, su una roccia
scoperta, ai selvaggi infuriati. Mi meraviglio solo che se la sia cavata!»
«Non è morto?» domandò Cora la cui
voce velata mostrava quanto forte era stata la lotta tra il naturale
orrore e la fermezza che si era imposta. «Possiamo fare niente per
assistere il poveretto?»
«No, no! Il suo cuore batte
ancora, e quando avrà dormito per un po', tornerà in sé, e si comporterà
più saggiamente, finché non sarà veramente venuta la sua ora,» replicò
Occhio di Falco gettando un'altra occhiata obliqua al corpo inanimato,
mentre caricava il fucile con ammirevole accuratezza. «Portalo via, Uncas,
e coricalo su un sassofrasso. Più dura il suo sonno, meglio è per lui,
dubito che si possa trovare un riparo più adatto per una figura come la
sua su queste rocce, e cantare non servirebbe a nulla con gli Irochesi!»
«Dunque pensate che rinnoveranno
l'attacco?» domandò Heyward.
«Dovrei forse aspettarmi che un
lupo affamato soddisfi il suo appetito con un boccone? Hanno perso un uomo
ed è loro costume, quando subiscono una perdita e la sorpresa non riesce,
di ritirarsi; ma li avremo qui di nuovo con altri espedienti per trarci in
inganno ed impadronirsi delle nostre cotenne. La nostra più grande
speranza,» continuò alzando il viso scabro che proprio in quel momento fu
attraversato da un'ombra di ansia, simile a una nube oscura, «sarà di
tenere questa roccia finché Munro potrà mandare una compagnia in nostro
aiuto! Dio voglia che sia presto e con un capo che conosce i costumi
indiani!»
«Avete udito quello che ci
aspetta, Cora,» disse Duncan «e sapete che abbiamo tutto da sperare dalla
trepidazione dall'esperienza di vostro padre. Venite dunque con Alice in
questa caverna, dove almeno voi sarete al sicuro dai fucili micidiali dei
nostri nemici e dove potrete prestare una cura che si addice alla vostra
gentile natura, al nostro sfortunato compagno.»
Le sorelle lo seguirono nella
grotta esterna dove David stava cominciando, con dei sospiri, a dare segni
di vita; poi, affidando loro il ferito, si preparò immediatamente a
lasciarle. «Duncan!» disse Cora con voce tremante quando lo ebbe raggiunto
all'imboccatura della caverna. Egli si girò e osservò colei che aveva
parlato: il viso era di un pallore mortale e le sue labbra tremavano
mentre lo fissava con una espressione di interesse che lo fece correre al
suo fianco.
«Ricordate, Duncan, quanto la
vostra salvezza ci è necessaria... che avete la sacra fiducia di un
padre... quanto dipende dalla vostra saggezza e dalla vostra prudenza...
in breve,» aggiunse mentre il sangue rivelatore le saliva al volto
facendola arrossire fino alle tempie, «quanto meritatamente siete caro a
tutti quelli che portano il nome di Munro.»
«Se c'è qualcosa che può aumentare
il mio scarso amore per la vita,» disse Heyward lasciando che i suoi occhi
si posassero inconsciamente sulle giovani forme della silenziosa Alice,
«sarebbe questa gentile affermazione. Il nostro onesto ospite vi dirà che,
come maggiore del 60° devo fare la mia parte nella lotta, tuttavia il
nostro compito sarà facile: si tratta soltanto di tenere in scacco questi
cani per poche ore.»
Senza aspettare risposta lasciò le
sorelle e raggiunse l'esploratore e i suoi compagni che si trovavano
ancora entro il piccolo incavo fra le due grotte.
«Ti dico, Uncas,» disse il primo
quando Heyward li raggiunse, «che stai sprecando la polvere, e il rinculo
del fucile ti disturba la mira! Poca polvere, piombo leggero e un braccio
allungato non mancano quasi mai dal provocare il grido di morte in un
Mingo! Almeno, questa è stata la mia esperienza con quella gente. Venite
amici, mettiamoci al riparo, così che nessuno possa dire dove e quando un
Magua scoccherà i suoi colpi.»
Gli indiani si riparano nei luoghi
stabiliti: fessure nelle rocce da dove potevano dominare chiunque si
avvicinasse ai piedi della cascata. Al centro dell'isoletta avevano messo
radici alcuni bassi pini striminziti che formavano una macchia, nella
quale si lanciò Occhio di Falco con la velocità di un daino, seguito dal
volonteroso Duncan. Qui essi si misero al sicuro come poterono, tra i
cespugli e i frammenti di pietra sparsi un po' ovunque. Sopra di loro
c'era una roccia ruvida e tondeggiante, attorno alla quale l'acqua si
divertiva a ruzzolare e si tuffava negli abissi sottostanti nel modo già
descritto. Poiché era ormai giorno fatto, i contorni della riva opposta
non erano più delle linee confuse, ma si poteva vedere nel bosco e
distinguere oggetti sotto la volta dei cupi pini.
Seguì una lunga, angosciosa
vigilanza, ma non vi fu nessun altro segno di ulteriori attacchi. Duncan
cominciava a pensare che i loro spari si erano dimostrati più fatali di
quanto si supponesse e che i nemici erano stati respinti in modo efficace.
Quando si azzardò a sussurrare al suo compagno questa impressione,
incontrò uno scettico diniego da parte di Occhio di Falco.
«Non conoscete la natura di un
Magua se pensate che lo si possa respingere così facilmente senza che si
prenda una cotenna!» rispose. «Anche se stamane era uno solo di quei
diavoli a gridare, in realtà significa che erano in quaranta! Inoltre
conosco troppo bene il nostro numero e la nostra forza per rinunciare così
presto alla caccia. Sst! guardate lassù, proprio dove l'acqua si infrange
sulla roccia. Non sono più un uomo se quei diavoli temerari non sono
discesi a nuoto lungo la cascata e, disgraziatamente per noi, non hanno
raggiunto la testa dell'isola. Sst! Amico, state in silenzio, o nel
roteare di un coltello, i capelli vi saranno scalzati dalla testa!»
Heyward sollevò la testa dal
nascondiglio e vide ciò che giustamente considerava un prodigio di
temerarietà e bravura. Il fiume aveva consumato il bordo della roccia
tenera in modo da rendere la sua primitiva pendenza meno ripida e
perpendicolare di quanto non siano di solito le cascate. Guidati soltanto
dalle piccole rapide del fiume dove questo si congiunge con la testa
dell'isola, un gruppo degli implacabili nemici si era avventurato nella
corrente e stava nuotando verso questo punto, sapendo che se lo avessero
raggiunto avrebbe fornito loro un comodo accesso alle vittime designate.
Mentre Occhio di Falco smetteva di
parlare, si videro quattro teste umane spuntare da alcuni tronchi alla
deriva che si erano fermati su quelle rocce nude e che avevano,
probabilmente, suggerito l'idea dell'audace impresa. Un attimo dopo, una
quinta figura fu vista galleggiare sul verde bordo della cascata,
abbastanza vicina alla costa dell'isola. Il selvaggio lottava
disperatamente per raggiungere il punto d'appoggio e, aiutato dalla
corrente favorevole, stava già tendendo un braccio per afferrare i
compagni, quando fu ricacciato violentemente indietro dal risucchio della
corrente e parve sollevarsi in aria con le braccia in alto e gli occhi
fuori dalle orbite, poi cadde con un tremendo tonfo nel profondo baratro
che si spalancava sotto di lui e sul quale aveva fluttuato. Un solo grido,
disperato e selvaggio si levò dalla caverna, poi tutto ripiombò in un
silenzio di tomba.
Il primo generoso impulso di
Duncan fu di accorrere per salvare il disgraziato, ma si sentì inchiodato
dove si trovava dalla presa ferrea dell'implacabile esploratore.
«Volete portarci a morte certa
rivelando ai Mingo dove siamo?» domandò Occhio di Falco severamente. «Così
abbiamo risparmiato una carica di polvere e ora le munizioni ci sono
preziose come il fiato per un cervo inseguito. Rinnovate la carica delle
vostre pistole - l'umidità delle cascate può bagnare lo zolfo -e
mantenetevi pronto per una battaglia serrata, mentre io sparerò quando
attaccheranno.»
Si portò un dito alla bocca ed
emise un lungo, acuto fischio, al quale fu risposto dalle rocce protette
dai Mohicani. Mentre questo segnale attraversava l'aria, Duncan intravide
delle teste fra i tronchi galleggianti, ma poi queste scomparvero
improvvisamente con la stessa fugacità con cui gli erano apparse. Un
leggero fruscio attirò la sua attenzione e, girando la testa, scorse Uncas
poco distante che stava strisciando verso di lui. Occhio di Falco gli
parlò in delaware, mentre il giovane capo prese posizione con singolare
cautela e imperturbabile calma. Per Heyward questo fu un momento di
febbrile e impaziente attesa, anche se l'esploratore ritenne opportuno
sceglierlo per tenere una lezioncina ai giovani amici sull'arte di usare
le armi da fuoco con giudizio.
«Di tutte le armi,» egli cominciò,
«il fucile a canna lunga, con una buona scanalatura e di metallo tenero, è
il più micidiale in mani esperte, benché richieda un braccio forte, occhio
attento e grande cautela quando lo si carica, se si vogliono valorizzare
tutte le sue qualità. I fabbricanti di armi devono avere poco buon senso
quando fanno i fucili leggeri e corti da caccia per...»
Fu interrotto dal basso ma
espressivo «Hugh!» di Uncas.
«Li vedo, ragazzo, li vedo!»
continuò Occhio di Falco. «Si stanno riunendo per attaccarci, altrimenti
terrebbero le loro sporche schiene dietro i tronchi. Ebbene, lasciateli
fare,» aggiunse esaminando la pietra focaia del suo fucile; «il primo che
uscirà per guidarli va incontro a morte certa, foss'anche Montcalm in
persona!»
In quel momento la foresta empì di
altre grida, e a quel segnale quattro selvaggi balzarono fuori dal loro
riparo di tronchi. Heyward sentì il desiderio bruciante di correre fuori
per scontrarsi con loro, tanto intensa era la delirante ansia del momento;
ma l'esempio dell'esploratore e di Uncas lo trattenne. Quando i nemici, a
lunghi balzi ed emettendo gli urli più selvaggi, furono a pochi metri
sopra la nera roccia che li divideva dagli assediati, il fucile di Occhio
di Falco si sollevò lentamente tra gli arbusti e sputò il suo letale
contenuto. L'indiano che si trovava davanti agli altri, rimbalzò come un
cervo colpito e cadde a capofitto tra le anfratti dell'isola.
«Ora, Uncas!» gridò l'esploratore
traendo il lungo coltello mentre i suoi occhi vivaci cominciavano a
mandare lampi di furore, «prendi l'ultimo di quei demoni urlanti; a noi
gli altri due!»
Fu obbedito, così rimasero solo
due nemici da battere. Heyward aveva dato una delle sue pistole a Occhio
di Falco e insieme si precipitarono giù per un piccolo declivio, verso i
nemici; scaricarono le loro armi nello stesso istante, ed entrambi senza
successo.
«Lo sapevo! L'avevo detto io!»
mormorò l'esploratore, facendo roteare la piccola disprezzata arma al di
sopra delle cascate con amaro disdegno. «Forza, vili canaglie!
Incontrerete un vero uomo!»
Aveva appena finito di pronunciare
queste parole, quando si scontrò con un selvaggio di statura gigantesca e
dall'aspetto ferocissimo. Nello stesso momento Duncan si trovò impegnato
con l'altro in un simile corpo a corpo. Con agile destrezza, Occhio di
Falco e l'antagonista si afferrarono a vicenda il braccio alzato che
teneva il pericoloso coltello. Per quasi un minuto si guardarono negli
occhi, coi muscoli tesi in un formidabile sforzo per sopraffare l'altro.
Alla fine i tendini d'acciaio dell'esploratore ebbero la meglio sulle
membra meno esercitate dell'indigeno. Il braccio di costui lentamente
cedette davanti al crescente sforzo dell'esploratore che improvvisamente
liberò la propria mano armata dalla stretta del nemico e affondò l'accuminata
arma nel suo petto nudo, fino al cuore. Nel frattempo Heyward era stato
coinvolto in una lotta più mortale. La sua leggera spada si era spezzata
al primo scontro. Privato di qualsiasi altro mezzo di difesa, la sua
salvezza ora dipendeva interamente dalla forza fisica e dalla risolutezza.
Egli non mancava di nessuna di queste qualità, ma aveva incontrato un
nemico degno di lui. Fortunatamente riuscì presto a disarmare l'avversario
il cui coltello cadde sulla roccia ai loro piedi.
Da quel momento, una feroce lotta
avrebbe deciso quale dei due sarebbe stato scaraventato dall'alto da
quell'altezza vertiginosa nella caverna sottostante le cascate. Ogni
successivo attacco li portava sempre più vicini al margine dell'abisso,
dove Duncan sentiva di dover fare lo sforzo finale per la vittoria.
Ciascuno dei combattenti impegnava tutte le proprie energie, e il
risultato fu che entrambi barcollarono sull'orlo del precipizio. Heyward
si sentì afferrare alla gola e vide il sorriso sinistro del selvaggio che
sperava di vendicarsi trascinandolo ad una fine simile alla sua. Mentre
sentiva il proprio corpo cedere sotto una forza irresistibile, il giovane
provò in tutto il suo orrore la fugace angoscia di un simile momento. In
quel momento di estremo pericolo, una mano scura e il luccichio di un
coltello apparvero davanti a lui; l'indiano lasciò la presa mentre il
sangue gli sgorgava abbondante dalle vene tagliate del polso, e mentre
Duncan era tirato indietro dal braccio salvatore di Uncas, i suoi occhi
attoniti erano ancora fissi sul volto deluso del nemico che cadde pieno di
rancore e disappunto nel tremendo precipizio.
«Al riparo! Al riparo!» gridò
Occhio di Falco che proprio allora aveva spacciato il nemico. «Al riparo,
se volete salva la vita! Il lavoro è finito solo per metà!»
Il giovane Mohicano diede un grido
di trionfo e, seguito da Duncan, si arrampicò su per il declivio che
avevano disceso per combattere e cercò il sicuro riparo di rocce ed
arbusti.
Ancora indugiano,
Vendicatori della terra nativa.
Gray
Durante lo scontro mortale appena
raccontato, il rombo delle cascate era continuato non turbato da suoni
umani. Si sarebbe detto che l'interesse per l'esito della contesa tenesse
gli indigeni sulla riva opposta in angosciosa attesa, mentre le rapide
evoluzioni e i repentini cambiamenti di posizione dei contendenti avevano
evitato efficacemente una sparatoria che avrebbe potuto dimostrarsi
pericolosa per entrambe le parti. Ma nel momento decisivo della battaglia
attraversò l'aria un grido tanto feroce e selvaggio da far pensare solo a
passioni vendicative e sfrenate. Fu seguito dai rapidi lampi dei fucili
che inviavano a raffiche i loro messaggeri di piombo attraverso le rocce,
come se gli assalitori volessero scaricare la loro furia impotente sulla
scena imperturbabile della fatale contesa.
Una ferma e decisa risposta venne
dal fucile di Chingachgook, che durante la mischia aveva mantenuto il suo
posto con ferma risolutezza. Quando il grido di trionfo di Uncas giunse
alle sue orecchie, il soddisfatto padre levò la voce in un solo grido di
rimando, dopo di che solo la sua arma in funzione provava che egli stava
ancora difendendo il posto con infaticabile zelo. Così parecchi minuti
trascorsero con la velocità del pensiero. I fucili degli assalitori si
facevano udire a volte in vigorose raffiche, e a volte in occasionali tiri
sporadici. Benché le rocce, gli alberi e gli arbusti fossero tagliati e
strappati in cento punti attorno agli assediati, il loro rifugio era così
nascosto e così saldamente difeso che, fino a quel momento, David era
stato la sola vittima nel piccolo gruppo.
«Lasciate che brucino le loro
polveri,» disse l'esploratore deciso, mentre una pallottola dopo l'altra
passava sibilando vicino al luogo dove si erano rifugiati. «Ci sarà una
bella raccolta di piombo quando smetteranno, e credo che quei demoni si
stancheranno del gioco prima che queste vecchie pietre invochino pietà!
Uncas, ragazzo mio, sprechi le polveri caricando troppo, un fucile che
rincula non porta mai una buona pallottola. Ti ho detto di prendere quel
demonio che salta sotto la linea della dipintura bianca, ora, per un pelo
non andava due pollici più sopra. La vita si trova in basso in un Mingo e
l'umanità ci insegna a farla finita presto con i serpenti.»
Un calmo sorriso illuminò i
lineamenti alteri del giovane Mohicano, svelando così che egli non solo
comprendeva l'inglese, ma che aveva capito l'allusione dell'altro e
tuttavia lasciò perdere senza difendersi né replicare.
«Non posso permettere che
accusiate Uncas di mancanza di giudizio o di abilità,» disse Duncan, «ha
salvato la mia vita nel modo più deciso e pronto e si è fatto un amico che
non avrà mai bisogno che gli si ricordi ciò che gli deve.»
Uncas sollevò un poco la figura e
offrì la sua mano alla stretta di Heyward. Durante questo gesto d'amicizia
i due giovani si scambiarono sguardi d'intesa che fecero dimenticare a
Duncan il carattere e la condizione del selvaggio compagno.
Nel frattempo, Occhio di Falco,
che aveva osservato questa esplosione di giovanili sentimenti con occhio
freddo ma benevolo, così rispose: «Capita spesso nella foresta che gli
amici si debbano la vita a vicenda. Posso dire di avere io stesso reso
qualcuno di questi servizi a Uncas prima d'ora, e ricordo molto bene che
egli si è trovato tra me e la morte per ben cinque volte: tre con i Mingo,
una attraversando l'Horicon e...»
«Era meglio assestata del solito!»
esclamò Duncan evitando istintivamente una pallottola che aveva colpito la
roccia vicina a lui con un forte rimbalzo.
Occhio di Falco si impadronì
dell'informe metallo, scosse il capo esaminandolo e disse: «Il piombo
quando cade non si appiattisce mai! Questo avrebbe potuto succedere solo
se fosse venuto dalle nuvole!»
Ma il fucile di Uncas era
volutamente puntato verso il cielo sì da indirizzare gli sguardi dei
compagni verso un punto che subito fornì la spiegazione del mistero. Una
quercia scabra che cresceva sulla riva destra del fiume, quasi di fronte a
loro, cercando la libertà dello spazio aperto, si era inclinata così in
avanti che i suoi rami più alti sovrastavano il braccio del torrente che
scorreva più vicino alla sua stessa riva. Tra le foglie più alte che
nascondevano a malapena i nodosi rami stentati stava appollaiato un
selvaggio, in parte nascosto dal tronco dell'albero e in parte scoperto, e
sembrava guardarli per constatare l'effetto prodotto dal suo perfido
colpo.
«Questi diavoli daranno la scalata
al cielo per portarci alla rovina,» disse Occhio di Falco. «Tienilo a
bada, ragazzo, finché non potrò usare ‹Ammazzacervo›, allora scaricheremo
insieme il suo piombo su ogni lato dell'albero.»
Uncas aspettò a far fuoco finché
l'esploratore non ebbe finito di parlare. I fucili lampeggiarono, le
foglie e la corteccia della quercia volarono in aria e vennero
sparpagliate dal vento, ma l'indiano rispose all'assalto con una risata
beffarda e inviò loro un'altra pallottola che scalzò il cappello dalla
testa di Occhio di Falco. Ancora una volta grida selvagge esplosero nella
foresta, e la grandinata di piombo fischiò sulle teste degli assediati
come per confinarli in un luogo dove potessero divenire facili prede del
guerriero che era salito sull'albero.
«A questo dobbiamo stare ben
attenti!» disse l'esploratore guardandosi attorno con occhi preoccupati. «Uncas,
chiama tuo padre, abbiamo bisogno di tutte le nostre armi per strappare
quell'astuto furfante dal suo sostegno.»
Venne fatto subito il segnale, e
prima che Occhio di Falco avesse ricaricato il fucile, furono raggiunti da
Chingachgook. Quando il figlio ebbe indicato all'esperto guerriero la
posizione del pericoloso nemico, il solito «hugh!» uscì dalle sue labbra,
dopo di che non si lasciò sfuggire nessun'altra espressione di sorpresa o
allarme. Occhio di Falco e i Mohicani conversarono concitatamente fra di
loro in delaware per alcuni minuti, poi ciascuno prese con calma il
proprio posto per mettere in pratica il piano che avevano rapidamente
escogitato.
Dal momento in cui era stato
scoperto, il guerriero sulla quercia aveva mantenuto un fuoco nutrito,
benché inefficace. Fu però tenuto a bada dalla vigilanza dei nemici i cui
fucili mirarono immediatamente sulle parti della sua persona che erano
rimaste allo scoperto. Tuttavia le pallottole del selvaggio continuavano a
cadere in mezzo al gruppetto rannicchiato. Gli abiti di Heyward, che lo
rendevano particolarmente visibile, vennero più volte lacerati e una volta
il sangue gli sgorgò da una leggera ferita al braccio.
Alla fine, incoraggiato dalla
paziente vigilanza dei nemici, l'Urone arrischiò un migliore e più fatale
colpo. Gli occhi attenti dei Mohicani colsero la linea scura delle sue
membra inferiori incautamente esposte attraverso il rado fogliame, a pochi
pollici dal tronco dell'albero. I loro fucili esplosero
contemporaneamente, e, piegato sulle gambe ferite, parte del corpo del
selvaggio venne allo scoperto. Veloce come il pensiero, Occhio di Falco,
approfittò del vantaggio e scaricò la sua arma micidiale verso la cima
della quercia. Le foglie vennero agitate più del solito, il pericoloso
fucile cadde dall'alto e, dopo pochi momenti di vana lotta, si vide la
forma del selvaggio ondeggiare nel vento, mentre ancora stringeva un
ispido e nudo ramo con le mani disperatamente serrate.
«Per pietà, per pietà... tirategli
un'altra fucilata! gridò Duncan togliendo lo sguardo inorridito dallo
spettacolo di un suo simile in tali condizioni.
«Nemmeno un colpo!» esclamò
l'inesorabile Occhio di Falco. «La sua morte è certa e noi non abbiamo
polvere da buttar via, le battaglie indiane a volte durano giorni, qui si
tratta delle loro cotenne o delle nostre! E Dio che ci ha fatti ci ha
anche dato l'istinto di conservare la pelle della testa!»
Contro questa rigorosa e
inflessibile morale, sostenuta com'era da un riferimento tanto evidente,
non c'era possibilità di appello. Da quel momento gli urli della foresta
cessarono, gli spari diminuirono e gli occhi di tutti - amici e nemici -
si fissarono sulle condizioni disperate del disgraziato che penzolava tra
cielo e terra. Il corpo secondava i movimenti dell'aria, e benché nessun
mormorio o gemito sfuggisse alla vittima, vi erano momenti in cui il suo
viso truce guardava i nemici e, attraverso la distanza che li divideva, si
sarebbe potuta descrivere l'angoscia della fredda disperazione che si era
impadronita di quei lineamenti scuri. Tre volte l'esploratore puntò il
fucile spinto dalla pietà e altrettante volte la prudenza ebbe la meglio
sulle sue intenzioni, e lo abbassò in silenzio. Finalmente una mano dell'Urone
lasciò la presa e cadde esausta lungo il fianco. Ne seguì una disperata e
inutile lotta per recuperare il ramo e il selvaggio fu visto, per un
fugace attimo, annaspare disperatamente nell'aria vuota. Il bagliore del
fucile di Occhio di Falco non fu più rapido della fiamma; le membra della
vittima tremarono e si contrassero, la testa gli ricadde sul petto e il
corpo, come piombo, separò le acque spumeggianti che poi si richiusero su
di lui nel loro scorrere incessante, ed ogni traccia dell'infelice Urone
si perse per sempre. Nessun grido di trionfo seguì questo considerevole
vantaggio, ma persino i Mohicani si guardarono con silenzioso orrore. Un
solo urlo si levò dalla foresta, poi tutto tacque di nuovo. Occhio di
Falco, che sembrava l'unico a ragionare in quel frangente, scosse il capo
pensando alla propria momentanea debolezza e addirittura espresse ad alta
voce la sua disapprovazione.
«Era l'ultima carica del mio corno
e l'ultima pallottola che avevo nella giberna, è stato un gesto da
ragazzo!» disse. «Cosa importa che cadesse sulle rocce vivo o morto!
Avrebbe presto perso i sensi. Uncas, ragazzo, scendi nella canoa e porta
il corno grosso, è tutta la polvere che ci rimane e ci servirà fino
all'ultimo granello, o io non mi intendo di Mingo.»
Il giovane Mohicano obbedì e
lasciò l'esploratore che rovesciava inutilmente la giberna e scuoteva il
corno vuoto con rinnovata delusione. Da questo deludente esame, tuttavia,
egli fu presto riscosso da un alto, lacerante grido di Uncas, che, persino
alle inesperte orecchie di Duncan sembrò il segnale di qualche nuova
inattesa calamità. I pensieri ansiosamente rivolti al prezioso tesoro
nascosto nella caverna, il giovane scattò in piedi, senza badare affatto
al rischio che correva esponendosi così. Come per obbedire ad un comune
impulso il suo gesto fu imitato dai compagni, e insieme si precipitarono
attraverso il passaggio, verso la sicura grotta con una rapidità che rese
vani gli spari dei nemici. L'insolito grido fece uscire le sorelle e
l'invalido David dal luogo in cui erano rifugiati e l'intera compagnia,
con un solo colpo d'occhio si rese conto della natura del disastro che
aveva turbato persino l'esercitato stoicismo del loro giovane protettore
indiano.
A poca distanza dalle rocce, la
loro piccola imbarcazione ondeggiava sui flutti verso la rapida corrente
del fiume, evidentemente diretta da qualche mano nascosta. Nel momento in
cui questo sgradito spettacolo giunse agli occhi dell'esploratore, il suo
fucile si sollevò per istinto, ma la canna non rispose alle luccicanti
scintille della pietra focaia.
«È troppo tardi, troppo tardi!»
esclamò Occhio di Falco lasciando cadere l'inutile arma con amaro
disappunto. «Quel farabutto ha raggiunto la rapida e se anche avessimo
polvere, difficilmente il piombo potrebbe andare più veloce di lui!»
L'audace Urone alzò la testa dal
riparo della canoa, e mentre scivolava via rapido lungo la corrente fece
cenno con una mano ed emise il noto grido, segnale della vittoria. Gli
risposero dal bosco un urlo e una risata così beffardamente esultanti da
sembrare che cinquanta demoni profferissero le loro bestemmie per la
caduta di un'anima cristiana.
«Potete ben ridere, figli del
diavolo!» disse l'esploratore sedendosi su uno spuntone di roccia e
lasciando cadere il fucile ai suoi piedi. «Poiché i tre più veloci e
infallibili fucili di queste foreste non servono più di altrettanti rami
di verbasco o delle corna dell'anno precedente di un cervo!»
«Che cosa si deve fare?» disse
Duncan abbandonando il primo sentimento di delusione per un più virile
desiderio di fare qualcosa. «Cosa ne sarà di noi?»
Per tutta risposta Occhio di Falco
si passò una mano sulla testa in un modo così espressivo che nessuno di
coloro che lo videro poté fraintenderne il significato.
«Certamente, certamente, la nostra
situazione non è così disperata!» esclamò il giovane. «Gli Uroni non sono
ancora qui, potremmo valerci della caverna ed opporci al loro sbarco!»
«Con che cosa?» domandò
freddamente l'esploratore. «Con le frecce di Uncas, o con le lacrime che
versano le donne? No, no, voi siete giovane e ricco e avete amici, e alla
vostra età so che è difficile morire! Ma,» aggiunse gettando un'occhiata
ai Mohicani, «ricordiamoci di essere uomini purosangue e insegnamo a
questi figli della foresta che il sangue dei bianchi può scorrere libero
come quello dei pellerossa, quando è venuta l'ora.»
Duncan si girò di scatto nella
direzione indicata dagli occhi dell'altro e vide una conferma dei suoi
peggiori timori nel comportamento degli indiani. Chingachgook, messosi su
un altro pezzo di roccia, aveva già abbandonato il coltello e l'ascia e
stava togliendosi la piuma d'aquila dalla testa e lisciandosi il ciuffo di
capelli pronto per il suo ultimo, rivoltante uso. La sua espressione era
composta, benché pensosa, mentre i suoi scuri occhi scintillanti stavano
gradatamente abbandonando la ferocia del combattimento per una espressione
più confacente al mutamento che aspettava di subire da un momento
all'altro.
«Il nostro caso non è, non può
essere così disperato!» disse Duncan. «Persino in questo momento estremo
un aiuto può essere vicino. Non vedo nemici! Si sono stancati di una lotta
nella quale rischiano tanto con una così piccola prospettiva di vittoria!»
«Può passare un minuto o un'ora
prima che quegli astuti serpenti si avvicinino di soppiatto a noi e
sarebbe da loro essere tanto vicini da udirci proprio in questo momento»
disse Occhio di Falco. «Comunque verranno, e in modo tale da non lasciarci
nessuna speranza! Chingachgook,» disse in delaware, «fratello mio, abbiamo
combattuto insieme la nostra ultima battaglia e i Magua esulteranno della
morte del saggio Mohicano e del viso pallido i cui occhi potrebbero fare
della notte giorno, e rendere le nubi uguali alle nebbie delle sorgenti!»
«Lasciate che le donne mingo
vadano a piangere sui loro morti!» replicò l'indiano con la fermezza e
l'orgoglio che gli erano abituali.
«Il Grande Serpente dei Mohicani
si è annidato nelle loro tende e ha avvelenato il loro trionfo con il
lamento dei bambini i cui padri non sono tornati! Undici guerrieri
giacciono lontani dalle tombe delle loro tribù da quando si è sciolta la
neve, nessuno dirà dove trovarli quando la lingua di Chingachgook tacerà.
Lasciate che prendano il loro coltello più affilato e facciano roteare
l'ascia più veloce, poiché il loro più acerrimo nemico è nelle loro mani.
Uncas, superbo ramo di un nobile ceppo, incita quei codardi perché si
affrettino, o diventeranno dei rammolliti dal cuore di donna!»
«Stanno cercando i loro morti tra
i pesci!» replicò la bassa, morbida voce del giovane capo: «gli Uroni
nuotano con le viscide anguille! Essi cadono dalle querce come frutti
pronti per essere mangiati! E i Delaware ridono!»
«Già, già,» mormorò l'esploratore
che aveva ascoltato questo strano sfogo degli indigeni con profonda
attenzione. «I loro sentimenti indiani si sono risvegliati e presto
provocheranno i Magua perché diano loro una morte immediata. Quanto a me,
che ho il puro sangue dei bianchi, mi si confà che muoia come si addice
alla mia razza, senza parole di scherno sulle labbra e senza amarezza nel
cuore!»
«Perché morire?» disse Cora
staccandosi dal luogo dove, fino a quel momento, l'orrore naturale l'aveva
tenuta inchiodata alla roccia. «La via è aperta da tutti i lati: fuggite,
dunque, verso la foresta e invocate l'aiuto di Dio. Andate, uomini
coraggiosi, noi vi dobbiamo già troppo, non lasciatevi più coinvolgere
nella nostra sorte disperata!»
«Conoscete molto poco l'astuzia
degli irochesi, signora, se credete che abbiano lasciato libera la via
alla foresta!» replicò Occhio di Falco che, tuttavia, aggiunse
immediatamente con semplicità. «Certamente la corrente laggiù potrebbe
trascinarci fuori dalla portata dei loro fucili e dal suono delle loro
voci.»
«Allora tentate il fiume. Perché
indugiare per aumentare il numero delle vittime dei nostri impietosi
nemici?»
«Perché?» ripetè l'esploratore
guardandosi attorno con aria solenne. «Perché è meglio per un uomo morire
in pace con se stesso che vivere perseguitato da una cattiva coscienza!
Che risposta potremmo dare a Munro quando ci domanderà dove e come abbiamo
lasciato le sue creature?»
«Andate da lui e ditegli che le
avete lasciate con il messaggio di correre in loro aiuto» replicò Cora
avvicinandosi all'esploratore nel suo generoso ardore; «che gli Uroni le
tengono prigioniere nelle foreste del nord, ma che con la prudenza e la
rapidità possono ancora essere salvate; e se, alla fine, piacerà al cielo
che il suo aiuto arrivi troppo tardi, portategli,» continuò mentre la sua
voce si abbassava gradatamente fino a farsi quasi soffocata, «l'amore, la
benedizione, le ultime preghiere delle sue figlie, e infine pregatelo di
non piangere per il loro destino prematuro, ma di attendere con umile
fiducia la meta cristiana nella quale potrà ricongiungersi con le sue
figlie.»
I duri, tormentati lineamenti
dell'esploratore cominciarono ad animarsi, e quando ella ebbe finito,
appoggiò il mento ad una mano, come chi medita profondamente sulla natura
della proposta.
«C'è del buon senso in quello che
dice!» furono le parole che, alla fine, eruppero dalle sue labbra serrate
e tremanti. «Già, e vi è spirito cristiano; quello che può essere giusto e
degno in un pellerossa, può essere peccato per un uomo che non abbia
nemmeno una goccia di sangue misto per giustificare la sua ignoranza.
Chingachgook, Uncas, avete udito le parole della donna dagli occhi neri?»
Ora egli parlava in delaware ai
suoi compagni e il suo discorso, benché calmo e controllato, sembrava
molto deciso. Il più anziano dei Mohicani lo ascoltò con profonda serietà
e sembrò meditare sulle sue parole come se sentisse l'importanza del loro
significato. Dopo un momento di esitazione fece con la mano un segno di
assenso, e con la caratteristica enfasi del suo popolo, disse in inglese:
«Va bene!» Poi, rimettendo il coltello e l'ascia nella cintura, si mosse
silenziosamente verso il bordo della roccia più nascosta dalla riva del
fiume. Qui si fermò un momento, indicò in modo eloquente la foresta
sottostante e, dicendo alcune parole nella sua lingua come per illustrare
la via che intendeva seguire, si immerse nell'acqua e scomparve alla vista
di coloro che ne seguivano ai suoi movimenti.
L'esploratore indugiò un momento
per parlare alla generosa fanciulla, il cui respiro si era fatto più
leggero nel vedere che la sua proposta era stata accolta.
«La saggezza a volte è data ai
giovani come ai vecchi,» egli disse, «e quel che avete detto è saggio, per
non definirlo con una parola migliore. Se sarete condotta nei boschi, il
che con tutta probabilità non vi sarà risparmiato, spezzate i ramoscelli
degli arbusti e lasciate i segni del vostro passaggio il più chiaramente
possibile, allora, se occhi umani potranno vederli, contate su un amico
che le seguirà fino in capo al mondo prima di abbandonarvi.»
Egli strinse affettuosamente la
mano di Cora, sollevò il suo fucile e, dopo averlo contemplato un momento
con malinconico affetto, lo abbandonò e scese verso il luogo dove
Chingachgook era appena sparito. Per un momento rimase sospeso alla roccia
e guardandosi attorno con espressione stranamente preoccupata aggiunse:
«Se avessimo avuto la polvere questa disgrazia avrebbe potuto non
accadere!» Poi lasciò la presa, le acque si rinchiusero sulla sua testa ed
anche lui scomparve.
Ora tutti gli occhi erano rivolti
a Uncas che rimaneva immobile appoggiato alla roccia scabra. Dopo aver
atteso un momento, Cora indicò il fiume e disse: «I vostri amici non sono
stati visti e, molto probabilmente ora sono in salvo; non è tempo per voi
di seguirli?»
«Uncas resterà,» rispose calmo il
giovane Mohicano.
«Per aumentare l'orrore della
nostra cattura e diminuire le probabilità che si venga liberati! Andate,
generoso giovane,» continuò Cora abbassando gli occhi sotto lo sguardo del
Mohicano e, forse, intuendo il proprio potere su di lui, «andate da mio
padre, come ho detto, e siate il più fidato dei miei messaggeri. Ditegli
di avere fiducia in voi sui mezzi per ottenere la libertà delle sue
figlie. Andate! Che voi andiate è il mio desiderio e la mia preghiera!»
Lo sguardo calmo e deciso del
giovane capo si fece triste, ma non esitò più. Con passo silenzioso
attraversò le rocce e si immerse nella corrente tumultuosa. Coloro che
lasciò dietro di sé trattennero il respiro quando scorsero la sua testa
emergere lontano per prendere aria, poi egli si immerse di nuovo e non fu
più visto.
Questi improvvisi e apparentemente
riusciti tentativi si erano svolti nei pochi minuti di quel tempo che ora
era diventato tanto prezioso. Dopo aver guardato Uncas un'ultima volta,
Cora si girò, e con labbra tremanti si rivolse a Heyward.
«Ho sentito dire che vi vantate
della vostra bravura in acqua, Duncan» disse. «Seguite dunque il saggio
esempio offertovi da queste semplici e fedeli creature.»
«È questa la fedeltà che Cora
Munro esige dal suo protettore?» disse il giovane sorridendo tristemente
amaro.
«Non è questo il momento per
oziose sottigliezze o falsi giudizi» rispose. «Ma un momento in cui il
compito di ognuno deve essere esaminato in modo imparziale. Qui voi non ci
siete più di nessuna utilità, ma la vostra vita preziosa può essere
salvata per altri più cari amici.»
Egli non rispose, ma lo sguardo
pieno di ansia gli cadde sulla bella figura di Alice, la quale si era
aggrappata al suo braccio con la dipendenza di un fanciullo.
«Considerate,» disse Cora dopo una
pausa durante la quale ella sembrò combattere con un dolore anche più
acuto di quello suscitato dalle sue stesse paure, «che il peggio che può
capitarci è la morte, un tributo che tutti dobbiamo a Dio nel momento
felice in cui Egli lo ha deciso.»
«Vi sono dei mali peggiori della
morte,» disse Duncan con voce roca, come irritato dalla insistenza di lei
«mali tuttavia che la presenza di uno che morirebbe per voi potrebbe
allontanare.» Cora non lo pregò più, e coprendosi il viso con lo scialle trascinò con sé Alice in uno stato di semi incoscienza, nei recessi più profondi della grotta.
Capitolo IX
dissipa con sorrisi, mia
bella, le paurose nubi
che oscurano la tua chiara
fronte.
Morte di Agrippina
Il repentino trasmutarsi
ora in silenzio di tutti i tumultuosi avvenimenti del combattimento,
avevano agito sopra l'eccitata - immaginazione di Heyward con la
profondità di una fantasia angosciosa. Tutte le immagini e gli
eventi ai quali aveva assistito si erano lungamente impressi nella
sua memoria, e gli riusciva difficile persuadersi che erano
realmente accaduti. Ignorando ancora il destino di coloro che si
erano affidati alla rapida corrente, egli dapprima ascoltò intento
ogni segnale o suono d'allarme che avrebbe potuto annunciare la
buona o cattiva riuscita della loro rischiosa impresa. Il suo
sforzo, tuttavia fu vano, poiché con la scomparsa di Uncas ogni
segno di quegli intrepidi era andato perduto, lasciandolo nella
totale incertezza circa il loro destino.
In un momento di così
doloroso dubbio, Duncan non esitò a guardarsi attorno senza badare a
quella sporgenza di roccia che poco prima era stata tanto necessaria
alla sua salvezza. Tuttavia, ogni tentativo di scoprire sia pure la
minima traccia della vicinanza dei nemici nascosti, rimase
infruttuoso come la ricerca di notizie sui suoi compagni di poco
prima. Le rive boscose del fiume sembravano di nuovo essere state
abbandonate da qualsiasi essere vivente. Il tumulto che tanto di
recente aveva echeggiato sotto le volte della foresta era finito, e
ora il frastuono delle acque si avvicinava o si allontanava a
seconda delle correnti dell'aria, nella pura dolcezza della natura.
Un falco pescatore che al sicuro sui rami più alti di un pino secco,
era stato un lontano spettatore del combattimento, si staccò
dall'ispido sostegno, e volteggiò in ampi cerchi sulla sua preda,
mentre una ghiandaia il cui verso stridulo era stato zitto dalle più
roche grida dei selvaggi, osò di nuovo aprire la gola stonata, come
fosse tornata in possesso dei suoi selvaggi dominii. Duncan trasse
da questi rumori naturali della solitaria scena, un pallido segno di
speranza, e cominciò a chiamare a raccolta tutte le sue facoltà per
tornare alla carica con una sorta di rinata fiducia nel successo.
«Gli Uroni non si vedono»
egli disse rivolto a David che non si era affatto riavuto dagli
effetti del pauroso colpo ricevuto; «nascondiamoci nella caverna e
per il resto, confidiamo nella Provvidenza.»
«Ricordo di essermi unito a
due fanciulle in fiore nel levare la voce in preghiera e
ringraziamento,» replicò il maestro di canto disorientato, «ma poi
sono stato raggiunto da un severo castigo dei miei peccati. Sono
stato ingannato dall'immagine del sonno, mentre suoni stonati si
impadronivano delle mie orecchie come fosse la fine del mondo e la
natura avesse dimenticato la sua armonia.»
«Poveraccio! In verità la
fine dei tuoi giorni era vicina! Ma alzatevi e venite con me, vi
condurrò dove non si udrà altro suono che quello del vostro
salmodiare.»
«C'è della melodia nel
rumore della cateratta, e lo scorrere di tanta acqua è dolce per i
sensi!» disse David premendosi confusamente una mano contro la
fronte. «L'aria non è piena di urli e strepiti, come se le anime
trapassate dei dannati...»
«Ora no, ora no,» interruppe
Heyward spazientito, «sono cessati e Dio voglia che anche coloro che
li hanno suscitati se ne siano andati! Tutto, tranne l'acqua, è in
silenzio e in pace; entrate dunque dove potete creare quei suoni che
tanto amate udire.»
David sorrise tristemente,
anche se non senza un momentaneo guizzo di piacere per questa
allusione alla sua amata professione. Egli non esitò più a lasciarsi
condurre in un luogo che prometteva una così pura ricompensa ai suoi
sensi esausti, e, appoggiandosi al braccio del compagno, entrò nella
stretta apertura della grotta. Duncan prese un mucchietto di
sassofrasso che colse davanti al passaggio, e nascose accuratamente
ogni segno di apertura. Entro questa fragile barriera egli sistemò
la coperta lasciata dai forestieri, celando l'estremità interna
della caverna, mentre quella esterna riceveva una pallida luce dallo
stretto burrone nel quale si precipitava un braccio del fiume, per
andare a congiungersi col ramo gemello, poco più in giù.
«Non mi piace quel principio
degli indigeni che insegna loro a sottomettersi senza combattere in
situazioni che appaiono disperate,» egli disse mentre si dedicava a
questa operazione, «la nostra massima che dice: finché c'è vita c'è
speranza, è più consolante e più adatta al temperamento di un
soldato. Voi, Cora, non avete bisogno di essere esortata con parole
di vano incoraggiamento: la vostra forza e il vostro fermo buon
senso vi insegneranno tutto ciò che si addice al vostro sesso, ma
possiamo noi asciugare le lacrime di quell'essere tremante che
piange sul vostro petto?»
«Sono più calma, Duncan,»
disse Alice sollevandosi dalle braccia della sorella e imponendosi
un'aria composta pur attraverso le lacrime, «molto più calma ora.
Certamente in questo luogo nascosto siamo al sicuro, riparati e
lontani dal pericolo, riporremo tutte le nostre speranze in quei
generosi che hanno già rischiato tanto per noi.»
«Ora sì che la nostra
gentile Alice parla come deve una figlia di Munro!» disse Heyward
fermandosi a stringerle la mano mentre andava verso l'imboccatura
esterna della caverna. «Con due simili esempi di coraggio davanti a
sè, sarebbe vergognoso per un uomo dimostrare di non essere un
eroe.» Poi si sedette al centro della grotta e strinse convulsamente
la pistola che gli rimaneva, mentre il suo sguardo contratto e
aggrottato annunciava la nera disperazione delle sue intenzioni.
«Gli Uroni, se verranno, non potranno guadagnare questa posizione
tanto facilmente come pensano,» mormorò, e appoggiando la testa alla
roccia sembrò attendere con pazienza gli avvenimenti, benché il suo
sguardo fosse instancabilmente volto verso l'accesso al loro
rifugio.
Un profondo, lungo silenzio
quasi di morte, seguì l'ultimo suono della sua voce. La fresca aria
del mattino penetrò la grotta e la sua influenza agì, poco a poco,
sugli spiriti di coloro che la occupavano. Man mano che i minuti
passavano lasciandoli in quella tranquilla sicurezza, una sensazione
di speranza si insinuò in loro, impadronendosi di ogni cuore, benché
nessuno osasse esprimere una fiducia che il momento successivo
avrebbe potuto tanto paurosamente distruggere.
Il solo David costituiva
un'eccezione a questo alternarsi di emozioni. Un barlume di luce
proveniente dall'apertura, attraversò il suo volto esangue e venne a
cadere sulle pagine del volumetto che egli ricominciò a sfogliare
come in cerca di qualche canzone che, più di qualsiasi altra di sua
conoscenza, si adattasse alla loro condizione. Per tutto questo
tempo, egli probabilmente agiva sotto il confuso ricordo della
consolazione promessa da Duncan. Alla fine, si sarebbe detto che la
sua paziente operosità avesse trovato una ricompensa poiché, senza
spiegazioni né giri di frasi, pronunciò a voce alta le parole «Isola
di Wight», trasse un lungo, dolce suono dal suo diapason a fiato,
poi attaccò le modulazioni iniziali del motivo il cui titolo aveva
appena enunciato, con i più dolci toni della sua voce musicale.
«Non potrebbe essere
pericoloso?» domandò Cora volgendo uno sguardo fugace dei suoi neri
occhi al Maggiore Heyward.
«Poveretto! La sua voce è
troppo debole per essere udita nel rombo delle cascate,» fu la
risposta, «inoltre la caverna gli sarà amica. Lasciate che si
abbandoni alla sua passione, poiché può farlo senza rischio.»
«Isola di Wight!» ripeté
David guardandosi attorno con quella dignità alla quale egli era
stato a lungo avvezzo per zittire i mormorii della classe; «è una
bella aria e fatta con parole solenni: cantiamola col dovuto
rispetto!»
Dopo un momento di pausa,
lasciata per far rispettare la disciplina, si udì la voce del
cantore emettere basse sillabe mormoranti che pian piano si
impadronirono dell'udito, finché riempirono la bassa volta con suoni
resi ancor più emozionanti dal fioco e tremulo canto prodotto dalla
sua debolezza. La melodia, che nulla poteva sciupare, esercitò la
sua dolce influenza sui sensi di coloro che l'ascoltavano. Essa
prevalse persino sulla misera parodia della canzone di David che il
cantore aveva scelto da un volume di altre simili effusioni
poetiche, e ne faceva dimenticare il significato nella insinuante
armonia della musica. Alice si asciugò le lacrime e volse gli occhi
inteneriti al viso pallido di Gamut con una espressione di puro
diletto che ella non esibiva, né desiderava nascondere. Cora
concesse un sorriso di approvazione ai pii sforzi dell'omonimo del
principe dei giudei, ed Heyward presto distolse lo sguardo fisso ed
irrigidito dall'apertura della caverna per posarlo, con aria
raddolcita, sul viso di David e per cogliere qualche vaga occhiata
che di tanto in tanto proveniva dagli occhi umidi di Alice, L'aperta
simpatia degli ascoltatori eccitò lo spirito dell'amatore di musica
la cui voce acquistò la sua ricchezza e potenza senza perdere quella
commovente dolcezza che ne costituiva il fascino. Usando al massimo
le sue rinnovate possibilità, egli riempiva le volte della grotta di
toni lunghi e pieni, quando un urlo esploso di fuori, interruppe di
colpo i suoi pii sforzi, bloccandogli improvvisamente la voce come
se il cuore gli fosse letteralmente balzato in gola.
«Siamo perduti!» esclamò
Alice gettandosi nelle braccia di Cora.
«Non ancora, non ancora,»
replicò Heyward agitato ma intrepido; «il grido è venuto dal centro
dell'isola ed è dovuto alla vista dei loro compagni morti. Non siamo
stati scoperti e c'è ancora speranza.»
Debole e quasi disperata
com'era la prospettiva di una via d'uscita, le parole di Duncan non
furono inutili, poiché risvegliarono la forza d'animo delle sorelle,
sì che esse poterono attendere in silenzio. Un secondo grido seguì
presto il primo, e si udì un tumulto di voci irrompere da un capo
all'altro dell'isola finché raggiunsero la roccia nuda sopra la
caverna dove, dopo un grido di selvaggio trionfo, l'aria continuò ad
essere riempita di urli e clamori tali che soltanto l'uomo può
emettere, e solo nello stato della più feroce barbarie.
Le voci presto si diffusero
intorno a loro in tutte le direzioni. Alcuni chiamavano i compagni
dalla riva e questi rispondevano dalle alture sovrastanti. Si
udivano grida provenienti dalle immediate vicinanze dell'abisso tra
le due caverne, e queste si mescolavano a urli più rochi provenienti
dal profondo del burrone. In breve, i rumori dei selvaggi erano
dilagati così rapidamente sull'arida roccia, che non fu difficile
per gli impauriti ascoltatori immaginare che essi provenissero da
sotto di loro, mentre erano anche sopra e da tutti i lati.
In mezzo al tumulto si levò
un grido di trionfo a poche iarde dall'entrata nascosta della
caverna. Heyward abbandonò ogni speranza credendo che si trattasse
del segnale che erano stati scoperti. Ma questa impressione passò,
perché sentì le voci raccolte vicino al punto dove il bianco aveva,
tanto a malincuore, abbandonato il fucile. Tra il gergo di dialetti
indiani che egli ora udiva chiaramente, era possibile distinguere
non solo le parole, ma anche delle intere frasi in patois canadese.
Una esplosione di voci si era levata simultaneamente: «La Longue
Carabine!» e la foresta di fronte a loro rimandava l'eco di un nome
che Heyward ben ricordava essere stato attribuito dai nemici ad un
famoso cacciatore ed esploratore del campo inglese, e del quale egli
ora apprendeva essere stato il suo compagno nelle ultime ore.
«La Longue Carabine! La
Longue Carabine!» L'esclamazione passava di bocca in bocca, finché
l'intera masnada parve essersi radunata attorno ad un trofeo che
sembrava la prova della morte del suo formidabile possessore. Dopo
una vociferante consultazione, che era di tanto in tanto
inframezzata da scoppi di gioia selvaggia, essi si separarono di
nuovo, riempiendo l'aria col nome di un nemico il cui corpo, a
quanto capì Heyward dai loro accenti, essi speravano di trovare,
nascosto in qualche fenditura dell'isola.
«Ora,» mormorò egli alle
tremanti sorelle, «ora è il momento di incertezza! Se il luogo che
ci nasconde sfugge a questo minuzioso esame, siamo ancora salvi. In
ogni caso saremo sicuri, da quanto sarà sfuggito ai nostri nemici,
che i nostri amici sono salvi e in un paio d'ore potremo cercare
aiuto da Webb.»
Vi furono due minuti di
pauroso silenzio, durante i quali Heyward ben sapeva che i selvaggi
stavano conducendo la loro ricerca col massimo di attenzione e
metodicità. Più di una volta egli poté distinguere i loro passi
mentre sfioravano il sassofrasso, facendo crepitare le foglie,
secche e spezzando i ramoscelli. Alla fine la catasta cedette un
po', un angolo della coperta cadde e un pallido raggio di luce
illuminò l'interno della caverna. Cora si strinse convulsamente
Alice al petto e Duncan scattò in piedi. In quel momento si sentì un
grido che sembrava provenire dal centro della roccia, annunciando
che erano finalmente entrati nella caverna vicina. In un minuto il
numero e il volume delle voci indicò che l'intera banda si era
raccolta dentro o attorno il nascondiglio. Poiché i passaggi interni
delle due caverne erano vicinissimi, Duncan, credendo che la
salvezza non fosse più possibile, passò davanti a David e alle
sorelle per mettersi tra loro ed il primo attacco del terribile
scontro. Disperando ormai della salvezza si avvicinò alla fragile
barriera che lo separava di pochi piedi dai suoi infaticabili
inseguitori, e appoggiando il viso all'occasionale apertura, osò
persino guardare fuori, con una sorta di disperata indifferenza, per
cogliere i loro movimenti.
A portata del suo braccio
c'era la spalla scura di un gigantesco indiano, la cui voce,
profonda ed autoritaria, sembrava dirigere le azioni dei compagni.
Oltre cui Duncan poteva vedere anche che la caverna di fronte era
piena di selvaggi che rivoltavano e saccheggiavano gli umili
rifornimenti dell'esploratore. La ferita di David aveva tinto le
foglie di sassofrasso di un colore di cui gli indiani ben sapevano
che la stagione non era ancora giunta. Su questo segno del loro
successo essi lanciarono un grido come cani che avessero ritrovato
una traccia perduta. Dopo questo grido di vittoria, distrussero gli
odorosi letti della caverna e portarono i rami verso il burrone,
sparpagliando i ramoscelli, come sospettassero che vi fosse nascosto
il corpo di un uomo che avevano tanto a lungo odiato e temuto. Un
feroce guerriero dall'aspetto selvaggio, si avvicinò al capo
portando una bracciata della sterpaglia e, indicando esultante le
macchie rosso scuro delle quali era cosparsa, espresse la sua gioia
con i tipici urli indiani, il cui significato Heyward fu in grado di
comprendere solo dalla frequente ripetizione del nome «La Longue
Carabine!» Quando il suo trionfo ebbe termine, il selvaggio gettò i
ramoscelli sul mucchietto che Duncan aveva fatto davanti all'entrata
della seconda caverna, coprendola. Il suo esempio fu seguito dagli
altri che, prendendo i rami dalla caverna dell'esploratore, li
gettavano sul mucchio, aumentando inconsapevolmente la sicurezza di
coloro che cercavano. La fragilità di questa difesa ebbe il merito
di far sì che nessuno pensasse di spostare un fascio di sterpaglie
che tutti, in quel momento di fretta e confusione, credevano
accumulato per caso dalle mani dei loro stessi compagni.
Quando la coperta cedette
sotto la spinta esterna e i rami si sistemarono nell'apertura in
virtù del loro stesso peso, venendo a formare una massa compatta,
Duncan tornò a respirare liberamente. Con passo leggero e col cuore
ancor più leggero, ritornò verso il centro della caverna e riprese
il posto che aveva lasciato, tenendo così sotto controllo l'apertura
verso il fiume. Mentre stava compiendo questo movimento, gli
indiani, come avessero cambiato idea, si allontanarono tutti insieme
dall'andito e furono uditi lanciarsi su per la collina, verso il
punto donde erano discesi, Qui un alto grido di lamento rivelò che
si erano di nuovo radunati attorno ai corpi dei compagni morti.
Duncan ora osò guardare le
compagne, poiché, durante i momenti critici del pericolo aveva avuto
cura che l'ansia della sua espressione non comunicasse ulteriore
allarme a coloro che erano così poco in grado di sostenerlo.
«Se ne sono andati, Cora,»
mormorò. «Alice, sono tornati là donde erano venuti, e noi siamo
salvi! Al cielo, che solo ci ha liberati dall'essere catturati da
nemici tanto impietosi, vada tutta la nostra gratitudine!»
«Al cielo vada il mio
ringraziamento!» esclamò la sorella più giovane sollevandosi
dall'abbraccio protettivo di Cora e gettandosi con immensa
gratitudine su una nuda roccia, «al cielo che ha risparmiato le
lacrime a un vecchio padre e ha salvato le vite di coloro che tanto
amo...»
Tanto Heyward che la più
calma Cora assistettero a questo atto di spontanea emozione con
profonda simpatia, il primo pensando segretamente che mai la pietà
aveva avuto un aspetto così amabile come quello che ora si incarnava
nella bella persona di Alice. I suoi occhi sfavillavano di
gratitudine, il rossore che la faceva tanto bella le era tornato
sulle guance, e tutta la sua anima sembrava pronta ed ansiosa di
riversare ringraziamenti attraverso quelle belle fattezze. Ma quando
le sue labbra si mossero, le parole che dovevano pronunciare
sembrarono irrigidirsi per un nuovo e improvviso gelo. Il rosa delle
guance divenne pallore mortale, i suoi dolci e teneri occhi si
fecero fissi e sembrarono contrarsi per l'orrore, mentre le mani che
ella aveva sollevato si strinsero e si abbassarono orizzontalmente,
e le dita indicarono qualcosa davanti a lei con movimento convulso.
Heyward si girò nell'istante stesso in cui ella indicò la direzione
del suo terrore e, sbircianti al di sopra della sporgenza che
formava la soglia dell'imboccatura aperta della caverna, scorse i
biechi, feroci e selvaggi lineamenti di Le Renard Subtil.
In quel momento di sorpresa
Heyward non fu abbandonato dall'autocontrollo. Osservò,
dall'espressione vuota del volto dell'indiano, che i suoi occhi,
abituati all'aria aperta, non avevano ancora potuto penetrare la
scarsa luce che pervadeva la profondità della caverna. Heyward aveva
addirittura pensato di ripararsi dietro una curva naturale della
parete che poteva ancora nascondere lui e i suoi compagni, quando,
da un improvviso guizzo di intelligenza che attraversò il volto del
selvaggio, comprese che era troppo tardi e che erano scoperti.
Lo sguardo di esultazione e
brutale trionfo che annunciò questa terribile verità fu
irresistibilmente provocatorio. Dimentico di tutto, tranne che
dell'impulso del suo sangue generoso, Duncan spianò la pistola e
sparò. La detonazione dell'arma fece rimbombare la caverna come
l'eruzione di un vulcano, e quando il fumo che essa vomitò fu
portato via dalla corrente d'aria proveniente dal burrone, il punto
che appena prima era stato occupato dai lineamenti della guida
traditrice, era di nuovo vuoto. Precipitandosi verso l'uscita
Heyward vide per un attimo la sua scura sagoma scomparire dietro una
bassa e stretta sporgenza che presto lo nascose completamente alla
vista.
Tra i selvaggi uno
spaventoso silenzio seguì l'esplosione che si era udita provenire
dalle viscere della roccia. Ma quando Le Renard levò la voce in un
lungo chiaro grido, gli fu risposto da un urlo spontaneo di tutti
gli indiani che lo avevano udito. I clamori invasero ancora l'isola,
e prima che Duncan avesse il tempo di riaversi dallo sbigottimento,
la fragile barriera di sterpi venne sparpagliata al vento, la
caverna fu invasa da entrambe le parti, e lui e le compagne furono
strappati dal rifugio e portati alla luce dove vennero circondati
dall'intera banda dei trionfanti Uroni.
nel mattino che si avvicina.
Quanto abbiamo vegliato
stanotte!
Sogno di una notte di mezza
estate
A dire il vero, i ricchi
ornamenti dei suoi abiti militari, erano stati più volte palpati da
diversi individui della tribù con occhi che esprimevano un selvaggio
desiderio di possedere quelle cianfrusaglie. Ma prima che l'usuale
violenza potesse essere messa in atto, un ordine proveniente dalla
voce autoritaria del gigantesco guerriero più sopra descritto, fermò
una mano già sollevata, e convinse Heyward che essi sarebbero stati
risparmiati per qualche scopo di particolare importanza. Mentre,
tuttavia, si svolgevano queste manifestazioni di debolezza da parte
dei giovani vanitosi del gruppo, i guerrieri più esperti
continuavano la ricerca in entrambe le caverne, con una frenesia che
denotava che essi erano ben lontani dall'essere soddisfatti di
questa vittoria. Incapaci di scoprire altre vittime, questi
diligenti vendicatori, ben presto si avvicinarono ai prigionieri
maschi, pronunciando il nome di «La Longue Carabine» con una ferocia
che era difficile fraintendere. Duncan finse di non comprendere il
significato dei loro ripetuti e violenti interrogatori, mentre il
compagno, ignorando il francese, fu risparmiato dallo sforzo di un
simile inganno. Alla fine, stanco di questa insistenza e temendo che
un ostinato silenzio avrebbe irritato coloro che lo avevano
catturato, Duncan si guardò attorno in cerca di Magua, che avrebbe
potuto tradurre le sue risposte alle domande che ogni momento si
facevano più pressanti e minacciose.
Il comportamento di questo
selvaggio aveva costituito un'eccezione a quello dei suoi compagni.
Mentre gli altri erano indaffarati a cercare di soddisfare la loro
infantile passione per i fronzoli, giungendo persino a saccheggiare
le povere cose dell'esploratore, oppure cercando con una espressione
di sanguinaria vendetta il loro padrone assente. Le Renard Subtil
era rimasto in piedi, un po' discosto dai prigionieri, con un
contegno così calmo e soddisfatto da rivelare che egli aveva già
raggiunto lo scopo del suo tradimento. Quando gli occhi di Heyward
incontrarono per la prima volta quelli della sua ex guida, fu
costretto a distorglierli con orrore per il sinistro, sebbene calmo
sguardo che incontrò. Tuttavia dominò il disgusto e fu in grado di
rivolgersi al nemico vittorioso tenendo il viso volto altrove.
«Le Renard Subtil ha troppo
l'animo di un guerriero,» disse Heyward riluttante, «per rifiutarsi
di dire a un uomo disarmato che cosa dicono coloro che lo hanno
catturato.»
«Chiedono del cacciatore che
conosce i sentieri dei boschi,» replicò Magua lanciando uno sguardo
feroce, nel suo inglese scorretto, e appoggiando nello stesso tempo
una mano al rotolo di foglie con le quali gli era stata bendata una
ferita alla spalla. «La Longue Carabine! Il suo fucile è buono e i
suoi occhi non si chiudono mai ma, come la corta arma del capo
bianco, egli non può nulla contro la vita di Le Subtil»
«Le Renard è troppo leale
per ricordare le ferite ricevute in guerra e la mano che gliele ha
inferte.»
«Era guerra quando l'indiano
stanco si riposava sotto la canna per gustare il suo grano? Chi
trasse il coltello? Chi parlava di pace mentre il suo cuore era
tinto di sangue? Magua ha forse detto che la sua mano aveva
dissepolto l'ascia?»
Poiché Duncan non osava
ribattere a queste accuse ricordandogli il suo tradimento
premeditato, e sdegnando di placare il rancore del selvaggio con
parole di scusa, tacque. Anche Magua sembrò contento di interrompere
la controversia, nonché ogni ulteriore comunicazione sull'argomento,
perché riprese la sua posizione rilassata contro la roccia dalla
quale, con uno scatto momentaneo si era sollevato. Ma il grido di
«La Longue Carabine» venne ripetuto nel momento in cui gli
impazienti selvaggi si accorsero che il breve dialogo era finito.
«Sentite?» disse Magua con
fredda indifferenza. «I rossi Uroni chiedono la vita della ‹Lunga
Carabina›, oppure prenderanno quella di coloro che lo nascondono!»
«Se n'è andato... fuggito,
egli è ormai fuori tiro.»
Renard sorrise con freddo
disprezzo e rispose: «Quando l'uomo bianco muore pensa di essere in
pace, ma l'uomo rosso sa come torturare persino gli spiriti dei suoi
nemici. Dov'è il suo corpo? Fate vedere la sua cotenna agli Uroni!»
«Non è morto, è fuggito.»
Magua scosse la testa
incredulo. «È forse un uccello che può spiegare le ali, o un pesce
che nuota senz'aria? Il capo bianco legge i suoi libri e crede che
gli Uroni siano stupidi!»
«Benché non sia un pesce il
‹Lungo Fucile› sa nuotare. Si è immerso nel fiume quando tutte le
polveri erano bruciate e gli occhi degli Uroni erano dietro una
nuvola.»
«E perché è rimasto il capo
bianco?» domandò l'indiano ancora incredulo. «È forse una pietra che
va a fondo, oppure la cotenna gli scotta sulla testa?»
«Che non sono una pietra, il
vostro compagno morto che è caduto nelle cascate, potrebbe dirlo se
la vita fosse ancora in lui,» disse il giovane provocato usando,
nella sua rabbia quel linguaggio borioso che era il più adatto a
suscitare l'ammirazione di un indiano.
«L'uomo bianco pensa che
solo i codardi abbandonano le loro donne.»
Magua borbottò alcune parole
fra i denti, in modo impercettibile, prima di continuare ad alta
voce: «Sanno i Delaware nuotare così come strisciano fra i cespugli?
Dov'è Il Grande Serpente?›.»
Duncan, intuendo dall'uso di
questi appellativi canadesi che i nemici conoscevano i suoi compagni
molto meglio di lui, rispose riluttante: «Anch'egli se n'è andato
gettandosi in acqua.»
«‹Cervo Agile› non è qui?.»
«Non conosco colui che
chiamate ‹Cervo Agile›» disse Duncan, approfittando volentieri di
qualunque scusa per indugiare.
«Uncas,» replicò Magua
pronunciando il nome Delaware con difficoltà ancora maggiore che nel
pronunciare le parole inglesi. «‹Alce che salta› è così che dice
l'uomo bianco quando parla del giovane Mohicano.»
«C'è della confusione nei
nomi tra noi, Le Renard,» disse Duncan sperando di provocare una
discussione. «Daim è la parola francese per daino, e cerf per cervo; élan è il termine giusto quando si vuol
parlare di un alce.»
«Sì,» borbottò l'indiano
nella sua lingua natale; «i visi pallidi sono donne chiacchierone:
hanno due parole per ogni cosa, mentre il pellorossa lascia che il
suono della sua voce parli per lui.» Poi, cambiando lingua,
continuò, attenendosi alla imperfetta nomenclatura del suo
istruttore delle province: «Il daino è veloce ma debole, l'alce è
veloce e forte e il figlio di ‹Le Serpent› è il ‹Cervo Agile›.»
«Ha forse saltato il fiume
verso i boschi?»
«Se intendete il Delaware
più giovane, anche lui è sceso nel fiume e se n'è andato.»
Poiché non vi era niente di
improbabile per un indiano quanto al modo di fuggire, Magua ammise
la verità di ciò che aveva udito con una prontezza che mise ancor
più in evidenza quanto poco egli apprezzasse quei prigionieri per
lui senza valore. I sentimenti dei suoi compagni, tuttavia, erano
evidentemente diversi.
Gli Uroni avevano atteso
l'esito di questo breve dialogo con tipica pazienza e in un silenzio
che aumentò fino a diventare completo. Quando Heyward smise di
parlare, tutti si volsero come un sol uomo verso Magua, domandando
così, in modo eloquente, una spiegazione di quanto era stato detto.
L'interprete indicò il fiume e li mise al corrente del risultato con
i gesti e con le poche parole che pronunciò. Quando ciò che era
accaduto fu compreso da tutti, i selvaggi levarono uno spaventoso
grido che espresse l'entità del loro disappunto. Alcuni si
precipitarono furiosi verso la riva del fiume, fendendo l'aria con
gesti frenetici, mentre altri sputarono nell'acqua per esprimere la
rabbia per il supposto tradimento da questa commesso contro il loro
riconosciuto diritto di vincitori. Altri, e non i meno potenti e
terribili della banda, gettavano sguardi umilianti, - in cui le
passioni più feroci erano mitigate soltanto dall'abituale
autocontrollo - ai prigionieri che ancora rimanevano in loro potere;
mentre uno o due diede addirittura sfogo con i gesti più minacciosi
ai propri sentimenti malvagi, contro i quali né il sesso, né la
bellezza delle sorelle costituivano una difesa. Il giovane soldato
fece un disperato ma inutile tentativo di lanciarsi al fianco di
Alice quando vide la mano scura di un selvaggio insinuarsi nelle
abbondanti trecce che le fluivano sulle spalle, mentre le faceva
passare un coltello attorno alla testa dalla quale ricadevano, come
ad indicare l'orrendo modo col quale sarebbe stata privata del suo
meraviglioso ornamento. Ma le mani di Heyward erano legate, e al
primo movimento che fece sentì la presa del potente indiano che
comandava la banda stringergli la spalla come una morsa. Rendendosi
subito conto che lottare contro una forza tanto superiore sarebbe
stato inutile, si sottomise al suo destino, incoraggiando le gentili
compagne, assicurandole piano e teneramente che i selvaggi raramente
mancano di fare più minacce di quante non ne mettano in atto.
Duncan però, pur ricorrendo
a queste parole di consolazione per acquietare l'ansia delle
sorelle, non era tanto debole da ingannare se stesso. Egli ben
sapeva che l'autorità di un capo indiano era così poco convenzionale
che più spesso si reggeva sulla superiorità fisica che su qualsiasi
supremazia morale. Il pericolo era perciò ingigantito in proporzione
esatta al numero di selvaggi dai quali erano circondati. L'ordine
più deciso di colui che sembrava il capo riconosciuto, era soggetto
ad essere violato in ogni momento da qualsiasi mano sconsiderata che
scegliesse di immolare una vittima in onore di qualche amico o
parente morto. Perciò, mentre manteneva un aspetto calmo e forte, il
cuore gli saltava in gola ogni qualvolta uno qualsiasi dei suoi
aguzzini si avvicinava più del solito alle sorelle indifese o
puntava lo sguardo bieco su quelle fragili forme così poco adatte a
resistere al benché minimo assalto.
Le sue apprensioni furono
però molto alleviate quando vide che il capo aveva raccolto i
guerrieri intorno a sé per tenere consiglio. La discussione fu breve
e, a quanto parve dal silenzio della maggior parte di loro, la
decisione unanime. Dalla frequenza con la quale coloro che parlavano
indicavano la direzione dell'accampamento di Webb, era chiaro che
temevano che il pericolo provenisse da quella parte. Tale
considerazione probabilmente affrettò la loro decisione e ne
accelerò i successivi movimenti. Durante il breve conciliabolo,
Heyward, un po' sollevato dalle sue paure maggiori, ebbe l'agio di
ammirare il modo cauto con cui gli Uroni si erano avvicinati, anche
dopo che le ostilità erano cessate.
Abbiamo già detto che la
metà superiore dell'isola era costituita da una roccia nuda, e che
essa era priva di qualsiasi difesa tranne che per pochi tronchi
sparsi, portati dalla corrente. Gli Uroni avevano scelto questo
punto per la discesa, e a questo scopo avevano trasportato una canoa
attraverso i boschi, aggirando la cateratta. Dopo aver messo le armi
nella piccola imbarcazione, una dozzina di uomini, aggrappandosi ai
suoi fianchi, si erano assunti il compito di governare la canoa che
era controllata anche da due dei più abili guerrieri, messi in modo
tale che permettesse loro di dominare il passaggio pericoloso.
Favoriti da questa posizione, essi toccarono la testa dell'isola nel
punto stesso che era stato fatale ai primi di loro che vi si erano
avventurati, col vantaggio però di essere in numero superiore e di
possedere armi da fuoco. Fu chiaro a Duncan che le cose si erano
svolte in questo modo poiché essi ora trasportarono il leggero
guscio dall'alto della roccia e lo misero in acqua, vicino
all'imboccatura della caverna esterna. Non appena tutto ciò fu
eseguito, il capo fece segno ai prigionieri di scendere ed entrare.
Poiché era impossibile qualsiasi resistenza, ed inutile qualunque
protesta, Heyward diede l'esempio di sottomissione facendo strada
verso la canoa, dove presto fu fatto sedere con le sorelle e
l'ancora frastornato David. Malgrado gli Uroni non conoscessero i
piccoli canali tra i vortici e le rapide di quel fiume, conoscevano
troppo bene questo genere di navigazione per commettere qualsiasi
errore materiale. Quando il pilota scelto per guidare la canoa ebbe
preso il suo posto, l'intera banda si tuffò di nuovo nel fiume,
l'imbarcazione scivolò lungo la corrente e in pochi momenti i
prigionieri si trovarono alla sponda sud del fiume, all'incirca di
fronte al punto in cui erano approdati la sera precedente.
Qui fu tenuto un altro breve
ma concitato conciliabolo, durante il quale i cavalli - al cui
panico i padroni attribuivano la colpa delle loro peggiori disgrazie
- furono condotti fuori dal bosco che li nascondeva e lì messi al
riparo. La banda ora si divise. Il grande capo spesso menzionato,
montando il cavallo di Heyward, si mise alla testa della compagnia e
attraversò subito il fiume seguito dalla maggior parte del suo
popolo, poi scomparve nella foresta, lasciando i prigionieri
affidati a sei selvaggi comandati da Le Renard Subtil. Duncan
assistette a tutti questi movimenti con rinnovata ansia.
L'insolita tolleranza dei
selvaggi gli aveva fatto credere di essere stato risparmiato come
prigioniero da inviare a Montcalm. Poiché i pensieri di coloro che
sono in disgrazia raramente si assopiscono e l'inventiva non è mai
tanto viva come quando è stimolata dalla speranza, per quanto debole
e remota essa sia, egli si era spinto ad immaginare persino che
l'amore paterno avrebbe fatto dimenticare a Munro i suoi doveri
verso il re. Infatti, benché il comandante francese avesse un
carattere coraggioso e intraprendente, lo si sapeva anche esperto in
quelle pratiche politiche che non sempre rispettano i migliori
obblighi morali e che hanno dato, in generale, una cattiva fama alla
diplomazia europea di quel periodo.
Tutte quelle fervide e
ingegnose congetture vennero ora verificate dal comportamento degli
indigeni che li avevano in loro potere. La parte della banda che
aveva seguito l'enorme guerriero, si era incamminata verso i piedi
dell'Horican e a lui ed ai suoi compagni non rimaneva altro da
aspettarsi se non di essere tenuti irrimediabilmente prigionieri dai
selvaggi vincitori.
Ansioso di conoscere il
peggio e volendo, in un così grave frangente, provare la potenza
dell'oro, Heyward vinse la propria riluttanza a parlare con Magua.
Rivolgendosi alla sua ex-guida, che ora aveva assunto l'autorità e i
modi di chi avrebbe diretto i futuri movimenti della compagnia,
disse nel tono più amichevole e confidenziale che gli fu possibile:
«Vorrei dire a Magua cose che solo a un grande capo si addice
ascoltare.»
L'indiano volse gli occhi
sprezzanti verso il giovane soldato e rispose: «Parlate, gli alberi
non hanno orecchie!»
«Ma gli Uroni rossi non sono
sordi, e consigli che si adattano ai grandi di un popolo potrebbero
inebriare dei giovani guerrieri. Se Magua non vuole ascoltare,
l'ufficiale del re sa come stare zitto.»
Il selvaggio parlò con fare
noncurante ai compagni che, piuttosto impacciati, si davano da fare
per preparare i cavalli delle sorelle, poi si mise un poco di lato e
con un gesto circospetto invitò Heyward a seguirlo.
«Ora parlate,» disse «se si
tratta di parole che Magua deve udire.»
«Le Renard Subtil si è
dimostrato degno del nome onorevole che i suoi padri canadesi gli
hanno attribuito,» cominciò Heyward. «Vedo la sua saggezza e tutto
quello che ha fatto per noi e lo ricorderò quando verrà l'ora della
ricompensa. Sì! Renard ha dimostrato non solo di essere un grande
capo al consiglio, ma anche uno che sa come ingannare i suoi
nemici!»
«Cos'ha fatto Renard?»
domandò freddamente l'indiano.
«Come! Non ha egli visto che
il bosco era pieno di gruppi nemici disseminati intorno a noi, tanto
che il serpente non avrebbe potuto insinuarsi in mezzo a loro senza
essere visto? Allora non ha forse preso la strada per confondere gli
occhi degli Uroni? Non ha finto di tornare alla sua tribù che lo
aveva maltrattato e cacciato dalle sue tende come un cane? E quando
noi abbiamo visto ciò che voleva fare, non lo abbiamo forse aiutato
facendo gli ipocriti, in modo che gli Uroni pensassero che l'uomo
bianco credeva l'amico un nemico? Non è vero tutto questo? E quando
Le Subtil ebbe chiuso gli occhi e tappato le orecchie del suo popolo
con la sua astuzia, non hanno essi dimenticato che una volta lo
avevano ingannato e lo hanno costretto a fuggire dai Mohawks? E non
lo hanno essi lasciato sulla riva sud del fiume con i suoi
prigionieri mentre gli altri erano andati stupidamente a nord? Non
intende dunque Le Renard tornare sui suoi passi come una volpe e
portare al ricco e canuto scozzese le sue figlie? Sì, Magua! Io vedo
tutto questo, e ho già pensato come ripagare tanta saggezza ed
onestà. Prima di tutto il comandante di William Henry si comporterà
come si addice a un grande capo per questi servigi. La medaglia di
Magua non sarà più di latta, ma d'oro lavorato, il suo corno
traboccherà di polvere, i dollari saranno abbondanti nelle sue
tasche quanto i ciottoli sulla riva dell'Horican e il cervo verrà a
leccargli la mano perché saprà che è inutile sfuggire al fucile che
porterà! Quanto a me non so come superare la gratitudine dello
scozzese, ma io..., sì io...»
«Che cosa offrirà il giovane
capo che viene dal sole?» domandò l'Urone osservando che Heyward
esitava a terminare l'elenco dei benefici con ciò che poteva
costituire il massimo dei desideri di un indiano.
«Farò scorrere l'acqua di
fuoco dalle isole del lago salato davanti alla tenda di Magua,
finché il suo cuore sarà più lieve delle piume di un colibrì e il
suo respiro più dolce del caprifoglio selvatico.»
Le Renard aveva ascoltato
con espressione solenne lo svolgersi dell'astuto discorso di Heyward.
Quando il giovane finse di supporre che l'indiano aveva ingannato il
proprio popolo, il viso dell'ascoltatore fu velato da un'espressione
di cauta gravità. All'allusione del tradimento a causa del quale
Duncan faceva mostra di credere che l'Urone fosse stato cacciato
dalla sua tribù nativa, un guizzo di incontenibile ferocia
attraversò gli occhi dell'altro, tanto da indurre l'audace oratore a
credere di aver toccato la corda giusta. Quando poi giunse al punto
in cui mescolava tanto abilmente la sete di vendetta col desiderio
di lucro ottenne, quanto meno, la più piena e profonda attenzione
del selvaggio. La domanda di Le Renard era stata calma e posta con
la consueta dignità indiana, ma era perfettamente chiaro,
dall'espressione pensosa del suo volto, che la risposta era stata
escogitata nel modo più astuto.
L'Urone rifletté per alcuni
attimi, poi, appoggiando la mano sulla rossa fasciatura della spalla
ferita, disse piuttosto energicamente: «Fanno forse gli amici simili
segni?»
«La Longue Carabine
ferirebbe forse così leggermente un nemico?»
«I Delaware strisciano forse
su quelli che amano come serpenti, attorcigliandosi per colpire?»
«Le Gros Serpent sarebbe
stato udito da chi ha orecchie che egli vuole sorde?»
«Il capo bianco fa forse
esplodere le sue polveri in faccia a un fratello?»
«Ha egli mai sbagliato la
mira quando ha seriamente desiderato uccidere?» rispose Duncan
sorridendo con ben simulata sincerità.
Un'altra lunga e ponderata
pausa seguì queste sentenziose domande e le pronte risposte. Duncan
osservò che l'indiano esitava. Allo scopo di completare la vittoria,
stava per ricominciare l'elenco delle ricompense, quando Magua fece
un gesto espressivo e disse: «Basta! Le Renard è un capo saggio, e
si vedrà ciò che farà. Andate e tenete la bocca chiusa. Quando Magua
parlerà, sarà il momento di rispondere.»
Heyward, vedendo che gli
occhi dell'interlocutore erano sospettosamente volti verso il resto
della banda, si ritirò immediatamente per evitare di suscitare il
sospetto di un complotto col loro capo. Magua si avvicinò ai cavalli
e finse di essere compiaciuto della diligenza e dell'abilità dei
compagni. Poi, mediante un cenno, disse a Heyward di aiutare le
sorelle a montare in sella perché raramente si degnava di far uso
della lingua inglese, a meno che non ne fosse costretto da qualche
motivo di importanza maggiore del consueto.
Non vi fu più nessun
pretesto plausibile per indugiare e Duncan fu costretto, benché a
malincuore, a obbedire. Intanto sussurrò le sue rinate speranze
nelle orecchie delle donne tremanti le quali, per la paura di
incontrare gli sguardi selvaggi di coloro che le avevano catturate,
raramente sollevavano gli occhi da terra. La giumenta di David era
stata portata via da coloro che avevano seguito il grande capo, di
conseguenza, tanto il suo proprietario che Duncan, furono costretti
ad andare a piedi. Questi, tuttavia, non ne fu molto dispiaciuto
perché ciò gli avrebbe permesso di rallentare l'andatura della
compagnia e continuava a volgere sguardi speranzosi in direzione di
Fort Edward, nella vana attesa di cogliere qualche rumore che
potesse denotare l'avvicinarsi del soccorso da quella parte della
foresta.
Quando tutto fu pronto Magua
diede il segnale di partenza, mettendosi alla testa per guidare di
persona la compagnia. Lo seguiva David, il quale si stava
gradatamente rendendo conto della propria situazione man mano che
scompariva l'effetto della ferita; dietro di lui cavalcavano le
sorelle con a fianco Heyward, mentre gli indiani affiancavano la
compagnia e chiudevano la marcia con una vigilanza che sembrava non
allentarsi mai.
Così proseguirono in un
silenzio interrotto soltanto quando Heyward rivolgeva qualche
isolata parola di conforto alle donne, o David dava sfogo agli
affanni del suo spirito con pietosi gemiti che, secondo lui,
esprimevano l'umiltà della rassegnazione. La direzione che avevano
preso era verso sud, per una strada quasi opposta a quella che
conduceva a William Henry. Nonostante Magua si attenesse alle
decisioni dei vincitori, Heyward non poteva credere che le sue
allettanti lusinghe fossero state dimenticate così presto, e
conosceva troppo bene le tortuosità di un sentiero indiano per
supporre che la sua direzione apparente portasse direttamente alla
meta, quando invece l'artificio era tanto necessario. Intanto miglio
dopo miglio, essi attraversavano la sconfinata foresta in questo
stato penoso, senza la prospettiva di vedere la fine del viaggio.
Heyward guardava i raggi del sole dardeggiare attraverso i rami
degli alberi, e aspettava con ansia il momento in cui Magua avrebbe
mutato il corso della loro marcia in una direzione più favorevole
alle sue speranze. A volte immaginava che il prudente selvaggio,
disperando di superare incolume l'esercito di Montcalm, avrebbe
diretto il cammino verso un ben noto distretto di confine, dove un
insigne ufficiale della corona e un amico delle Sei Nazioni aveva i
suoi vasti possedimenti e la sua residenza abituale. Essere lasciati
nelle mani di Sir William Johnson era di gran lunga preferibile
all'essere condotto nelle lande selvagge del Canadà. Ma anche se si
fosse verificata la prima ipotesi sarebbe stato necessario
attraversare la foresta per molte faticose leghe, e ad ogni passo
egli si sarebbe allontanato dal teatro della guerra, e di
conseguenza dal luogo dove non solo l'onore, ma il dovere, lo
aspettavano.
Solo Cora ricordava il
consiglio datole dall'esploratore prima di andarsene, e ogni
qualvolta se ne offriva l'opportunità, ella allungava un braccio per
piegare i ramoscelli che le venivano a portata di mano. Ma la
vigilanza degli indiani rendeva questo gesto di precauzione
difficile e pericoloso. Ella spesso non poté attuare il suo
proposito perché incontrava i loro occhi attenti e a volte divenne
necessario fingere una paura che non provava e occupare l'arto in
qualche gesto di femminile apprensione. Una volta, una sola, ella
riuscì pienamente: quando spezzò il ramo di un grande sommacco, e
per un'idea improvvisa, lasciò cadere il suo guanto nello stesso
istante. Questo segno, lasciato per coloro che avrebbero seguito, fu
osservato da uno dei conduttori che, restituito il guanto, ruppe i
restanti rami del cespuglio in modo da far credere che ciò fosse
causato dalla lotta di qualche animale, poi portò la mano al
tomakowk con uno sguardo così significativo da scoraggiare
definitivamente questi tentativi di segnalare il loro passaggio.
Poiché entrambi i gruppi degli indiani avevano cavalli che
lasciavano l'impronta dei loro passi, questa interruzione pose
termine ad ogni speranza di ricevere aiuto comunicando con segnali
lasciati da loro.
Heyward avrebbe osato
protestare se soltanto ci fosse stato qualcosa che lo incoraggiasse
nel torvo riserbo di Magua. Invece il selvaggio si girava raramente
a guardare coloro che lo seguivano e non parlava mai. Col sole come
unica guida e aiutato da quegli oscuri segni conosciuti soltanto
dalla sagacia di un indigeno, egli dirigeva la marcia lungo distese
desolate di pini, attraverso fertili vallette sparse qua e là,
ruscelli e rivoli, o sopra colline ondulate, con l'infallibilità
dell'istinto e quasi con la sicurezza di un uccello. Egli sembrava
non esitare mai. Che il sentiero si scorgesse appena o sparisse, o
si stendesse davanti a lui battuto e chiaro, nulla era in grado di
produrre rilevanti differenze nella sua andatura o nella sua
sicurezza. Sembrava che la fatica non avesse effetto su di lui. Ogni
qualvolta gli occhi degli affaticati viaggiatori si alzavano dalle
foglie secche che calpestavano, vedevano la sua scura sagoma
sfiorare i tronchi degli alberi e la testa rigidamente fissa in
avanti, con in cima la lieve piuma che fluttuava ad ogni spostamento
d'aria provocato unicamente dai suoi rapidi movimenti.
Ma tutta questa attenzione e
questa fretta non erano senza scopo. Dopo aver attraversato una
bassa valle in cui serpeggiava un impetuoso ruscello, egli
improvvisamente salì su una collina così scoscesa e difficile da
costringere le sorelle a scendere da cavallo per proseguire. Quando
raggiunsero la cima si trovarono in un luogo pianeggiante, ma con
pochi alberi, sotto uno dei quali Magua si gettò come desideroso e
deciso a cercare quel riposo di cui l'intera compagnia aveva tanto
bisogno.
Capitolo XI
Che la mia tribù sia
maledetta
se lo perdono.
Shylock
L'indiano aveva scelto a
questo scopo una di quelle colline scoscese, a forma di piramide,
che tanto somigliano a dei monticelli artificiali e sono così
frequenti nelle valli americane. Quella in questione era alta e
ripida con la cima appiattita come al solito, ma con uno dei pendii
più irregolare del consueto. Apparentemente non aveva altro
vantaggio, come luogo in cui riposare, che l'altezza e la forma che
avrebbero potuto rendere facile la difesa e quasi impossibile la
sorpresa. Heyward, tuttavia, poiché non si aspettava più quel
soccorso che l'ora e la distanza rendevano impossibile, osservava
questi piccoli particolari con occhio privo di interesse, e si
dedicava interamente a confortare le compagne più deboli e ad
esprimere con loro il proprio dolore. I Narraganset erano stati
lasciati a masticare i ramoscelli degli alberi e i radi arbusti
sparsi sulla cima della collina, mentre ciò che rimaneva delle
provviste fu distribuito all'ombra di un faggio che estendeva i suoi
rami sopra di loro come un baldacchino.
Nonostante la rapidità della
fuga, uno degli indiani era riuscito a colpire con una freccia un
daino isolato e aveva pazientemente trasportato sulle spalle le
parti migliori della vittima fino al luogo in cui si fermarono.
Senza l'aiuto di nessuna arte culinaria, egli e i suoi compagni
presero ad ingozzarsi di questa sostanza commestibile. Il solo Magua
sedeva in disparte, senza partecipare a quel pasto rivoltante e
apparentemente immerso nei più profondi pensieri.
Questa astinenza, cosa tanto
notevole in un indiano che ha modo di soddisfare la propria fame,
finì con l'attrarre l'attenzione di Heyward. Il giovane credette
volentieri che l'Urone avesse assunto un atteggiamento adatto ad
eludere la vigilanza dei propri compagni. Allo scopo di sostenere il
proprio piano con qualche suggerimento, egli si allontanò dal faggio
e si mise a gironzolare, apparentemente senza scopo, intorno al
luogo dove era seduto Le Renard.
«Magua non ha preso
abbastanza sole in faccia per sfuggire al pericolo dei canadesi?»
domandò egli come se non dubitasse più della complicità esistente
fra loro. «E il capo di William Henry non sarà più contento di
vedere le sue figlie prima che un'altra notte indurisca il suo cuore
per tale perdita e lo renda meno generoso nella ricompensa?»
«I visi pallidi amano forse
i loro figli al mattino meno che alla sera?» domandò freddamente
l'indiano.
«Affatto» replicò Heyward
ansioso di correggere il proprio errore, se mai ne avesse fatto uno:
«l'uomo bianco può dimenticare, e spesso lo fa, la tomba dei propri
padri, a volte cessa di ricordare coloro che dovrebbe amare e ha
promesso di avere a cuore, ma all'affetto di un genitore per il
proprio figlio, non è mai permesso di morire.»
«È tenero il cuore del capo
dalla testa bianca e penserà alle creature che le sue squaw gli
hanno dato? Egli è duro con i guerrieri e i suoi occhi sono di
pietra!»
«È severo con i pigri e i
malvagi, ma con gli assennati e meritevoli egli è un capo giusto ed
umano. Ho conosciuto molti genitori amorosi e teneri ma mai ho
conosciuto un uomo il cui cuore fosse più dolce verso le sue
creature. Voi avete visto quella testa grigia davanti ai suoi
guerrieri, Magua, ma io ho visto i suoi occhi velati di lacrime
mentre parlava di queste figlie che ora sono in vostro potere!»
Heyward si fermò perché non
sapeva come interpretare la strana espressione che attraversò i
bruni lineamenti dell'attento indiano. Dapprima sembrò che il
ricordo della ricompensa promessa divenisse più vivo nella sua
memoria mentre ascoltava la descrizione di quell'amore paterno che
consolidava il suo potere; ma via via che Duncan procedeva,
l'espressione di gioia si andava facendo così ferocemente maligna da
rendere impossibile non dedurne che provenisse da qualche passione
ancor più sinistra della cupidigia.
«Va,» disse l'Urone,
padroneggiando subito quella manifestazione traditrice mutandola in
una espressione di calma mortale. «Va dalla figlia dagli occhi neri
e dille che Magua l'aspetta per parlarle. Il padre ricorderà ciò che
la figlia promette.»
Duncan, interpretando questo
discorso come il segno che egli desiderasse qualche ulteriore
garanzia che i doni promessi non sarebbero stati rifiutati,
lentamente e di mala voglia tornò al luogo dove le sorelle si
stavano riposando della fatica, per comunicarne il contenuto a Cora.
«Voi comprendete la natura
dei desideri di un indiano,» le disse mentre la accompagnava verso
il luogo dove era attesa, «e dovete essere prodiga nelle vostre
offerte di polvere e coperte. Le bevande forti, tuttavia, sono ciò
che quelli come lui apprezzano maggiormente, né sarebbe male
aggiungere qualche dono vostro personale, offerto con quella grazia
che vi è propria. Ricordate, Cora, che dalla vostra presenza di
spirito e dalla vostra abilità possono dipendere in qualche misura
la vostra vita e quella di Alice.»
«E la vostra, Heyward!»
«La mia è di poca
importanza; appartiene già al mio re ed è un onore essere preso da
un nemico vittorioso. Non ho un padre che mi aspetta e ho pochi
amici a dolersi per un destino che ho cercato col desiderio
insaziabile che la giovinezza ha per gli onori. Ma zitta! Ci stiamo
avvicinando all'indiano. Magua, la signora con la quale volete
parlare è qui.»
L'indiano si alzò lentamente
e, per quasi un minuto, rimase in piedi, silenzioso ed immobile. Poi
fece segno con la mano a Heyward di ritirarsi, dicendo freddamente:
«Quando l'Urone parla a una donna, la sua tribù si tappa le
orecchie.»
Mentre Duncan ancora
indugiava come se rifiutasse di obbedire, Cora disse con un calmo
sorriso: «Sentite, Heyward? La delicatezza almeno dovrebbe spingervi
a ritirarvi. Andate da Alice e confortatela con la vostra rinata
speranza.»
Ella aspettò finché se ne fu
andato, poi girandosi verso l'indiano con la dignità propria del suo
sesso nella voce e nei modi, aggiunse: «Che cos'ha da dire Le Renard
alla figlia di Munro?»
«Ascoltate,» disse l'indiano
stringendole un braccio, come se volesse attirare tutta la sua
attenzione - gesto che Cora respinse fermamente ma con calma
liberando l'arto da quella stretta: «Magua è nato capo e guerriero
fra gli Uroni rossi dei laghi; egli ha visto il sole di venti estati
sciogliere la neve di venti inverni e farla scorrere nel fiume,
prima di incontrare i visi pallidi; ed era felice! Poi i suoi padri
canadesi vennero nella foresta e gli insegnarono a bere l'acqua di
fuoco, ed egli divenne una canaglia. Gli Uroni lo cacciarono dalle
tombe dei suoi padri come caccerebbero il bufalo inseguito. Egli
scese alle spiagge dei laghi e seguì il loro sbocco fino alla ‹città
del cannone›, là egli ha cacciato e pescato finché il suo popolo lo
respinse di nuovo, attraverso i boschi, nelle braccia dei suoi
nemici. Il capo che era nato Urone, divenne alla fine un guerriero
fra i Mohawks.»
«Ho già udito qualcosa di
simile» disse Cora osservando che si era fermato per soffocare
quelle passioni che cominciavano a bruciare di una fiamma troppo
viva, mentre gli tornavano alla mente i ricordi dei torti di cui si
riteneva vittima.
«Era colpa di Le Renard se
la sua testa non era di roccia? Chi gli ha dato l'acqua di fuoco?
Chi lo ha trasformato in un mascalzone? Sono stati i visi pallidi,
la gente del vostro colore.»
«Sono io responsabile se
esistono uomini sconsiderati e senza principi il cui colore del viso
può somigliare al mio?» domandò Cora con calma al selvaggio
esaltato.
«No, Magua è un uomo, e non
è stupido; a quelli come voi che non aprono mai le labbra all'acqua
di fuoco, il Grande Spirito ha dato la saggezza!» «Che cosa dunque
devo fare o dire per rimediare alle vostre disgrazie, per non dire
ai vostri errori!»
«Ascoltate,» ripeté
l'indiano, riprendendo il suo atteggiamento compassato: «quando i
suoi padri inglesi e francesi disseppellirono l'ascia, Le Renard
colpì il palo di guerra dei Mohawks e andò contro il suo stesso
popolo. I visi pallidi hanno respinto i pellerossa dai loro
territori di caccia e ora, quando combattono, un uomo bianco li
comanda. Il vecchio capo dell'Horican, vostro padre, era il grande
capitano della nostra compagnia. Egli diceva ai Mohawks: fate
questo, fate quello, ed era obbedito. Fece una legge secondo la
quale un indiano che inghiottiva l'acqua di fuoco ed entrava nelle
wigwams di stoffa dei suoi guerrieri, sarebbe stato punito. Magua
scioccamente aprì la bocca ed il bruciante liquore lo condusse
nell'alloggiamento di Munro. Che cosa fece la testa grigia? Lo dica
sua figlia.»
«Egli non dimenticò le sue
parole e fece giustizia, punendo chi lo aveva offeso» disse la
figlia impavida.
«Giustizia!» ripeté
l'indiano gettando un'occhiata più che mai feroce sul viso
impassibile di lei. «È giustizia fare il male e poi punire per esso?
Magua non era in sé, era l'acqua di fuoco che parlava e agiva per
lui! Ma Munro non lo credette. Il capo Urone fu legato davanti a
tutti i soldati bianchi e frustato come un cane.»
Cora rimase silenziosa
perché non sapeva come rimediare a questa imprudente severità di suo
padre in modo comprensibile per un indiano.
«Guardate!» continuò Magua
spostando la leggera giubba di tela stampata che mal gli nascondeva
il petto dipinto. «Ecco degli sfregi inferti da coltelli e
pallottole: di questi un guerriero può farsi vanto davanti al suo
popolo; ma Testa-Grigia ha lasciato segni sulla schiena del capo
Urone che egli deve nascondere come una squaw, sotto questa stoffa
variopinta dei bianchi.»
«Credevo,» replicò Cora,
«che un guerriero indiano fosse paziente e che il suo spirito non
sentisse e ignorasse il dolore che sopporta il suo corpo.»
«Quando i Chippewa legarono
Magua al palo e gli inflissero queste ferite,» disse l'altro
appoggiando un dito ad una profonda cicatrice, «l'Urone rise loro in
faccia e disse che solo le donne colpiscono così piano! Il suo
spirito allora era nelle nuvole! Ma quando sentì i colpi di Munro,
Magua giacque sotto la sferza. Lo spirito di un Urone non è mai
ubriaco, esso ricorda per sempre.»
«Ma tutto ciò può essere
dimenticato. Se mio padre vi ha fatto delle ingiustizie, mostrategli
come un indiano può dimenticare un'ingiuria e riportategli le sue
figlie. Avete udito dal Maggiore Heyward...»
Magua scosse la testa,
impedendo la ripetizione di offerte che tanto disprezzava.
«Che cosa volete?» continuò
Cora dopo una penosissima pausa, mentre si faceva strada nella sua
mente la convinzione che il troppo ottimista e generoso Heyward era
stato ingannato dall'astuzia del selvaggio.
«Quello che un Urone ama...
bene per bene, male per male!»
«Volete dunque vendicarvi
delle offese inflittevi da Munro, sulle sue figlie indifese. Non
sarebbe più da uomo presentarsi a lui e prendere la soddisfazione
che si addice a un guerriero?»
«Le armi dei visi pallidi
sono lunghe e i loro coltelli acuminati!» replicò il selvaggio con
una risata malvagia. «Perché Le Renard dovrebbe andare tra i
moschetti dei guerrieri di Testa-Grigia mentre ha in pugno il suo
spirito?»
«Dite le vostre intenzioni,
Magua,» disse Cora lottando con se stessa per parlare con fermezza e
calma. «intendete forse condurci prigionieri nei boschi, oppure
avete in mente qualche male peggiore? Non c'è nessuna ricompensa,
nessun mezzo per rimediare all'ingiuria e rendere più tenero il
vostro cuore? Liberate almeno la mia dolce sorella e versate tutto
il vostro rancore su di me. Acquistate la ricchezza con la sua
salvezza e soddisfate la vostra sete di vendetta con una sola
vittima. La perdita di entrambe le figlie potrebbe portare quel
vecchio alla tomba, che soddisfazione ne trarrebbe allora Le Renard?»
«Ascoltate!» disse ancora
l'indiano. «Occhi chiari può tornare all'Horican e raccontare al
vecchio capo cosa è stato fatto se la donna dai capelli neri giurerà
sul Grande Spirito dei suoi padri di non dire menzogne.»
«Che cosa devo giurare?»
domandò Cora mantenendo ancora un segreto ascendente sul feroce
indigeno con la raccolta dignità femminile della sua presenza.
«Quando Magua lasciò il suo
popolo, sua moglie fu data a un altro capo; ora egli è divenuto
amico degli Uroni e tornerà alle tombe della sua tribù, sulle sponde
del grande lago. Che la figlia del capo inglese lo segua e viva
nella sua wigwam per sempre.»
Per quanto rivoltante fosse
una simile proposta per Cora, ella mantenne, nonostante il profondo
disgusto, sufficiente autocontrollo per rispondere senza tradire
debolezza alcuna.
«E che piacere troverebbe
Magua nel dividere la sua capanna con una moglie che non ama, una
che appartiene a un popolo e ha un colore diverso dal suo? Sarebbe
meglio prendere l'oro di Munro e comprare il cuore di qualche
fanciulla urone con i suoi regali.»
L'indiano non rispose per
quasi un minuto, ma volse sguardi ardenti al viso di Cora, con
guizzi così penetranti che gli occhi di lei si abbassarono per la
vergogna, sotto l'impressione di avere per la prima volta incontrato
un'espressione che nessuna donna casta può sopportare. Mentre ella
si ritirava in se stessa, la voce di Magua rispose nei toni della
più profonda malvagità: «Quando i colpi brucerebbero il dorso dell'Urone,
egli saprebbe dove trovare una donna che ne sentisse il dolore. La
figlia di Munro porterebbe la sua acqua, abbrustolirebbe il suo
grano e cucinerebbe la sua selvaggina. Il corpo di Testa Grigia
dormirebbe fra i suoi cannoni, ma il suo cuore sarà alla portata del
coltello di Le Subtil!»
«Mostro! Meriti bene il tuo
nome di traditore!» gridò Cora, in una incontrollabile esplosione di
indignazione filiale. «Solo un demonio potrebbe meditare una simile
vendetta! Ma sopravvaluti il tuo potere! Vedrai che sarà proprio il
cuore di Munro che ora tieni in pugno, a sfidare la tua peggiore
malvagità!»
L'indiano rispose a questa
audace sfida con un orrendo sorriso che mostrava che le sue
intenzioni non erano cambiate, mentre le faceva segno di
allontanarsi, come per chiudere quel colloquio per sempre. Cora, già
rimpiangendo la propria irruenza, fu costretta ad obbedire, perché
Magua se ne andò subito e si avvicinò agli ingordi compagni.
Heyward si precipitò al
fianco della donna tutta agitata e chiese quale fosse il risultato
di quel dialogo che egli aveva osservato a distanza con tanto
interesse. Ma, non volendo risvegliare le paure di Alice, ella evitò
una risposta diretta, tradendo solo nell'espressione del viso il suo
completo insuccesso, e gettando sguardi ansiosi sui minimi movimenti
dei vincitori. Alle ripetute e appassionate domande della sorella
riguardanti il loro probabile destino, ella rispondeva soltanto
indicando il gruppo di uomini scuri con una agitazione che non
poteva controllare e mormorava stringendosi al petto Alice: «Là, là,
leggi il nostro destino sui loro visi: vedremo, vedremo!»
Il gesto e la voce soffocata
di Cora dicevano più di qualsiasi parola, e presto l'attenzione dei
compagni fu attratta verso il punto che ella fissava, con una
intensità che solo l'importanza della posta in gioco poteva creare.
Quando Magua raggiunse il
gruppo di compagni che, pigramente distesi e sazi del disgustoso
pasto, giacevano in terra con brutale abbandono, cominciò a parlare
con la tipica solennità di un capo indiano. Le prime sillabe che
pronunciò ebbero l'effetto di farli alzare in atteggiamento di
rispettosa attenzione. Poiché l'Urone parlava la sua lingua nativa,
i prigionieri, nonostante gli indigeni per precauzione li tenessero
a portata dei loro tomahawk potevano dedurre la sostanza del
discorso solo dalla natura di quei gesti significativi che un
indiano usa accompagnare alla sua eloquenza. Da principio la lingua
e i gesti di Magua sembrarono calmi e decisi. Dopo che l'Urone ebbe
risvegliato sufficientemente l'attenzione dei compagni, Heyward
intuì, dal fatto che indicava spesso la direzione dei grandi laghi,
che stava parlando della terra dei loro padri e della loro lontana
tribù. Frequenti accenni di applauso sfuggirono agli ascoltatori i
quali, mentre emettevano l'espressivo «hugh!» si guardavano a
vicenda per esprimere la loro approvazione. Le Renard era troppo
furbo per non approfittare di questo vantaggio. Si mise a parlare
della lunga e faticosa strada percorsa dopo aver lasciato le loro
terre sconfinate e i loro villaggi felici per venire a combattere i
nemici dei padri canadesi. Enumerò i guerrieri della compagnia, i
loro vari meriti, i loro frequenti servizi al popolo, le loro ferite
e il numero di cotenne che avevano preso. Ogniqualvolta alludeva ad
uno dei presenti (e l'astuto indiano non ne dimenticò nessuno), il
viso scuro dell'individuo adulato si illuminava di esultanza, né
esitava ad affermare la verità di quelle parole con gesti di
approvazione. Poi la voce dell'oratore cadde e perdette gli alti
toni animati di trionfo coi quali aveva elencato le loro imprese di
successo e vittoria. Descrisse la cateratta di Glenn,
l'inespugnabile posizione della sua isola rocciosa, con le sue
caverne e le sue numerose rapide e mulinelli, fece il nome della «Longue
Carabine» e restò in silenzio finché la foresta sotto di loro non
ebbe rimandato l'ultima eco dell'alto, lungo grido col quale
l'odiato appellativo era stato accolto. Indicò il giovane soldato
prigioniero e descrisse la morte di un guerriero amato che era stato
precipitato nel profondo burrone dalle sue mani. Egli non si limitò
ad alludere alla sorte di colui che, ondeggiando tra cielo e terra,
aveva offerto un tale spettacolo di orrore all'intera banda, ma
addirittura mimò i terrori della sua situazione, la sua risolutezza
e la sua morte, salendo sui rami di un alberello; infine descrisse
rapidamente il modo nel quale ciascuno dei compagni era caduto, non
tralasciando mai di vantare il loro coraggio e le loro ben
conosciute virtù.
Quando il racconto di questi
eventi finì, la sua voce cambiò di nuovo e divenne lamentosa,
persino musicale, nei suoi bassi toni gutturali. Ora parlò delle
mogli e dei bambini dei morti, delle loro privazioni e della loro
miseria fisica e morale, della loro lontananza e, infine, dei loro
torti invendicati. Poi, alzando improvvisamente la voce ad un tono
di terrificante energia, concluse domandando: «Gli Uroni sono forse
dei cani per sopportare tutto ciò? Chi dirà alla moglie di Menowga
che i pesci hanno il suo scalpo e che il suo popolo non si è
vendicato? Chi oserà presentarsi alla madre di Wassawattinie, quella
donna orgogliosa, con le mani pulite? Che cosa diremo ai vecchi
quando ci chiederanno gli scalpi e noi non avremo un solo capello di
un bianco da dare loro? Le donne ci segneranno a dito. C'è una
macchia nera sul nome degli Uroni e deve essere lavata col sangue!»
La sua voce fu coperta
dall'esplosione di rabbia che irruppe nell'aria come se la foresta,
invece di contenere una banda così esigua, fosse invasa dall'intero
popolo degli Uroni. Durante tutto questo discorso, il tono
dell'oratore poteva essere facilmente compreso da coloro che ne
erano maggiormente interessati, attraverso l'espressione degli
uomini ai quali Magua si rivolgeva. Essi avevano risposto alla sua
tristezza e ai suoi lamenti con simpatia e dolore, alle sue
asserzioni con gesti di conferma, e alle sue vanterie, con selvaggia
esultanza. Quando egli parlò di coraggio i loro sguardi furono fermi
e comprensivi; quando alluse alle ingiurie subite i loro occhi si
accesero come quelli di una furia; quando menzionò il sarcasmo delle
donne, abbassarono il capo vergognosi, ma quando indicò loro il
mezzo per vendicarsi, egli toccò una corda che non mancava mai di
vibrare nel petto di un indiano. Al primo segno che tale possibilità
si trovava alla loro portata, l'intera banda balzò in piedi come un
solo uomo, e sfogandosi con le grida più sfrenate, essi si
scagliarono sui prigionieri tutti insieme, brandendo i coltelli e
sollevando i tomahawks. Heyward si gettò fra le sorelle e il primo
di loro, e lo afferrò in una lotta disperata riuscendo per un
momento a frenarne la violenza. Questa inattesa resistenza diede a
Magua il tempo di intervenire, e con parole concitate e gesti
espressivi attirò l'attenzione della banda su di sé. Con quel
linguaggio che egli sapeva usare così bene, sviò i compagni dai loro
momentanei propositi e li invitò a prolungare la sofferenza delle
vittime. La proposta fu accolta con acclamazioni ed attuata con la
velocità del pensiero. Due forti guerrieri si gettarono su Heyward,
mentre un altro era occupato a legare il meno intraprendente maestro
di canto. Nessuno dei prigionieri, tuttavia, si arrese senza una
disperata, benché inutile lotta. Persino David gettò violentemente a
terra il suo assalitore e Heyward non venne immobilizzato finché la
sua vittoria sul compagno non permise agli altri indiani di unire i
loro sforzi per legarlo. Fu poi assicurato strettamente al tronco
dell'alberello sui cui rami Magua aveva rappresentato la pantomima
dell'Urone morente.
Quando il giovane soldato
riacquistò coscienza, ebbe davanti agli occhi la dolorosa certezza
che un destino comune si preparava per l'intera compagnia. Alla sua
destra c'era Cora, imprigionata come lui, pallida e agitata, ma con
occhi ancora fissi ad osservare i movimenti dei nemici. Alla sua
sinistra, i lacci che legavano Alice a un pino, assolvevano quell'ufficio
cui si rifiutavano le sue tremanti membra, e soli impedivano alla
fragile forma di cadere. Aveva le mani giunte in preghiera, ma
invece di guardare in alto, verso quel Potere che solo l'avrebbe
potuta liberare, i suoi sguardi vuoti erravano sul viso di Duncan
con infantile dipendenza. David aveva lottato e la novità
dell'accaduto lo mantenne silenzioso a meditare sulla giustizia di
quel fatto insolito.
Ora la vendetta degli Uroni
aveva preso una nuova direzione ed essi si preparavano ad eseguirla
con quella barbara industriosità con la quale si erano
familiarizzati attraverso una pratica di secoli. Alcuni cercavano
dei ceppi per innalzare la pira, uno stava strappando delle schegge
di pino per trafiggere la carne dei prigionieri con i tizzoni
ardenti, ed altri piegavano a terra le cime di due alberelli per
sospendere Heyward per le braccia fra i rami che sarebbero
rimbalzati indietro. Ma la vendetta di Magua cercava una più
profonda e malvagia soddisfazione. Mentre i mostri meno raffinati
della banda preparavano davanti agli occhi di coloro che stavano per
essere le vittime, questi ben conosciuti e volgari mezzi di tortura,
egli si avvicinò a Cora e indicò, con la più malvagia espressione
nel viso, la rapida fine che la aspettava.
«Ah!» aggiunse. «Cosa dice
la figlia di Munro? La sua testa è troppo bella per trovare un
cuscino nella wigwam di Le Renard, preferisce che rotoli per questa
collina, giocattolo ai lupi?»
«Che cosa intende dire quel
mostro?» domandò Heyward stupito.
«Nulla!» fu la ferma
risposta. «Egli è un selvaggio, un barbaro e ignorante selvaggio e
non sa quello che fa. Troviamo con i nostri respiri morenti il modo
di chiedere per lui penitenza e perdono.»
«Perdono!» echeggiò il
feroce Urone, fraintendendo, nella sua rabbia, il significato di
queste parole. «La memoria di un indiano è più lunga del braccio dei
visi pallidi, la sua pietà più breve della loro giustizia! Dite,
devo mandare capelli-gialli a suo padre mentre voi seguite Magua ai
grandi laghi, per portare la sua acqua e nutrirlo col grano?»
Cora gli fece cenno di
allontanarsi con un moto di disgusto che non poté controllare.
«Lasciatemi,» disse con una
solennità che per un momento arrestò la barbarie dell'indiano. «Tu
rendi amare le mie preghiere, ti metti fra me e il mio Dio!»
La leggera impressione
prodotta sul selvaggio fu però presto dimanticata, ed egli continuò
indicando Alice con beffarda ironia: «Guarda! La bambina piange! È
giovane per morire! Mandala da Munro a pettinare i suoi capelli
grigi e a mantenere la vita nel cuore del vecchio.»
Cora non poté dominare il
desiderio di guardare la giovane sorella, nei cui occhi ella
incontrò uno sguardo implorante che tradiva il desiderio di vivere.
«Che cosa dice, carissima
Cora?» domandò la voce tremante di Alice. «Ha parlato di mandarmi da
mio padre?»
Per lunghi attimi la sorella
più vecchia guardò la minore con una espressione turbata da forti e
contrastanti emozioni. Finalmente parlò benché i suoi accenti
avessero perduto la ricca e calma pienezza in un'espressione di
tenerezza quasi materna.
«Alice,» disse, «l'Urone
offre la vita a noi due, no di più, egli offre di restituire Duncan,
il nostro inestimabile Duncan, e te, ai nostri amici... a nostro
padre... al nostro tormentato padre senza figli, se io piegherò
questo mio ribelle e cocciuto orgoglio e acconsentirò...»
La voce le morì in gola, e
giungendo le mani, ella guardò in alto, come cercasse, nella sua
agonia, comprensione da quella Saggezza che sapeva infinita.
«Continua» gridò Alice. «A
cosa, carissima Cora? Oh! fosse fatta a me l'offerta! Per salvarti,
per consolare il nostro vecchio padre, per liberare Duncan, quanto
lietamente morirei!»
«Morire!» ripeté Cora con
voce più calma e ferma. «Sarebbe facile! Forse l'alternativa non è
da meno. Egli vorrebbe che io,» continuò mentre la sua voce si
abbassava nella profonda consapevolezza di quanto degradante fosse
questa proposta, «lo seguissi nella foresta; andassi nelle dimore
degli Uroni per rimanere là: in breve, per diventare sua moglie!
Dimmi dunque, Alice, bambina mia, sorella amata! E voi, Maggiore
Heyward, aiutate la mia debole ragione col vostro consiglio. La vita
vale un simile sacrificio? Vuoi, tu Alice, riceverla dalle mie mani
a un simile prezzo? E voi, Duncan, guidatemi, farò ciò che direte e
mi rimetto interamente a voi due.»
«Se lo voglio!» esclamò
indignato e attonito il giovane. «Cora! Cora! Voi vi prendete gioco
del nostro tormento! Non parlate più di questa orrenda alternativa:
il solo pensiero è mille volte peggiore della morte.»
«Sapevo bene che questa
sarebbe stata la vostra risposta!» esclamò Cora mentre arrossiva, e
i suoi occhi scuri brillarono ancora una volta di ciò che le
rimaneva del suo sentire di donna.
«Cosa dice la mia Alice? Per
lei mi rassegnerei senza altri lamenti.»
Benché tanto Heyward che
Cora stessero in ascolto con dolorosa angoscia e profonda
attenzione, non si udì alcuna risposta. Sembrò che la delicata e
sensibile persona di Alice si fosse ritirata in se stessa mentre
ascoltava questa proposta. Aveva le braccia abbandonate e le sue
dita si muovevano in leggere convulsioni; la testa le era ricaduta
sul petto, e l'intera persona sembrava sospesa contro l'albero come
un emblema della delicatezza del suo sesso, inanimato e tuttavia
profondamente consapevole. Dopo pochi istanti, tuttavia, la sua
testa cominciò a muoversi lentamente in un segno di profondo,
invincibile diniego.
«No, no, è meglio che
moriamo come abbiamo vissuto: insieme!»
«Allora morite!» gridò Magua,
roteando con violenza il suo tomahawk davanti alla personcina
indifesa che aveva appena parlato, e digrignando i denti con una
rabbia divenuta ormai irrefrenabile a questa improvvisa prova di
coraggio in quella che credeva la più debole della compagnia.
La sua scure fendette l'aria
davanti a Heyward e, tagliando alcuni ricci di Alice, vibrò
conficcata nell'albero sulla testa di lei. Quella vista fece
impazzire Duncan di disperazione. Raccogliendo tutte le sue energie,
spezzò i ramoscelli che lo legavano e si scagliò su un altro
selvaggio che, con un alto grido e con mira più precisa, si
preparava a ripetere il colpo. Essi si incontrarono, si afferrarono
e caddero a terra avvinghiati. Il corpo nudo dell'avversario non
offriva a Heyward nessun appiglio per trattenerlo, così questi
sfuggì alla sua presa e alzandosi gli pose un ginocchio sul petto,
sì da schiacciarlo col suo peso di gigante. Duncan vide il coltello
brillare nell'aria, quando un sibilo passò oltre a lui, accompagnato
dal colpo secco di un fucile. Sentì il suo petto sollevato dal peso
che lo opprimeva, vide l'espressione selvaggia del suo avversario
mutare in uno sguardo di vuota ferocia, e l'indiano cadde morto
sulle foglie appassite, al suo fianco.
Capitolo XII
e fra poco, signore
sarò di nuovo da voi.
La dodicesima notte
In quel momento estremo egli
udì una voce vicino a lui che gridava: «Sterminate quelle carogne!
Nessuna pietà per un maledetto Mingo!»
Un momento dopo il calcio
del fucile di Occhio di Falco si abbatteva sulla testa nuda
dell'avversario, e i suoi muscoli parvero cedere, mentre scivolava
dalle braccia di Duncan afflosciandosi senza vita.
Uncas, dopo aver spaccato la
testa del suo antagonista, si girò come un leone affamato, per
cercarne un'altro. Il quinto Urone, l'unico non impegnato nel primo
scontro si era fermato un momento, e vedendo che tutti intorno a lui
si stavano scontrando in una battaglia mortale, aveva cercato di
portare a termine l'opera di vendetta che era stata interrotta.
Levando un grido di trionfo, si scagliò verso l'indifesa Cora
lanciando l'arma tagliente come spaventevole annuncio del suo
avvicinarsi. Il tomahawk le sfiorò la spalla e, tagliando i lacci
che la legavano all'albero, lasciò la fanciulla libera. Ella sfuggì
alla presa del selvaggio e, incurante della propria salvezza, si
gettò sul petto di Alice, tentando convulsamente e con dita
inesperte di strappare i vincoli che immobilizzavano la persona
della sorella. Soltanto un mostro poteva non intenerirsi alla vista
di un simile gesto di generosa fedeltà al migliore e più puro degli
affetti, ma il cuore dell'Urone non conosceva la tenerezza.
Afferrando Cora per la ricca capigliatura che le ricadeva in
disordine sulle spalle, la strappò dalla frenetica presa e la fece
piegare sulle ginocchia con brutale violenza. Il selvaggio prese in
mano i riccioli fluenti di lei e sollevandoli con un braccio teso,
passò il coltello attorno alla testa squisitamente modellata della
vittima, con una sarcastica risata di trionfo. Ma costui scontò
questo momento di feroce soddisfazione con la perdita della fatale
opportunità. Proprio allora l'occhio di Uncas fu attratto dalla
scena. Con un balzo apparve per un istante a fendere l'aria e,
calando come un bolide, si abbatté sul petto del nemico, gettandolo
parecchie yarde più in là a capofitto e prostrato. La violenza dello
sforzo, gettò il giovane Mohicano disteso al suo fianco. Essi si
alzarono avvinghiati, combatterono e sanguinarono alternativamente.
Ma la contesa fu presto decisa; il tomahawk di Heyward e il fucile
di Occhio di Falco si abbatterono sul cranio dell'Urone nello stesso
momento in cui il coltello di Uncas raggiungeva il suo cuore.
La battaglia era terminata;
non con la lotta che ora si protraeva tra «Le Renard Subtil» e «Le
Gros Serpent». Questi barbari guerrieri provarono chiaramente di
meritare quei nomi significativi che erano stati loro attribuiti per
imprese precedenti. Quando ingaggiarono il combattimento, perdettero
un po' di tempo ad evitare i rapidi e vigorosi colpi che miravano
alle loro vite. Improvvisamente si scagliarono l'uno sull'altro, si
afferrarono e si contorsero come serpenti attorcigliati in
flessibili e astute spire.
Nel momento in cui i
vincitori si trovarono disimpegnati il luogo dove si trovavano
questi esperti e disperati combattenti, poteva essere distinto solo
da una nube di polvere e foglie che si spostava dal centro della
piccola spianata verso i suoi bordi, come sollevata dal passaggio di
un turbine. Spinti dai diversi motivi di affetto filiale, amicizia e
gratitudine, Heyward e compagni si precipitarono come un sol uomo
verso quel punto, circondando il piccolo tetto di polvere che
sovrastava i guerrieri. Invano Uncas si aggirava intorno alla nuvola
col desiderio di conficcare il proprio coltello nel cuore del nemico
di suo padre; il minaccioso fucile di Occhio di Falco venne
sollevato e tenuto sospeso inutilmente, mentre Duncan tentava di
afferrare gli arti dell'Urone con mani che sembravano aver perduto
le proprie facoltà. Le rapide evoluzioni dei contendenti sembravano
aver fuso i loro corpi in uno, coperti com'erano di polvere e
sangue. Il corpo del Mohicano con gli emblemi di morte e la forma
scura dell'Urone, si susseguivano davanti ai loro occhi in modo così
rapido e confuso che gli amici del primo non sapevano dove e quando
assestare il colpo che lo avrebbe soccorso. È vero che vi furono
brevi e fuggevoli momenti in cui gli occhi di fuoco di Magua furono
visti scintillare come quelli del favoloso basilisco, attraverso la
spirale di polvere che li avvolgeva, e con quelle brevi occhiate
fatali egli vide le sorti del combattimento nella presenza dei suoi
nemici; ma prima che una mano nemica potesse scendere sul suo capo
ormai votato alla morte, al suo posto si vedeva il viso minaccioso
di Chingachgook. Così la scena del combattimento si spostò dal
centro della piccola spianata, verso il suo limitare. In quel
momento il Mohicano trovò l'opportunità di colpire vigorosamente col
pugnale; Magua improvvisamente lasciò la presa e cadde all'indietro
rimanendo immobile, apparentemente senza vita.
«Bene per il Delaware,
vittoria al Mohicano!» gridò Occhio di Falco sollevando ancora una
volta il calcio del lungo e micidiale fucile. «Un colpo di grazia da
un uomo di pura razza non andrà mai a suo disonore, né lo priverà
del diritto allo scalpo.»
Ma, proprio nel momento in
cui la pericolosa arma si stava abbassando, l'astuto Urone rotolò
improvvisamente lontano dal pericolo sull'orlo del precipizio e,
saltando in piedi, fu visto precipitarsi d'un sol balzo verso il
centro di una macchia di bassi arbusti abbarbicati al suo fianco. I
Delaware che avevano creduto il loro nemico morto, emisero un grido
di sorpresa e si lanciarono all'inseguimento, veloci e urlanti come
cani che hanno avvistato il cervo, quando un grido acuto e
caratteristico, cambiò immediatamente i loro propositi e li richiamò
sulla cima della collina.
«È stato degno di lui» gridò
l'inveterato uomo della foresta i cui pregiudizi contribuivano così
largamente ad ottenebrare il suo senso di giustizia in tutto ciò che
riguardava un Mingo, «da quel mascalzone, bugiardo e disonesto qual
è.»
«In una situazione come
questa, un onesto Delaware, una volta vinto, sarebbe rimasto fermo a
ricevere il colpo sulla testa, ma questi furfanti di Maqua si
attaccano alla vita come tanti gatti selvatici. Lasciamolo andare,
lasciamolo andare; è solo e senza un fucile o un arco, molte lunghe
miglia lontano dai suoi compagni francesi, e come un serpente a
sonagli che ha perduto i denti, non può fare altro male, non prima
almeno che lui e noi, si sia potuto lasciare le impronte dei nostri
mocassini su un lungo tratto di pianura sabbiosa. Vedi Uncas,»
aggiunse in delaware, «tuo padre sta già impossessandosi degli
scalpi, sarebbe meglio andare in giro a controllare i vagabondi
rimasti, o correremo il rischio che un altro di loro si metta a
saltare attraverso i boschi e strillare come una ghiandaia colpita
alle ali.»
Così dicendo, l'onesto ma
implacabile esploratore fece il giro dei cadaveri nel cui petto
senza vita immerse il lungo coltello, con la stessa freddezza che
avrebbe impiegato con delle carcasse di animali. Egli, tuttavia, era
stato preceduto dal più vecchio dei Mohicani che aveva già strappato
gli emblemi della vittoria dalle teste dei morti.
Ma Uncas, rinnegando i suoi
costumi, diremmo quasi la sua stessa natura, si dedicò con
delicatezza istintiva, insieme a Heyward, all'assistenza delle donne
e, liberando in fretta Alice, la mise fra le braccia di Cora. Non
tenteremo di descrivere la gratitudine all'Onnipotente che ardeva
nei petti delle sorelle così inaspettatamente restituite alla vita,
e l'una all'altra. I loro ringraziamenti erano profondi e
silenziosi; le offerte dei loro spiriti gentili ardevano luminose e
pure sui segreti altari del loro cuore; i loro rinati sentimenti più
terreni si esprimevano in lunghe fervide, benché silenziose carezze.
Quando Alice si alzò da dove era caduta inginocchiata al fianco di
Cora, si gettò sul petto della sorella e pronunciò, singhiozzando
forte, il nome del loro padre, mentre i suoi dolci occhi di colomba
scintillavano di speranza.
«Siamo salve! siamo salve!»,
ella mormorò. «Torneremo fra le braccia del nostro caro, caro padre
e il suo cuore non sarà spezzato dal dolore. Anche tu Cora, sorella
mia, più che sorella, madre! Anche tu sei salva. E Duncan,» ella
aggiunse girandosi verso il giovane con un sorriso di ineffabile
innocenza, «anche il nostro coraggioso e nobile Duncan è salvo,
senza una ferita.»
A queste ardenti e quasi
incoerenti parole, Cora rispondeva soltanto stringendosi al cuore la
fanciulla, mentre si piegava su di lei con commovente tenerezza. La
virilità di Heyward non provò vergogna nel lasciar cadere delle
lacrime alla vista di queste effusioni, mentre Uncas stava davanti a
loro fresco di lotte e insanguinato, spettatore calmo e
apparentemente non toccato, ma i suoi occhi avevano già perso la
loro ferocia e irradiavano una tenerezza che lo innalzava molto al
di sopra dell'intelligenza e delle usanze del suo popolo e lo faceva
progredire forse di secoli.
Durante il manifestarsi di
queste emozioni così naturali nella loro situazione, Occhio di
Falco, la cui vigile sfiducia lo aveva assicurato che gli Uroni che
sciupavano quella scena celestiale, non sarebbero più stati in grado
di turbarne l'armonia, si avvicinò a David e lo liberò dai legacci
che egli fino a quel momento aveva sopportato con esemplare
pazienza.
«Ecco qua,» esclamò
l'esploratore, gettando l'ultimo laccio dietro lui: «siete ancora
padrone delle vostre membra, benché sembrate non usarle con molto
maggior giudizio di quello col quale furono modellate. Se non vi
offende il consiglio di uno che non è più vecchio di voi, ma del
quale, essendo vissuto per la maggior parte della sua vita nella
foresta, si può dire che ha fatto molta esperienza rispetto alla sua
età, io vi dirò volentieri i miei pensieri, e cioè: liberatevi di
quel piccolo strumento rumoroso che tenete nella giacca e datelo al
primo pazzo che incontrate, col denaro che ne ricaverete comprate
qualche arma utile, foss'anche soltanto la canna della pistola di un
cavalleggero. Con un po' di attenzione e buona volontà potrete in
qualche modo imparare ad usarla e nel frattempo credo che i vostri
occhi vi diranno chiaramente che un corvo è un uccello migliore di
un tordo. Il primo sa almeno sottrarre visioni immonde dalla vista
dell'uomo, mentre l'altro è buono solo a turbare il silenzio dei
boschi, frastornando le orecchie di chi lo ascolta.»
«Armi e trombe di guerra per
la battaglia, ma canti di ringraziamento per la vittoria!» rispose
David liberato. «Amico» aggiunse stendendo la sua scarna, delicata
mano verso Occhio di Falco con cortesia, mentre i suoi occhi
brillavano e si facevano umidi, «ti ringrazio perché i capelli della
mia testa crescono ancora là dove sono stati piantati dalla
Provvidenza, poiché, anche se quelli di altri uomini possano essere
più lucenti e ricciuti, ho sempre trovato i miei adatti al cervello
che ricoprono. Se non mi sono unito alla battaglia è stato meno per
cattiva volontà che per i legacci di quei pagani. Coraggioso e
astuto sei stato in battaglia e per questo ti ringrazio prima di
svolgere altri e più importanti compiti, perché ti sei dimostrato
ben meritevole delle lodi di un cristiano.»
«È stata una bazzecola e
cosa che avrete spesso occasione di vedere se resterete a lungo fra
noi,» replicò l'esploratore, ormai parecchio raddolcito nei
confronti del cantore da questa inequivocabile espressione di
gratitudine.
«Ho ritrovato il mio vecchio
amico ‹Ammazzacervo›,» aggiunse dando qualche colpetto al calcio del
fucile, «e questa in sé è già una bella vittoria. Questi Irochesi
sono astuti ma si sono messi nel sacco da sé lasciando le armi da
fuoco fuori dalla loro portata, e se anche Uncas e suo padre fossero
stati dotati soltanto della comune pazienza indiana, noi avremmo
dovuto piombare su quei farabutti con tre pallottole invece di una,
il che avrebbe sterminato l'intero branco: quel demonio saltante e
tutti i suoi compagni. Ma era tutto preordinato e nel migliore dei
modi.»
«Hai detto bene,» replicò
David, «e hai colto il vero spirito cristiano. Colui che deve essere
salvato lo sarà e colui che è destinato a perdersi si perderà.
Questa è la dottrina della verità ed è di grande consolazione e
sollievo per il vero credente.»
L'esploratore che nel
frattempo si era seduto ed esaminava lo stato del suo fucile con una
sorta di affettuosa assiduità, ora guardava l'altro con un
disappunto che non si sforzava di nascondere, e interrompendo
bruscamente ogni ulteriore discorso: «Dottrina o non dottrina,»
disse il gagliardo uomo dei boschi, «è il credo di una canaglia e la
vergogna di un uomo onesto. Posso ammettere che quell'Urone dovesse
cadere per mia mano, perché l'ho visto con i miei occhi, ma niente
che valga meno di una testimonianza potrà farmi credere che egli ha
trovato qualche ricompensa, o che Chingachgook sarà condannato il
giorno del giudizio.»
«Non avete il diritto di
professare una dottrina così audace, né esiste qualcosa di scritto
che la sostenga,» gridò David che era profondamente influenzato
dalle sottili distinzioni che ai suoi tempi, e in modo particolare
nella sua provincia, erano state sovrapposte alla meravigliosa
semplicità della rivelazione, nel tentativo di penetrare il solenne
mistero della natura divina, sostituendo la fede con la superbia, e
di conseguenza trascinando coloro che ragionavano in base a tali
dogmi fatti dagli uomini, nell'assurdità e nel dubbio. «Il vostro
tempio è costruito sulla sabbia e la prima tempesta lo spazzerà via
fin dalle fondamenta. Mi domando chi vi autorizza a fare simili
impietose asserzioni (come altri sostenitori di un sistema, David
non era sempre preciso nell'uso dei termini). Nominate il capitolo e
il verso; in quale dei libri sacri potete trovare una parola che vi
dia ragione?»
«Libri!» ripeté Occhio di
Falco con singolare e malcelato disdegno. «Mi prendete forse per un
ragazzo piagnucoloso, attaccato al grembiule di una delle vostre
vecchie zitelle? E prendete questo buon fucile che ho sulle
ginocchia per la piuma dell'ala di un'oca, il mio corno di bue per
una boccetta d'inchiostro e la mia bisaccia di cuoio per un fagotto
per portare il pasto? Libri! Cos'ha a che fare uno come me, che sono
un guerriero in queste terre selvagge, benché di sangue puro, con i
libri? Io leggo in un solo libro, e le parole che vi sono scritte
sono troppo semplici e chiare per aver bisogno di scuole, benché
possa vantarmi averne frequentato una per quaranta lunghi anni di
duro lavoro.»
«Come si chiama il volume?»
disse David, fraintendendo l'allusione dell'altro.
«È aperto davanti ai vostri
occhi,» replicò l'esploratore, «e Colui che lo possiede non è avaro
con chi vuole usarlo. Ho sentito dire che ci sono uomini che leggono
libri per convincersi che esiste un Dio. Io non capisco come nella
colonia vi possa essere anche un solo uomo capace di deformare la
Sua opera facendo di tutto ciò che è così evidente nella foresta,
materia di disquisizione per commercianti e preti. Se un tale uomo
esiste e mi vorrà seguire per un giorno attraverso le difficoltà
della foresta, vedrà abbastanza da capire che è un pazzo, e che la
sua più grande follia sta nel cercare di alzarsi a livello di un
Essere che non potrà mai eguagliare, tanto nella bontà che nella
onnipotenza.»
Nel momento in cui David
scoprì che stava discutendo con un interlocutore che attingeva la
propria fede dagli insegnamenti della natura, trascurando tutte le
sottigliezze della dottrina, abbandonò volentieri una controversia
dalla quale non si aspettava di trarre alcun profitto né credito.
Mentre l'esploratore
parlava, anche lui si era seduto e estraendo il volumetto e gli
occhiali cerchiati di ferro, si preparò ad assolvere ad un dovere
che soltanto l'inatteso assalto subìto aveva potuto rimandare così a
lungo. Egli era, in verità, un menestrello del continente
occidentale - certamente molto posteriore a quei bardi di talento
che una volta cantavano la gloria profana di baroni e principi, ma
secondo lo spirito della propria epoca e del proprio paese -; ora
egli era pronto ad esercitare il proprio talento in celebrazione o,
piuttosto in ringraziamento, per la recente vittoria. Attese
pazientemente che Occhio di Falco finisse, poi, alzando gli occhi e
la voce insieme, disse forte:
«Vi invito, amici, ad unirvi
nelle lodi del Signore per questa gloriosa liberazione dalle mani
dei barbari e infedeli, con le semplici e solenni note del canto
chiamato ‹Northampton›.»
Poi disse la pagina e il
verso dove si trovavano le rime prescelte, e si applicò lo strumento
alle labbra con l'opportuna gravità che era solito usare nel tempio.
Questa volta tuttavia rimase senza accompagnamento perché proprio
allora le sorelle erano intente ad abbandonarsi alle manifestazioni
di affetto alle quali abbiamo già alluso. Per nulla scoraggiato
dalla scarsità dell'uditorio, che a dire il vero era costituito
soltanto dallo scontento esploratore, egli levò la voce, cominciando
e finendo la canzone sacra senza incidenti o interruzioni di sorta.
Occhio di Falco ascoltava
sistemando la pietra focaia e ricaricando il fucile; ma questi
suoni, cui non era aggiunta la suggestione della scena circostante,
non riuscivano a risvegliare le sue emozioni sopite. Mai menestrello
o qualunque acconcio nome si volesse dare a David, dispiegò il suo
talento davanti a uditori più insensibili; il fatto è che
probabilmente nessun bardo pagano emise mai delle note che si
innalzassero più vicine a quel trono a cui è dovuto ogni omaggio o
preghiera.
L'esploratore scosse la
testa, e borbottando qualche parola incomprensibile tra cui solo
«gola» e «Irochesi» erano udibili, si allontanò per raccogliere ed
esaminare lo stato dell'arsenale catturato agli Uroni. Per questo
ufficio fu raggiunto da Chingachgook che trovò anche il proprio
fucile e quello del figlio. Persino Heyward e David furono forniti
di armi, né mancavano le munizioni per farle funzionare. Quando gli
uomini della foresta ebbero fatto la loro scelta e distribuito i
premi, l'esploratore enunciò che era venuto il momento di muoversi.
Nel frattempo la canzone di Gamut era finita e le sorelle erano
riuscite ad interrompere lo spettacolo delle loro emozioni. Aiutate
da Duncan e dal Mohicano più giovane, esse discesero il fianco di
quella collina che avevano salito tanto di recente sotto auspici del
tutto diversi, e la cui cima stava per essere la scena del loro
massacro. Ai suoi piedi trovarono i Narraganset che masticavano
l'erba dei cespugli, e dopo essere montate in sella, seguirono i
movimenti di una guida che nei più terribili frangenti si era
dimostrata loro amica. Il viaggio però fu breve. Occhio di Falco,
lasciato il sentiero cieco seguito dall'Urone, svoltò subito a
destra e inoltratosi nel boschetto, attraversò un murmure
torrentello e si fermò in una stretta valletta sotto l'ombra di
alcuni olmi acquatici. La loro distanza dai piedi della fatale
collina era di poche pertiche e i cavalli erano serviti solo per
attraversare il torrente.
L'esploratore e gli indiani
sembravano avere dimestichezza con quel luogo appartato perché,
appoggiando i fucili agli alberi, cominciarono a spostare le foglie
secche e a scavare la grigia argilla dalla quale ben presto zampillò
una limpida fonte lucente di acqua chiara e pura.
Poi il bianco si guardò
attorno come se cercasse qualcosa che non trovò subito come si
aspettava.
«Quei diavoli sconsiderati,
i Mohawks, con i loro fratelli Tuscorora e Onondoga, sono stati qui
a spegnere la loro sete,» borbottò, «e quei vagabondi hanno buttato
via la zucca! Ecco come vanno a finire i benefici quando sono
concessi a simili cani ingrati! Qui il Signore ha teso la sua mano
nel cuore della terribile foresta per il loro bene, e ha fatto
zampillare dalle viscere della terra una fontana di acqua che
potrebbe ridere della più ricca farmacia di tutte le colonie, e
guardate, quei mascalzoni hanno calpestato l'argilla e insozzato il
luogo, come fossero bestie anziché uomini.»
Uncas gli tese in silenzio
la desiderata zucca che il malumore aveva impedito a Occhio di Falco
di scorgere sul ramo di un olmo. Egli la riempì d'acqua, poi si
allontanò un poco verso un luogo dove il terreno era più duro e
asciutto; qui si sedette con calma e dopo aver bevuto un lungo sorso
che sembrò soddisfarlo, cominciò un esame molto minunzioso dei
frammenti di cibo lasciati dagli Uroni e che aveva portati in una
bisaccia appesa al braccio.
«Grazie ragazzo!», continuò
restituendo la zucca vuota a Uncas. «Ora vedremo come vivevano
questi scalmanati di Uroni quando erano lontani per le imboscate.
Guarda qua! Quelle canaglie conoscevano i pezzi migliori del cervo e
li si direbbe capaci di tagliare e arrostire un trancio di montone
come fossero i migliori cuochi della terra! Ma è tutto crudo perché
gli Irochesi sono completamente selvaggi. Uncas, prendi il mio
acciarino e accendi un fuoco: un boccone di tenera carne arrostita
aiuterà la natura dopo un così lungo cammino.»
Heyward vedendo che le loro
guide si erano sedute per il pasto con tranquillità, aiutò le
signore a scendere da cavallo e si mise al loro fianco, disposto a
godersi un po' di grato riposo dopo la scena sanguinosa che aveva
appena affrontato. Mentre si svolgeva il procedimento culinario, la
curiosità lo indusse a fare domande sulle circostanze che li aveva
condotti alla loro tempestiva e inaspettata liberazione.
«Come abbiamo potuto
rivedervi così presto, mio generoso amico,» domandò, «e senza
l'aiuto della guarnigione di Edward?»
«Se fossimo andati fino alla
curva del fiume, saremmo forse arrivati in tempo per raccogliere le
foglie sui vostri corpi, ma troppo tardi per salvare le vostre
cotenne.» rispose freddamente l'esploratore. «No, no, invece di
sprecare forze e opportunità cercando di raggiungere il forte, ci
siamo tenuti vicini, sotto la riva dell'Hudson, in attesa di
osservare i movimenti degli Uroni.»
«Siete stati dunque
testimoni di ciò che è successo?»
«Non tutto, perché la vista
di un indiano è troppo acuta per essere ingannata facilmente, e
siamo rimasti nascosti. È stata anche una faccenda difficile tenere
questo ragazzo Mohicano al riparo nel luogo dell'imboscata. Ah!
Uncas, il tuo comportamento è stato più quello di una donna curiosa
che di un guerriero all'inseguimento.»
Uncas volse per un istante
gli occhi verso il viso cocciuto di colui che aveva parlato, ma non
aprì bocca né dette segni di pentimento. Anzi, Heyward ebbe
l'impressione che l'atteggiamento del giovane Mohicano fosse
sdegnoso, se non un po' superbo, e che si trattenesse dal dare sfogo
alle sue passioni solo per rispetto dei presenti e per la deferenza
con la quale era solito trattare l'amico bianco.
«Avete visto la nostra
cattura?» domandò poi Heyward.
«L'abbiamo sentita,» fu la
risposta significativa. «Un grido indiano è un linguaggio chiaro per
uomini che hanno passato i loro giorni nei boschi. Ma quando voi
siete approdati, noi siamo stati costretti a strisciare come
serpenti sotto le foglie; poi vi abbiamo perso di vista del tutto,
finché non abbiamo messo di nuovo gli occhi su di voi, legati agli
alberi e pronti per un massacro indiano.»
«La nostra liberazione è
opera della Provvidenza. È stato quasi un miracolo che voi non
abbiate sbagliato sentiero, perché gli Uroni si sono divisi e ogni
banda aveva i suoi cavalli.»
«Già! È stato allora che
siamo stati mandati fuori pista, e avremmo davvero potuto perdere la
traccia se non fosse stato per Uncas; abbiamo preso il sentiero che
porta nella foresta perché ritenemmo, e a ragione, che i selvaggi
avrebbero preso quella via con i prigionieri. Ma dopo averla seguita
per molte miglia senza trovare nessun ramoscello spezzato, come io
avevo consigliato, cominciai a temere, anche perché tutte le tracce
avevano l'impronta di mocassini.»
«Coloro che ci hanno
catturati ebbero la precauzione di calzarci come loro,» disse Duncan
sollevando un piede e mostrando le pelli di daino che indossava.
«Già! Era da immaginare ed è
degno di loro, benché noi fossimo troppo esperti per essere sviati
da una pista con un trucco così comune.»
«A che cosa, dunque,
dobbiamo la nostra salvezza?»
«Ad una cosa di cui, come
bianco dal sangue puro, dovrei vergognarmi: all'istinto del giovane
Mohicano in cose che io dovrei conoscere meglio di lui ma alle quali
ora difficilmente riesco a credere, benché lo abbia visto coi miei
stessi occhi.»
«È straordinario! non volete
dirmi la ragione?»
«Uncas ebbe l'ardire di
affermare che le bestie cavalcate dalle gentili signore,» continuò
Occhio di Falco gettando un'occhiata non priva di curioso interesse
sulle puledre «appoggiavano sul terreno contemporaneamente le zampe
dello stesso lato, il che è contrario a tutti i movimenti di
quadrupedi che io conosca, tranne l'orso. E tuttavia ecco qui dei
cavalli che camminano sempre in questo modo, come ho potuto
constatare coi miei stessi occhi e come le loro tracce hanno
dimostrato per venti lunghe miglia.»
«È dunque merito di quelle
bestie! Esse provengono dalle sponde della Baia Narraganset, nella
piccola provincia delle piantagioni di Providence, e sono conosciute
per la loro robustezza e la scioltezza di questo strano movimento,
benché altri cavalli vengano spesso addestrati a fare lo stesso.»
«Può darsi..., può darsi,»
disse Occhio di Falco, che aveva ascoltato questa spiegazione con
singolare interesse. «Benché il mio sangue sia interamente quello di
un bianco, mi intendo più di cervi e castori che di animali da
sella. Il Maggiore Effingham ha molti nobili destrieri, ma non ne ho
mai visto uno che procedesse con una simile andatura di traverso.»
«È vero, ma ciò perché egli
valuta gli animali in base a qualità molto diverse. Tuttavia questa
è una razza molto apprezzata e, come vedete, molto onorata dal
carico che è spesso destinata a portare.»
I Mohicani avevano smesso di
darsi da fare attorno al fuoco per ascoltare, e quando Duncan ebbe
finito, si guardarono l'un l'altro in modo significativo: il padre
emise l'immancabile esclamazione di sorpresa; l'esploratore rimase
come uno che sta digerendo una nozione appena acquisita e gettò
un'altra occhiata curiosa ai cavalli.
«Oso dire che vi sono cose
ancor più strane da vedere nelle colonie!» disse alla fine. «L'uomo
fa tristemente scempio della natura, una volta che ne ha preso il
sopravvento. Ma che andassero di sghimbescio, o andassero diritto,
Uncas ha capito il movimento, e le loro impronte ci hanno portato
fino al cespuglio strappato. Un ramo, vicino all'impronta di uno dei
cavalli, era piegato verso l'alto, come una signora spezza un fiore
dallo stelo, ma tutti gli altri erano distrutti e malconci come se
la mano forte di un uomo li avesse lacerati! Così ho concluso che
quelle astute canaglie si fossero accorte del ramoscello piegato e
avessero rotto gli altri per farci credere che un cervo vi fosse
penetrato con le sue corna.»
«Credo proprio che la vostra
sagacia non vi abbia ingannato perché qualcosa del genere è
successo!»
«Questo è stato facile da
vedere», aggiunse l'esploratore, affatto consapevole di aver
mostrato una sagacia fuori dal comune, «ed è stata una faccenda ben
diversa da quella dello sculettio di un cavallo. Allora mi venne
l'idea che i Mingo si sarebbero spinti fino a questa fonte, perché
quei farabutti conoscono molto bene la virtù delle sue acque!»
«È dunque così famosa?»
domandò Heyward esaminando con occhio più curioso la remota valletta
con la sua fonte gorgogliante, circondata come era da terra di un
marrone scuro e tetro.
«Pochi pellerossa che
percorrono i grandi laghi da sud a est non hanno sentito parlare
delle sue qualità. Volete assaggiarla?»
Heyward prese la zucca e,
dopo aver inghiottito un sorso di quell'acqua, la sputò via con
smorfie di disgusto. L'esploratore rise silenziosamente ma di cuore
e scosse il capo con grande soddisfazione.
«Ah, vi manca il gusto che
si apprende con l'abitudine; un tempo anche a me piaceva poco come a
voi, ma ora mi sono abituato al suo gusto e desidero berla come ai
cervi piace il sale dei lick. I pellerossa non amano i nostri vini
profumati più di quanto non apprezzino quest'acqua, specialmente
quando sono afflitti da qualche male. Ma Uncas ha fatto il fuoco ed
è venuto il momento di pensare a mangiare, perché il nostro viaggio
è lungo e ancora tutto davanti a noi.»
Interrompendo la
conversazione con questo improvviso cambiamento, l'esploratore si
dedicò subito ai resti di cibo che erano sfuggiti alla voracità
degli Uroni. Un procedimento molto sommario completò la semplice
cucina, poi egli e i Mohicani cominciarono il loro umile pasto con
la silenziosa diligenza propria a uomini che mangiano per essere in
grado di affrontare grandi e continue fatiche.
Quando questo necessario e
grato dovere fu felicemente compiuto, ciascuno degli uomini della
foresta si curvò e prese un lungo sorso di commiato dalla solitaria
e silenziosa fonte attorno alla quale, insieme alla fonti sorelle,
entro cinquant'anni, la ricchezza, la bellezza e l'intelligenza di
un intero emisfero, si sarebbero raccolte alla ricerca della salute
e del piacere. Poi Occhio di Falco comunicò la propria decisione di
continuare il viaggio. Le sorelle risalirono in sella, Duncan e
David presero i loro fucili e seguirono a piedi, l'esploratore
guidava e i Mohicani chiudevano la marcia.
L'intera compagnia si mosse
rapida lungo lo stretto sentiero verso nord, lasciando le acque
salutari a mescolarsi inosservate nel vicino ruscello e i corpi dei
morti a decomporsi sulla montagna vicina senza i riti della
sepoltura, un destino, questo, troppo comune ai guerrieri delle
foreste per suscitare commiserazione o commenti. |