XIII
Cercherò un sentiero più rapido.
Parnell
La strada presa da Occhio di Falco
attraversava ora quelle stesse pianure sabbiose, segnate da brevi valli e
da alture, che il gruppo aveva attraversato sotto la guida dello sconfitto
Magua, il mattino di quello stesso giorno. Ora il sole era calato dietro
le montagne lontane, e poiché il viaggio si svolgeva attraverso
l'interminabile foresta, il caldo non era più così opprimente. Di
conseguenza poterono mantenere una buona andatura, e molto prima che li
cogliesse il tramonto, essi avevano percorso molte faticose miglia sulla
via del ritorno.
Il cacciatore, come il selvaggio
di cui aveva preso il posto, sembrava scegliere in base ai segni oscuri
dell'aspra strada, con una sorta di istinto che raramente gli faceva
diminuire la velocità e mai lo faceva fermare per decidere. Un rapido,
obliquo colpo d'occhio al muschio degli alberi, e di tanto in tanto, uno
sguardo al sole morente o un'occhiata attenta ma fuggevole alla direzione
dei numerosi corsi d'acqua che guadava, erano sufficienti per determinare
la via e rimuoverne le difficoltà maggiori.
Intanto la foresta cominciava a
cambiare le sue tinte e a perdere quel verde acceso che ne aveva abbellito
gli archi con quel colore cupo che annuncia la fine del giorno.
Mentre gli occhi delle sorelle
cercavano di cogliere attraverso gli alberi il fulgore dorato che formava
un alone splendente intorno al sole, e sfumava qua e là in strisce
vermiglie o orlava di sottili bordi di un giallo acceso una massa di nubi
che si accumulava non distante sulle colline occidentali, Occhio di Falco
si voltò improvvisamente e, indicando quel magnifico cielo, parlò.
«Quel segnale laggiù è dato
all'uomo perché cerchi cibo e meritato riposo,» disse, «sarebbe meglio e
più saggio se egli potesse comprendere i segni della natura e imparare
dagli uccelli dell'aria o le bestie della terra! La nostra notte,
tuttavia, sarà presto finita, perché con la luna dovremmo essere di nuovo
in piedi e partire. Ricordo di aver combattuto i Magua da queste parti nel
primo scontro in cui io abbia fatto scorrere il sangue di un uomo; qui
innalzammo una fortificazione di tronchi d'albero per impedire a quelle
canaglie affamate di prenderci le cotenne. Se i miei segni non mi
ingannano, troveremo tale luogo poche pertiche più in là, alla nostra
sinistra.»
Senza attendere approvazione o
risposta, il deciso cacciatore si inoltrò sicuro in un fitto boschetto di
giovani castagni, spostando i rami dei germogli lussureggianti che quasi
coprivano il suolo, come chi si aspetti, ad ogni passo, di scoprire
qualcosa che già conosce. La memoria non tradì l'esploratore. Dopo essere
penetrato nella boscaglia piena di viluppi d'erica per qualche centinaio
di piedi, sboccò in uno spiazzo che circondava una bassa collinetta, alla
sommità della quale stava il fortino in rovina che abbiamo nominato.
Questa rozza costruzione in rovina, era uno di quei fortilizi che venivan
costruiti in casi di emergenza e poi abbandonati con la scomparsa del
pericolo; ora, essa si stava sgretolando in silenzio nella solitudine
della foresta, quasi del tutto dimenticata come la circostanza per la
quale era sorta. Simili ricordi del passaggio e delle battaglie dell'uomo,
sono frequenti in tutta la vasta barriera di foreste che un tempo separava
le province ostili, e costituiscono testimonianze in grado di far rivivere
da vicino la storia delle colonie oltre che essere in armonia col
carattere cupo dello scenario circostante. Il tetto di corteccia era
caduto da un pezzo e si era mescolato al terreno, ma gli enormi tronchi di
pino che erano stati messi insieme in fretta, mantenevano ancora in
qualche modo la loro posizione, benché un angolo della costruzione avesse
ceduto sotto il peso e minacciasse di far crollare il resto del rustico
edificio.
Mentre Heyward e le compagne
esitavano ad avvicinarsi ad una costruzione così pericolosa, Occhio di
Falco e gli indiani entrarono fra le basse mura, non solo senza paura, ma
con manifesto interesse. Mentre il primo esaminava le rovina tanto
all'interno che all'esterno con la curiosità di uno i cui ricordi tornino
a rivivere nella memoria ogni momento, Chingachgook raccontò al figlio, in
delaware, con l'orgoglio del vincitore, la breve storia della scaramuccia
che si era svolta quando lui era giovane, in quel luogo solitario. Un
tratto di malinconia si mescolava, però, al trionfo e rendeva la sua voce
dolce e musicale, come soleva essere in simili occasioni.
Nel frattempo le sorelle scesero
lietamente da cavallo e si prepararono a godere la sosta nella frescura
della sera, e in una sicurezza che, credevano, solo gli animali della
foresta avrebbero potuto disturbare.
«Non saremmo stati più al sicuro,
mio buon amico,» domandò il più vigile Duncan vedendo che l'esploratore
aveva già finito la sua breve ispezione, «se avessimo scelto un posto meno
conosciuto e più raramente visitato di questo?»
«Pochi vivi sanno che questo
fortino è stato innalzato» fu la lenta e pensosa risposta. «Non accade
spesso che si facciano libri e si scrivano racconti di battaglie come
quella combattuta qui tra Mohicani e Mohawk in una guerra fra di loro. Io
allora ero un ragazzotto e mi misi con i Delaware perché sapevo che erano
una razza diffamata e trattata ingiustamente. Quaranta giorni e quaranta
notti quei demoni bramarono il nostro sangue intorno a queste file di
tronchi che io ho progettato e in parte innalzato, essendo, come ben
ricorderete, non un indiano, ma un bianco purosangue. I Delaware si sono
dedicati alla costruzione del forte e abbiamo resistito, dieci contro
venti, finché il nostro numero fu quasi pari, poi facemmo una sortita, ci
scagliammo su quei cani, sì che neppure uno di loro poté tornare per
raccontare la fine della sua compagnia. Sì, sì, ero giovane allora e nuovo
alla vista del sangue, perciò, non sopportando il pensiero che creature
dotate di un'anima come me giacessero sulla nuda terra ad essere straziate
dalle bestie o ad imbiancare sotto la pioggia, seppellii i morti con le
mie stesse mani, proprio sotto quella collinetta dove vi siete messi, e
non è nemmeno un cattivo sedile, benché sorga su ossa umane.»
Heyward e le sorelle si alzarono
subito da quel sepolcro erboso, né le due signore riuscirono, nonostante
le terribili scene alle quali avevano assistito da poco, a reprimere un
moto di naturale orrore trovandosi a così stretto contatto con le tombe
dei Mohawk. La luce grigia, e la piccola zona tetra di erba scura, bordata
di cespugli al di là dei quali i pini parevano ergersi, in un silenzio
vivente, fino a toccare le nubi, e la quiete mortale dell'immensa foresta,
tutto parve in quell'attimo unirsi a rendere questa sensazione più
profonda.
«Se ne sono andati, e sono senza
difesa,» continuò Occhio di Falco, facendo un gesto con la mano con un
sorriso melanconico quando esse manifestarono il loro allarme. «Essi non
lanceranno più il grido di guerra né colpiranno più col tomahawk! E di
tutti coloro che hanno aiutato a metterli dove ora giacciono, solo
Chingachgook ed io siamo vivi! I fratelli e la famiglia del Mohicano
costituivano il nostro gruppo e ora vedete davanti a voi tutto ciò che
rimane della sua razza.»
Gli occhi degli ascoltatori
cercarono involontariamente le forme degli indiani, con compassionevole
interesse per il loro disgraziato destino. Le loro brune figure si
vedevano ancora tra le ombre del fortino: il figlio ascoltava il racconto
del padre con l'intensità prodotta da quella narrazione che tornava tanto
ad onore di uomini che egli aveva a lungo venerato per il loro coraggio e
per le selvagge virtù.
«Credevo che i Delaware fossero un
popolo pacifico,» disse Duncan, «e che non muovessero mai guerre di
propria iniziativa e avessero affidato la difesa delle loro terre proprio
a quei Mohawk che hanno ucciso!»
«Ciò è in parte vero,» replicò
l'esploratore, «e tuttavia, al fondo, questa è una perfida menzogna. In
passato venne fatto un trattato dagli olandesi che desideravano spodestare
gli indigeni, i quali avevano maggiori diritti sul paese nel quale si
erano insediati. I Mohicani, benché facessero parte dello stesso popolo e
avendo a che fare con gli inglesi, non entrarono mai in quello sporco
affare, ma mantennero la loro virilità come, in verità, hanno fatto i
Delaware quando vennero loro aperti gli occhi sulla loro stoltezza. Avete
davanti a voi un capo dei grandi Mohicani Sagamore! Un tempo la sua
famiglia poteva cacciare il cervo su un tratto del paese più vasto di
quello che ora appartiene ad Albany Patteroon, senza attraversare un
ruscello o una valle che non fosse loro; ma cosa rimane al loro
discendente? Egli potrà trovare, forse, i suoi sei piedi di terra, quando
Dio vorrà, e lì rimanere in pace, se avrà un amico che si prenderà la pena
di seppellire la tua testa abbastanza in fondo, sì che l'aratro non lo
raggiunga!»
«Basta!» disse Heyward, temendo
che l'argomento potesse portare ad una discussione che avrebbe interrotto
l'armonia tanto necessaria alla salvezza delle sue belle compagne.
«Abbiamo viaggiato a lungo e pochi di noi sono benedetti da un fisico come
il vostro che sembra non conoscere fatica o debolezza.»
«Nervi e muscoli da uomo mi fanno
superare ogni cosa» disse il cacciatore osservandosi le membra muscolose
con una semplicità che tradiva l'onesto piacere che gli dava il
complimento. «Ci sono uomini più grandi e grossi nelle colonie, ma
dovreste percorrere una città per molti giorni per trovare uno che sia in
grado di camminare per cinquanta miglia senza fermarsi a prendere respiro,
o che abbia mantenuto quei cani a portata di udito in una caccia di ore.
Tuttavia, poiché carne e sangue non sono sempre uguali, è ragionevole
pensare che le gentili signore desiderino riposare dopo tutto ciò che
hanno visto e fatto oggi. Uncas, scopri la sorgente, mentre tuo padre e io
prepareremo un riparo per quelle tenere teste con questi germogli di
castagno e un letto di erba e foglie.»
Il dialogo si interruppe; intanto
il cacciatore e i compagni prepararono comodità e protezione per coloro
che guidavano. Una sorgente che molti anni prima aveva indotto gli
indigeni a scegliere quel luogo per la loro temporanea fortezza, fu ben
presto liberata dalle foglie, e una fontana cristallina sgorgò dal suo
letto, diffondendo le proprie acque sulla verde collinetta. Un angolo
della costruzione venne ricoperto perché li riparasse dalla pesante
rugiada, e sotto di esso furono posti mucchietti di teneri arbusti e
foglie secche, in modo che le sorelle potessero riposarvi. Mentre gli
attenti uomini dei boschi erano così occupati, Cora ed Alice, condivisero
il cibo che il dovere, più che il desiderio, imponeva loro di accettare.
Poi si ritirarono all'interno, e non senza avere prima offerto la loro
devozione per le grazie passate e aver chiesto il favore Divino per la
notte che stava per venire, distesero le loro tenere forme sul fragrante
giaciglio, e malgrado i ricordi del passato e le apprensioni per il
futuro, caddero presto in quel sonno che la natura richiedeva
imperiosamente mentre era reso più dolce dalle speranze per il domani.
Duncan si era preparato a passare
la notte di guardia vicino a loro, appena fuori dalle rovine, ma
l'esploratore, vedendo le sue intenzioni, indicò Chingachgook, e mentre si
allungava con calma sull'erba, disse: «Gli occhi di un bianco sono troppo
pesanti e troppo ciechi per una veglia come questa! Il Mohicano sarà la
nostra sentinella, perciò dormiamo.»
«Mi sono già dimostrato un
poltrone la notte scorsa al mio posto,» disse Heyward «e ho meno bisogno
di riposare di voi che avete fatto più onore al dovere di un soldato.
Lasciate dunque che tutti dormano mentre io farò la guardia.»
«Se ci trovassimo tra le bianche
tende del 60° e davanti a un nemico come il francese non potrei desiderare
guardia migliore,» replicò l'esploratore «ma nell'oscurità e tra i
pericoli della foresta il vostro discernimento sarebbe come la fantasia di
un fanciullo e la vostra vigilanza sprecata. Fate dunque come Uncas e me,
dormite sicuro.»
Heyward constatò che
effettivamente il giovane indiano si era disteso sul fianco della
collinetta mentre essi stavano parlando, come chi cerca di impiegare al
massimo il tempo concessogli per dormire, e il suo esempio era stato
seguito da David la cui voce era letteralmente «incollata alle mascelle»
per la febbre della ferita, salita com'era per la faticosa marcia. Non
volendo prolungare un'inutile discussione, il giovane finse di obbedire
appoggiando la schiena ai tronchi del fortino, in una posizione
semidistesa, ma ben deciso, dentro di sé, di non chiudere occhio finché
non avesse consegnato coloro che erano state affidate alle sue cure fra le
braccia di Munro in persona. Occhio di Falco, credendo di averlo convinto,
ben presto si addormentò, e un silenzio profondo come la solitudine nella
quale lo avevano trovato, pervase il luogo solitario.
Per parecchi minuti Heyward riuscì
a tener i suoi sensi desti e attenti ad ogni lamento che si levasse dalla
foresta. La vista gli si fece più acuta mentre le ombre della sera
ricoprivano il luogo, e anche più tardi, dopo che le stelle si furono
accese sul suo capo, egli fu in grado di distinguere le forme distese dei
suoi compagni che si allungavano sull'erba e a notare la figura di
Chingachgook che sedeva ritto e immobile come uno degli alberi che
formavano una scura barriera da ogni lato. Sentiva i lievi respiri delle
sorelle che giacevano poco distanti da lui, e non gli sfuggiva nemmeno il
leggero sussurro di una foglia agitata da un soffio d'aria. Alla fine,
tuttavia, le lugubri note di un caprimulgo si mescolarono con i lamenti di
una civetta. I suoi occhi appesantiti cercavano di tanto in tanto i raggi
luminosi delle stelle, poi gli parve di vederle attraverso le palpebre
ormai abbassate. Nei brevi momenti di veglia scambiò un cespuglio per chi
faceva la sentinella con lui, poi la testa gli cadde sulla spalla che, a
sua volta, cercò l'appoggio del terreno; alla fine tutta la sua persona si
afflosciò e cedette; il giovane cadde in un profondo sonno e sognò di
essere un antico cavaliere che stava di guardia, nel cuore della notte,
davanti alla tenda della principessa liberata, il cui favore egli non
disperava di ottenere con una simile prova di devozione e di vigilanza.
Per quanto tempo lo stanco Duncan sia rimasto in questo stato di
incoscienza, egli non lo seppe mai, ma le visioni dei suoi sogni erano già
completamente svanite, quando fu svegliato da un leggero tocco sulla
spalla. A questo pur leggero segnale, egli balzò in piedi con un confuso
ricordo del dovere che si era imposto all'inizio della notte.
«Chi va là?» domandò cercando la
spada là dove era di solito appesa. «Parlate, siete amico o nemico?»
«Amico,» rispose a bassa voce
Chigachgook indicando l'astro che stava diffondendo la sua dolce luce
attraverso le fessure degli alberi sopra il loro bivacco, quindi aggiunse
immediatamente nel suo inglese scorretto: «Viene la luna e il forte
dell'uomo bianco lontano... molto lontano; ora di partire, quando il sonno
chiude tutti e due gli occhi del francese!»
«Avete ragione! Chiamate i vostri
amici e imbrigliate i cavalli, mentre io preparo le mie compagne per la
marcia!»
«Siamo sveglie Duncan,» disse la
dolce voce argentina di Alice dall'interno, «e pronte a viaggiare molto
veloci dopo un sonno così ristoratore, ma voi avete vegliato questa notte
per il nostro bene, dopo aver sopportato tanta fatica durante il giorno!»
«Dite piuttosto che avrei voluto
vegliare, ma gli occhi mi hanno tradito, due volte mi sono mostrato
indegno del compito affidatomi.»
«No, Duncan, non negatelo,»
interruppe Alice con un sorriso, uscendo dall'ombra della costruzione e
muovendo verso la luce lunare, in tutto lo splendore della sua fresca
bellezza. «So che siete negligente quando si tratta di voi, ma anche
troppo vigile in favore di altri. Non potremmo sostare qui ancora un poco,
mentre voi vi prendete il riposo di cui avete bisogno? Volentieri, molto
volentieri, Cora ed io faremo da sentinelle mentre voi e tutti questi
coraggiosi uomini tenterete di dormire un pochino!»
«Se la vergogna potesse curare la
mia sonnolenza, dovrei non chiudere mai più un occhio,» disse il giovane
in imbarazzo, guardando il viso ingenuo di Alice nella cui dolce
sollecitudine, tuttavia, egli non scorse nulla che confermasse il suo
mezzo sospetto. «È anche troppo vero che dopo avervi condotto nel pericolo
per la mia sbadataggine, io non ho nemmeno il merito di aver vegliato i
vostri sonni, come si converrebbe a un soldato.»
«Nessun altro che Duncan stesso
potrebbe accusare Duncan di una simile debolezza. Andate, dunque, e
dormite; credetemi, nessuna di noi due, benché deboli ragazze, verrà meno
alla veglia.»
Il giovane venne risparmiato
dall'imbarazzo di proclamare ulteriormente i propri demeriti, da una
esclamazione di Chigachgook e dalla posizione fissa ed attenta assunta dal
figlio.
«I Mohicani sentono un nemico!»
mormorò Occhio di Falco che nel frattempo, come l'intera compagnia, si era
svegliato e si stava muovendo. «Essi fiutano il pericolo nell'aria!»
«Santo cielo,» esclamò Heyward,
«abbiamo già avuto abbastanza spargimento di sangue!»
Tuttavia, mentre parlava il
giovane afferrò il fucile, e avanzando si preparò ad espiare il proprio
peccato veniale, rischiando spontaneamente la vita in difesa di coloro che
proteggeva. «È qualche creatura della foresta che ci gironzola intorno in
cerca di cibo» disse in un sussurro non appena il basso e apparentemente
distante suono che aveva fatto trasalire i Mohicani raggiunse le sue
orecchie.
«Sst!» replicò l'attento
esploratore. «È un uomo, e anche se ora posso distinguere il suo passo, i
miei sensi sono ben poveri se confrontati a quelli di un indiano!
Quell'Urone che è scampato si è imbattuto in una delle compagnie di
confine di Montcalm ed essi hanno scoperto le nostre tracce. Io stesso non
desidero spargere altro sangue umano in questo luogo,» aggiunse guardando
con l'ansia dipinta sul viso gli oggetti indistinti che lo circondavano,
«ma se si deve, si deve! Porta i cavalli nel fortino Uncas e voi amici,
seguiteli nello stesso rifugio. Benché vecchio e povero esso offre un
riparo ed ha risuonato dei crepitii di un fucile già prima di questa
notte!»
Egli fu subito obbedito: i
Mohicani portarono i Narraganset entro le rovine, mentre l'intera
compagnia vi si riparava in silenzio. I rumori dei passi che si
avvicinavano erano ora troppo distinti per lasciare dubbi sulla natura
dell'interruzione. Ben presto si mescolarono a dei richiami in un dialetto
indiano che l'esploratore confermò a Heyward in un sussurro essere la
lingua degli Uroni. Quando la banda raggiunse il punto dove i cavalli
erano penetrati nel boschetto che circondava il fortino, non seppe
evidentemente più che partito prendere perché avevano perduto quei segni
che, fino a quel momento, li avevano guidati nella loro caccia. Si sarebbe
detto, a giudicare dalle voci, che venti uomini si erano raccolti intorno
a quel punto e che stessero rumorosamente mescolando le loro diverse
opinioni e consigli.
«Quelle canaglie conoscono la
nostra debolezza,» mormorò Occhio di Falco che stava di fianco ad Heyward,
nell'ombra e guardava attraverso una fessura dei tronchi, «altrimenti non
si concederebbero tanti indugi in questa marcia da squaw. Ascoltate quei
rettili! Ciascuno di loro sembra avere due lingue e una sola gamba.»
Duncan, benché coraggioso in
combattimento, in un simile momento di dolorosa attesa non diede alcuna
risposta alla fredda e caratteristica osservazione dell'esploratore. Si
limitò a stringere più forte il fucile e a fissare gli occhi alla stretta
apertura, attraverso la quale guardò, alla luce della luna, con ansia
crescente. Si sentirono poi i toni più profondi di uno che parlava come
investito di autorità, tra il silenzio che denotava il rispetto col quale
i suoi ordini, o meglio, i suoi consigli, erano ricevuti. Dopo di che, dal
fruscio delle foglie e dal crepitio dei ramoscelli secchi, fu chiaro che i
selvaggi si stavano preparando alla ricerca delle tracce perdute.
Fortunatamente per gli inseguiti, la luce della luna, che invadeva col suo
dolce splendore la piccola area intorno alle rovine, non era abbastanza
forte da penetrare le profonde volte della foresta, dove gli oggetti
rimanevano ancora in una luce ingannevole. La ricerca si dimostrò
infruttuosa perché il passaggio dal sentiero indistinto percorso dai
viaggiatori verso il folto del boschetto era stato così breve e repentino
che ogni traccia dei loro passi si era persa nell'oscurità della foresta.
Non trascorse molto tempo
tuttavia, prima che si udissero gli instancabili selvaggi battere i rovi e
avvicinarsi poco a poco al bordo interno della fitta barriera di castagni
che circondava la piccola area.
«Stanno arrivando,» mormorò
Heyward tentando di infilare il fucile nella fessura dei tronchi,
«spariamo mentre si avvicinano.»
«Tenete, tutto all'ombra,» replicò
l'esploratore. «Lo scatto di un acciarino o persino l'odore di un granello
di zolfo, ci tirerebbe addosso quelle canaglie affamate come un sol uomo.
Piaccia a Dio che si possa combattere per la cotenna, confidando
nell'esperienza di uomini che conoscono le usanze dei selvaggi e che non
si ritraggono spesso quando viene lanciato il grido di guerra.»
Duncan gettò uno sguardo dietro di
sé e vide che le tremanti sorelle si erano accovacciate nell'angolo
estremo dell'edificio, mentre i Mohicani si mantenevano nell'ombra, ritti
come due pali, pronti e chiaramente desiderosi di colpire quando fosse
necessario. Frenando la propria impazienza, egli guardò ancora fuori, ed
attese in silenzio la conclusione. In quel momento il boschetto si aprì, e
un alto Urone armato avanzò di pochi passi nella radura. Mentre costui
guardava verso il fortino silenzioso, la luce della luna cadde sul suo
viso bruno e rivelò sorpresa e curiosità. Egli emise l'esclamazione che
accompagna di solito le prime emozioni di un indiano, e chiamando a bassa
voce, presto attirò un compagno presso di sé.
I figli delle foreste rimasero a
fissare per parecchi minuti l'edificio in rovina e a conversare nella
lingua incomprensibile della loro tribù. Poi si avvicinarono, benché a
passi lenti e cauti, fermandosi ad ogni momento per guardare l'edificio,
come cervi spaventati, ma combattuti tra curiosità e paura. Il piede di
uno di loro si arrestò improvvisamente sul monticello e il selvaggio fermò
per esaminarne la natura.
In quel momento Heyward osservò
che l'esploratore aveva liberato il coltello dalla custodia e abbassato la
bocca del fucile. Imitando questi gesti il giovane si preparò alla
battaglia che ora sembrava inevitabile. I selvaggi erano così vicini che
il minimo movimento di uno dei cavalli, o persino un respiro profondo più
del comune, avrebbero tradito i fuggiaschi. Ma nello scoprire il carattere
del monticello l'attenzione degli Uroni sembrò diretta altrove. Essi
confabularono, e il suono delle loro voci era basso e solenne, come
influenzato da una reverenza profondamente mescolata alla venerazione. Poi
si ritirarono cautamente, tenendo gli occhi fissi alle rovine come se
aspettassero gli spettri dei morti uscire da quelle mura silenziose,
finché, raggiunto il limite dell'area, penetrarono adagio nel folto, e
scomparvero.
Occhio di Falco lasciò cadere il
calcio del fucile e tirando un lungo, libero sospiro esclamò in un
sussurro: «Già! essi rispettano i morti, e questa volta ciò ha salvato le
loro vite e forse anche quelle di uomini migliori.»
Heyward prestò attenzione al
compagno per un solo istante, ma senza rispondere si volse di nuovo verso
coloro che in quel momento gli interessavano di più. Si udirono i due
Uroni lasciare il boschetto e presto fu chiaro che tutti gli inseguitori
erano radunati attorno ad essi, profondamente interessati al loro
racconto. Dopo pochi minuti di dialogo concitato e solenne, del tutto
diverso dal clamore col quale si erano prima raccolti attorno al luogo, i
suoni si affievolirono e si allontanarono, e alla fine si persero nel
cuore della foresta.
Occhio di Falco attese finché un
segnale di Chingachgook che stava in ascolto lo assicurò che ogni suono
della banda che si ritirava era completamente smorzato dalla distanza, poi
fece segno ad Heyward di tirar fuori i cavalli e di aiutare le sorelle a
montare in sella. Quando ciò fu fatto tutti uscirono dalla porta rotta e,
sgusciando via in direzione opposta a quella dalla quale erano entrati, si
allontanarono; le sorelle gettarono sguardi fuggevoli alle tombe
silenziose e alle cadenti rovine mentre lasciavano la morbida luce della
luna per immergersi nell'oscurità dei boschi.
XIV
Guard-Qui est la?
Puc-Paisans, pauvres
gens de France
Enrico VI
Mentre lasciavano il fortino,
finché la compagnia non fu immersa nel profondo della foresta, ciascuno di
loro era troppo compreso della fuga per azzardare anche una sola parola o
soltanto un sussurro. L'esploratore riprese il suo posto alla testa, ma i
suoi passi, dopo che ebbe messo una distanza di sicurezza tra sé e i
nemici, si fecero più cauti che nella marcia precedente, a causa della sua
completa ignoranza della posizione dei boschi circostanti. Più di una
volta si fermò per consultarsi con i compagni Mohicani, indicando la luna
ed esaminando con cura le cortecce degli alberi. In queste brevi pause
Heyward e le sorelle ascoltavano, con i sensi resi doppiamente acuti dal
pericolo, per percepire qualunque segno che potesse annunciare la
vicinanza dei nemici.
In quei momenti pareva che una
vasta zona del paese giacesse sepolta in un sonno eterno; non il minimo
rumore si levava dalla foresta, se non qualche lontano e appena
percettibile fruscio di un corso d'acqua. Uccelli, bestie e uomini
sembravano ugualmente addormentati, se mai fosse stato possibile trovare
qualcuno di questi ultimi in quel vasto tratto di foresta. Ma il debole
mormorio di un ruscello, tolse le guide da non lieve imbarazzo ed esse
immediatamente vi si diressero.
Quando ebbero raggiunto le rive
del piccolo corso d'acqua, Occhio di Falco fece un'altra sosta, e
togliendosi i mocassini, invitò Heyward e Gamut ad imitarlo. Poi entrò
nell'acqua e per quasi un'ora tutti camminarono nel letto del ruscello,
senza lasciare tracce. La luna era già sprofondata in un immenso cumulo di
nuvole nere che sovrastavano l'orizzonte ovest quando essi uscirono dal
basso fiume serpeggiante per tornare alla luce e al livello della pianura
sabbiosa, ricoperta di boschi. Qui l'esploratore sembrò sentirsi di nuovo
a proprio agio; infatti proseguì con la sicurezza e la diligenza di chi si
muove senza imbarazzo. Il sentiero divenne presto accidentato e i
viaggiatori poterono rendersi chiaramente conto che le montagne erano
vicine e che essi stavano proprio per entrare in una delle loro gole.
Improvvisamente Occhio di Falco si fermò e aspettando di essere raggiunto
dall'intera compagnia, parlò ma in toni così bassi e cauti da aumentare la
solennità delle sue parole nella quiete e nelle tenebre di quel luogo.
«È facile conoscere i sentieri e
trovare i ‹lick› e i corsi d'acqua nella foresta,» disse, «ma chi oserebbe
dire, vedendo questo luogo, che un potente esercito sosti tra quegli
alberi silenti e quelle sterili montagne?»
«Non siamo dunque molto distanti
da William Henry?» chiese Heyward avvicinandosi all'esploratore.
«C'è ancora un lungo e faticoso
sentiero: quando e dove prenderlo costituisce ora la nostra maggiore
difficoltà. Vedete,» disse indicando al di là degli alberi verso un punto
dove un piccolo specchio d'acqua rifletteva le stelle dal suo placido
seno, «ecco il ‹laghetto insanguinato› e io mi trovo su un terreno che non
solo ho spesso percorso, ma sul quale ho combattuto il nemico dal sorgere
al calare del sole.»
«Ah! quello specchio d'acqua fosca
e cupa è dunque il sepolcro di quei coraggiosi che sono caduti nello
scontro. Ne ho sentito parlare, ma non sono mai stato sulle sue rive prima
d'ora.»
«Tre battaglie abbiamo combattuto
in un sol giorno col franco-olandese,» disse Occhio di Falco seguendo il
filo dei suoi pensieri più che rispondere all'osservazione di Duncan. «Ci
ha incontrato proprio qui vicino, mentre marciavamo per andare a tendergli
un'imboscata. e ci ha sparpagliato, come cervi inseguiti, attraverso
quelle gole, fino alle rive dell'Horican. Poi ci riunimmo dietro gli
alberi caduti e di lì gli tenemmo testa, comandati da Sir William - che
venne nominato Sir proprio per questa impresa - così lo abbiamo ben
ripagato della sconfitta che ci aveva inflitto al mattino! Centinaia di
francesi quel giorno videro il sole per l'ultima volta e persino il loro
capo, Dieskau stesso, cadde in mano nostra, così ferito e malconcio che è
tornato al suo paese inabile ad altre azioni di guerra.»
«È stata una nobile vittoria!»
esclamò Heyward nell'impeto del suo giovanile ardore. «La sua fama ci ha
raggiunto ben presto nel nostro esercito a sud.»
«Già! ma non è finita qui. Fui
inviato dal Maggiore Effingham, per ordine di Sir William stesso, per
aggirare i francesi e portare la notizia della loro sconfitta attraverso
il passaggio via terra, al forte sull'Hudson, Proprio qui, dove vedete gli
alberi innalzarsi in un rigonfio montagnoso, incontrai una compagnia che
stava venendo in nostro aiuto e li accompagnai dove il nemico stava
prendendo il suo pasto, senza immaginare che il lavoro di quella giornata
non era ancora finito.»
«E li avete sorpresi?»
«Se la morte può essere una
sorpresa per uomini che stanno pensando solo a soddisfare il proprio
appetito. Abbiamo dato loro poco tempo per respirare perché ci avevano
sconfitto duramente nella battaglia del mattino e ben pochi dalla nostra
parte non avevano perduto qualche parente o amico per mano loro. Quando
tutto fu finito, i morti e, dicono alcuni, i morenti, furono gettati nel
laghetto. Questi occhi hanno visto le sue acque tinte di sangue come mai è
stato per acque sgorgate dalle viscere della terra.»
«È stato ben fatto e, credo, sarà
una tomba tranquilla per un soldato. Avete dunque prestato molti servigi
alle nostre frontiere!»
«Io!» disse l'esploratore
sollevando l'alta persona in atteggiamento di orgoglio militaresco. «Non
ci sono molti echi in queste colline che non abbiano risuonato dei colpi
del mio fucile, né lo spazio di un miglio quadrato tra l'Horican e il
fiume sul quale ‹Ammazzacervo› non abbia lasciato un cadavere, sia esso di
nemico o di animale. Quanto alla quiete di quella tomba, come voi dite, è
un'altra faccenda. Ci sono alcuni nell'accampamento che dicono e pensano,
amico, che per giacere in pace, non si deve essere sepolti mentre ancora
c'è fiato in corpo, ed è certo che nella fretta di quella sera, i dottori
ebbero poco tempo per stabilire chi era vivo e chi morto. Sst! Non vedete
nessuno che cammina sulle rive dello stagno?»
«È improbabile che ci sia qualcuno
senza casa come noi in questa cupa foresta.»
«Uno come lui si preoccupa poco di
avere una casa o un rifugio e la rugiada della notte non può bagnare un
corpo che passa i suoi giorni nell'acqua,» replicò l'esploratore
stringendo la spalla di Heyward con una forza così convulsa da rendere il
giovane soldato dolorosamente consapevole di quanto superstizioso terrore
si fosse impadronito di un uomo di solito tanto impavido. «Ma aspettate,
c'è una forma umana e si sta avvicinando! Tenetevi vicino alle vostre armi
perché non sappiamo chi stiamo per incontrare.»
«Qui vive?» domandò una voce dura
e frettolosa che proveniva da quel luogo solitario e solenne, e suonava
come una sfida lanciata da un altro mondo.
«Cosa dice?» mormorò
l'esploratore. «Non parla né indiano né inglese!»
«Qui vive?» ripeté la stessa voce,
che fu immediatamente seguita dal rumore secco delle armi e da un
atteggiamento minaccioso.
«France!» gridò Heyward avanzando
dall'ombra degli alberi verso la riva dello stagno, portandosi a poche
iarde dalla sentinella.
«D'où venez vous?...
Où allez vous, d'aussi
bonne heure?» domandò il granatiere nella lingua e con l'accento di un
uomo della vecchia Francia.
«Je viens de la
découverte, et je vais me coucher.»
«Ètez-vous officier du
roi?»
«Sans doute mon
camarade; me prends-tu pour un provincial! Je suis capitain des chasseurs
(Heyward sapeva bene che l'altro era di un reggimento di linea), j'ai ici
avec moi, les filles du commandant de la fortification. Ah! tu en as
entendu parler! Je les ai fait prisionnières près de l'autre fort, et je
les ai conduit au général.»
«Ma fois! Mesdames; j'en
suis faché pour vous,» esclamò il giovane soldato toccandosi il cappello
con grazia; «mais fortune de guerre, vous trouverez notre général un brave
homme, et bien poli avec les dames.»
«C'est le caractère des
gens de guerre,» disse Cora con ammirevole autocontrollo. «Adieu mon ami;
je vous souhaiterais un devoir plus agréable à remplir.»
Il soldato si inchinò umilmente
per questa gentilezza, e dopo che Heyward ebbe aggiunto un «Bonne nuit,
mon camarade,» proseguirono decisi il cammino, lasciando la sentinella a
misurare coi passi le rive del silenzioso laghetto, senza sospettare un
nemico tanto sfrontato e canticchiando fra sé alcune parole che gli
vennero in mente alla vista delle donne o forse per il ricordo della sua
lontana e bella Francia.
«Meno male che capivate quel
mascalzone!» mormorò l'esploratore, quando furono un po' distanti e
lasciando cadere il fucile nell'incavo delle braccia. «Ho visto subito che
si trattava di uno di quei francesi molesti; e buon per lui che il suo
parlare era amichevole e i suoi modi gentili, altrimenti si sarebbe dovuto
trovare un posto per le sue ossa insieme a quelle dei suoi connazionali.»
Fu interrotto da un lungo e forte
gemito proveniente dal piccolo specchio d'acqua, come se davvero gli
spiriti dei trapassati aleggiassero sui loro sepolcri d'acqua.
«Era certamente fatto di carne!»
continuò l'esploratore. «Nessuno spirito potrebbe maneggiare le armi con
tanta fermezza!»
«Era di carne, e dubito che
il poveraccio appartenga ancora a questo mondo,» disse Heyward guardandosi
attorno e vedendo che non c'era Chingachgook fra loro.
Un altro lamento più debole del
primo fu seguito da un pesante e cupo tonfo nell'acqua, poi tutto fu di
nuovo silenzioso, come se le rive del tetro laghetto non fossero mai state
risvegliate dal silenzio della creazione. Mentre esitavano ancora
nell'incertezza, la forma dell'indiano fu vista sbucare dai cespugli.
Quando il capo li raggiunse, con una mano appese la cotenna fumante dello
sfortunato giovane francese alla cintola e con l'altra rimise a posto il
coltello e il tomahawk insanguinati. Poi riprese il suo posto abituale con
l'aria di chi crede di aver compiuto un'azione meritevole.
L'esploratore appoggiò
un'estremità del fucile in terra e, appoggiando le mani all'altra, rimase
a meditare in profondo silenzio. Poi, scuotendo la testa afflitto,
mormorò: «Sarebbe stata un'azione crudele e inumana per un bianco: ma ciò
è tipico degli indiani ed è nella loro natura, suppongo che non lo si
debba negare. Avrei preferito piuttosto che ciò fosse accaduto a un
dannato Mingo, invece che a quel gioviale ragazzo dei vecchi paesi.»
«Basta,» disse Heyward, temendo
che le sorelle ignare potessero comprendere la natura dell'indugio,
vincendo il disgusto con una serie di riflessioni molto simili a quelle
dell'esploratore. «Ormai è fatto, e benché sarebbe stato meglio se non
fosse successo, non vi si può porre rimedio. Come vedete, è chiaro che
siamo fra le sentinelle dei nemici, che strada suggerite di seguire?»
«Sì,» disse Occhio di Falco
alzandosi, «come voi dite, è troppo tardi per pensare ancora all'accaduto.
Già, i francesi si sono riuniti attorno al fortino e fanno sul serio,
perciò abbiamo un ago difficile da infilare per passare in mezzo a loro.»
«E poco tempo per farlo,» aggiunse
Heyward alzando lo sguardo verso i banchi di vapore che celavano la luna
calante.
«E poco tempo per farlo,» ripeté
l'esploratore. «La cosa può essere fatta in due modi, con l'aiuto della
Provvidenza, senza la quale non la si può fare affatto.»
«Dite, presto, perché il tempo
incalza.»
«Uno sarebbe di far scendere da
cavallo le gentili signore e lasciare andare le loro bestie a vagare per
la pianura: mandando avanti i Mohicani potremmo aprirci un passaggio fra
le sentinelle ed entrare nel forte passando sopra i cadaveri.»
«Questo no... Questo no!»
interruppe il generoso Heyward. «Un soldato può farsi strada con la forza,
ma non con questi mezzi.»
«Sarebbe, a dire il vero, un
cammino spaventevole per piedi così delicati» replicò l'esploratore
ugualmente riluttante. «Ma ho creduto che si confacesse alla mia natura
d'uomo nominarlo. Dobbiamo quindi tornare sui nostri passi e superare la
linea dei loro posti d'osservazione, dopo di che faremo una leggera curva
verso ovest e penetreremo nelle montagne, dove posso nascondervi in modo
tale che i cani al soldo di Montcalm saranno sviati dalla pista per i mesi
a venire.»
«Facciamo così e subito.»
Era inutile aggiungere altro,
perché Occhio di Falco, limitandosi a dire «Seguitemi,» si incamminò per
la strada che avevano già fatto e che li aveva condotti nell'attuale
pericolosa situazione. Il loro procedere, come il loro ultimo dialogo, fu
cauto e senza rumore, perché nessuno sapeva in quale momento una pattuglia
di passaggio o un picchetto in agguato potessero trovarsi sul loro
cammino. Quando presero la silenziosa via lungo i margini del laghetto,
Heyward e l'esploratore gettarono altre occhiate fuggevoli alla sua fosca
desolazione. Cercarono invano la forma che poco prima avevano visto vagare
lungo le sue rive silenziose, mentre un lieve e regolare sciacquio delle
piccole onde diceva che le acque non si erano ancora placate e portava
paurosamente alla memoria il fatto di sangue di cui erano appena stati
testimoni. Ben presto però, come tutta la cupa scena, il piccolo specchio
d'acqua si confuse nelle tenebre e si mescolò alla massa nera di oggetti,
alle spalle dei viaggiatori.
Occhio di Falco, presto deviò
dalla linea della loro ritirata e, tagliando verso le montagne che
formavano il confine occidentale della stretta pianura, condusse a rapidi
passi coloro che lo seguivano, ad immergersi nelle ombre gettate dalle
alte cime ineguali. La strada ora si era fatta faticosa: si inerpicava
lungo una linea irta di rocce e solcata di burroni. Il loro procedere era
perciò lento. Colline brulle e nere li circondavano da ogni lato e
compensavano in qualche modo la maggior fatica della marcia, col senso di
sicurezza che ispiravano. Alla fine il gruppetto si incamminò lentamente
per una scoscesa e aspra salita, lungo un sentiero che serpeggiava
curiosamente fra le rocce e gli alberi, evitando le une e fiancheggiando
gli altri, così da rendere evidente che era stato concepito da uomini
dotati di una lunga pratica nelle arti della foresta. Man mano che si
innalzavano dal livello della valle, la fitta oscurità che di solito
precede l'avvicinarsi del giorno, prese a diradarsi e cominciarono a
distinguersi gli oggetti nella pianura e i colori vivi che la natura aveva
donato loro.
Quando uscirono dal gruppo di
stentati alberi, abbarbicati agli aridi fianchi della montagna, sopra una
piatta roccia muschiosa che formava la sua vetta, essi trovarono il
mattino che veniva loro incontro rosseggiante, sopra i verdi pini di una
collina che sorgeva dal lato opposto della valle dell'Horican. Qui
l'esploratore disse alle sorelle di scendere da cavallo, e prendendo il
morso dalla bocca e la sella dalla groppa delle bestie sfinite, le lasciò
libere di racimolare lo scarso sostentamento tra gli arbusti e la rada
erba di quella zona elevata.
«Andate,» disse «e cercate cibo
dove la natura ve lo offre e state attenti di non diventare nutrimento dei
lupi affamati che si aggirano fra le colline.»
«Non abbiamo più bisogno di loro?»
domandò Heyward.
«Guardate e giudicate coi vostri
stessi occhi,» disse l'esploratore avanzando verso il limitare ad est
della montagna, mentre faceva segno all'intera compagnia di seguire. «Se
guardare nel cuore dell'uomo fosse facile come spiare le difese
dell'accampamento di Montcalm da quassù, gli ipocriti diverrebbero più
rari e l'astuzia di un Mingo altro non sarebbe se non un gioco in perdita,
confrontato all'onestà di un Delaware.»
Quando i viaggiatori raggiunsero
il ciglio del precipizio constatarono con una sola occhiata la verità
delle parole dell'esploratore e l'ammirevole previdenza con la quale egli
li aveva condotti in quella posizione dominante.
La montagna sulla quale si
trovavano si innalzava forse per un migliaio di piedi, ed era costituita
da un alto cono, che sorgeva un po' avanzato rispetto alla catena che si
estende per miglia lungo le rive occidentali del lago, e che poi,
congiungendosi a quelle della stessa origine al di là delle acque, corre
verso il Canadà, in confusi e accidentati massi rocciosi, cosparsi qua e
là di sempreverdi. Proprio ai loro piedi, la riva sud dell'Horican si
spalancava in un ampio semicerchio, da una montagna all'altra, delimitando
una vasta sponda che subito si ergeva in una pianura irregolare e
piuttosto elevata. A nord si estendeva il limpido e - visto da quella
altezza vertiginosa - lo stretto specchio d'acqua del ‹lago sacro›,
frastagliato da innumerevoli baie, abbellito da fantastici promontori e
punteggiato di infinite isole. A poche leghe di distanza, il letto del
lago si perdeva fra le montagne, o era avvolto da nubi di vapore che
avanzavano lentamente dal suo grembo, rotolando sospinti dalla leggera
brezza mattutina. Ma una stretta apertura tra i margini delle colline
rivelava il passaggio per il quale esso si spingeva ancora più a nord, per
andare a diffondere il suo puro ed ampio specchio, prima di riversarsi nel
lontano Champlain. A sud si allargava la stretta, o per meglio dire
irregolare pianura, così spesso menzionata.
Per parecchie miglia in questa
direzione, le montagne sembravano non voler cedere il loro dominio, ma a
portata d'occhio esse, divergevano e finivano per confondersi con la
piatta terra sabbiosa attraverso la quale abbiamo accompagnato i nostri
personaggi nel loro duplice viaggio. Lungo entrambe le catene montuose che
delimitavano i due lati del lago e della valle, leggere nubi di vapore si
sollevavano in volute dai boschi deserti e sembravano il fumo di casette
nascoste; oppure rotolavano pigramente giù per i declivi per andare a
mescolarsi con la nebbia più in basso. Una sola, solitaria nube, bianca
come la neve, fluttuava sopra la valle e indicava il punto sotto il quale
giaceva il laghetto silenzioso.
Proprio sulla sponda del lago e
più vicino al margine occidentale che a quello orientale, stavano i vasti
baluardi e le basse costruzioni di William Henry. Due degli enormi
bastioni sembravano posati sull'acqua che sciacquava la loro base, mentre
un profondo fossato ed estese paludi difendevano i fianchi e gli angoli
del forte. Per un buon tratto, tutto attorno, la terra era stata
disboscata, ma il resto della scena era ricoperto della verde livrea della
natura, tranne dove le limpide acque addolcivano quella vista, o rocce
aguzze facevano spuntare le loro nere cime nude sopra la linea ondulata
delle montagne. Da quella parte si potevano vedere sentinelle sparse che
facevano una faticosa guardia contro i numerosi nemici; ed entro le mura
stesse i viaggiatori videro uomini ancora assonnati per la notte di
guardia. Verso sud-est, ma a contatto immediato col forte, c'era un campo
trincerato, posto su una sporgenza rocciosa che sarebbe stata molto più
adatta al fortino stesso, nel quale Occhio di Falco indicò la presenza di
quei reggimenti ausiliari che avevano così di recente lasciato l'Hudson in
loro compagnia. Dai boschi un po' più a sud, si levavano numerosi fumi
scuri e sporchi che facilmente si distinguevano dalle pure esalazioni
delle sorgenti, e l'esploratore mostrò a Heyward anche questi, come prova
che il nemico si trovava in forze da quella parte.
Ma lo spettacolo che più
interessava il giovane soldato era sulla riva occidentale del lago,
piuttosto vicino, però, alla sua punta meridionale. Su una striscia di
terra che, vista dal suo posto d'osservazione, sembrava troppo stretta per
contenere un simile esercito, ma che, in verità si estendeva per molte
centinaia di iarde dalle rive dell'Horican fino ai piedi della montagna,
si vedevano le bianche tende e le macchine di guerra di un accampamento di
diecimila uomini. Le batterie erano già state alzate ed allineate e -
mentre gli spettatori sopra di loro guardavano, agitati da tante diverse
emozioni, una scena che si stendeva ai loro piedi come una mappa - il
rombo dell'artiglieria si levava dalla valle e oltrepassava in echi
tonanti le colline orientali.
«Il mattino raggiunge quelli di
sotto soltanto ora,» disse l'esploratore pacato e pensoso, «e coloro che
hanno vegliato hanno intenzione di svegliare i dormiglioni con un colpo di
cannone. Siamo in ritardo di alcune ore, Montcalm ha già riempito i boschi
con i suoi maledetti Irochesi.»
«Il luogo è davvero assediato,»
replicò Duncan. «Ma non c'è espediente col quale possiamo entrare? Essere
catturati nel fortino sarebbe di gran lunga preferibile che cadere nelle
mani degli indiani che ci sono in giro.»
«Guardate!» esclamò l'esploratore,
dirigendo senza volere l'attenzione di Cora verso il quartiere di suo
padre. «Come quello sparo ha fatto volare le pietre dalla parte
dell'alloggiamento del comandante! Già! Questi francesi lo faranno a pezzi
più in fretta di quanto sia stata costruita, per solida e robusta che
fosse.»
«Heyward, mi fa male la vista di
un pericolo che non posso condividere,» disse l'intrepida e ansiosa
figlia. «Andiamo da Montcalm e chiediamogli di entrare: non oserà dir di
no alla richiesta di una figlia.»
«Difficilmente trovereste la tenda
del francese con i capelli in testa» disse l'esploratore brusco, «se
avessi solo una di quelle barche che stanno vuote sulla spiaggia, la cosa
si potrebbe fare. Ah! Presto finirà la sparatoria, perché laggiù si sta
alzando una nebbia che cambierà il giorno in notte e renderà la freccia di
un indiano più pericolosa di un cannone ben fuso. Ora, se siete
all'altezza dell'impresa e volete seguirmi, io farò un tentativo, perché
desidero ardentemente entrare in quel campo, foss'anche soltanto per
disperdere qualche cane di Mingo che vedo strisciare ai margini di quella
macchia di betulle.»
«Siamo all'altezza,» disse Cora
fermamente, «per un simile scopo vi seguiremo in qualsiasi pericolo.»
L'esploratore si volse verso di
lei con un sorriso di onesta e cordiale approvazione e rispose: «Vorrei
avere mille uomini, con membra robuste e vista acuta che temessero la
morte poco come la temete voi! Rimanderei quei ciarlatani di francesi
nelle loro tane, prima che la settimana finisse, ululanti come cani in
catene o come lupi affamati. Ma muoviamoci!» aggiunse volgendosi verso il
resto della compagnia. «La nebbia sta abbassandosi così rapidamente che
avremo appena il tempo di incontrarla in pianura, e di usarla come
protezione. Se mi capitasse un incidente, fate in modo che l'aria soffi
sempre sulla vostra guancia sinistra o, meglio, seguite i Mohicani, essi
troveranno la strada, sia di giorno che di notte.»
Poi fece loro cenno con la mano di
seguirlo e si precipitò giù per lo scosceso declivio, con passi sicuri ma
attenti. Heyward aiutò le sorelle nella discesa e in pochi minuti si
trovarono ai piedi di una montagna sulla quale si erano arrampicati con
tanta fatica e dolore.
La direzione presa da Occhio di
Falco, li portò presto a livello della pianura, quasi di fronte a una
pusterla sul lato occidentale del forte, che si trovava a circa mezzo
miglio dal punto in cui egli si fermò per permettere a Duncan di salire
con le compagne. Nell'ansia, e favoriti dalla natura del terreno, essi
erano arrivati prima della nebbia che si stava abbassando pesantemente sul
lago, e divenne necessario fermarsi finché essa non avvolse l'accampamento
nemico col suo soffice manto. I Mohicani approfittarono dell'indugio per
sgattaiolare fuori dal bosco e per fare una ricognizione di ciò che li
circondava. Li seguì a breve distanza l'esploratore con l'intenzione di
approfittare tempestivamente del loro resoconto e per fare la conoscenza
di persona delle più immediate vicinanze.
In pochi minuti fu di ritorno,
rosso per il malumore e brontolando il suo disappunto con parole dal tono
non esattamente gentile.
«Qui l'astuto francese ha
appostato un picchetto proprio sul nostro sentiero,» disse «e noi abbiamo
la stessa probabilità di capitare in mezzo a loro come di oltrepassarli
nella nebbia!»
«Non potremmo aggirarli per
evitare il pericolo,» domandò Heyward, «e tornare di nuovo sul sentiero
dopo averli superati?»
«Chi, una volta allontanatosi
dalla sua linea di marcia in questa nebbia, può dire dove e quando girare
per ritrovarla? Le nebbie dell'Horican non sono come le volute di una pipa
della pace o il fumo che si alza da un fuoco per le zanzare.»
Stava ancora parlando quando si
udì una deflagrazione, e una palla di cannone entrò nel folto, colpendo il
tronco di un alberello e rimbalzando a terra perché la sua forza si era
molto dispersa a causa dell'ostacolo precedente. Gli indiani seguirono
immediatamente come zelanti accompagnatori del terribile messaggero, e
Uncas cominciò a parlare concitatamente in delaware e a gesticolare.
«Può essere così, ragazzo,»
borbottò l'esploratore quando ebbe finito, «perché febbri disperate non si
devono curare come un mal di denti. Venite, dunque, la nebbia si sta
chiudendo su di noi.»
«Ferma!» esclamò Heyward. «Prima
spiegateci le vostre intenzioni.»
«È presto fatto e la speranza è
poca, ma è meglio che niente. Questo proiettile che vedete,» aggiunse
l'esploratore dando un calcio all'innocente pezzo di ferro, ha fatto un
solco venendo fin qui dal forte, e noi lo cercheremo quando ci verrà a
mancare un altro segno. Basta con le parole e seguitemi, o la nebbia ci
lascierà nel bel mezzo del nostro cammino, a far da bersaglio per entrambi
gli eserciti.»
Heyward, vedendo che in effetti
erano arrivati a un punto critico in cui i fatti valevano più delle
parole, si mise fra le sorelle e le trasse rapidamente avanti, tenendo
d'occhio l'indistinta figura della guida. Fu subito chiaro che Occhio di
Falco non aveva esagerato la potenza della nebbia, perché prima che
avessero percorso venti iarde, divenne difficile per ognuno di loro
distinguere l'altro fra i vapori.
Avevano fatto un leggero cerchio
verso sinistra e stavano già piegando di nuovo a destra avendo, come pensò
Heyward, già percorso quasi la metà della distanza che li separava dal
forte amico, quando le sue orecchie furono colpite dalla fiera
intimazione: «Qui va là?»
«Avanti!» mormorò l'esploratore,
girando di nuovo a sinistra.
«Avanti!» ripeté Heyward.
Ma l'intimazione fu ripetuta da
una dozzina di voci, ciascuna delle quali sembrava carica di minacce.
«C'est moi,» gridò Duncan,
mettendosi a trascinare la sua protetta più che guidarla.
«Bête!... qui?... moi?»
«Ami de la France.»
«Tu m'a plus l'air d'un ennemi de la France; arrête! Non! Tirez, mes camarades.»
L'ordine fu subito eseguito e la
nebbia fu agitata dall'esplosione di cinquanta moschetti. Fortunatamente
la mira fu cattiva e le pallottole tagliarono l'aria in una direzione
leggermente diversa da quella presa dai fuggiaschi, benché fossero così
vicine che, per le orecchie inesperte di David e delle donne, sembrarono
sibilare a pochi pollici da esse. L'intimazione venne ripetuta e l'ordine,
non solo di sparare ancora, ma anche di lanciarsi all'inseguimento fu
chiaramente udibile. Quando Heyward ebbe brevemente spiegato il
significato delle parole che udivano, Occhio di Falco si fermò e parlò con
rapida decisione e grande fermezza.
«Apriamo il fuoco» egli disse.
«Crederanno che si tratti di una sortita e ci lasceranno passare, o
aspetteranno rinforzi.»
Il piano era buono, ma fallì. Nel
momento in cui i francesi sentirono sparare, sembrò che l'intera pianura
dalle rive del lago ai confini dei boschi, si fosse riempita di uomini e
moschetti crepitanti.
«Ci tireremo addosso tutto
l'esercito e provocheremo un assalto generale» disse Duncan. «Andiamo
avanti, amico mio, per la vostra vita e per la nostra.»
L'esploratore sembrò voler
obbedire, ma nella fretta del momento, e nel cambiare posizione, aveva
perso l'orientamento. Invano offrì entrambe le guance alla brezza leggera:
esse erano ugualmente fredde. In questo dilemma, Uncas scorpì il solco
della palla di cannone là dove essa aveva aperto il terreno in tre
formicai adiacenti.
«Datemi la direzione!» disse
Occhio di Falco, curvandosi per cercare di intravedere dove erano dirette
e proseguendo immediatamente.
Grida, bestemmie, richiami e
detonazioni di moschetti, si erano fatti ora rapidi e incessanti e
provenivano da ogni lato. Improvvisamente un forte bagliore attraversò la
scena, la nebbia si alzò in spessi strati e parecchi cannoni esplosero
nella pianura, il rombo fu rimandato violentemente dall'eco fragorosa
delle montagne.
«Viene dal forte!» esclamò Occhio
di Falco, girandosi appena verso le sue tracce. «E noi, come sciocchi
impauriti, stavamo precipitandoci verso il bosco, proprio sotto i coltelli
dei Maqua.»
Nel momento in cui si resero conto
dell'errore, l'intera compagnia si impegnò a correggerlo col massimo zelo.
Duncan affidò volentieri il sostegno di Cora al braccio di Uncas e Cora
accettò subito il gradito aiuto. Uomini accaldati e furiosi per
l'inseguimento erano evidentemente sulle loro tracce, e ad ogni istante la
minaccia della loro cattura, se non della loro distruzione, si faceva più
vicina.
«Point de quartier au coquins!»
gridò un inseguitore scalmanato che sembrava dirigere le operazioni del
nemico.
«Siate pronti e risoluti, miei
prodi del 60°!» esclamò improvvisamente una voce sopra di loro. «Aspettate
di avvistare il nemico! Mirate in basso e passate per gli spalti.»
«Babbo! Babbo!» fu il grido
lacerante dalla nebbia, «Sono io, Alice, la tua Elsie! Risparmia, oh!
Salva le tue figlie!»
«Fermi!» gridò colui che aveva
parlato prima, negli impressionanti toni di una forte emozione paterna, e
il suono raggiunse i boschi e fu rimandato da una eco solenne. «È lei! Dio
mi ha restituito le mie bambine! Aprite la porta del forte; in campo, 60°,
in campo, non tirate un solo grilletto, altrimenti uccidereste le mie
creature! Cacciate quei cani di francesi col vostro acciaio.»
Duncan udì il suono stridulo dei
cardini arrugginiti e precipitandosi verso quel punto guidato dal rumore,
vide una lunga fila di guerrieri vestiti di rosso scuro che passavano
rapidi attraverso gli spalti. Egli li riconobbe per il suo battaglione di
Americani del Re, e portandosi alla loro testa, presto cancellò ogni
traccia dei suoi inseguitori davanti alla fortificazione.
Per un istante Cora e Alice
rimasero tremanti e stupefatte per questo abbandono, ma prima che avessero
il tempo di parlare o persino di pensare, un ufficiale di proporzioni
gigantesche, la cui testa era imbiancata dagli anni e dalle fatiche, ma la
cui aria militaresca era stata addolcita, piuttosto che cancellata dal
tempo, si fece largo fra la nebbia e le strinse al petto, mentre copiose e
calde lacrime gli scendevano dalle guance pallide e rugose ed esclamò nel
tipico accento scozzese: «Per questo ti ringrazio, Signore, venga pure il
pericolo, il Tuo servo è pronto!»
XV
Entriamo, dunque, per conoscere la
sua ambasciata
che io potrei già ora svelare,
prima che il francese apra bocca.
Enrico V
Seguirono pochi giorni fra le
privazioni, il tumulto e i pericoli dell'assedio, vigorosamente stretto da
una potenza cui Munro non aveva mezzi adeguati per resistere. Pareva che
Webb, con l'esercito che sonnecchiava sulle rive dell'Hudson, avesse
completamente dimenticato che i suoi connazionali erano alle strette.
Montcalm aveva riempito dei suoi selvaggi i boschi del passaggio via
terra, e i loro gridi e richiami di guerra risuonavano per l'accampamento
britannico, raggelando i cuori di uomini già anche troppo inclini a
ingigantire il pericolo.
Ma non così per gli assediati.
Animati dalle parole e stimolati dagli esempi dei capi, avevano ritrovato
il coraggio e mantenevano la loro antica fama con uno zelo che rendeva
giustizia alla severità del comandante. Come sazio delle fatiche di una
marcia attraverso quelle zone selvagge per incontrare il nemico, il
generale francese, benché di indiscutibile abilità, aveva tralasciato di
occupare le montagne adiacenti, di dove gli assediati avrebbero potuto
essere sterminati impunemente e che, con i moderni metodi di guerra del
paese, non sarebbero state trascurate nemmeno per un'ora. Questa sorta di
dispregio per i luoghi elevati, o piuttosto, di paura della fatica di
raggiungerli, si potrebbe definire il punto debole delle guerre di quel
periodo. Tutto ciò aveva origine dalla semplicità delle contese indiane
nelle quali, a causa della densità delle foreste, le fortezze erano rare e
l'artiglieria quasi inutile.
La negligenza provocata da queste
usanze, si protrasse fino alle guerre della rivoluzione, e fece perdere
agli Stati l'importante fortezza di Ticonderoga, aprendo così l'esercito
di Burgoyne la via verso quello che era allora il cuore del paese. Noi
guardiamo a questa ignoranza o abbaglio - comunque lo si voglia chiamare -
con stupore, ben sapendo che trascurare un'altura, le cui difficoltà, come
quelle del monte Defiance sono state molto esagerate, sarebbe oggigiorno
fatale alla reputazione dell'ingegnere che ha progettato le fortezze ai
loro piedi, o a quella del generale che avesse la ventura di difenderle.
Il turista, il malato, o l'amatore
delle bellezze della natura che trascinato dal suo tiro a quattro, ora
percorre lo scenario che abbiamo tentato di descrivere, alla ricerca di
cultura, salute o piacere; oppure naviga sicuro verso la sua meta sulle
acque artificiali che vennero fatte scaturire a quei tempi, non deve
credere che i suoi antenati avessero attraversato quelle colline o lottato
con le correnti con la stessa sua facilità. Il trasferimento di un solo
pesante cannone era spesso considerato pari ad una vittoria, ciò quando,
con un po' di fortuna, il pezzo non era stato allontanato da quanto gli
era indispensabile: le munizioni, tanto da renderlo niente più che un
inutile tubo di ferro ingombrante.
Gli svantaggi di questo stato di
cose pesavano molto sulle fortune del risoluto scozzese che ora difendeva
William Henry. Sebbene il suo avversario avesse trascurato le colline,
aveva però impiantato strategicamente le sue batterie nella pianura, e se
ne serviva con vigore e abilità. Contro questi assalti gli assediati
potevano opporre le imperfette e frettolose apparecchiature di una
fortezza in mezzo alla foresta.
La scena era animata ma
silenziosa. Tutto ciò che faceva parte della natura era dolce o
semplicemente grandioso; mentre ciò che dipendeva dal carattere e dai
movimenti dell'uomo era vivace e allegro. Due linde bandierine erano
esposte, l'una su un angolo sporgente del forte, e l'altra su una batteria
avanzata degli assedianti, emblemi della tregua esistente non solo nelle
azioni ma, si sarebbe detto, anche nella rivalità dei combattenti. Dietro
a queste, ondeggiavano, aprendosi e chiudendosi pesantemente in pieghe
seriche, gli stendardi rivali di Francia e Inghilterra.
Un centinaio di giovani francesi
spensierati stavano tirando una rete verso la spiaggia ghiaiosa,
pericolosamente vicino al cupo ma silenzioso cannone del forte, mentre le
montagne orientali rimandavano gli alti gridi e l'allegria che
accompagnavano il loro divertimento. Alcuni correvano per andare a godersi
le acque del lago, altri arrancavano già su per la vicina collina, con
l'infaticabile curiosità del loro popolo. Coloro che dalla parte nemica
sorvegliavano gli assediati e gli stessi assediati, osservavano con
simpatia tutti questi divertimenti e svaghi. Qua e là un picchetto aveva
levato un canto o si era confuso in una danza che aveva attirato gli scuri
selvaggi fuori dai loro rifugi nella foresta. In breve, tutto aveva
assunto le apparenza di un giorno di piacere, più che di un'ora rubata ai
pericoli e alle fatiche di una guerra di vendetta.
Duncan era rimasto in
atteggiamento pensoso a contemplare questa scena per alcuni minuti, finché
i suoi occhi si diressero verso gli spalti davanti alla pusterla già
menzionata, attratti dal rumore di passi che si avvicinavano. Il giovane
andò verso un angolo del bastione, e scorse l'esploratore che avanzava
verso il corpo principale del forte sotto la custodia di un ufficiale
francese. Il viso di Occhio di Falco era smarrito e consunto e la sua aria
avvilita, come se provasse la più profonda umiliazione per essere caduto
nelle mani del nemico. Era senza la sua amata arma, e aveva le mani legate
dietro la schiena con dei lacci di pelle di daino. L'arrivo di bandiere
seguite da messaggeri recanti appelli per il comandante, era diventato
così abituale negli ultimi tempi che Heyward, alla prima negligente
occhiata sul gruppo, si aspettò di vedere un ufficiale nemico, venuto a
svolgere questo compito; ma, non appena riconobbe l'alta, ancora vigorosa
benché avvilita, figura dell'amico uomo dei boschi, ebbe un sussulto di
sorpresa e scese dal bastione per andare verso il centro del forte. Il
suono di altre voci, tuttavia, attirò la sua attenzione, e per un momento
gli fece dimenticare questo proposito.
All'angolo interno del terrapieno
incontrò le sorelle che camminavano lungo il parapetto alla ricerca, come
lui, di aria e sollievo. Non si erano incontrati dal doloroso momento in
cui egli le aveva lasciate sulla pianura per rendere più sicura la loro
salvezza. Allora erano affrante per la preoccupazione e sfinite per la
fatica; le rivedeva, ora riposate e fiorenti, benché timide e ansiose. Non
è sorprendente che l'impulso lo spingesse verso di loro e gli facesse
dimenticare qualsiasi altro obiettivo. Fu però preceduto dalla voce
dell'ingenua e giovane Alice: «Ah, tu vagabondo, tu cavaliere sleale!. Tu
che abbandoni le tue damigelle proprio nella lizza!» gridò ella. «Qui
siamo state per giorni, anzi, secoli, ad aspettare che ti gettassi ai
nostri piedi ad implorare pietà e perdono per la tua vile defezione, o
dovrei dire piuttosto diserzione, poiché in verità siete fuggito in un
modo che nemmeno un cervo colpito - come direbbe il nostro degno amico
l'esploratore - avrebbe potuto uguagliarvi!»
«Sapete bene che Alice intende
così esprimervi i nostri ringraziamenti e le nostre benedizioni» disse la
più seria e riflessiva Cora. «A dire il vero, ci siamo domandate il perché
siate rimasto così ostinatamente assente da un luogo dove la gratitudine
delle figlie si sarebbe aggiunta ai ringraziamenti del padre.»
«Vostro padre stesso potrebbe
dirvi che, benché lontano da voi, non ho affatto dimenticato la vostra
salvezza» replicò il giovane. «Il possesso di quel villaggio di capanne,»
disse indicando il vicino campo trincerato, «è stato aspramente disputato,
e colui che lo tiene in pugno è sicuro di dominare anche questo forte e
ciò che contiene. I miei giorni e le mie notti sono trascorsi tutti laggiù
da quando ci siamo separati, perché ritenevo che il dovere mi chiamasse
là. Ma,» aggiunse con un'aria sconsolata che tentò inutilmente di
nascondere, «se mi fossi reso conto che ciò che credevo la condotta di un
soldato sarebbe stata così interpretata, la vergogna si sarebbe aggiunta
alla lista delle ragioni.»
«Heyward!... Duncan!» esclamò
Alice chinandosi in avanti per vedere il viso di lui che egli aveva un po'
distolto, e nel gesto un riccio dei suoi capelli d'oro si fermò sulle
guance purpuree, quasi a nascondere le lacrime che le erano salite agli
occhi. «Se avessi pensato che questa mia stupida lingua vi avrebbe
addolorato, l'avrei fatta tacere per sempre. Cora può dire, se vuole, come
giustamente abbiamo valutato i vostri servigi e come profonda - stavo per
dire fervida - sia la nostra gratitudine.»
«Vorrà Cora confermare la verità
di tutto questo?» domandò Heyward cacciando la nube dal suo viso con un
sorriso di aperto piacere. «Cosa dice la sorella più seria? Troverà una
scusa per la negligenza del cavaliere nel dovere del soldato?»
Cora non rispose subito, ma girò
il viso verso l'acqua, come per guardare lo specchio dell'Horican. Quando
volse i suoi scuri occhi verso il giovane, essi erano pieni di una tale
espressione d'angoscia da cacciare dalla mente di lui ogni altro pensiero
che non fosse di gentile sollecitudine: «Non state bene, cara signorina
Munro! Abbiamo scherzato mentre voi soffrite.»
«Non è niente,» rispose ella,
rifiutando la sua offerta di aiuto con femminile riserbo. «Che io non
possa vedere la parte splendente del quadro della vita come questa ingenua
e appassionata entusiasta», aggiunse, appoggiando la mano lievemente ma
affettuosamente sul braccio della sorella, «è il prezzo che pago
all'esperienza e, forse, alla mia natura disgraziata. Guardate,» continuò
come decisa a liberarsi della debolezza col senso del dovere, «guardate
intorno a voi, Maggiore Heyward, e ditemi voi che vista è questa per la
figlia di un soldato la cui più grande felicità sta nell'onore e nella
reputazione militare di suo padre.»
«Né l'uno né l'altra dovranno, né
saranno offuscati da circostanze di cui non è responsabile» rispose Duncan
calorosamente. «Ma le vostre parole mi richiamano al mio dovere. Ora vado
dal vostro coraggioso padre, per sentire le sue decisioni sulle ultime
azioni di difesa. Dio vi benedica sempre, nobile Cora... posso e debbo
chiamarvi.» Ella gli tese con franchezza la mano benché le sue labbra
tremassero e le sue guance si facessero cineree. «Sempre, so che sarete
ornamento e onore del vostro sesso. Alice, addio.» Il suo tono passò
dall'ammirazione alla tenerezza: «Addio, Alice; ci ritroveremo presto, da
conquistatori, spero, e in allegria!»
Senza attendere risposta, il
giovane si precipitò giù per i gradini erbosi del bastione e,
attraversando rapidamente lo schieramento, fu presto alla presenza di loro
padre Quando Duncan entrò, Munro aveva l'aria turbata e stava misurando a
passi giganteschi la sua piccola stanza.
«Avete prevenuto i miei desideri,
Maggiore Heyward,» disse «stavo per chiedervi questo favore.»
«Sono spiacente di vedere che il
messaggero che vi ho così caldamente raccomandato è tornato sotto la
custodia dei francesi! Spero che non vi sia ragione di dubitare della sua
fedeltà.»
«La fedeltà del ‹Lungo Fucile› mi
è ben nota,» replicò Munro, «ed è al di sopra di ogni sospetto; benché la
sua solita fortuna sembri averlo abbandonato ultimamente; Montcalm lo ha
catturato e, con la maledetta cortesia propria al suo popolo, lo ha
rimandato con la storiella che: ‹sapendo quanto io apprezzassi quella
persona, non poteva pensare di trattenerla.› Un modo da gesuiti, Maggiore
Duncan Heyward, di ricordare a un uomo le sue disgrazie!»
«Cosa ne è del generale e dei suoi
aiuti?»
«Non avete guardato a sud
entrando? Non li avete visti?» disse il vecchio soldato con una risata
amara. «Puah! siete un ragazzo impaziente e non date tempo ai gentiluomini
di marciare!»
«Stanno dunque arrivando? È questo
che ha detto l'esploratore?»
«Quando? E per quale sentiero?
Quel somaro ha tralasciato di dirmelo. C'è una lettera, a quanto pare, e
questa è la sola parte piacevole della faccenda. Quanto alla solita
finezza del vostro Marchese di Montcalm - sono certo che quello di Lothian
ne potrebbe comprare una dozzina di simili marchesati - se le notizie
della lettera fossero cattive, la cortesia del gentiluomo francese lo
avrebbe certamente costretto a farcele conoscere.»
«Tiene le lettere, dunque, mentre
libera il messaggero?»
«Già, proprio così, e tutto per
amore di ciò che voi chiamate ‹bonomia›. Oserei dire, se la verità si
sapesse, che il nonno di quell'individuo insegnava la nobile scienza della
danza!»
«Ma cosa dice l'esploratore? Egli
ha occhi, orecchie e lingua, quale è il suo resoconto verbale?»
«Oh, signore, certamente non gli
mancano gli organi naturali ed egli è libero di riferire tutto ciò che ha
visto e udito. Tutto si riassume in questo: c'è un forte di Sua Maestà
sulle rive dell'Hudson, chiamato Edward, in onore della sua graziosa
Altezza di York, ed è pieno di uomini armati, come si conviene a una
simile fortezza.»
«Ma non c'era movimento, non
c'erano segni dell'intenzione di avanzare in nostro aiuto!»
«C'erano parate mattutine e
serali; e quando uno di quegli uccellacci di coloniali sapete, Duncan,
poiché siete mezzo scozzese anche voi e quando uno di loro versava le sue
polveri, se toccavano il carbone, bruciavano!» Poi, passando da questi
modi amari e ironici a toni più seri e pensosi, continuò: «Eppure doveva e
deve esserci qualcosa in quella lettera che sarebbe bene conoscere!»
«Dobbiamo deciderci in fretta»
disse Duncan approfittando volentieri di questo cambiamento di umore per
insistere sull'argomento della loro conversazione. «Non posso nascondervi,
signore, che non è più possibile difendere l'accampamento per molto tempo,
e sono spiacente di dover aggiungere che la situazione non è migliore nel
forte: più della metà dei fucili sono inservibili.»
«E come potrebbe essere
diversamente? alcuni sono stati pescati dal fondo del lago, altri sono
rimasti ad arrugginire nei boschi fin dalla scoperta di questa zona, altri
ancora non sono mai stati fucili, ma semplici giocattoli di privati!
Credete, signore, di poter avere l'arsenale di Woolwith nel cuore della
foresta, a tremila miglia dalla Gran Bretagna?»
«I muri stanno crollando
dappertutto e le provviste cominciano a mancare,» continuò Heyward senza
badare a questo nuovo scoppio di indignazione; «anche gli uomini mostrano
segni di scontento e allarme.»
«Maggiore Heyward,» disse Munro,
girandosi verso il giovane amico con la dignità degli anni e del rango
superiore. «Avrei servito Sua Maestà per mezzo secolo e questi miei
capelli sarebbero divenuti grigi invano, se ignorassi ciò che dite e che
la nostra situazione è preoccupante: ma tutto si deve tentare per le armi
del re e per noi stessi. Finché c'è speranza di ricevere soccorso,
difenderò questa fortezza, anche se dovrò farlo con i sassi raccolti sulla
riva del lago. Perciò quello che vogliamo è dare un'occhiata alla lettera,
così potremo conoscere le intenzioni dell'uomo che il Conte di Loudon ha
lasciato fra noi come suo sostituto.»
«Posso essere utile in questo?»
«Signore, potete. Il Marchese di
Montcalm mi ha, fra le altre cortesie, invitato ad un colloquio personale
che si deve svolgere fra il forte e il suo accampamento, allo scopo, dice,
di comunicarmi ulteriori informazioni; ora, io penso che non sarebbe
saggio mostrare una inopportuna sollecitudine ad incontrarlo, mi servirei
quindi di voi, un ufficiale di grado elevato, come mio sostituto, perché
sarebbe disdicevole per l'onore della Scozia il permettere che si dica che
uno dei suoi gentiluomini è stato superato in cortesia da uno che proviene
da qualsiasi altro paese della terra.»
Senza avere l'eccessivo zelo di
entrare in una discussione sui minori o maggiori meriti della cortesia
nazionale, Duncan acconsentì con gioia a prendere il posto del veterano
nel colloquio venturo. Seguì una lunga e confidenziale conversazione
durante la quale il giovane ricevette ulteriori indicazioni sul suo
compito dall'esperienza e dall'acume innato del comandante, poi questi si
congedò.
Poiché Duncan poteva solo agire
come rappresentante del comandante del forte, le cerimonie che avrebbero
accompagnato un incontro tra i capi delle forze avverse furono,
naturalmente, tralasciate. C'era ancora la tregua e Duncan, con un rullo
di tamburo e riparato da una piccola bandiera bianca, lasciò la pusterla
dieci minuti dopo che ebbe finito di ricevere istruzioni. Fu prima
ricevuto da un ufficiale francese con le formalità d'uso, poi
immediatamente accompagnato al lontano padiglione del famoso soldato che
guidava le forze francesi.
Il generale nemico ricevette il
giovane messaggero circondato dai suoi ufficiali superiori e da una scura
banda di capi indigeni che lo avevano seguito al campo con i guerrieri
delle loro diverse tribù. Duncan ebbe un attimo di esitazione quando,
gettando un rapido sguardo sul gruppo di uomini bruni, scorse il viso
malvagio di Magua che lo guardava con la calma ma torva attenzione
caratteristica dell'espressione di quell'astuto selvaggio. Una leggera
esclamazione di sorpresa sfuggì dalle labbra del giovane, ma ricordando
subito il suo incarico e la persona davanti alla quale si trovava, soffocò
ogni parvenza di emozione e si rivolse al capo nemico che aveva già fatto
un passo avanti per riceverlo.
Il Marchese di Montcalm era, nel
periodo del quale scriviamo, nel fiore degli anni e, potremmo aggiungere,
al culmine delle sue fortune. Ma, persino in quella invidiabile posizione
era affabile e distinto, tanto per la sua osservanza delle forme della
cortesia, quanto per il cavalleresco coraggio che, solo due anni più
tardi, lo avrebbe indotto a sacrificare la vita sulle pianure di Abraham.
Duncan, distogliendo gli occhi dalla espressione maligna di Magua, lasciò
con piacere che si soffermassero sulla sorridente ed affabile figura e
sulla nobile aria militaresca del generale francese.
«Monsieur,» disse
quest'ultimo, «j'ai beaucoup de plaisir à... bah!... où est cet
interprête?»
«Je crois, monsieur,
qu'il ne sera pas nécessaire,» replicò Heyward con modestia, «Je parle un
peu français.»
«Ah, j'en suis bien aise,» disse
Montcalm prendendo Duncan familiarmente per il braccio e conducendolo in
fondo al padiglione lontano da orecchie indiscrete.
«Je déteste ces
fripons-là; on ne sait jamais sur quel pié on est avec eux.
Eh bien, monsieur,» continuò egli,
sempre parlando in francese: «benchè sarei stato fiero di ricevere il
vostro comandante, sono molto felice che egli abbia trovato opportuno
mandare un ufficiale distinto e, sono certo, amabile, come voi.»
Duncan si inchinò profondamente,
compiaciuto del complimento a dispetto della sua più ferma decisione di
non lasciare che l'artificio lo inducesse a dimenticare l'interesse del
suo principe; Montcalm, dopo un momento di pausa come per raccogliere le
idee, continuò: «Il vostro comandante è un uomo coraggioso e ben
qualificato per rispondere ai miei assalti. Ma, signore, non è venuto il
momento di tener più conto dell'umanità e meno del coraggio? L'una e
l'altro caratterizzano l'eroe in ugual misura.»
«Consideriamo queste due qualità
inseparabili,» replicò Duncan con un sorriso, «ma mentre troviamo nella
forza di vostra eccellenza molti motivi per stimolare l'uno, non ne
vediamo finora alcuno particolare per esercitare l'altra.»
Montcalm, a sua volta, s'inchinò
leggermente, ma coi modi di un uomo troppo esperto per badare al
linguaggio dell'adulazione. Dopo aver riflettuto un momento, aggiunse: «È
possibile che i miei cannocchiali mi abbiano ingannato e che il vostro
forte resista ai miei cannoni meglio di quanto creda. Conoscete le nostre
forze?»
«I nostri calcoli variano,» disse
Duncan con noncuranza, «comunque abbiamo calcolato un massimo di ventimila
uomini.»
Il francese si morse le labbra e
fissò acutamente lo sguardo sull'altro come volesse leggere i suoi
pensieri; poi, con una prontezza che gli era caratteristica, continuò,
come per confermare l'esattezza di un calcolo che quasi raddoppiava il suo
esercito: «È un povero complimento alla vigilanza di noi soldati,
monsieur, ché, qualunque cosa facciamo, non possiamo mai nascondere il
nostro numero. Infatti se ciò fosse possibile, si direbbe che dovrebbe
verificarsi almeno in questi boschi. Benché voi crediate che sia troppo
presto per ascoltare i richiami dell'umanità», aggiunse con un sorriso
malizioso. «Mi si permetta di credere che la galanteria non è dimenticata
da uno giovane come voi. Ho saputo che le figlie del comandante sono
entrate nel forte da quando è stato assediato!»
«È vero, monsieur, ma ben lungi
dall'indebolire i nostri sforzi, esse ci forniscono un esempio di coraggio
con la loro fermezza. Se bastasse la risolutezza a rintuzzare un soldato
perfetto come M. de Montcalm, affiderei volentieri la difesa di William
Henry alla maggiore delle due signore.»
«C'è una saggia regola nelle
nostre leggi saliche che dice: ‹La corona di Francia non deve mai
degradare la lancia alla conocchia,›» disse Montcalm seccamente e con un
po' di alterigia, ma aggiungendo subito con l'aria franca e cortese di
prima: «Poiché tutte le nobili qualità sono ereditarie, vi posso
facilmente credere, benché, come ho detto prima, il coraggio abbia i suoi
limiti e l'umanità non deve essere dimenticata. Spero, signore, che siate
venuto con l'autorizzazione a trattare la resa del forte.»
«Vostra eccellenza ha trovato le
nostre difese tanto deboli da ritenere necessaria tale misura?»
«Sarei spiacente di dover
protrarre una difesa tanto da irritare quei miei amici rossi laggiù,»
continuò Montcalm, gettando uno sguardo al gruppo di indiani austeri e
attenti, senza badare alla domanda dell'altro: «mi è difficile persino ora
mantenerli entro i limiti dei costumi di guerra.»
Heyward rimase in silenzio, mentre
un doloroso ricordo dei pericoli ai quali era sfuggito di recente gli
tornava alla mente, e gli richiamava l'immagine di quegli esseri indifesi
che avevano condiviso tutte le sue sofferenze.
«Quei signori là,» disse Montcalm
sfruttando il vantaggio che vide di aver guadagnato «sono più che mai
efficìenti quando sono frustrati, e non è necessario che vi dica con
quanta difficoltà la loro rabbia venga repressa. Ebbene, signore! Parliamo
dei termini della resa?»
«Temo che vostra eccellenza sia
stata ingannata sulla forza di William Henry e sulle risorse della sua
guarnigione!»
«Non ci troviamo all'assedio di
Quebec, ma di una fortificazione di terra, difesa da duemilatrecento
prodi,» fu la laconica risposta. «I nostri terrapieni sono di terra,
certamente, né sono posti sulle rocce di capo Diamond, ma si trovano su
quelle rive che si dimostrarono tanto disastrose per Dieskau e il suo
esercito. C'è anche un'imponente forza a poche ore di marcia da noi, sulla
quale contiamo come parte dei nostri mezzi.»
«Sei, ottomila uomini, circa,»
replicò Montcalm, apparentemente molto indifferente, «il cui capo ritiene
saggiamente più sicuro rimanere nel forte che scendere in campo.»
Fu la volta di Heyward di mordersi
le labbra contrariato, mentre l'altro alludeva freddamente a una forza che
il giovane sapeva sopravvalutata. Entrambi rifletterono per un po' in
silenzio, poi Montcalm riprese la conversazione con un tono in cui
dimostravo chiaramente di ritenere che lo scopo della visita dell'ospite
fosse unicamente quello di proporre i termini della capitolazione. Dal
canto suo Heyward cominciò ad avanzare diversi tentativi, al modo del
generale francese, per indurlo a rivelare le scoperte fatte intercettando
la lettera. Tuttavia entrambi usarono la loro astuzia senza successo; e
dopo che il colloquio si fu protratto inutilmente, Duncan si congedò,
favorevolmente impressionato dalla cortesia e dal talento del capitano
nemico, ma all'oscuro di ciò per cui era venuto, come quando era arrivato.
Montcalm lo accompagnò fino alla porta del padiglione, rinnovando l'invito
al comandante del forte di concedergli un incontro immediato in campo
aperto, fra i due eserciti. Qui si separarono e Duncan ritornò
all'avamposto francese, accompagnato come prima; poi proseguì subito verso
il forte e i quartieri del suo comandante.
XVI
Edgardo - Prima di ingaggiare
battaglia, aprite questa lettera.
Lear
Il Maggiore Heyward trovò Munro
solo con le figlie. Alice seduta sulle sue ginocchia, divideva i capelli
sulla fronte del vecchio con le dita delicate, e ogni qualvolta egli
fingeva di accigliarsi allo scherzo, ella placava la sua pretesa collera
premendogli affettuosamente le labbra di rubino sulle guance rugose. Cora
stava seduta vicino a loro, spettatrice calma e divertita, guardando i
capricciosi gesti della sorella più giovane con quella sorta di affetto
materno che caratterizzava il suo amore per Alice. Non solo i pericoli
passati, ma anche quelli che ancora incombevano su di loro, parevano
momentaneamente dimenticati nei dolci piaceri di questa riunione
familiare. Sembrava che tutti avessero approfittato della breve tregua,
per dedicarsi un momento agli affetti migliori e più puri: le figlie
dimenticando le loro paure e il veterano le sue preoccupazioni, nella
sicurezza del momento. Di questa scena Duncan, che nell'ansia di far
conoscere il suo arrivo era entrato senza farsi annunciare, rimase
parecchi minuti spettatore inosservato e deliziato. Ben presto, però, i
vivaci occhi vaganti di Alice scorsero la sua figura riflessa in uno
specchio ed ella balzò, arrossendo, dalle ginocchia del padre ed
esclamando: «Maggiore Heyward!»
«Cosa ne è di quel ragazzo?»
domandò il padre.
«L'ho mandato a fare due
chiacchiere col francese.»
«Ah! signore, voi siete giovane e
svelto. Via voi due, sfacciate, come se non ci fossero abbastanza problemi
per un soldato senza avere il campo pieno di impertinenti pettegole come
voi!»
Alice seguì ridendo Cora che
subito si era accinta a lasciare una stanza dove intuiva che la loro
presenza non era più opportuna. Munro, invece di domandare al giovane il
risultato della missione passeggiò per la stanza per alcuni minuti, con le
mani dietro la schiena e la testa china, come perso nei suoi pensieri.
Alla fine alzò gli occhi, brillanti di affetto paterno e esclamò: «Sono
due eccellenti ragazze, e chiunque potrebbe andarne fiero.»
«Non è da ora che conoscete la mia
opinione sulle vostre figlie, colonnello Munro.»
«Vero, ragazzo, vero,» interruppe
il vecchio impaziente, «stavate per aprirmi il vostro cuore più pienamente
sull'argomento il giorno in cui siete arrivato, ma pensavo che non si
addicesse a un vecchio soldato parlare di benedizioni nuziali e di scherzi
matrimoniali quando i nemici del re avevano la probabilità di essere
ospiti indesiderati alla festa, Ma avevo torto Duncan, avevo torto allora,
e ora sono pronto a sentire quello che avete da dirmi.»
«Nonostante il piacere che mi
danno le vostre assicurazioni, caro signore, ora sono qui con un messaggio
di Montcalm...»
«Dimenticate il francese e tutto
il suo esercito!» esclamò il veterano impaziente. «Non è ancora padrone di
William Henry, né mai lo sarà, ammesso che Webb si dimostri l'uomo che
dovrebbe. No, signore, non siamo ancora in difficoltà tale che si possa
dire che Munro è troppo occupato per risolvere i piccoli problemi
domestici della sua famiglia. Vostra madre era l'unica figlia del mio
amico del cuore, Duncan, e io vi ascolterei anche se tutti i cavalieri di
S. Luigi fossero alle porte, col santo francese in testa per chiedermi
udienza. È un bel grado di cavalleria, signore, quello che si può
acquistare con dello zucchero! E poi, quei marchesati da quattro soldi! Il
cardo è l'ordine della dignità e dell'antichità, il vero ‹nemo me impune
lacessit› della cavalleria! Duncan, voi avete degli antenati di quel rango
che erano l'orgoglio dei nobili di Scozia.»
Heyward, intuendo che il superiore
provava un maligno piacere nell'esibire il suo disprezzo per il messaggio
del generale francese, fu lieto di assecondare un umore che sapeva sarebbe
durato poco; perciò rispose con la massima indifferenza di cui era capace,
dato l'argomento: «La mia richiesta, come sapete, signore, arriva fino al
punto di aspirare all'onore di diventare vostro figlio.»
«Già, ragazzo, vi siete fatto
capire molto chiaramente. Ma lasciate che vi chieda, signore, se siete
stato altrettanto chiaro con la fanciulla.»
«Sul mio onore, no,» esclamò
Duncan calorosamente. «Avrei abusato di un incarico di fiducia se avessi
approfittato della mia posizione per una simile proposta.»
«La vostra educazione è quella di
un gentiluomo, Maggiore Heyward, ed è impiegata abbastanza bene. Ma Cora
Munro è una ragazza troppo discreta e di mente troppo elevata ed evoluta
per aver bisogno di tutela, foss'anche di un padre.»
«Cora?»
«Già... Cora! Stiamo parlando
delle vostre aspirazioni alla mano della signorina Munro, no?»
«Io... io... io non credevo di
aver pronunciato il suo nome,» balbettò Duncan.
«E per sposare chi, allora,
desiderate il mio consenso, Maggiore Heyward?» domandò il vecchio soldato
drizzandosi sulla persona nella dignità del suo sentimento ferito.
«Avete un'altra e non meno
graziosa figliola.»
«Alice!» esclamò il padre in uno
stupore uguale a quello con cui Duncan aveva appena pronunciato il nome
della sorella.
«Tale era l'orientamento dei miei
desideri, signore.»
Il giovane attese in silenzio il
risultato dello straordinario effetto prodotto da una comunicazione che,
come, appariva in quel momento, era inaspettata. Per parecchi minuti Munro
misurò la stanza a passi lunghi e rapidi, con i rigidi lineamenti
sconvolti ed ogni sua facoltà assorbita da profonde meditazioni. Alla fine
si fermò proprio davanti a Heyward e fissando lo sguardo in quello
dell'altro, disse con le labbra che gli tremavano violentemente: «Duncan
Heyward, vi ho voluto bene per amore di colui il cui sangue vi scorre
nelle vene, vi ho amato per le vostre buone qualità e vi ho amato perché
pensavo che avreste contribuito alla felicità della mia bambina. Ma tutto
questo amore si trasformerebbe in odio se sapessi che ciò che tanto temo è
vero.»
«Dio non voglia che qualsiasi mia
azione o pensiero provochino un simile cambiamento» esclamò il giovane, i
cui occhi non si abbassarono sotto lo sguardo penetrante che incontrarono.
Senza tener conto
dell'impossibilità dell'altro di comprendere i sentimenti che stavano
nascosti nel suo cuore, Munro si calmò davanti al viso inalterato che
incontrava, e, con una voce sensibilmente più dolce, continuò: «Voi
vorreste essere mio figlio, Duncan, e ignorate la storia dell'uomo che
desiderate chiamare padre. Sedetevi, ragazzo mio, e in breve vi mostrerò
le ferite di un cuore stanco.»
Nel frattempo il messaggio di
Montcalm era dimenticato tanto da chi lo portava, che dal destinatario.
Entrambi presero una sedia, e mentre il veterano rimase chiuso nei suoi
pensieri per alcuni istanti con l'aria triste, il giovane soffocò
l'impazienza in un'espressione e in un atteggiamento di rispettosa
attenzione. Alla fine il primo parlò.
«Saprete già, Maggiore Heyward,
che la mia famiglia era antica e onorata,» cominciò lo scozzese, «benché
non provvista delle ricchezze confacenti al suo rango. Ero forse uno come
voi quando impegnai la mia parola con Alice Graham, l'unica figlia di un
vicino possidente. Ma il legame era sgradito al padre di lei a causa della
mia povertà. Feci, perciò, ciò che un uomo onesto deve, restituii alla
fanciulla la sua parola e lasciai il paese al servizio del re. Ho visto
molte regioni e sparso molto sangue in diversi paesi, prima che il dovere
mi chiamasse alle isole dell'India occidentale. Là il destino volle che
allacciassi una relazione con una che col tempo divenne mia moglie e madre
di Cora. Ella era figlia di un gentiluomo di quelle isole e di una signora
la cui disgrazia, se così volete chiamarla,» disse il vecchio
solennemente, «era di discendere lontanamente da quella sfortunata classe
che fu con tanta bassezza resa schiava per favorire i ricchi. Già,
signore, questa è una maledizione che vincola la Scozia a causa della sua
unione innaturale con un popolo di commercianti. Ma se trovassi un uomo
che osasse far pesare questo sulla mia bambina, conoscerebbe la collera
paterna! Ah, Maggiore Heyward, anche voi siete nato al sud, dove questi
esseri sfortunati sono considerati inferiori a noi.»
«Disgraziatamente è vero,» disse
Duncan, ormai incapace di impedire ai suoi occhi di abbassarsi, per
l'imbarazzo.
«E gettate questo su mia figlia
come un rimprovero? Voi disdegnate di mescolare il sangue degli Heyward
con una così degradata... per bella e virtuosa che sia?» domandò
fieramente il padre geloso.
«Dio mi protegga da un pregiudizio
così indegno della mia ragione!» replicò Duncan, conscio però, nello
stesso tempo, di un sentimento che era tanto profondamente radicato in lui
da sembrare incorporato nella sua stessa natura. «La dolcezza, la
bellezza, il fascino della vostra figlia più giovane, colonnello, possono
spiegare le mie ragioni senza attribuirmi questa ingiustizia.»
«Avete ragione, signore,» replicò
il vecchio, tornando a toni più gentili, o piuttosto, più dolci: «la
fanciulla è l'immagine di ciò che era sua madre alla sua età e prima che
conoscesse il dolore. Quando la morte mi portò via mia moglie, io ritornai
in Scozia arricchito dal matrimonio, e lo credereste, Duncan! quel povero
angelo era rimasta nubile per venti lunghi anni, e questo per amore di un
uomo che aveva potuto dimenticarla! Fece di più: mi perdonò per averle
mancato di fedeltà, e poiché ora tutte le difficoltà erano rimosse, mi
prese per marito.»
«E divenne la madre di Alice,»
disse Duncan con uno slancio che sarebbe stato pericoloso in un momento in
cui Munro fosse meno occupato dai suoi pensieri.
«È così» disse il vecchio, «e pagò
caro il prezioso dono che mi fece. Ma ella è una santa del paradiso,
signore, e mal si addice a uno con un piede nella fossa lamentarsi per un
destino così benevolo. L'ho avuta per un solo anno; una breve felicità per
una creatura che ha visto sfiorire la sua giovinezza in una disperata
pena.»
C'era qualcosa di così maestoso
nel dolore del vecchio che Heyward non osò pronunciare una sola sillaba di
consolazione. Munro stava seduto, completamente dimentico della presenza
dell'altro, coi lineamenti così agitati da rivelare l'angoscia dei
rimpianti, mentre pesanti lacrime gli sgorgavano dagli occhi e gli
scivolavano lungo le guance senza che egli si curasse di nasconderle.
Alla fine si mosse, come se fosse
tornato improvvisamente in sé, poi si alzò e, attraversando la stanza, si
avvicinò al compagno con un'aria di marziale solennità e domandò: «Non
avete, Maggiore Heyward, una comunicazione da farmi da parte del Marchese
di Montcalm?»
Duncan sussultò a sua volta e
cominciò immediatamente, con un po' di imbarazzo, a riferire il messaggio
quasi dimenticato. Non è necessario soffermarsi sui modi evasivi, benchè
educati, coi quali il generale francese aveva eluso ogni tentativo di
Heyward di carpirgli il tono della comunicazione che intendeva fare, o sul
deciso, anche se sempre cortese messaggio, col quale egli faceva capire al
nemico che, nel caso non scegliesse di riceverlo di persona, non lo
avrebbe ricevuto affatto. Mentre Munro ascoltava il resoconto di Duncan, i
forti sentimenti paterni poco a poco si attenuarono in lui davanti ai
doveri che gli imponeva la situazione, e l'altro, quando ebbe finito, vide
davanti a sé il veterano, col cuore gonfio dei sentimenti feriti del
soldato.
«Avete detto abbastanza, Maggiore
Heyward!» esclamò il vecchio in collera. «Abbastanza da farne un volume di
commento sulla cortesia francese. Ecco che questo gentiluomo mi invita ad
un colloquio, e quando gli invio un degno sostituto, perché voi lo siete
Duncan, anche se giovane, mi risponde con un enigma.»
«Può avere un'opinione meno
favorevole sul sostituto, caro signore, poi ricorderete che l'invito che
ora vi rinnova, era rivolto al comandante del forte e non al suo secondo.»
«Ebbene, signore, un sostituto non
è forse investito di tutto il potere e di tutta la dignità di colui che
gli conferisce l'autorità? Egli desidera parlare con Munro! in fede mia,
signore sono molto incline a compiacerlo, non fosse altro che per
mostrargli il viso fermo che mantengo a dispetto del suo numero e dei suoi
inviti ad arrendermi. Forse una mossa simile non è cattiva politica,
giovanotto.»
Duncan, che riteneva della massima
importanza il venire a conoscenza prima possibile del contenuto della
lettera portata dall'esploratore, incoraggiò volentieri questa idea.
«Senza dubbio non potrebbe trarre
sicurezza dalla vista della nostra indifferenza» disse.
«Non avete mai detto niente di più
vero. Vorrei, signore, che egli visitasse il forte in pieno giorno e con
una colonna d'assalto. La bellezza e la virilità della guerra sono state
molto sciupate, Maggiore Heyward, dalle arti del vostro Monsieur de
Vauban. I nostri antenati erano molto al di sopra di simile scientifica
codardia!»
«Può essere verissimo, signore, ma
noi ora siamo obbligati a rispondere all'astuzia con l'astuzia. Qual è la
vostra volontà per questo colloquio?»
«Incontrerò il francese, senza
paure né indugi: subito, come si conviene a un servo del mio reale
signore. Andate, Maggiore Heyward, fate squillare le trombe e inviate un
messaggero per far loro sapere chi sta arrivando. Noi seguiremo con una
piccola scorta, perché ciò è dovuto a chi è responsabile dell'onore del
suo re; e sentire, Duncan,» aggiunse quasi in un sussurro benché fossero
soli, «può essere prudente avere qualche aiuto a portata di mano, nel caso
vi sia un tradimento al fondo di tutto questo.»
Il giovane approfittò di questo
ordine per lasciare la stanza, e poiché il giorno stava rapidamente
giungendo alla fine, si affrettò subito a fare i preparativi necessari.
Pochi minuti bastarono a radunare alcuni uomini e per mandare un
attendente con una bandiera ad annunciare l'avvicinarsi del comandante del
forte.
Quando Duncan ebbe assolto a
questi due compiti, condusse la scorta alla pusterla, vicino alla quale
trovò il superiore pronto ad aspettarlo. Non appena fu compiuto il solito
cerimoniale di una partenza militare, il veterano e il giovane compagno
lasciarono la fortezza, seguiti dalla scorta.
Si erano allontanati solo di un
centinaio di iarde dal forte, quando la piccola schiera che accompagnava
il generale francese al colloquio fu vista spuntare dalla strada concava
costituita dal letto di un ruscello che scorreva tra le batterie degli
assediati e il forte. Dal momento in cui Munro aveva lasciato le
fortificazioni per apparire dinanzi al nemico, aveva assunto un'aria
solenne, insieme a una andatura e un'espressione molto marziali. Non
appena scorse la bianca piuma che ondeggiava sul cappello di Montcalm, i
suoi occhi si illuminarono e l'età sembrò non influire più sulla sua
imponente e muscolosa persona.
«Dite ai ragazzi di stare in
guardia, signore,» disse a bassa voce a Duncan, «e di badare bene alle
pietre focaie e all'acciaio, perché non si è mai sicuri con un servo di
Luigi, intanto gli mostreremo il viso di uomini sicuri di sé. Voi mi
capite, Maggiore Heyward!»
Fu interrotto dal rullo di un
tamburo proveniente dalla parte dei francesi che si stavano avvicinando,
ad esso fu subito risposto, ciascuna delle due parti mandò avanti un
attendente con una bandiera bianca e il cauto scozzese si fermò, con la
scorta alle spalle. Non appena questo piccolo cerimoniale terminò,
Montcalm si mosse verso di loro con passo rapido ma aggraziato,
scoprendosi il capo alla vista del veterano e quasi sfiorando il terreno
con la piuma immacolata in un gesto di cortesia. Se l'aspetto di Munro era
più imponente e virile, mancava però della scioltezza e della insinuante
raffinatezza del francese. Nessuno dei due parlò per alcuni minuti,
ciascuno scrutando l'altro con occhi curiosi e interessati. Poi, come si
conveniva al suo rango superiore e alla natura del colloquio, Montcalm
ruppe il silenzio. Dopo aver pronunciato le solite parole di saluto, egli
si volse a Duncan, e continuò riconoscendolo con un sorriso e parlando
sempre in francese: «Sono lieto, monsieur, che ci abbiate concesso il
piacere della vostra compagnia in questa occasione. Non sarà necessario
impiegare un comune interprete, poiché, nelle vostre mani mi sento
altrettanto sicuro che se parlassi io stesso la vostra lingua.»
Duncan ringraziò per il
complimento, mentre Montcalm, rivolto alla sua scorta che, come quella del
nemico, lo stringeva da vicino, continuò: «En arriêre, mes enfants, il
fait chaud; retirez-vous un peu.»
Il Maggiore Heyward, prima di
imitare questa prova di fiducia, volse attorno lo sguardo e scorse, con
imbarazzo, i numerosi gruppi scuri di selvaggi che guardavano dai margini
dei boschi circostanti, spettatori curiosi del colloquio.
«Il signore di Montcalm si renderà
facilmente conto della differenza della nostra situazione,» disse con un
certo imbarazzo indicando i pericolosi nemici che si vedevano quasi da
ogni parte. «Se congedassimo la guardia, rimarremmo qui alla mercé dei
nostri nemici.»
«Monsieur, per la vostra
sicurezza, avete la parola d'onore di un ‹gentilhomme français›,» continuò
Montcalm, portandosi una mano al cuore in modo espressivo, «dovrebbe
bastare.»
«Basterà. Indietro!» aggiunse
Duncan rivolto all'ufficiale che comandava la scorta. «Indietreggiate,
signore, fino a non udire, e attendete ordini.»
Munro assistette a questi
movimenti con evidente inquietudine, né tralasciò di chiedere
immediatamente una spiegazione.
«Non è forse nostro interesse,
signore, non tradire sfiducia?» replicò Duncan. «Monsieur de Montcalm dà
la sua parola per la nostra sicurezza, così ho ordinato agli uomini di
allontanarsi un po', per provargli quanto dipendiamo dalle sue
assicurazioni.»
«Può essere giusto, signore, ma io
non faccio soverchio affidamento sulla fede di questi marchesi o
‹marquis›, come si dice, le loro patenti di nobiltà sono troppo comuni per
essere certi che portino il sigillo del vero onore.»
«Dimenticate, signore, che stiamo
conferendo con un ufficiale che si è distinto tanto in Europa come in
America per le sue imprese. Da un soldato della sua reputazione non
abbiamo nulla da temere.»
Il vecchio fece un gesto di
rassegnazione, benché i suoi rigidi lineamenti tradissero ancora una
ostinata sfiducia che gli derivava da una sorta di ereditario disprezzo
per il nemico piuttosto che da indizi attuali che giustificassero una così
severa opinione. Montcalm attese pazientemente finché questo breve dialogo
a mezza voce fu terminato, poi si avvicinò e affrontò l'argomento
dell'incontro.
«Ho sollecitato questo colloquio
al vostro superiore, monsieur,» disse, «perché credo che egli si lascerà
persuadere di aver fatto tutto il necessario per l'onore del suo principe
e che ora vorrà prestare ascolto ai consigli dell'umanità. Sarò sempre
testimone che la sua resistenza è stata valorosa e si è protratta finché
c'è stata speranza.»
Quando questa introduzione fu
tradotta a Munro, egli rispose con dignità, ma con sufficiente cortesia:
«Per quanto apprezzi una simile testimonianza da parte di Monsieur de
Montcalm, essa avrà più valore quando sarà stata meglio meritata.»
Il generale francese sorrise
quando Duncan gli riferì questa risposta e osservò: «Ciò che è così
spontaneamente concesso ad un provato coraggio, può essere rifiutato ad
una inutile ostinazione. Monsieur desidera forse vedere il mio
accampamento e constatare coi suoi occhi il nostro numero e
l'impossibilità per lui di resistere con successo?»
«So che il re di Francia è ben
servito,» replicò lo scozzese impassibile non appena Duncan ebbe finito di
tradurre, «ma il mio reale signore ha altrettante truppe e altrettanti
fedeli.»
«Anche se non a disposizione,
fortunatamente per noi» disse Montcalm, senza attendere, nell'ardore,
l'interprete. «C'è un destino nella guerra al quale un uomo coraggioso sa
bene come sottomettersi con lo stesso coraggio con cui affronta il
nemico.»
«Se avessi saputo che Monsieur de
Montcalm comprendeva l'inglese mi sarei risparmiato la fatica di una
traduzione così goffa,» disse Duncan contrariato, in tono secco e
ricordando subito il suo recente confabulare con Munro.
«Perdonatemi, monsieur,»
intervenne il francese, mentre un leggero colore appariva sulle sue guance
scure. «C'è molta differenza tra capire e parlare una lingua straniera.
Vogliate perciò, ve ne prego, assistermi ancora.» Poi, dopo una breve
pausa, aggiunse: «Queste colline ci offrono ogni opportunità di
perlustrare le vostre fortificazioni, signori, e forse conosco la loro
debolezza quanto voi.»
«Domandate al generale francese se
i suoi cannocchiali gli permettono di vedere l'Hudson,» disse Munro, «e se
sa quando e dove si aspetta l'esercito di Webb.»
«Lasciate che il generale Webb sia
l'interprete di se stesso,» replicò il diplomatico Montcalm, mostrando
improvvisamente una lettera a Munro mentre parlava. «Apprenderete da
questa, monsieur, che i suoi movimenti non hanno molte probabilità di
mettere in difficoltà il mio esercito.»
Il veterano afferrò il foglio
senza aspettare che Duncan traducesse il discorso, con una foga che
mostrava quanto giudicasse importante il suo contenuto. Mentre faceva
rapidamente scorrere lo sguardo su quelle parole, il suo viso mutò, e da
marziale com'era assunse un'espressione di profondo dolore; le labbra
cominciarono a tremargli e, lasciò che il foglio gli scivolasse dalle
mani, la testa gli cadde sul petto, come accade a un uomo le cui speranze
siano sfumate in un sol colpo. Duncan raccolse la lettera da terra e senza
scusarsi per la libertà che si prendeva, ne lesse con una sola occhiata il
crudele contenuto. Il loro comune superiore, lungi dall'incoraggiarli a
resistere, consigliava una resa immediata, adducendo a chiare lettere la
scusa che gli era impossibile inviare anche un sol uomo in loro aiuto.
«Non c'è inganno!» esclamò Duncan,
esaminando la lettera da ogni parte. «Questa è la firma di Webb e deve
trattarsi della lettera intercettata.»
«Quell'uomo mi ha tradito!»
esclamò alla fine Munro. «Egli ha portato il disonore ad una soglia su cui
la sconfitta non si era mai fermata e sparso vergogna sui miei capelli
grigi.»
«Non dite così» gridò Duncan,
«Siamo ancora padroni del forte e del nostro onore. Vendiamo dunque le
nostre vite a un così alto prezzo da far ritenere ai nostri nemici troppo
caro il mercato.»
«Grazie, ragazzo,» disse il
vecchio riavendosi dallo sbigottimento, «questa volta avete ricordato a
Munro il suo dovere. Torneremo indietro e scaveremo le nostre fosse dietro
quei bastioni.»
«Messieurs,» disse Montcalm
facendo un passo verso di loro con generoso interesse, «conoscete poco
Louis de St. Véran se lo credete capace di approfittare di una lettera per
umiliare degli uomini valorosi o per costruirsi una reputazione disonesta.
Ascoltate le mie condizioni prima di andarvene.»
«Cosa dice il francese?» domandò
il veterano duramente. «Si fa forse un merito di aver catturato un
esploratore con una nota del quartier generale? Signore, farebbe meglio a
togliere questo assedio e andare a porlo davanti ad Edward, se vuole
spaventare il suo nemico con le parole.»
Duncan tradusse le parole
dell'altro.
«Monsieur de Montcalm, vi
ascolteremo,» aggiunse il veterano più calmo, quando Duncan ebbe finito.
«Mantenere il forte adesso è
impossibile» disse il nobile nemico. «È necessario, nell'interesse del mio
signore, che sia distrutto; ma, per quanto riguarda voi e i vostri
valorosi compagni, non c'è privilegio caro a un soldato che io possa
negarvi.»
«Le nostre insegne?» domandò
Heyward.
«Portatele in Inghilterra e
mostratele al vostro re.»
«Le armi?»
«Tenetele, nessuno potrebbe usarle
meglio.»
«La sfilata, la resa del luogo?»
«Tutto sarà fatto nel modo più
onorevole per voi.»
Poi Duncan si volse a spiegare
queste proposte al suo comandante che lo ascoltò stupito e profondamente
commosso per una generosità così insolita e inattesa.
«Andate, Duncan,» disse, «andate
con questo marchese, poiché davvero marchese deve essere; andate nel suo
padiglione e prendete tutti gli accordi. Ho vissuto per vedere due cose
nella mia vecchiaia che mai mi sarei aspettato di vedere: un inglese che
si rifiuta di aiutare un amico e un francese troppo onesto per
approfittare del suo vantaggio.»
Così dicendo il veterano chinò
ancora il capo sul petto e tornò lentamente verso il forte; la sua aria
abbattuta fu messaggera di cattive notizie per la guarnigione che
attendeva ansiosa.
Dagli effetti di questo colpo
inatteso gli alteri sentimenti del colonnello Munro non si sarebbero mai
ripresi, ma da quel momento ebbe inizio un cambiamento nel suo carattere
risoluto che lo portò prematuramente alla tomba. Duncan rimase a fissare i
termini della capitolazione. Egli fu visto rientrare al forte durante i
primi turni di guardia della notte e, subito dopo un colloquio privato col
comandante, andarsene di nuovo. Fu allora annunciato apertamente che le
ostilità dovevano cessare perché Munro aveva firmato un trattato per il
quale il luogo doveva essere ceduto al nemico il mattino successivo. La
guarnigione poteva conservare le armi, le insegne e il bagaglio, e di
conseguenza, secondo le norme militari, l'onore.
XVII
Tessiamo la tela, il filo è
filato.
La trama è intrecciata. Il lavoro
è compiuto.
Gray
Gli eserciti ostili che si
trovavano nelle terre selvagge dell'Horican passarono la notte del 9
agosto 1757 come se si fossero incontrati nel più bel campo d'Europa.
Mentre i vinti se ne stavano silenziosi, cupi e scoraggiati, i vincitori
esultavano. Ma la gioia come il dolore hanno limiti e molto prima che
cominciassero i turni di guardia del mattino, il silenzio di quegli
sconfinati boschi era interrotto solo dai lieti richiami lanciati da
qualche giovane francese dei picchetti avanzati, o da sfide minacciose
provenienti dalla parte del forte che impedivano ostinatamente
l'avvicinarsi di passi nemici prima del momento pattuito. Persino questi
sporadici suoni minacciosi non furono più uditi quando sopraggiunse l'ora
opaca che precede il giorno, nella quale, chi avesse voluto ascoltare,
avrebbe invano cercato un segno della presenza delle forze armate che
sonnecchiavano sulle spiagge del Lago Sacro.
Fu durante queste ore di profondo
silenzio, che il telone d'entrata di uno spazioso padiglione
nell'accampamento francese venne scostato e ne uscì un uomo. Era avvolto
in un mantello che avrebbe dovuto servire a proteggere dalla fredda
umidità dei boschi, ma che era impiegato anche per nascondere la persona.
Non fu fermato quando passò davanti al granatiere che vegliava i sonni del
comandante francese, e mentre costui passava rapido attraverso il piccolo
agglomerato di tende, dirigendosi verso William Henry, la guardia fece il
consueto saluto, indice di deferenza militare.
Ogni volta che questo sconosciuto
incontrava una delle numerose sentinelle che si trovavano sul suo cammino,
rispondeva con prontezza e, a quanto pareva, in modo soddisfacente, perché
gli fu sempre permesso di continuare senza altre domande. Ad eccezione di
queste ripetute ma brevi interruzioni, egli procedette silenzioso dal
centro del campo verso gli avamposti più inoltrati, finché raggiunse il
soldato che faceva la guardia nella posizione più prossima al forte
nemico.
Quando si avvicinò, fu accolto
dalla consueta intimazione: «Qui vive?»
«France,» fu la risposta.
«Le mot d'ordre?»
«La victoire,» disse l'altro
avvicinandosi tanto da essere udito senza alzare troppo la voce.
«C'est bien» replicò la sentinella
appoggiandosi il moschetto alla spalla dalla posizione di carica.
«Vous-vous promenez bien
matin monsieur!»
«Il est necessaire d'être
vigilant, mon enfant» osservò l'altro scostando una piega del mantello e
guardando il soldato in faccia da vicino, mentre passava oltre continuando
la sua strada verso la fortificazione britannica.
L'uomo ebbe un sussulto, e le sue
armi sbatterono pesantemente mentre le presentava nel più umile e
rispettoso dei saluti, e quando le ebbe rimesse nella posizione di prima,
s'incamminò verso il suo posto, borbottando fra i denti: «Il faut être
vigilant en vérité!
Je crois que nous avons
là un caporal qui ne dort jamais!»
L'ufficiale procedette senza
mostrare di aver udito le parole che erano sfuggite alla sentinella per la
sorpresa; né si fermò più finché non ebbe raggiunto la bassa riva
pericolosamente vicina al bastione occidentale del forte, dove questo
toccava l'acqua. La luce di una luna fosca era appena sufficiente a
rendere gli oggetti, benché indistinti, percettibili nei loro contorni.
Egli perciò prese la precauzione di appoggiarsi a un tronco d'albero, dove
rimase per parecchi minuti, con l'aria di contemplare gli scuri e
silenziosi terrapieni delle fortificazioni inglesi con profonda
attenzione. Egli osservava i bastioni non con gli occhi di uno spettatore
curioso o ozioso, ma il suo sguardo si spostava da un punto all'altro,
denotando conoscenza delle norme militari e rivelando che il suo indagare
non era disgiunto da diffidenza. Alla fine parve soddisfatto, e dopo aver
levato gli occhi impazienti in direzione della montagna orientale, come se
volesse anticipare la venuta del giorno, stava per tornare sui suoi passi,
quando un lieve rumore dall'angolo più vicino del bastione gli giunse alle
orecchie e lo indusse a rimanere.
Proprio allora si vide una figura
avvicinarsi al bordo della fortificazione, con l'aria di contemplare a sua
volta le lontane tende dell'accampamento francese. Poi il suo capo si
volse poi verso est, come se anch'egli fosse ansioso di veder spuntare il
giorno, quindi la sua forma si appoggiò al terrapieno, e sembrò mirare la
vitrea distesa delle acque che come un firmamento sottomarino scintillava
con le sue mille stelle tremule.
L'aria melanconica, l'ora e la
grossa corporatura dell'uomo che si era appoggiato meditabondo alle
fortificazioni inglesi, non lasciarono all'osservatore dubbi circa la sua
persona. La delicatezza, non meno che la prudenza, lo inducevano ora a
ritirarsi; aveva appena aggirato cautamente il tronco dell'albero, quando
un altro rumore attirò la sua attenzione e ancora una volta arrestò i suoi
passi. Era un lieve, quasi impercettibile movimento dell'acqua, seguito da
un cozzare di sassi l'uno contro l'altro. Subito vide sorgere una forma
bruna, come uscisse dal lago, che si muoveva furtiva verso la terra, a
pochi passi dal luogo dove egli si trovava. Poi, lentamente si levò un
fucile tra i suoi occhi e lo specchio d'acqua, ma prima che facesse fuoco
la sua mano era sul grilletto.
«Hugh!» esclamò il selvaggio, la
cui mira traditrice fu così singolarmente e inaspettatamente interrotta.
Senza rispondere, l'ufficiale
francese appoggiò una mano alla spalla dell'indiano, e lo condusse in
silenzio lontano dal luogo dove il successivo dialogo avrebbe potuto
essere pericoloso, e dove sembrava che uno di loro almeno cercasse una
vittima. Poi, aprendo il mantello, così da mostrare l'uniforme e la croce
di San Luigi che aveva appuntata al petto, Montcalm chiese duramente:
«Cosa significa? Non sa forse il mio figliolo che l'accetta è stata
seppellita tra gli inglesi e il suo padre canadese?»
«Che cosa possono fare gli Uroni»
replicò il selvaggio, parlando, anche se scorrettamente, in lingua
francese. «Nessun guerriero ha una cotenna, e i visi pallidi fanno
amicizia!»
«Mi pare che sia un eccesso di
zelo per un amico che è stato così di recente un nemico! Quanti soli sono
tramontati da quando Le Renard ha colpito il palo di guerra degli
inglesi?»
«Dov'è quel sole?» domandò aspro
il selvaggio. «Dietro la collina, ed è buio e freddo. Ma quando tornerà
sarà splendente e caldo. Le Subtil è il sole della tribù. Ci sono state
nubi e molte montagne tra lui e il suo popolo, ma ora egli splende e il
cielo è luminoso!»
«Che Le Renard ha potere nel suo
popolo, lo so bene» disse Montcalm, «perché ieri egli andava a caccia
delle loro cotenne e oggi lo ascoltano al fuoco del consiglio.»
«Magua è un grande capo.»
«Che lo provi insegnando al suo
popolo come comportarsi con i nostri nuovi amici!»
«Perché il capo del Canadà ha
portato i suoi giovani nei boschi e sparato col cannone contro la casa di
terra?» domandò l'astuto indiano.
«Per sottometterla. Il mio Signore
possiede quella terra e al tuo Padre è stato ordinato di cacciare questi
intrusi di inglesi. Essi hanno acconsentito ad andarsene e ora egli non li
chiama nemici.»
«Va bene. Magua ha preso l'accetta
per tingerla di sangue. Ora essa è lucente. Quando sarà rossa, sarà
sotterrata.»
«Ma Magua è impegnato a non
macchiare i gigli di Francia. I nemici del grande re al di là del lago
salato sono i suoi nemici, i suoi amici, gli amici degli Uroni.»
«Amici,» ripeté l'indiano con
disprezzo. «Che suo padre dia una mano a Magua.»
Montcalm, sentendo che la sua
influenza sulle tribù guerriere che aveva raccolto doveva essere mantenuta
con delle concessioni piuttosto che con la forza, acconsentì riluttante
alla richiesta dell'altro.
Il selvaggio mise il dito del
comandante francese su una profonda cicatrice che aveva sul petto, poi
domandò in tono esaltato: «Sa il padre mio cos'è questa?»
«Quale guerriero non lo sa? È la
ferita di una pallottola di piombo.»
«E questo?» continuò l'indiano che
aveva girato la schiena nuda verso l'altro, poiché non indossava la solita
mantellina di calicò.
«Questo? Qui il mio figliolo è
stato gravemente offeso, chi te lo ha fatto?»
«Magua dormiva sodo nelle
wigwam inglesi e i bastoni gli hanno lasciato i loro segni,» replicò
il selvaggio con una risata cupa che non riusciva a nascondere la rabbia
feroce che quasi lo soffocava. Poi, riprendendo il controllo di sé, con
improvvisa dignità indigena aggiunse: «Andate, dite ai vostri giovani che
c'è la pace. Le Renard Subtil sa come parlare a un guerriero Urone.»
Senza degnarsi di concedere altre
parole e senza aspettare risposta, il selvaggio si gettò il fucile nella
piega del braccio e si diresse silenziosamente attraverso l'accampamento
verso i boschi dove c'era la sua tribù.
Mentre procedeva, ogni poche iarde
gli veniva intimato l'alt dalle sentinelle, ma egli continuava, del tutto
sdegnando i richiami dei soldati, che risparmiavano la sua vita solo
perché conoscevano quell'aspetto e quel passo, non meno dell'ostinata
temerarietà dell'indiano.
Montcalm indugiò a lungo e
malinconicamente sulla riva alla quale era stato lasciato dal compagno,
meditando profondamente sull'ira che l'indomabile alleato aveva appena
rivelato. Già la sua bella fama era stata intaccata da una scena orrenda,
svoltasi in circostanze terribilmente simili a quella nella quale si
trovava ora. Nel riflettere divenne acutamente conscio della profonda
responsabilità che si assumono coloro che non badano ai mezzi per
raggiungere i fini, e di tutto il pericolo di mettere in moto un
meccanismo che l'umano potere non può controllare. Poi, scuotendosi di
dosso una serie di riflessioni che riteneva debolezza in un simile momento
di trionfo, riprese il cammino verso la sua tenda e ordinò mentre passava,
di dare il segnale per svegliare l'esercito dai suoi sonni.
Il primo rullo dei tamburi
francesi fece eco dal cuore del forte e subito riempì la valle di ritmi
marziali che si levarono lunghi, squillanti e vivaci al di sopra
dell'accompagnamento frastornante di suoni. I corni dei vincitori
suonarono gioiose e allegre note finché l'ultimo pigrone dell'accampamento
non fu al suo posto. Ma quando i pifferi britannici ebbero lanciato il
loro stridulo segnale, essi tacquero. Nel frattempo era venuta l'alba, e
quando la prima linea dell'esercito francese fu pronta a ricevere il suo
generale, i raggi di un sole splendente scintillavano lungo lo smagliante
schieramento. Allora quel successo, già così ben noto, fu ufficialmente
annunciato; la compagnia favorita che era stata scelta per proteggere le
porte del forte fu distaccata e sfilò davanti al suo capo; fu dato il
segnale del loro avvicinarsi e i soliti preparativi per un cambiamento di
capo furono ordinati ed eseguiti direttamente sotto i cannoni delle
fortificazioni contese.
Una scena molto diversa si
presentava invece nelle file dell'esercito anglo-americano. Non appena fu
dato il segnale, si videro i segni di una partenza frettolosa e forzata. I
soldati di malumore si misero sulle spalle i fucili scarichi e presero il
loro posto, come uomini il cui sangue ancora ribolliva per la passata
contesa, e desiderosi solo di trovare un'opportunità per vendicare
un'azione indegna che ancora feriva il loro orgoglio, soffocato com'era
dall'osservanza dell'etichetta militare. Donne e bambini correvano da un
luogo all'altro, portando quel poco che rimaneva del loro bagaglio, altri
cercando fra le file i visi di coloro da cui speravano protezione.
Munro apparve fra le truppe
silenziose, fermo ma abbattuto. Era evidente che il colpo inaspettato
aveva profondamente colpito il suo cuore, benché lottasse per sopportare
la propria disgrazia comportandosi virilmente.
Duncan fu commosso dalla quieta e
impressionante manifestazione di questo dolore. Egli aveva assolto al suo
dovere, e ora si teneva stretto al fianco del vecchio per chiedergli in
che cosa potesse ancora servirlo.
«Le mie figlie,» fu la breve ma
significativa risposta.
«Non è ancora stato disposto nulla
per loro?»
«Oggi sono soltanto un soldato,
Maggiore Heyward,» disse il veterano. «Tutto quello che vedete qui,
reclama allo stesso modo il diritto di essere chiamato mio figlio.»
Duncan aveva udito abbastanza.
Senza perdere uno di quei momenti che ora erano diventati così preziosi,
volò verso il quartiere di Munro, in cerca delle sorelle. Le trovò sulla
soglia del basso edificio, già pronte per la partenza e circondate da un
gruppo vociante di donne in lacrime, che si erano raccolte là per una
sorta di istintiva consapevolezza che quel punto probabilmente sarebbe
stato il più protetto. Cora, benché avesse le guance pallide e
un'espressione affranta, non aveva perduto nulla della sua fermezza, gli
occhi di Alice invece erano arrossati e rivelavano quanto a lungo ed
amaramente avesse pianto. Entrambe tuttavia ricevettero il giovane con
evidente piacere; stranamente fu Cora la prima a parlare.
«Il forte è perduto,» ella disse
con un malinconico sorriso; «ma il nostro buon nome, spero, è salvo.»
«È più luminoso che mai. Ma cara
signorina Munro, è tempo che pensiate meno agli altri e provvediate a voi
stessa. Le norme militari - l'orgoglio - quell'orgoglio che voi stessa
tenete in così alta considerazione, richiedono che vostro padre ed io
andiamo avanti per un po' con le truppe. Dove trovare dunque un protettore
adatto per voi contro la confusione e i pericoli di questa situazione?»
«Non è necessario,» replicò Cora
«chi oserebbe offendere o insultare le figlie di un simile padre in un
momento come questo?»
«Non vorrei lasciarvi sole,»
continuò il giovane guardandosi attorno frettolosamente, «nemmeno per il
comando del miglior reggimento del re. Ricordate, la nostra Alice non è
detta di tutta la vostra fermezza, e Dio solo sa il terrore che dovrà
sopportare.»
«Potete aver ragione,» replicò
Cora sorridendo ancora, ma molto più tristemente di prima. «Ascoltate, il
caso ci ha già inviato un amico quando ce n'era tanto bisogno.»
Duncan ascoltò e subito comprese a
cosa ella alludesse. Le basse e severe note della musica sacra, così ben
conosciuta nelle provincie orientali, raggiunsero le sue orecchie e lo
guidarono verso una stanza in una costruzione adiacente, già abbandonata
dai suoi abitanti abituali. Là trovò David che esternava i suoi pii
sentimenti con la sola mediazione di ciò cui egli sempre si dedicava.
Duncan aspettò finché, con l'arrestarsi del movimento della mano, ritenne
che il motivo fosse finito, allora, toccandogli la spalla attirò la sua
attenzione, e in poche parole espose i suoi desideri.
«Certo,» rispose il devoto
discepolo del re d'Israele quando il giovane ebbe finito, «ho trovato le
fanciulle aggraziate e melodiose, ed è bene che noi che abbiamo condiviso
tanto pericolo, rimaniamo insieme in pace. Le accompagnerò quando avrò
terminato la mia preghiera mattutina alla quale manca solo la dossologia.
Volete sostenere una parte, amico mio? Il metro è il solito e l'aria
‹Southwell›.»
Poi, tenendo aperto il volumetto e
intonando il motivo da capo con la dovuta attenzione, David ricominciò e
finì il suo canto in modo così risoluto che era difficile interromperlo.
Heyward attese di buon grado la fine dei versi, poi, vedendo David
togliersi gli occhiali e riporre il libro, continuò: «Sarà vostro dovere
badare a che nessuno avvicini le signore con intenzioni villane, per
insultarle o schernirle a causa della disgrazia del loro valoroso padre.
In ciò sarete aiutato dai domestici della loro casa.»
«Certo.»
«È possibile che gli indiani o i
nemici sbandati vi importunino, nel qual caso ricorderete loro i termini
della capitolazione e li minaccerete di riferire il loro comportamento a
Montcalm. Basterà una parola.»
«Se no, ho qui quello che ci
vuole,» replicò David mostrando il volume, con un'aria in cui mitezza e
fiducia erano singolarmente mescolate. «Ecco delle parole che, se
pronunciate, o piuttosto declamate, con la dovuta enfasi e col giusto
ritmo, placherebbero i più intemperanti: ‹Perché infierisce il pagano
furiosamente!›» «Basta,» disse Heyward, interrompendo l'erompere di tali
invocazioni musicali: «Ci siamo capiti; è ora che assumiamo i nostri
rispettivi compiti.»
Gamut assentì lietamente e insieme
andarono a cercare le donne. Cora ricevette il suo nuovo e in qualche modo
straordinario protettore quantomeno cortesemente, e persino i pallidi
lineamenti di Alice si illuminarono ancora una volta di una loro naturale
malizia mentre ringraziava Heyward per la sua attenzione. Duncan colse
l'occasione per assicurarle che aveva fatto del suo meglio date le
circostanze e, egli riteneva, abbastanza perché si sentissero sicure;
quanto al pericolo non ce n'era. Poi parlò lietamente della sua intenzione
di raggiungerle non appena fossero avanzati di poche miglia verso
l'Hudson, e immediatamente prese congedo.
Nel frattempo era stato dato il
segnale della partenza, e la testa della colonna inglese si era messa in
movimento. Le sorelle sussultarono a quel suono, e guardandosi attorno
videro le bianche uniformi dei granatieri francesi che si erano già
impadroniti delle porte del forte. In quel momento un'enorme nube sembrò
passare al di sopra delle loro teste e guardando in su videro che si
trovavano sotto le bianche pieghe dello stendardo di Francia.
«Andiamo,» disse Cora, «questo non
è più un luogo adatto per le figlie di un ufficiale inglese.»
Alice si aggrappò al braccio della
sorella e insieme lasciarono lo spiazzo, accompagnate dalla folla in
movimento. Mentre passavano le porte, gli ufficiali francesi, che
conoscevano il loro rango, si inchinavano spesso e profondamente, evitando
però di fare dei complimenti che un minimo di tatto suggeriva loro essere
sgraditi.
Poiché tutti i veicoli e tutte le
bestie da soma erano occupati dai malati e dai feriti, Cora aveva deciso
di sopportare le fatiche di una marcia a piedi piuttosto che scomodarli.
Invero molti soldati mutilati e deboli furono costretti a trascinare le
loro membra esauste dietro la colonna a causa della mancanza, in quelle
regioni selvagge, dei mezzi necessari al trasporto. Tutti però erano in
moto, i deboli e i feriti lamentandosi e soffrendo, i loro compagni
silenziosi e afflitti e le donne e i bambini terrorizzati, senza sapere
perché.
Quando la confusa e intimidita
folla lasciò i terrapieni protettivi del forte e uscì all'aria aperta,
l'intera scena si presentò ai loro occhi. A poca distanza, sulla destra,
verso la retroguardia, stava l'esercito francese in armi, perché Montcalm
aveva raccolto le sue compagnie non appena la guardia aveva preso possesso
delle fortificazioni. Essi erano attenti ma silenziosi osservatori della
condotta dei vinti, non mancando in nessuno degli onori militari stipulati
e senza recar beffe o insulti, nel successo, ai loro meno fortunati
nemici.
A gruppi - masse viventi che si
muovevano lentamente per la pianura verso il punto di raccolta,
gradualmente fondendosi le une nelle altre - gli inglesi, in tutto quasi
tremila, venivano convergendo nel luogo da cui sarebbe di lì a poco
iniziata la marcia: un corridoio fra alti alberi, proprio là dove la
strada verso l'Hudson si inoltrava nella foresta. Lungo i vasti margini
della foresta nugoli scuri di selvaggi assistevano al passaggio del nemico
da una certa distanza, come avvoltoi trattenuti dal lanciarsi sulla preda
solo dalla presenza e dagli ordini di un esercito superiore. Alcuni
girovagavano tra le file dei vinti, dove camminavano in cupo scontento,
osservatori attenti benché passivi, di quella moltitudine in movimento.
L'avanguardia, con Heyward alla
testa, aveva già raggiunto la gola e stava scomparendo lentamente, quando
l'attenzione di Cora fu attratta dai rumori di una controversia nella
direzione di un gruppo di sbandati. Un coloniale indisciplinato stava
pagando il fio della sua disobbedienza poiché veniva spogliato proprio di
quegli oggetti per i quali aveva abbandonato il proprio posto nella fila.
L'uomo aveva una corporatura robusta ed era troppo avaro per dividersi
dalla sua roba senza lottare. Da entrambe le parti si interveniva, ora per
prevenire, ora per favorire l'estorsione. Le voci si fecero alte e
rabbiose e, come per magia apparvero un centinaio di selvaggi dove un
minuto prima ce n'erano solo una dozzina. Fu allora che Cora vide la
figura di Magua sgattaiolare fra quelli della sua razza e parlare con la
sua fatale e astuta eloquenza. La massa di donne e bambini si fermò e
vacillò come uccelli impauriti e tremanti. Ma la cupidigia del selvaggio
fu presto appagata e i diversi gruppi poterono proseguire lentamente. Ora
i selvaggi indietreggiarono e sembrarono limitarsi a lasciar andare i loro
nemici senza altri fastidi. Ma quando la folla di donne si avvicinò loro,
i vistosi colori di uno scialle attrassero gli sguardi di un Urone
selvaggio e ignorante. Costui si fece avanti senza la minima esitazione
per afferrarlo.
La donna, più per il terrore che
per amore dell'ornamento, avvolse il suo piccolo nell'indumento così
ardentemente desiderato e li strinse entrambi più vicini al petto. Cora
stava per parlare con l'intenzione di consigliare alla donna di lasciar
perdere quella sciocchezza, quando il selvaggio lasciò andare lo scialle e
le strappò il bimbo piangente dalle braccia. Abbandonando ogni cosa
all'avida brama di coloro che la circondavano, la madre si lanciò come
folle a reclamare suo figlio. L'indiano sorrise torvo e, tendendo una
mano, fece capire la sua volontà di fare uno scambio, mentre con l'altra
agitava il bimbo sopra la sua testa, tenendolo per i piedi come per
aumentare il prezzo del riscatto.
«Qui... qui... là... tutto... ogni
cosa... tutto!» esclamò la donna senza fiato, strappandosi di dosso le
parti di vestiario più leggere, con dita impacciate e tremanti «Prendete
tutto ma datemi il mio bambino!»
Il selvaggio respinse gli inutili
stracci e quando si accorse che lo scialle era già diventato bottino di un
altro, il suo sorriso canzonatorio ma bieco si trasformò in un guizzo di
ferocia: egli sbatté contro la roccia la testa del bimbo e ne gettò i
resti palpitanti proprio ai piedi di lei. Per un istante la madre rimase
immobile come la statua della disperazione, guardando stravolta l'oggetto
ripugnante che poco prima si rannicchiava al suo seno e le sorrideva; poi
alzò gli occhi e il viso verso il cielo, come ad invocare da Dio
maledizione su colui che aveva perpetrato quell'infame misfatto. Le fu
risparmiato il peccato di una simile preghiera, perché folle per la
delusione e eccitato dalla vista del sangue, l'Urone le scagliò il
tomakawk sulla testa. La madre stramazzò sotto il colpo e cadendo si
aggrappò al suo bambino con lo stesso esclusivo amore col quale aveva
avuto cura di lui quando era in vita.
In quel terribile momento Magua si
portò una mano alla bocca e levò il fatale e spaventevole grido. Gli
indiani sparsi sussultarono al noto richiamo come destrieri che balzano
verso il traguardo; e subito si levò un tale urlo per la vallata e
attraverso gli archi della foresta, quale raramente esplode da labbra
umane. Coloro che lo udirono, ne ebbero il cuore agghiacciato da un
terrore di poco inferiore da quello che si immagina debba accompagnare gli
squilli del giudizio finale.
A quel segnale più di duemila
selvaggi furibondi irruppero dalla foresta e si lanciarono giù per la
fatale pianura con istintiva violenza. Non ci soffermeremo sui rivoltanti
orrori che seguirono. La morte era ovunque e nel suo aspetto più
terrificante e disgustoso. La resistenza serviva solo a infiammare gli
assassini che infliggevano i loro colpi furiosi anche molto dopo: quando
le vittime non avevano neppure più la possibilità di rendersene conto.
Le truppe organizzate si
raccolsero rapidamente in solide masse nel tentativo di incutere timore
agli assalitori mediante l'aspetto imponente di un fronte militare.
L'esperimento in parte riuscì, benché troppi si fossero lasciati strappare
di mano i fucili scarichi nel vano tentativo di placare i selvaggi
Durante tale scena nessuno poté
contare i minuti che passarono. Forse per dieci minuti (ma a loro sembrò
un secolo), le sorelle rimasero inchiodate in un punto, inorridite e quasi
indifese. Quando fu inferto il primo colpo le compagne urlanti si erano
strette a loro in massa rendendo impossibile ogni fuga; e ora che la paura
o la morte ne aveva disperso la maggior parte, se non tutte, esse non
vedevano più alcuna via d'uscita, se non quella che conduceva ai tomahawk
dei nemici. Da ogni parte si levavano urla, gemiti, esortazioni e
imprecazioni.
In quel momento Alice intravide la
possente figura del padre che attraversava rapidamente la pianura, in
direzione dell'esercito francese.
Egli stava infatti recandosi da
Montcalm, incurante del pericolo, a reclamare la scorta ritardataria come
era nelle condizioni. Cinquanta asce lucenti e lance acuminate
minacciarono la sua vita senza che egli vi badasse, ma i selvaggi, pur
nella loro furia, rispettarono il suo grado e la sua calma. Le pericolose
armi venivano respinte dall'ancora nerboruto braccio del veterano, o si
abbassavano da sé, dopo aver minacciato un gesto che, si sarebbe detto,
nessuno aveva il coraggio di eseguire. Fortunatamente il vendicativo Magua
stava cercando la sua vittima proprio nel gruppo che il veterano aveva
appena lasciato.
«Papà... papà... siamo qui!»
strillò Alice mentre egli passava non molto lontano, senza aver l'aria di
badare a loro. «Vieni da noi, papà o moriremo!»
Il grido fu ripetuto in termini e
accenti che avrebbero sciolto un cuore di pietra, ma rimase senza
risposta. Una volta soltanto, veramente, il vecchio parve aver colto un
suono, perché si fermò ad ascoltare; ma Alice si era accasciata al suolo
priva di sensi e Cora china al suo fianco, si dava da fare con
infaticabile tenerezza attorno al corpo esamine della sorella. Munro
scosse il capo deluso e proseguì per dedicarsi all'alto compito che il suo
grado gli imponeva.
«Signora» disse Gamut che inerme e
inutile com'era non si era nemmeno sognato di abbandonare coloro che gli
erano state affidate: «questo è il giubileo dei demoni e non si conviene a
dei cristiani restare qui. Alziamoci e fuggiamo.»
«Va!» disse Cora, continuando a
guardare la sorella svenuta. «Salvati. A me non puoi più essere utile.»
David comprese dal semplice ma
espressivo gesto che accompagnò queste parole che la decisione di lei era
irremovibile. Egli guardò per un momento le forme scure che lo
circondavano, e la sua alta persona si fece ancora più ritta, gonfiò il
petto mentre tutti i suoi lineamenti si dilatarono e sembrarono parlare
con la forza dei sentimenti dai quali egli era dominato.
«Se il ragazzo ebreo poté domare
lo spirito maligno di Saul col suono della sua arpa e le parole dei canti
sacri, potrebbe non essere fuori luogo,» disse «provare la potenza della
musica anche qui.»
Poi, levando la voce ai toni più
alti, proruppe in un canto così potente da essere udito anche in mezzo al
frastuono. Più di un selvaggio si precipitò verso di loro, con
l'intenzione di derubare le sorelle degli abiti e portar via le loro
cotenne, ma quando trovavano quella strana e immobile figura inchiodata al
suo posto, si fermavano per ascoltare. Lo stupore presto diveniva
ammirazione e andavano a cercare altre meno coraggiose vittime, esprimendo
apertamente il loro compiacimento per la fermezza con la quale il
guerriero bianco cantava il suo canto di morte. Incoraggiato e illuso da
questo successo, David impiegò tutta la sua forza per esercitare quella
che credeva una santa influenza. L'insolito suono giunse alle orecchie di
un selvaggio lontano, che correva furioso da un gruppo all'altro,
spregiando di toccare la massa volgare, per andare a caccia di vittime più
degne della sua fama. Era Magua, il quale emise un grido di gioia quando
vide che i suoi antichi prigionieri erano ancora in sua mercé.
«Vieni,» disse appoggiando la sua
mano sudicia sul vestito di Cora: «La wigwam dell'Urone è ancora aperta;
essa non è forse meglio di questo luogo?»
«Vattene!» gridò Cora, coprendosi
gli occhi davanti al suo aspetto rivoltante.
L'indiano rise di scherno alzando
la mano fumante e rispose: «È rosso, ma viene da vene bianche!»
«Mostro! c'è sangue, oceani di
sangue sulla tua anima: è il tuo spirito che ha messo in opera tutta
questa scena.»
«Magua è un grande capo!» replicò
il selvaggio esultante. «Vuole capelli-neri venire con la sua tribù?»
«Mai! Colpisci se vuoi, e completa
la tua vendetta.»
Egli esitò un momento, poi,
prendendo fra le braccia il corpo leggero e inanimato di Alice, l'astuto
indiano si mosse rapido attraverso la pianura, verso i boschi.
«Aspetta!» gridò Cora seguendolo
come fuori di sé. «Lascia la bambina, vile, cosa fai?»
Ma Magua era sordo ai suoi
richiami, o piuttosto conosceva il suo potere ed era deciso a mantenerlo.
«Aspettate... signora...
aspettate,» gridò Gamut seguendo Cora che era come impazzita; «il sacro
incanto si comincia a sentire e presto questo orrido tumulto tacerà.»
Accorgendosi che non si badava a
lui, il fedele David seguì la sorella sconvolta, levando di nuovo la voce
in una sacra canzone e fendendo l'aria ritmicamente col lungo braccio in
diligente accompagnamento. Così attraversarono la piana tra i fuggiaschi,
i feriti e i morti. Il feroce Urone badava a se stesso e alla vittima che
portava: Cora sarebbe caduta più di una volta sotto i colpi dei suoi
selvaggi nemici, se non fosse stato per l'essere straordinario che le
teneva dietro e che ora appariva agli stupefatti selvaggi, dotato dello
spirito protettore della follia.
Magua, che sapeva come evitare i
pericoli più immediati, e anche come eludere l'inseguimento, penetrò nei
boschi attraverso un basso burrone, dove subito trovò i Narraganset che i
viaggiatori avevano abbandonato poco prima e che aspettavano la sua venuta
custoditi da un selvaggio dall'espressione feroce e malvagia simile alla
sua. Mettendo Alice su uno dei cavalli, fece segno a Cora di salire
sull'altro.
Nonostante l'orrore suscitato
dalla presenza del suo rapitore, ella provò un momentaneo sollievo nel
fuggire dalla scena che si stava svolgendo per tutta la pianura e alla
quale Cora non poteva affatto rimanere insensibile. Ella prese il suo
posto e, onde avere la sorella, tese le braccia con una tale espressione
di supplica e di amore, che nemmeno l'Urone poté rifiutare. Mettendo
dunque Alice sullo stesso animale insieme a Cora, egli prese la briglia e
si avviò immergendosi ancor più nella foresta. David, accorgendosi di
essere stato lasciato solo, completamente trascurato come un essere
indegno persino di essere distrutto, pose le lunghe gambe attraverso la
sella del cavallo rimasto e continuò l'inseguimento come poteva, date le
difficoltà del cammino.
Presto cominciarono a salire, ma
poiché il movimento rischiava di risvegliare i sensi dormienti della
sorella, l'attenzione di Cora era troppo divisa tra la più tenera
sollecitudine verso di lei e l'ascolto delle grida che ancora si udivano
dalla pianura, perché facesse caso alla direzione che avevano preso.
Quando tuttavia raggiunsero una superficie piatta in cima alla montagna,
ella riconobbe il luogo al quale già una volta era stata condotta, sotto i
più amichevoli auspici dell'esploratore.
Qui Magua le fece scendere da
cavallo e, nonostante la loro condizione di prigioniere, la curiosità che
sembra inseparabile dall'orrore le indusse a guardare la scena nauseabonda
che si svolgeva sotto di loro.
La crudele opera non era ancora
finita. Da ogni parte i prigionieri fuggivano davanti ai loro implacabili
persecutori, mentre le colonne armate del re cristiano rimanevano immobili
in un'apatia che non è mai stata spiegata e che ha lasciato una macchia
incancellabile sullo stemma altrimenti intatto del loro capo. Né la spada
della morte fu deposta finché la cupidigia non sopraffece la vendetta. Poi
i gemiti dei feriti e gli urli degli assassini si fecero più rari, finché
i gridi di orrore si perdettero o furono sovrastati da quelli, lunghi,
laceranti, dei selvaggi in trionfo.
XVIII
Ebbene, qualunque cosa:
un onorato assassino, se volete;
perché nulla ho fatto per odio, ma
tutto per l'onore.
Otello
La scena inumana, più menzionata
che descritta nel capitolo precedente, è messa ben in evidenza nelle
pagine della storia coloniale con il meritato titolo di «Massacro di
William Henry». Un tale fatto, dopo che un analogo e precedente episodio
aveva già macchiato la reputazione del comandante francese, fece si che
neppure la sua prematura e gloriosa morte potesse completamente
riabilitarlo.
Ora il tempo sta offuscandone il
ricordo, e migliaia di quelli che sanno che Montcalm morì da eroe sulle
pianure di Abraham, ancora non sanno quanto egli mancasse di quel coraggio
morale senza del quale nessun uomo può essere veramente grande. Si
dovrebbero scrivere pagine e pagine per mettere in evidenza con questo
illustre esempio i difetti della grandezza umana: onde dimostrare quanto
facile sia per i sentimenti generosi, l'alta cortesia e il coraggio
cavalleresco, perdere di efficacia sotto il freddo influsso dell'egoismo;
e infine per additare al mondo un uomo che fu grande per quel che riguarda
tutti gli attributi minori del carattere, ma che si mostrò debole, quando
divenne necessario provare quanto i principi siano superiori alla
politica. Ma tale compito esulerebbe dai nostri propositi e, poiché la
storia, come l'amore, è incline a circondare i suoi eroi di un alone di
luce immaginaria, è probabile che Louis de St. Véran sarà visto dai
posteri solo come il coraggioso difensore del suo paese, mentre la sua
crudele apatia sulle rive dell'Oswesgo e dell'Horican sarà dimenticata.
Così rimpiangendo profondamente
questa manchevolezza da parte della sorella musa, ci ritireremo subito dai
suoi sacri confini entro il limite della nostra umile vocazione.
Il terzo giorno dalla presa del
forte stava ormai volgendo al termine, ma le necessità della narrazione
devono ancora trattenere il lettore sulle rive del «lago sacro». Quando li
abbiamo visti per l'ultima volta i dintorni del forte erano pieni di
violenza, e tumulto; ora invece erano in preda al silenzio e alla morte. I
vincitori, lordi di sangue, se ne erano andati; e il loro accampamento,
che così di recente aveva risuonato dell'allegro gioire di un esercito
vittorioso, giaceva come silenziosa e abbandonata città di capanne. La
fortezza era una rovina in cui ancora il fuoco covava sotto la cenere.
Tronchi carbonizzati, frammenti di pallottole esplose e parti in muratura
squarciate, coprivano i terrapieni in un confuso disordine.
Anche il tempo era paurosamente
mutato. Il sole aveva nascosto il suo calore dietro un'impenetrabile massa
di vapori e centinaia di forme umane, già annerite sotto il feroce calore
d'agosto, stavano ora irrigidendosi nella loro deformità, sotto le
raffiche di un prematuro novembre. Le nebbie arricciate e bianche che si
erano viste ondeggiare verso nord, al di sopra delle colline, stavano ora
tornando in un'immensa distesa scura, spinte dalla furia della tempesta.
Il tranquillo specchio dell'Horican era scomparso e al suo posto verdi
acque agitate battevano le sponde, come volessero restituire, indignate,
le loro impurità alla costa insozzata.
L'acqua chiara pur serbando un po'
del suo incanto, rifletteva la cupa tristezza del cielo sovrastante.
L'umida e piacevole atmosfera che di solito avvolgeva tutta la scena
velandone l'asprezza e addolcendone le scabrosità, ora era scomparsa, e
l'aria del nord soffiava attraverso la distesa di acqua così sferzante,
che non rimaneva più niente da immaginare con gli occhi o da ricreare
nella fantasia.
Il fuoco aveva raso la vegetazione
della pianura che pareva come ferita dal fulmine distruttore. Ma qua e là
un ciuffo verde scuro cresceva in mezzo alla desolazione, primo frutto di
un suolo nutrito dal sangue umano. L'intero paesaggio così bello, se visto
in una luce favorevole e a temperatura ideale, sembrava ora un quadro
dell'allegoria della vita, nel quale gli oggetti vi figuravano disposti
nei loro più crudi colori di verità, senza il sollievo di ombra alcuna.
I radi e solitari fili d'erba si
sollevavano alle raffiche che li spazzavano, divenendo appena
percettibili. Le superbe e rocciose montagne erano ben distinguibili nella
loro desolazione e l'occhio invano cercava sollievo, tentando di penetrare
l'immenso vuoto del cielo, chiuso allo sguardo dalla fosca distesa dei
vapori incalzanti delle nebbie.
Il vento soffiava ineguale, a
volte spazzando pesantemente il terreno come volesse sussurrare i suoi
lamenti nell'orecchio freddo dei morti, poi, levandosi in un sibilo
stridulo e lamentoso, entrava a folate nella foresta che riempiva di
foglie e rami sparpagliati al suo passaggio. A quella pioggia insolita,
pochi corvi affamati lottavano con l'impeto del vento; ma non appena
questo aveva oltrepassato il verde oceano dei boschi sotto di sè
tornavano, essi lieti e disordinati, a consumare il loro orrido pasto.
In breve, la scena era selvaggia e
desolata e sembrava che coloro che vi erano empiamente entrati fossero
stati colpiti, tutati insieme, dal braccio implacabile della morte. Ma ora
il divieto era finito; e per la prima volta dopo che se n'erano andati
quanti avevan perpetrato le folli imprese capaci di deturpare tutta la
scena - esseri umani viventi avevano osato avvicinarsi a quel luogo.
Circa un'ora prima del calare del
sole, nel giorno già menzionato, si potevano vedere le sagome di cinque
uomini uscire dallo stretto passaggio fra gli alberi proprio nel punto in
cui la via all'Hudson penetra nella foresta e si inoltra in direzione del
forte in rovina. Dapprima il loro procedere fu lento e guardingo, come se
entrassero con riluttanza tra gli orrori di quel luogo, o temessero il
rinnovarsi degli spaventosi fatti che vi si erano svolti. Una figura
leggera precedeva il resto della compagnia con la cautela e l'agilità di
un indigeno. Costui saliva su ogni collinetta per fare una ricognizione e
indicava coi gesti ai suoi compagni la strada che riteneva più prudente
seguire. Né quelli che lo seguivano mancavano di tutte le cautele e
precauzioni che son proprie della guerra nella foresta. Uno di loro,
anch'egli un indiano, si muoveva mantenendosi un po' discosto e
sorvegliava i margini dei boschi con occhi di chi ha una lunga abitudine a
leggere il minimo segno di pericolo. Gli altri tre erano bianchi, benché
vestiti di abiti, per qualità e per colore, appropriati alla loro attuale
audace impresa: quella di stare ai margini di un esercito in ritirata
nella foresta.
Gli effetti prodotti dallo
spaventoso spettacolo che costantemente si presentava sul loro cammino,
verso le rive del lago, variavano a seconda della personalità dei diversi
individui che componevano la compagnia.
Il giovane che stava davanti
gettava occhiate gravi ma furtive alle vittime straziate mentre
attraversava leggero la pianura, timoroso di mostrare i suoi sentimenti e
tuttavia troppo inesperto per soffocare interamente l'improvvisa e forte
sensazione che gli suscitavano. Il suo compagno dalla pelle rossa, invece,
era superiore a tale debolezza. Egli passava sui mucchi di morti con una
fermezza e un occhio così calmo che soltanto una lunga e inveterata
pratica potevano consentirgli di mantenere. Anche le sensazioni prodotte
nelle menti dei bianchi erano diverse, benché tutte dolorose. Uno, dai
capelli grigi e il viso solcato di rughe rivelava un'aria e un passo
marziale nonostante l'abbigliamento da uomo dei boschi; costui era un uomo
esperto di scene di guerra, ma non si vergognava di gemere profondamente
ogniqualvolta uno spettacolo più orrendo del solito cadeva sotto i suoi
occhi. Il giovane che camminava al suo fianco fremeva di disgusto, ma
sembrava reprimere i suoi sentimenti per rispetto del compagno. Di tutti
costoro, l'uomo isolato che chiudeva il gruppo sembrava il solo a tradire
i suoi veri pensieri senza paura di critiche o timore di conseguenze. Egli
guardava gli spettacoli più tremendi con occhi e muscoli che non
conoscevano esitazioni, ma con maledizioni così amare e profonde da
denotare quanto disprezzasse il crimine dei nemici.
Il lettore riconoscerà subito in
questi personaggi i Mohicani e nel loro amico bianco, l'esploratore,
insieme a Munro ed Heyward. Si, trattava, invero, del padre alla ricerca
delle figliole aiutato dal giovane che sentiva un così profondo interesse
per la loro felicità e da quei bravi e fedeli uomini della foresta che
avevano già dimostrato tutta la loro abilità e la loro fedeltà nelle
dolorose circostanze che abbiamo riportato.
Quando Uncas, che si trovava
davanti, ebbe raggiunto il centro della pianura, levò un grido che portò i
compagni tutti insieme in quel punto. Il giovane guerriero si era fermato
presso un gruppo di donne che giacevano a grappolo, confusa massa di
morti. Nonostante l'orrore rivoltante dello spettacolo, Munro ed Heyward
si precipitarono verso il fetido mucchio, tentando, con un amore che
nessuna bruttura avrebbe potuto estinguere, di scoprire se qualche resto
di coloro che cercavano si trovava tra quei vestiti stracciati e rutilanti
di colori. Il padre e l'innamorato trovarono immediato sollievo nella
ricerca, benché entrambi fossero di nuovo condannati a provare il dolore
di una incertezza che era a mala pena meno insopportabile della più
disgustosa verità. Essi erano lì: ritti, silenziosi e pensosi accanto al
triste mucchio, quando l'esploratore si avvicinò loro.
Guardando il triste spettacolo con
espressione di collera, il risoluto uomo dei boschi, per la prima volta da
quando erano entrati nella pianura, parlò in modo intelleggibile e ad alta
voce: «La vendetta è un sentimento indiano e tutti quelli che mi conoscono
sanno che non c'è sangue misto nelle mie vene, ma questo tengo a dire -
qui, al cospetto del cielo e col potere del Signore così manifesto in
queste ululanti foreste -: che questi francesi non osino trovarsi un'altra
volta alla portata di una pallottola, perché c'è un fucile che reciterà la
sua parte finché l'acciarino avrà fuoco e le polveri bruceranno! Lascio il
tomahawk e il coltello a coloro che hanno un dono naturale per usarli.
Cosa ne dici Chingachgook,» aggiunse in delaware: «si vanteranno gli Uroni
di questo con le loro donne, quando verrà la neve alta?»
Un guizzo di risentimento
attraversò gli scuri lineamenti del capo indiano: egli liberò il coltello
dal fodero, poi, mentre si girava lentamente, il suo viso si ricompose in
una calma profonda, come non conoscesse le provocazioni della passione.
«Montcalm! Montcalm!» continuò
l'esploratore profondamente risentito e con minor controllo. «Dicono che
verrà il tempo in cui i fatti della carne verranno visti con un solo
sguardo e con occhi sgombri d'ogni male proprio ai mortali. Guai al
miserabile nato per vedere questa pianura quando il giudizio incombe sulla
sua anima! Ah! Quanto è vero che io sono un uomo bianco, quello che giace
laggiù è un pellerossa privato dei capelli dove natura li ha posti!
Guardatelo Delaware, può essere uno del vostro popolo disperso ed egli
deve avere sepoltura degna di un forte guerriero. Lo vedo nei tuoi occhi
Sagamore: un Urone pagherà per questo, prima che i venti d'autunno abbiano
portato via l'odore del sangue!»
Chingachgook si avvicinò al corpo
mutilato e rivoltandolo, trovò i segni distintivi di una di quelle sei
tribù alleate, o nazioni come le chiamavano, che per quanto battessero
nelle file inglesi, erano nonostante tutto ostili al suo popolo.
Respingendo col piede l'oggetto ripugnante, se ne distaccò con la stessa
indifferenza con la quale avrebbe abbandonato la carcassa di un animale.
L'esploratore comprese quel gesto e proseguì il suo cammino con decisione,
continuando però a lanciare improperi contro il generale francese con gli
accenti del più vivo risentimento.
«Soltanto un'infinita saggezza e
un illuminato potere possono osare distruggere moltitudini di uomini,»
aggiunse, «perché Egli è il solo che conosce la necessità del giudizio, e
cosa c'è sotto di Lui che possa sostituire le creature del Signore? Io
ritengo un peccato ammazzare il secondo cervo quando ho già mangiato il
primo, a meno che non mi aspetti una marcia o un'imboscata. Tutt'altra
faccenda è con pochi guerrieri o in una battaglia aperta e dura: perché
loro prerogativa è il morire col fucile o il tomahawk in mano, a seconda
che la loro natura li abbia fatti bianchi o rossi. Uncas, vieni qui
ragazzo, e lascia che i corvi si posino su quel Mingo. So, per averlo
visto spesso, che hanno una predilezione per la carne di un Oneida, ed è
bene che l'uccello segua il suo appetito naturale.»
«Hug!» esclamò il giovane Mohicano
sollevandosi sulle piante dei piedi, e guardando attentamente davanti a
sé; inducendo così, con quel suo verso e quel suo gesto, i corvi
spaventati a dedicarsi ad altre prede.
«Cosa c'è, ragazzo?» mormorò
l'esploratore, abbassandosi e insieme rannicchiandosi come una pantera che
stia per prendere lo slancio. «Vorrei che fosse un francese ritardatario,
in agguato per il saccheggio. Credo proprio che ‹Ammazzacervo› avrebbe un
insolito bersaglio oggi!»
Uncas, senza rispondere, balzò
via, e un istante dopo fu visto strappare da un cespuglio e sventolare con
trionfo un frammento del verde velo che Cora usava per cavalcare. Il
gesto, l'oggetto, e il grido che ancora uscì dalle labbra del giovane
Mohicano, portarono subito l'intera compagnia attorno a lui.
«La mia bambina!» disse Munro,
parlando in fretta e concitato, «datemi la mia bambina!»
«Uncas proverà,» fu la breve e
commovente risposta. Quella semplice ma significativa assicurazione
risultò perduta per il padre che aveva afferrato il pezzo di velo e lo
sgualciva, mentre i suoi occhi cercavano ansiosamente tra i cespugli, come
s'egli temesse e sperasse in ugual misura di apprendere il segreto che
potevano rivelare.
«Qui non ci sono morti,» disse
Heyward, «sembra che la burrasca non sia passata di qui.»
«È evidente e più chiaro del cielo
che sta sopra le nostre teste» replicò l'esploratore imperturbabile, «ma o
lei, o coloro che l'hanno rapita, sono passati per questo cespuglio,
perché io riconosco il pezzo di stoffa che indossava per nascondere un
viso che tutti amavano guardare. Uncas, hai ragione, Capelli-Neri è stata
qui ed è fuggita come un cerbiatto spaventato, perché nessuno abbia la
possibilità di andarsene rimarrebbe per essere ucciso. Cerchiamo le tracce
che ha lasciato: a volte penso che per un occhio indiano, persino un
colibrì lascerebbe segni nell'aria.»
Il giovane Mohicano balzò via per
seguire questo consiglio, e l'esploratore aveva appena finito di parlare
che il primo lanciò un grido di trionfo dai margini della foresta. Nel
raggiungere il punto da dove proveniva, l'ansiosa compagnia vide un altro
pezzo del velo che fluttuava sui rami più bassi di un faggio.
«Piano, piano,» disse
l'esploratore tendendo il lungo fucile davanti ad Heyward pieno di
apprensione. «Ora sappiamo quello che dobbiamo fare, ma questa traccia
così chiara non deve essere rovinata. Un passo troppo frettoloso può
causare ore di fastidi. Li abbiamo in pugno, però, e questo non lo si può
negare.»
«Dio vi benedica, Dio vi benedica
brav'uomo!» esclamò Munro «In che direzione dunque sono fuggite e dove
sono le mie bambine?»
«Il cammino che hanno preso
dipende da molte cose. Se sono sole esse possono aver descritto un cerchio
o essere andate diritto e ora possono essere a una dozzina di miglia da
noi; ma se gli Uroni, o uno qualsiasi degli indiani francesi, hanno messo
le mani su di loro, è probabile che ora si trovino presso i confini del
Canadà. Ma che importa?» continuò l'esploratore deciso, vedendo la forte
ansia e delusione che mostravano i suoi ascoltatori. «Siamo ad un capo
della traccia e, statene certi, i Mohicani ed io troveremo l'altro,
foss'anche a cento miglia lontano di qui! Piano, piano, Uncas, sei
impaziente come un colono; dimentichi che piedi leggeri lasciano pallide
tracce!»
«Hug!,» esclamò Chingachgook che
aveva esaminato un'apertura evidentemente praticata nella bassa sterpaglia
che bordava la foresta, e ora stava ritto e indicava in basso con un
atteggiamento e un'espressione di chi veda un disgustoso serpente.
«Qui c'è l'orma evidente del piede
di un uomo,» esclamò Heyward curvandosi sul punto indicato, «ha camminato
ai margini di questo stagno, e il segno non lascia dubbi. Sono
prigioniere.»
«È meglio così piuttosto che
morire di fame nella foresta,» replicò l'esploratore; «e inoltre
lasceranno più tracce. Scommetterei cinquanta pelli di castoro contro
altrettanti acciarini che i Mohicani ed io entreremo nelle loro wingwam
entro un mese. Chinati sull'impronta, Uncas, e vedi cosa puoi dedurre dal
mocassino, perché chiaramente si tratta di un mocassino e non di una
scarpa.»
Il giovane Mohicano si curvò
sull'orma e, scostando le foglie sparse intorno ad essa, la esaminò con
quella sorta di accuratezza con cui un trafficante di valuta, in questi
giorni di dubbi pecuniari, si dedicherebbe ad un conto che gli spetta.
Finalmente si alzò, soddisfatto del risultato del suo.
«Ebbene ragazzo?» domandò
l'attento esploratore, «cosa dice? Puoi ricavare qualcosa da un segno così
eloquente!»
«Le Renard Subtil!»
«Ah! di nuovo quella canaglia
rabbiosa! Dunque non la finirà mai di vagabondare finché ‹Ammazzacervo›
non gli avrà detto una parolina amichevole.»
Heyward suo malgrado confermò la
verità di questa notizia ed espresse speranza piuttosto che dubbio
dicendo:
«Un mocassino è molto simile ad un
altro, può darsi che ci sia un errore.»
«Un mocassino come un altro!
Potete dire per la stessa ragione che un piede è uguale ad un altro,
benché si sappia che uno è lungo e l'altro è corto, alcuni son larghi e
altri stretti, altri ancora hanno il collo alto oppure basso, e infine
alcuni hanno le dita piegate in dentro e altri in fuori. Un mocassino non
è uguale a un altro più di quanto un libro sia uguale ad un altro; benché
coloro che possono capirne uno raramente sono in grado, per questo, di
dire cosa vi sia nell'altro. E tutto è preordinato per il meglio, poiché
attribuisce a ciascun uomo i suoi vantaggi naturali. Lascia che guardi,
Uncas, né un libro né un mocassino diventano meno chiari se esaminati due
volte invece che una.» L'esploratore si chinò eseguendo e subito aggiunse:
«Hai ragione, ragazzo, questa è l'impronta che abbiamo visto tanto spesso
nell'altro inseguimento. E questo tale deve bere quando se ne presenti
l'occasione. Gli indiani che bevono imparano sempre a camminare con
l'alluce più scostato degli indiani sobri, perché è tipico di un ubriacone
camminare a gambe divaricate, sia esso bianco o rosso. E anche la
lunghezza e la larghezza sono le sue! Guarda, Sagamore: tu hai misurato le
impronte più di una volta quando andavamo a caccia di quei farabutti da
Glenn, alla fonte della salute.»
Chingachgook obbedì e, dopo aver
finito il breve esame si alzò, e con tranquillo contegno si limitò a
pronunciare la parola: «Magua!»
«Già, è cosa sicura, di qui sono
passati Capelli-Neri e Magua.»
«E Alice no?» domandò Heyward.
«Di lei non abbiamo ancora visto
nessun segno,» replicò l'esploratore guardando attentamente fra gli
alberi, tra gli arbusti, e in terra.
«Che cosa c'è qui? Uncas, portami
quella cosa che vedi penzolare dal roveto.»
Quando l'indiano ebbe eseguito,
egli prese l'oggetto e sollevandolo in alto, rise nel suo modo silenzioso
ma sentito.
«È l'arma sonora del cantore! Ora
abbiamo una traccia che anche un prete potrebbe seguire,» disse. «Uncas,
cerca l'impronta di una scarpa abbastanza lunga da sostenere sei piedi e
due pollici di traballante carne umana. Comincio ad avere qualche speranza
su quell'individuo, dato che ha smesso di strillare per dedicarsi a
qualche mestiere migliore.»
«Almeno è stato fedele al suo
compito,» disse Heyward; «e Cora e Alice non sono senza un amico.»
«Sì,» disse Occhio di Falco
abbassando il fucile e appoggiandosi ad esso con un'aria di visibile
disprezzo, «le farà cantare! Può forse uccidere un cervo per il loro
pasto, procedere basandosi sul muschio dei faggi, o tagliare la gola a un
Urone? Diversamente, il primo tordo che incontra avrà la meglio su di lui.
Bene, ragazzo nessuna traccia di questo sostegno?»
«Qui c'è qualcosa come l'orma di
uno che indossava una scarpa: può essere quella del nostro amico?»
«Tocca le foglie delicatamente,
altrimenti ne scombussoli la disposizione. Quella! Quella! Quella è
l'impronta di un piede, ma è di Capelli-Neri; ed è piccola anche per una
donna così alta e di nobile portamento. Il cantore la coprirebbe col suo
tallone.»
«Dove! Lasciatemi guardare le orme
della mia bambina» disse Munro scostando gli arbusti e curvandosi
amorosamente sull'impronta quasi cancellata. Benché il passo che aveva
lasciato il segno fosse leggero e rapido era ancora chiaramente visibile,
l'anziano soldato lo esaminò mentre gli occhi gli si offuscavano mentre
guardava. Né si alzò finché Heyward vide che aveva bagnato le tracce del
passaggio di sua figlia con una calda lacrima.
Desideroso di distrarlo da un
dolore che minacciava ad ogni momento di prorompere oltre i limiti imposti
dalle circostanze e dando al veterano qualcosa da fare, il giovane disse
rivolto all'esploratore:
«Poiché ora siamo in possesso di
questi segni infallibili, cominciamo la marcia. Un solo momento, in una
situazione come questa, sembrerà un secolo alle prigioniere.»
«Non è il daino più veloce quello
che fa durare di più la caccia,» replicò Occhio di Falco senza distogliere
lo sguardo dai diversi segni di cui era venuto in possesso; «sappiamo che
il feroce Urone è passato... e Capelli-Neri... e il cantore... ma dov'è
colei dai ricci gialli e gli occhi blu? Benché giovane e lungi dall'essere
coraggiosa come la sorella, è bella a vedersi e deliziosa quando parla.
Non ha nessuno che si occupi di lei?»
«Dio voglia che non gliene
manchino mai a centinaia! Non siamo alla sua ricerca ora? Quanto a me non
smetterò mai di cercarla finché non sarà trovata.»
«In questo caso dobbiamo prendere
strade diverse, perché di qui non è passata, per piccolo e leggero che sia
il suo piede.»
Heyward indietreggiò e tutto il
suo ardore di procedere parve svanire in quell'istante. Senza badare
all'improvviso cambiamento d'umore dell'altro, l'esploratore, dopo aver
riflettuto un momento, continuò:
«Non c'è una sola donna nella
foresta che potrebbe lasciare un'impronta come questa, se non Capelli-Neri
e sua sorella. Sappiamo che la prima è stata qui, ma dove sono i segni
dell'altra? Procediamo oltre seguendo queste tracce e se esse non
offriranno niente, dobbiamo tornare nella pianura e seguire un'altra
pista. Vai avanti Uncas, e tieni gli occhi sulle foglie secche. Io
guarderò nei cespugli, mentre tuo padre procederà naso a terra. Andiamo,
amici, il sole sta calando dietro le colline.»
«Non c'è nulla che io possa
fare?», domandò l'ansioso Heyward.
«Voi!» ripeté l'esploratore che
con i suoi amici rossi stava già avanzando nell'ordine che egli aveva
predisposto «sì, potete stare dietro di noi e stare attento a non pestare
le tracce.»
Prima di essere andati avanti
molte pertiche, gli indiani si fermarono avendo l'aria di scrutare qualche
segno in terra con insolita attenzione.
Padre e figlio parlarono
rapidamente ad alta voce, ora guardando l'oggetto della loro ammirazione,
ora guardandosi l'un l'altro col più palese compiacimento.
«Hanno trovato il piedino!»
esclamò l'esploratore avanzando senza badare alla parte di dovere che gli
spettava. «Cosa c'è? In questo punto è stata fatta un'imboscata. No, per
il fucile più infallibile delle frontiere, qui sono stati quei cavalli che
vanno di sghimbescio! Ora tutto il segreto è svelato e tutto è chiaro come
la stella polare a mezzanotte. Si, sono salite qui. Là le bestie sono
state legate ad un alberello mentre aspettavano, e là corre il grande
sentiero verso nord e arriva fino al Canadà.»
«Ma ancora non c'è traccia di
Alice... della più giovane delle signorine Munro...» disse Duncan.
«A meno che il ciondolo luccicante
che Uncas ha appena raccolto da terra non ne costituisca uno. Passalo qui,
ragazzo, che lo si possa vedere!»
Heyward riconobbe subito il
ciondolo che Alice amava indossare e che egli ricordò, con la tenace
memoria dell'innamorato, di aver visto il mattino fatale del massacro,
pendere dal bel collo di colei che amava. Egli afferrò il prezioso
gioiello e, nel dire di cosa si trattava, lo fece sparire dagli occhi
stupefatti dell'esploratore, il quale lo cercò invano per terra un bel po'
dopo che era stato appassionatamente stretto al cuore in tumulto di
Duncan.
«Puah!» disse Occhio di Falco
contrariato, smettendo di frugare fra le foglie col calcio del fucile. «È
certamente un segno di vecchiaia quando la vista comincia a indebolirsi;
un ninnolo così luccicante e non riesco a vederlo! Beh, beh, posso ancora
sbirciare lungo la canna rigata di un fucile, e tanto basta per sistemare
qualsiasi disputa tra me e i Mingo. Tuttavia mi piacerebbe trovare quella
cosa, non foss'altro che per portarla alla sua legittima proprietaria; il
che significherebbe riunire i due capi di quello che io chiamo un lungo
sentiero, perché a quest'ora il vasto Saint Lawrence o forse i Grandi
Laghi si trovano tra noi e loro.»
«Ragione di più per non indugiare
oltre,» replicò Heyward; «andiamo avanti.»
«Sangue giovane sangue caldo,
dicono siano la stessa cosa. Non stiamo per dare la caccia a uno
scoiattolo o per sospingere un daino verso l'Horican, saremo invece in
cammino per giorni e notti e attraverseremo zone selvagge, raramente
battute dal piede dell'uomo e dove nessuna conoscenza nata dai libri
potrebbe guidarvi senza pericolo. Un indiano non comincia mai una simile
spedizione senza fumare al consiglio del fuoco, e, benché io sia bianco,
rispetto le loro tradizioni in questo, perché vedo che sono decisi e
saggi. Perciò torneremo indietro e accenderemo il fuoco nelle rovine del
vecchio forte e al mattino saremo freschi e pronti a intraprendere il
nostro lavoro da uomini e non da donne chiacchierone o ragazzi
impazienti.»
Heyward vide dai modi
dell'esploratore che sarebbe stato inutile discutere. Munro era ricaduto
in quella sorta di apatia che lo aveva colto da quando le recenti tremende
disgrazie lo avevano colpito, e dalla quale poteva essere risvegliato solo
da una nuova e forte emozione. Facendo di necessità virtù, il giovane
prese il veterano per il braccio e seguì gli indiani e l'esploratore che
si erano già incamminati per il sentiero che li aveva condotti alla
pianura.
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