Quaderno a quadretti - L'ultimo dei Mohicani

XIX

Salar - Ne sono certo, se perde, tu non prenderai

la sua carne; a cosa servirebbe?

Shy - Allora sarà esca per i pesci: e se non nutrirà

niente altro, nutrirà la mia vendetta.

Il Mercante di Venezia

Erano calate già le ombre della sera, ad aumentare la desolazione del luogo, quando la compagnia entrò nelle rovine di William Henry. L'esploratore e i compagni fecero subito i preparativi per trascorrervi la notte, ma tuttavia con un contegno così serio e sobrio da tradire quanto gli straordinari orrori ai quali avevano appena assistito, agissero sui loro sensi pure così avvezzi a cose del genere. Alcuni frammenti di travi furono drizzati contro un muro annerito e quando Uncas li ebbe un poco ricoperti di arbusti, quella sistemazione provvisoria, a lavoro compiuto, fu giudicata sufficiente. Il giovane indiano indicò la rozza capanna mentre Heyward, che aveva capito il significato del silenzioso gesto, vi fece gentilmente entrare Munro. Dopo avervi lasciato l'orbato vecchio solo col suo dolore, Duncan immediatamente tornò all'aria aperta, troppo nervoso per cercare il riposo che aveva raccomandato al veterano.

Mentre Occhio di Falco e gli indiani accendevano il fuoco e consumavano la loro cena, un pasto frugale di carne d'orso disseccata, il giovane andò a visitare la cortina del forte annientato, che dava sullo specchio dell'Horican. Il vento era caduto e le onde si distendevano già sulla riva sabbiosa sotto di lui in un succedersi più regolare e dolce. Le nuvole, come stanche del furioso inseguimento, si stavano disperdendo: le più voluminose si raccoglievano in masse nere all'orizzonte, mentre la nuvolaglia più leggera passava rapida sull'acqua o turbinava tra le cime delle montagne come disordinati stormi di uccelli svolazzanti d'attorno ai loro nidi. Qua e là una stella rossa di fuoco cercava di aprirsi un varco fra il vapore vagante, e accendendo di una livida luce il pallido cielo. Nel cuore delle colline circostanti era già calata un'oscurità impenetrabile, e la pianura giaceva come un vasto ossario abbandonato, senza indizi o sussurri che turbassero il sonno dei suoi numerosi e sventurati abitatori.

Duncan rimase per parecchi minuti ad osservare rapito questa scena che gli richiamava un passato di paure. I suoi occhi vagavano dal centro del terrapieno, dove gli uomini della foresta stavano seduti attorno al fuoco ricco di bagliori nella più debole luce che ancora indugiava in cielo; poi si posarono a lungo e ansiosamente sopra la fitta oscurità che come cupa vacuità si stendeva dalla parte dove riposavano i morti. Presto gli parve che inesplicabili suoni sorgessero da quel luogo, benché così indistinti e furtivi da rendere incerta non solo la natura, ma la loro stessa esistenza. Vergognandosi delle sue apprensioni, il giovane si volse verso l'acqua e cercò di dirigere l'attenzione alle tremule stelle che luccicavano incerte sulla superficie increspata. Ma, ancora, le sue orecchie troppo attente eseguirono il loro spiacevole compito, come volessero avvertirlo di qualche pericolo incombente. Alla fine un rapido scalpiccio, in modo perfettamente udibile, sembrò attraversare l'oscurità. Incapace ormai di dominare l'inquietudine, Duncan si rivolse a bassa voce all'esploratore e gli chiese di salire sul terrapieno dove si trovava. Occhio di Falco si mise il fucile a tracolla e obbedì, ma con un'aria così sicura e calma da provare quanto egli contasse sulla sicurezza della loro posizione.

«Ascoltate!» disse Duncan, quando l'altro fu al suo fianco. «Ci sono rumori soffocati nella pianura che potrebbero dimostrare che Montcalm non ha ancora abbandonato del tutto il campo.»

«Allora le orecchie sono meglio degli occhi,» disse tranquillo l'esploratore, che avendo appena messo un pezzo di carne d'orso tra le mascelle parlava con imbarazzo e lentamente, come chi ha la bocca doppiamente occupata. «Io personalmente l'ho visto intrappolato a Ty con tutto il suo esercito, perché i vostri francesi, quando hanno fatto qualcosa di intelligente, amano tornare indietro a danzare e divertirsi con le donne per festeggiare il successo.»

«Non so. Gli indiani raramente dormono quando sono in guerra e il bottino può tenere qui un Urone dopo che la sua tribù è partita. Sarebbe bene spegnere il fuoco e dare un'occhiata... Ascoltate! Ecco il rumore di cui parlavo!»

«Gli indiani ancor più raramente si aggirano fra le tombe. Anche se sono pronti a uccidere, e senza badare troppo ai mezzi, in generale si accontentano della cotenna, a meno che non abbiano il sangue caldo o siano in collera; ma dopo che l'anima se n'è andata, dimenticano l'inimicizia e volentieri lasciano ai morti il loro naturale riposo. A proposito di spiriti, Maggiore, siete dell'opinione che il paradiso dei pellerossa e quello di noi bianchi sia lo stesso?»

«Senza dubbio, senza dubbio. Ho l'impressione di averlo udito di nuovo! O era il fruscio delle foglie in cima al faggio?»

«Quanto a me,» continuò Occhio di Falco, girandosi per un momento nella direzione indicata da Heyward, ma con fare assente e noncurante, «credo che il paradiso sia fatto per la felicità e che l'uomo vi si abbandonerà a seconda delle proprie inclinazioni. Perciò penso che un pellerossa non sia lontano dal vero quando crede che troverà quei famosi terreni di caccia di cui parlano le sue tradizioni; né per la stessa ragione, credo che sia disdicevole per un uomo di sangue puro passare il tempo...»

«Non lo sentite di nuovo?» interruppe Duncan.

«Già, già, sia quando il cibo è scarso, sia quando è abbondante, un lupo diventa baldanzoso,» disse l'esploratore impassibile. «Troverebbero avanzi anche fra la pelle dei diavoli se vi fossero tempo e luce per un simile divertimento. Ma quanto alla vita dell'al di là, Maggiore, ho udito dei predicatori nelle colonie dire che il paradiso è un luogo di pace. Ora, gli uomini hanno idee diverse sul divertimento. Per quanto mi riguarda, e lo dico con rispetto per l'ordine stabilito dalla Provvidenza, non sarebbe un gran piacere essere tenuto chiuso in quelle dimore delle quali vanno predicando, poiché ho una naturale inclinazione per il movimento e la caccia.»

Duncan, che ormai comprendeva la natura dei rumori che aveva udito, rispose con più attenzione all'argomento che il capriccio dell'esploratore aveva scelto di discutere, dicendo: «È difficile giudicare i sentimenti che possono accompagnare il grande cambiamento.»

«Sarebbe davvero un cambiamento per uno che ha passato i suoi giorni all'aria aperta,» replicò il semplice esploratore, «e ha così spesso fatto colazione presso le sorgenti dell'Horican, dormire fra il rumore dello scrosciante Mohawk. Ma è di conforto sapere che serviamo un Padrone misericordioso, benché ciascuno lo faccia a modo suo e con vasti tratti di foresta tra noi... cosa succede laggiù?»

«Non è il passaggio dei lupi che avete detto?»

Occhio di Falco scosse lentamente la testa e fece cenno a Duncan di seguirlo in un luogo dove non arrivava la luce del fuoco. Dopo aver preso questa precauzione, l'esploratore si mise in un atteggiamento di profonda attenzione e ascoltò a lungo e intento il ripetersi del rumore che lo aveva così inaspettatamente fatto sussultare. La sua vigilanza tuttavia sembrò vana, poiché, dopo una inutile pausa, mormorò rivolto a Duncan: «Dobbiamo chiamare Uncas, il ragazzo ha sensi indiani e può udire rumori per noi impercettibili, mentre io, essendo bianco, non negherò certo la mia natura.»

Il giovane Mohicano, che stava conversando a bassa voce con suo padre, sussultò quando udì il lamento di un gufo e, balzando in piedi, guardò verso il nero monticello come per cercare il punto donde proveniva il segnale. L'esploratore ripeté il richiamo e in pochi istanti Duncan vide la figura dell'indiano salire furtivamente lungo il bastione, verso il luogo dove si trovavano.

Occhio di Falco si spiegò in poche parole, pronunciate in delaware. Non appena Uncas conobbe la ragione per cui era stato chiamato, si distese pancia a terra e lì sembrò a Duncan che rimanesse calmo e immobile. Sorpreso della immobilità del giovane guerriero e curioso di osservare come egli impiegasse le sue facoltà per ottenere l'informazione desiderata, Heyward avanzò di pochi passi e si curvò sull'oggetto scuro sul quale aveva tenuto gli occhi fissi. Fu allora che scoprì che la forma di Uncas era sparita e che egli vedeva solo il contorno scuro di una irregolarità del terrapieno.

«Cosa ne è del Mohicano?» domandò meravigliato all'esploratore tornando indietro. «È qui che l'ho visto gettarsi a terra e avrei giurato che non si fosse mosso.»

«Sst! parlate più piano, perché non sappiamo chi ci ascolta, e i Mingo sono una razza di ingegno pronto. Quanto a Uncas è giù nella pianura e i Magua, se ce ne sono intorno a noi, troveranno un degno rivale.»

«Credete che Montcalm non abbia richiamato tutti i suoi indiani? Avvertiamo i nostri compagni che dobbiamo tenerci pronti con le armi. Siamo in cinque e non disavvezzi a incontrare un nemico.»

«Non una parola a nessuno, se vi è cara la vita. Guardate il Sagamore, come da grande capo indiano, siede vicino al fuoco; se ci sono dei vigliacchi nel buio dalla sua espressione non scopriranno mai che noi sospettiamo che il pericolo è vicino.»

«Ma possono scoprirlo e sarebbe la morte per lui. La sua persona è troppo chiaramente visibile alla luce del fuoco e lui diventerà la prima più certa vittima.»

«È innegabile che ora dite il vero,» replicò l'esploratore, tradendo più ansia del solito, «tuttavia, cosa si può fare? Un solo sguardo di sospetto potrebbe provocare un attacco prima che siamo pronti a riceverlo. Egli sa, dal richiamo che ho fatto a Uncas, che abbiamo scoperto una pista: gli dirò che siamo sulle tracce dei Mingo, la sua natura di indiano gli insegnerà come agire.»

L'esploratore si portò le dita alla bocca e trasse un basso suono sibilante, che a tutta prima, fece fare un balzo di lato a Duncan il quale credette di aver udito un serpente. La testa di Chingachgook era appoggiata a una mano, come meditasse, ma quando udì il verso dell'animale di cui portava il nome, la sollevò in posizione ritta e i suoi occhi scuri scrutarono rapidi e accorti attorno a lui. Con questo improvviso e forse involontario movimento, ebbe fine ogni apparenza di sorpresa o allarme. Non aveva toccato il fucile che giaceva, apparentemente dimenticato, a portata di mano. Persino il tomahawk che per comodità aveva allentato nella cintura, fu lasciato cadere a terra, e il suo corpo parve abbandonarsi, come chi rilassa nervi e muscoli per riposare. Riassumendo astutamente la sua posizione di prima, ma cambiando mano, come se il movimento fosse stato fatto semplicemente per dar sollievo all'arto, l'indigeno attese con una calma e una fermezza di cui soltanto un guerriero indiano è capace.

Ma Heyward vide che il Mohicano, mentre per un occhio meno esperto sembrava sonnecchiare, aveva invece le narici dilatate, la testa era girata un po' da una parte come per aiutare gli organi dell'udito, e i suoi acuti e rapidi sguardi correvano incessantemente su ogni oggetto che fosse in grado di vedere.

«Guardate quel nobile individuo!» sussurrò Occhio di Falco, facendo una leggera pressione sul braccio di Heyward. «Egli sa che uno sguardo o un movimento potrebbero mandare all'aria i nostri piani e metterci alla mercé di quei diavoli...»

Fu interrotto dal lampo e dalla detonazione di un fucile. L'aria si riempì di scintille attorno al luogo dove gli occhi di Heyward erano ancora fissi con ammirazione e meraviglia. Poi si accorse che Chingachgook era sparito ma nella confusione. Nel frattempo l'esploratore aveva puntato il fucile, come chi è preparato ad usarlo e aspettava impaziente il momento in cui un nemico gli sarebbe capitato a tiro. Ma con questo isolato e infruttuoso attentato alla vita di Chingachgook, l'attacco parve finito. Una volta o due coloro che stavano in ascolto credettero di udide il lontano fruscio degli arbusti come se qualcosa di una specie sconosciuta li attraversasse; né passò molto tempo prima che Occhio di Falco indicasse la «fuga dei lupi» che correvano precipitosamente davanti al passaggio di qualche intruso nel loro dominio. Dopo una attesa impaziente col fiato sospeso, si udì un tonfo nell'acqua, immediatamente seguito dal colpo di un altro fucile.

«Ecco Uncas!» disse l'esploratore. «Il ragazzo ha un bel fucile! Conosco il suo rumore come un padre conosce il linguaggio del figlio, perché era mio prima che ne avessi uno migliore.»

«Cosa può significare?» domandò Duncan: «siamo sorvegliati e, a quanto pare presi di mira con lo scopo di ucciderci.»

«Quel tizzone andato in frantumi è testimone che le intenzioni non erano buone, e questo indiano testimonierà che nessun male è stato fatto,» replicò l'esploratore, rimettendosi il fucile a tracolla e seguendo Chingachgook che proprio allora era apparso entro il cerchio di luce al centro del forte. «Cosa c'è, Sagamore? I Mingo stanno davvero sopra di noi o si tratta soltanto di uno di quei rettili che si mantengono ai margini di una compagnia di guerra per togliere gli scalpi ai morti e poi vantarsi con le squaws delle valorose imprese compiute contro i visi pallidi?»

Chingachgook riprese tranquillamente il suo posto, né diede alcuna risposta se non dopo che ebbe esaminato il tizzone ardente colpito dalla pallottola, che stava per essergli fatale. Dopo di che si limitò a rispondere, mostrando un solo dito, col monosillabo inglese: «Uno.»

«Lo pensavo anch'io,» replicò Occhio di Falco sedendosi, «e poiché ha raggiunto il riparo del lago prima che Uncas lo fermasse è probabile che quella canaglia sottolineerà le sue menzogne raccontando di qualche grande imboscata in cui era sulla traccia di due Mohicani e di un cacciatore bianco, dato che gli ufficiali possono essere considerati poco più di due oziosi in questa scaramuccia. Beh, lasciamolo fare, lasciamolo fare. Ci sono sempre uomini onesti fra tutti i popoli - benché, lo sa il cielo, siano rari tra i Magua - che guardano con disprezzo un millantatore quando si vanta senza ragione. Quel demonio ti ha fatto fischiare il piombo vicino alle orecchie Sagamore.»

Chingachgook volse uno sguardo calmo e indifferente verso il punto dove era caduta la pallottola, poi riprese la posizione di prima, con una compostezza che non poteva essere turbata da un incidente di così poca importanza. Proprio allora Uncas apparve nel cerchio e si sedette vicino al fuoco, con la stessa aria di indifferenza di suo padre.

Di questi diversi movimenti, Heyward fu testimone profondamente interessato e meravigliato. Gli pareva che gli uomini della foresta avessero qualche mezzo segreto di intesa che era sfuggito alle sue vigili facoltà. Invece di quella appassionata e garrula narrazione con la quale un giovane bianco avrebbe tentato di comunicare, forse esagerando, quanto era successo nella pianura, il giovane guerriero apparentemente si limitava a lasciare che i fatti parlassero per lui. Non era infatti né il momento né l'occasione per un indiano di vantarsi delle sue imprese ed è probabile che se Heyward non avesse voluto saperne di più, neppure una sillaba sarebbe stata pronunciata sull'argomento.

«Che cosa ne è del nostro nemico, Uncas?» domandò Duncan. «Abbiamo udito il tuo fucile e speriamo che tu non abbia sparato invano.»

Il giovane capo scostò una piega della camicia alla cacciatora, e mise tranquillamente in mostra il fatale ciuffo di capelli che portava come simbolo della vittoria. Chingachgook appoggiò una mano sullo scalpo e lo esaminò per un momento con profonda attenzione. Poi, lasciandolo cadere col disgusto dipinto sul volto proclamò: «Oneida!»

«Oneida!» esclamò l'esploratore che stava quasi per prendere interesse per la scena in un'apatia simile a quella dei compagni indiani, ma che ora avanzò con insolita impazienza per esaminare il sanguinoso emblema. «Se gli Oneida sono sulle nostre tracce, saremo circondati da ogni parte! Ora, agli occhi di un bianco non c'è differenza fra questo brandello di pelle e quello di qualsiasi altro indiano e tuttavia il Sagamore dichiara che proviene dalla testa di un Mingo, già, egli nomina persino la tribù con la stessa facilità che se questo scalpo fosse la pagina di un libro e ogni capello una lettera. Che diritto hanno i cristiani bianchi di vantarsi del loro sapere, mentre un indiano è in grado di leggere una lingua che sarebbe troppo oscura per il più saggio di loro? Tu cosa ne dici, ragazzo: di che tribù era quel mascalzone?»

Uncas sollevò gli occhi verso l'esploratore e rispose con la sua dolce voce: «Oneida.»

«Ancora Oneida! Quando un indiano fa un'affermazione di solito è giusta, ma quando è confermata da un altro, consideratela pure Vangelo!»

«Quel poveraccio ci ha preso per francesi,» disse Heyward, «o non avrebbe attentato alla vita di un amico.»

«Lui scambiava un Mohicano con le sue dipinture per un Urone! Sarebbe come se voi confondeste i granatieri bianchi di Montcalm con le giubbe rosse degli ‹Americani Reali›» replicò l'esploratore.

«No, no, quel serpente sapeva ciò che doveva fare: né ci sono stati sbagli, perché c'è ben poco amore tra un Delaware e un Mingo, qualunque sia la parte dove combattono in una lotta di bianchi. Per questa ragione, benché gli Oneida servano la sacra Maestà del mio sovrano e padrone, non ci avrei pensato due volte a scaricare ‹Ammazzacervo› su quel demonio se il caso lo avesse messo sulla mia strada.»

«Sarebbe stata una violazione dei nostri trattati e indegno di voi.»

«Quando un uomo frequenta molto un popolo,» continuò Occhio di Falco, «se è onesto e non un vigliacco, nasce l'amore fra loro. È vero che l'astuzia dei bianchi ha fatto di tutto per gettare una gran confusione fra le tribù quanto ad amicizia ed inimicizia, così che gli Uroni e gli Oneida, che parlano la stessa lingua o qualcosa di simile, vanno in cerca delle reciproche cotenne e i Delaware sono divisi fra loro: infatti alcuni tengono il grande consiglio del fuoco sullo stesso fiume e combattono dalla stessa parte dei Mingo, mentre la maggior parte è in Canadà, lontana dalla naturale inimicizia con i Magua, si da gettare ogni cosa nel disordine e sconvolgere tutta l'armonia della guerra. Tuttavia la natura dei pellerossa non muta ad ogni mutamento politico, così che l'amore tra un Mohicano e un Mingo somiglia molto al riguardo che un bianco userebbe per un serpente.»

«Mi dispiace sentire queste cose, perché credevo che gli indigeni che abitano fra questi confini ci trovassero troppo giusti e generosi per non identificarli pienamente con le nostre lotte.»

«Beh, credo che sia naturale dare la preferenza alle proprie lotte piuttosto che a quelle di stranieri. Quanto a me, amo la giustizia e perciò non dirò che odio un Mingo, perché ciò non si addice alla mia religione e al mio colore, tuttavia mi limiterò a ripetere che è stato solo a causa della notte se ‹Ammazzacervo› non ha avuto a che fare con la morte di quel vile Oneida.»

Poi, come soddisfatto della forza delle proprie ragioni, qualunque fosse il loro effetto sulle opinioni dell'altro, l'onesto ma implacabile uomo dei boschi, si allontanò dal fuoco, abbandonando l'oggetto della controversia. Heyward si ritirò verso il bastione, troppo turbato e troppo poco abituato alla guerra nei boschi per trovarsi a suo agio di fronte alla possibilità di simili insidiosi attacchi. Non così, però, per l'esploratore e i Mohicani. Quei loro acuti e lungamente allenati sensi, il cui potere tanto spesso supera i limiti di ogni comune credibilità, dopo aver scoperto il pericolo, li avevano messi in grado di constatarne la portata e la durata. Nessuno dei tre pareva minimamente dubitare della perfetta sicurezza della loro posizione, come si dimostrò dai preparativi che vennero fatti onde tenere consiglio sui loro futuri movimenti.

La confusione di popoli e persino di tribù cui alludeva Occhio di Falco, in quel periodo aveva raggiunto la sua punta massima. Il forte legame costituito dalla lingua e, naturalmente, dalle origini comuni, era reciso in molti punti, e una delle conseguenze fu che i Delaware e i Mingo (come erano chiamati i popoli delle Sei Nazioni), si trovarono a combattere dalla stessa parte, mentre i secondi cercavano gli scalpi degli Uroni, pur considerandoli della medesima radice della loro razza. Anche i Delaware erano divisi fra loro. Benché l'amore per la terra che era appartenuta ai loro avi tenesse il Sagamore dei Mohicani, con una piccola banda di seguaci che prestavano servizio ad Edward, sotto le insegne del re inglese, si sapeva che la maggior parte del suo popolo scendeva in campo come alleato di Montcalm. Il lettore probabilmente sa che i Delaware, o Lenape, pretendevano essere i progenitori di quel numeroso popolo che una volta era padrone degli stati a est e a nord dell'America e di cui la comunità dei Mohicani era membro antico e molto onorato.

Fu naturalmente con perfetta consapevolezza dei minimi e intricati interessi che avevano armato gli amici contro gli amici e portato dei nemici naturali a combattere fianco a fianco, che l'esploratore e i suoi compagni ora si disponevano a decidere le misure da prendere per guidare i loro futuri movimenti in mezzo a tante razze discordi d'uomini. Duncan conosceva abbastanza i costumi indiani per comprendere le ragioni per cui era stato acceso il fuoco e perché i guerrieri, compreso Occhio di Falco, avevano preso posto fra le volute di fumo con tanta solennità e dignità. Mettendosi in un angolo delle fortificazioni, in un punto in cui poteva essere spettatore della scena che vi si svolgeva all'interno, mentre faceva la guerdia contro ogni pericolo che provenisse dall'esterno, egli attese il risultato con tutta la pazienza di cui fu capace.

Dopo una breve e grave pausa, Chingachgook accese una pipa, dal fornello curiosamente scolpito in una di quelle pietre tenere che si trovano nel paese e il cui cannello era costituito da un tubo di legno, e cominciò a fumare. Quando ebbe aspirato abbastanza la fragranza del tabacco, passò l'arnese nelle mani dell'esploratore. La pipa aveva così fatto tre volte il giro nel più profondo silenzio, prima che uno della compagnia aprisse bocca. Poi il Sagamore, nella sua qualità di membro più vecchio e di rango più elevato, propose, con poche calme e solenni parole, l'argomento su cui deliberare. Gli rispose l'esploratore, e Chingachgook ribatté quando l'altro fece delle obiezioni. Soltanto il giovane Uncas rimase ad ascoltare in rispettoso silenzio, finché Occhio di Falco ebbe la compiacenza di domandare la sua opinione. Heyward intuì dai modi dei diversi oratori, che padre e figlio avevano un comune modo di considerare il problema in discussione, mentre il bianco era di diverso avviso. La disputa si fece a poco a poco più accesa, finché fu chiaro che le emozioni degli oratori cominciavano in qualche modo ad acquistare peso nella discussione.

Nonostante il calore crescente della disputa amichevole, la più decorosa delle riunioni cristiane, non escluse quelle in cui sono riuniti i suoi reverendi ministri, avrebbe tratto una salutare lezione di moderazione dalla tolleranza e dalla cortesia dei contendenti. Le parole di Uncas erano accolte con la stessa profonda attenzione di quelle che uscivano dalla più matura saggezza del padre e, ben lungi dal manifestare impazienza, nessuno profferiva replica prima di lasciar passare almeno alcuni attimi di silenziosa meditazione dedicati alla riflessione su quanto era appena stato detto.

Il linguaggio dei Mohicani era accompagnato da gesti così chiari e spontanei che Heyward ebbe ben poca difficoltà a seguire il filo del loro argomento. L'esploratore invece risultava oscuro, perché, tutto compreso nel suo orgoglio di razza, affettava quei modi freddi e artificiosi che caratterizzano tutte le classi di anglo-americani quando sono calmi. Dalla frequenza con la quale gli indiani descrivevano i segni delle tracce della foresta, era evidente che essi sostenevano che l'inseguimento doveva essere fatto via terra, mentre i ripetuti gesti di Occhio di Falco in direzione dell'Orican, denotavano che egli suggeriva la via attraverso le acque.

Quest'ultimo stava rapidamente perdendo terreno, e il punto in questione stava per essere deciso secondo l'opinione contraria alla sua, quando egli si alzò in piedi e, scuotendosi di dosso l'apatia, improvvisamente assunse i modi di un indiano e adottò tutte le arti della eloquenza indigena. Sollevando un braccio, indicò la traiettoria del sole e ripeté quel gesto per ogni giorno che sarebbe stato necessario a raggiungere il loro scopo. Poi delineò un lungo e faticoso sentiero, tra rocce e corsi d'acqua. L'età e la debolezza di Munro che dormiva ignaro, furono indicate con segni troppo evidenti per essere fraintesi. Duncan si accorse che persino delle sue qualità si parlava con leggerezza, perché l'esploratore stendeva il palmo della mano e lo nominava con l'appellativo di «Mano aperta», nome procuratogli dalla sua generosità presso tutte le tribù amiche. Poi venne la rappresentazione dei lievi e graziosi movimenti di una canoa, eseguita in efficace contrasto con i passi traballanti di una persona debole e stanca. Egli concluse indicando la cotenna dell'Oneida e parve insistere sulla necessità di partire presto, in modo da non lasciare tracce.

I Mohicani ascoltarono seri e con una espressione che rifletteva i sentimenti dell'oratore. L'opera di persuasione poco a poco esercitò la sua influenza e, verso la fine del discorso, le frasi di Occhio di Falco erano accompagnate dalle solite esclamazioni di approvazione. In breve, Uncas e suo padre si convertirono al suo punto di vista e abbandonarono le opinioni che avevano precedentemente espresso, con una facilità e un candore che, se fossero stati i rappresentanti di qualche grande popolo civile, li avrebbero infallibilmente condotti alla rovina politica, distruggendo per sempre la loro reputazione di coerenza.

Nel momento in cui fu deciso il punto in questione, il dibattito e tutto ciò che vi era connesso, tranne la conclusione, sembrarono dimenticati. Occhio di Falco, senza guardarsi attorno per leggere il suo trionfo in occhi plaudenti, con molta compostezza distese la sua lunga figura davanti alle bragi morenti e chiuse gli occhi per dormire.

Lasciati ora, per così dire, a se stessi, i Mohicani il cui tempo era stato in così larga parte dedicato agli interessi di altri, colsero l'occasione per dedicarne un po' a se stessi. Rinunciando improvvisamente al solenne e austero contegno di un capo indiano, Chingachgook cominciò a parlare a suo figlio nei toni dolci e scherzosi dell'affetto. Uncas assecondò lietamente l'aria familiare del padre e, prima che il pesante respiro dell'esploratore annunciasse che egli stava dormendo, si verificò un completo cambiamento nei modi dei due.

È impossibile descrivere la musicalità della loro lingua. Mentre erano così occupati a ridere e a prodigarsi tenerezze, essi la rendevano comprensibile anche a chi non aveva mai udito la sua melodia. L'estensione delle loro voci, particolarmente quella del giovane, era prodigiosa e andava dai toni più profondi a quelli di una dolcezza persino femminea. Gli occhi del padre seguivano i plastici ed eleganti gesti del figlio con evidente piacere, e non mancava mai di sorridere in risposta alla risata contagiosa e discreta dell'altro. Sotto l'influenza di questi gentili e naturali sentimenti, ogni traccia di ferocia era sparita nei lineamenti addolciti del Sagamore. L'emblema di morte che portava dipinto sul petto pareva piuttosto un travestimento assunto per scherzo, piuttosto che la manifestazione del desiderio di portare distruzione sulla propria strada.

Dopo un'ora trascorsa nell'indulgere ai propri sentimenti migliori, Chingachgook comunicò improvvisamente il desiderio di dormire avvolgendosi la testa nella coperta e allungando il corpo sulla nuda terra. Il divertimento di Uncas cessò subito e, raccogliendo con cura i pezzi di carbone in modo che diffondessero calore fino ai piedi del padre, il giovane cercò un appoggio per sé tra le rovine del luogo.

Traendo nuova fiducia dalla sicurezza di questi esperti uomini della foresta, Heyward ben presto li imitò; così, molto prima che la notte fosse trascorsa, coloro che giacevano nel cuore del forte in rovina sembrarono dormire pesantemente, come quella moltitudine senza vita le cui ossa incominciavano già a biancheggiare nella pianura circostante.

 

XX

 

Terra d'Albania! Lascia che a te rivolga gli occhi

rude nutrice di uomini fieri!

Childe Harold

 

Il cielo era ancora punteggiato di stelle quando Occhio di Falco venne a svegliare i dormienti. Gettando da parte i mantelli, Munro e Heyward furono in piedi mentre ancora Occhio di Falco li chiamava a bassa voce dall'entrata del rozzo riparo dove avevano passato la notte. Quando uscirono dal nascondiglio trovarono l'esploratore che aspettava la loro comparsa e l'unico saluto che si scambiarono fu il significativo gesto di silenzio da parte della sagace guida.

«Pensate soltanto le vostre preghiere,» egli mormorò quando si avvicinarono, «perché Colui al quale le rivolgete conosce tutte le lingue: quella del cuore come quella che esce dalle labbra. Ma non pronunciate una sillaba, è difficile per la voce di un bianco avere il tono giusto nei boschi, come abbiamo visto dall'esempio del cantore. Venite,» continuò egli volgendosi verso la cortina delle fortificazioni, «entriamo nel fossato da questa parte e, mentre camminate, abbiate cura di mettere i piedi sulle pietre e i frammenti di legno.»

I compagni obbedirono, benché per due di loro la ragione di questa strana precauzione rimanesse un mistero. Quando furono nella bassa cavità che circondava il terrapieno da tre lati, trovarono il passaggio quasi ostruito dalle rovine. Con attenzione e pazienza, tuttavia, riuscirono ad arrampicarsi dietro l'esploratore, finché raggiunsero la riva sabbiosa dell'Horican.

«Questa è una traccia che solo un naso può seguire,» disse l'esploratore soddisfatto, volgendosi indietro a guardare il difficile cammino: «l'erba è un tappeto insidioso da calpestare per chi fugge ma legno e pietre non ricevono le impronte dei mocassini. Se aveste indossato i vostri stivali chiodati, ci sarebbe stato, a dire il vero, qualcosa di cui temere, ma con pelli di daino appositamente acconciate un uomo può, in generale, sentirsi sicuro se cammina sulle rocce. Spingi in acqua la canoa più vicina alla terra, Uncas, questa sabbia prende le impronte come fosse burro del Mohawk. Adagio, ragazzo, adagio, non deve toccare la sabbia, o quelle canaglie sapranno per che via ci siamo allontanati.»

Il giovane osservò questa precauzione e l'esploratore, stendendo un asse tra le rovine e la canoa, fece segno ai due ufficiali di imbarcarsi. Quando tutto fu eseguito ogni cosa venne rimessa con cura nel suo primitivo disordine; poi Occhio di Falco riuscì a raggiungere la piccola imbarcazione di betulla senza lasciare dietro di sé nessuna di quelle tracce di cui sembrava tanto preoccupato.

Heyward rimase in silenzio finché gli indiani ebbero con cautela portato la canoa un po' lontano dal forte, tra le vaste e cupe ombre gettate dalle montagne orientali sulla piatta superficie del lago, indi chiese: «Che bisogno abbiamo di partire così furtivamente e con tanta fretta?»

«Se il sangue di un Oneida potesse macchiare uno specchio di acque pure come queste su cui stiamo navigando» replicò l'esploratore. «I vostri stessi occhi risponderebbero a questa domanda. Avete forse dimenticato quel rettile in agguato che Uncas ha ucciso?»

«Affatto. Ma avete detto che era solo e i morti non fanno paura.»

«Già, era solo a compiere il misfatto, ma un indiano la cui tribù conta tanti guerrieri raramente ha da temere che il suo sangue scorra senza che uno dei suoi nemici presto lanci il grido di morte.»

«Ma la nostra presenza - l'autorità del Colonnello Munro - dovrebbero dimostrarsi una protezione sufficiente contro la collera dei nostri alleati, specialmente in un caso in cui il miserabile ha così ben meritato il suo destino. Mi auguro che non abbiate deviato di un passo dal nostro giusto cammino per un motivo così insignificante.»

«Credete che la pallottola di quel vigliacco si sarebbe scansata se anche la sacra Maestà del re fosse stata sul suo cammino?» rispose l'esploratore risoluto. «Perché il grande francese che comanda su tutto il Canadà non ha sepolto il tomahawk degli Uroni, se la parola di un bianco influisce così efficacemente sulla natura di un indiano?»

La risposta di Heyward fu interrotta da un lamento di Munro, ma dopo un momento di pausa, per rispetto al dolore dell'anziano amico, egli riprese l'argomento: «Il Marchese di Montcalm può pagare questo errore solo al suo Dio,» disse il giovane solennemente.

«Già, già, adesso c'è del vero nelle vostre parole, perché sono fondate sulla religione e l'onestà. C'è una bella differenza tra il gettare un reggimento di giubbe bianche tra le tribù e i prigionieri, e il convincere con belle maniere un selvaggio in collera a dimenticare che porta un coltello e un fucile magari cominciando con parole come ‹figlio mio›. No, no» continuò l'esploratore ridendo nel suo modo silenzioso ma vivo e volgendosi a guardar la sponda confusa di William Henry che ora si stava rapidamente allontanando: «Ho messo una scia d'acqua tra noi e loro e, a meno che quei demoni non possano fare amicizia con i pesci per farsi dire chi ha attraversato il loro bacino in questo bel mattino, ci lasceremo alle spalle tutta la lunghezza dell'Horican prima che essi siano riusciti a pensare che via prendere.»

«Con nemici davanti e nemici dietro, il nostro viaggio sarà probabilmente pericoloso.»

«Pericoloso!» ripeté Occhio di Falco tranquillamente. «No, assolutamente non pericoloso, perché con orecchie vigili e vista acuta potremo riuscire ad avere qualche ora di vantaggio su quei mascalzoni, o se saremo costretti a usare il fucile ci sono tre di noi che ne conoscono le proprietà meglio di chiunque possiate nominare entro queste frontiere. No, non pericoloso, ma è probabile che dovremo sostenere ciò che potreste chiamare uno sforzo gagliardo, e potrà anche esserci una scaramuccia, una zuffa, o qualche diversivo del genere, ma sempre con buone protezioni e munizioni abbondanti.»

È possibile che la valutazione di Heyward del pericolo differisse in qualche misura da quella dell'esploratore perché, invece di rispondere, questi se ne stette seduto in silenzio, mentre la canoa scivolava per parecchie miglia. Proprio mentre albeggiava entrarono nelle strette del lago e si insinuarono rapidi e cauti tra le innumerevoli isolette. Per questa via Montcalm si era ritirato col suo esercito e i nostri personaggi non sapevano se egli aveva lasciato qualche indiano a fare imboscate onde proteggere la retroguardia delle sue forze e raccogliere gli sbandati. Essi perciò si avvicinarono al passaggio osservando quel silenzio che ormai faceva parte delle loro abitudini.

Chingachgook abbandonò la pagaia, mentre Uncas e l'esploratore spingevano la leggera imbarcazione tra i meandri e gli intrichi dei canali, dove ogni piede che avanzavano li esponeva al pericolo di qualche interruzione. Gli occhi del Sagamore scrutavano di isolotto in isolotto e di cespuglio in cespuglio mentre la canoa procedeva, e quando un più ampio specchio d'acqua lo permetteva, la sua vista acuta si rivolgeva alle nude rocce e alle foreste sovrastanti che guardavano accigliate lo stretto.

Heyward, che era spettatore doppiamente interessato sia per le bellezze del luogo, sia per un'apprensione naturale nella sua situazione, stava proprio in quel momento pensando di aver lasciato prevalere quest'ultima sensazione senza sufficiente ragione, quando la pagaia si arrestò ad un segno di Chingachgook.

«Hugh!» esclamò Uncas, quasi nello stesso momento in cui un colpetto di suo padre sopra il fianco della canoa li avvertiva della vicinanza del pericolo.

«Cosa c'è adesso?» domandò l'esploratore. «Il lago è liscio come se i venti non avessero mai soffiato, vedo la sua superficie per miglia, e non c'è nemmeno la testa nera di una strolaga che fa capolino dall'acqua.»

L'indiano alzò gravemente la pagaia e la puntò nella direzione cui era rivolto il suo sguardo fermo. Gli occhi di Duncan seguirono il movimento. A poche pertiche davanti a loro c'era un'altra delle basse isolette boscose la quale appariva però calma e pacifica, come se la sua solitudine non fosse mai stata turbata da piede umano.

«Non vedo altro,» egli disse, «che terra e acqua e la scena è bella.»

«St!» interruppe l'esploratore. «Già, Sagamore, c'è sempre una ragione per quello che fai. È soltanto un'ombra, e tuttavia non è naturale. Vedete, Maggiore, quella bruma che si sta alzando dall'isola? Non potete chiamarla nebbia perché somiglia piuttosto alla striscia sottile di una nuvola...»

«È il vapore dell'acqua.»

«Questo lo potrebbe dire un bambino, ma cos'è quell'orlo di fumo più scuro che si intravede lungo la parte inferiore e che potete seguire fino al boschetto di noccioli? Quello proviene da un fuoco, ma un fuoco che, secondo me, è stato mantenuto basso.»

«Andiamoci dunque e togliamoci i dubbi,» disse Duncan impaziente, «deve esserci poca gente in un pezzo di terra così piccolo.»

«Se per giudicare l'astuzia indiana usate le regole dei libri o la sagacia dei bianchi, sarete condotto fuori strada, se non addirittura alla morte,» replicò Occhio di Falco esaminando i segni che percepiva secondo l'acume che lo distingueva. «Se mi è concesso di parlare su questa faccenda, dirò che abbiamo solo due alternative tra cui scegliere: una è di tornare e abbandonare ogni velleità di inseguire gli Uroni...»

«Mai!» esclamò Heyward, decisamente troppo ad alta voce data la situazione.

«Bene, bene,» continuò Occhio di Falco, facendo un rapido gesto per reprimere l'impazienza. «Sono anch'io del vostro parere, benché pensassi che fosse mio dovere, per l'esperienza che ho, dirvi tutto. Dobbiamo dunque attaccare e se gli indiani, o francesi, si trovano in quegli stretti, dobbiamo esporci al pericolo e attraversare queste ripide montagne. Ho ragione Sagamore?»

L'indiano per tutta risposta tuffò la pagaia nell'acqua e spinse avanti la canoa. Poiché era lui ad avere il compito di dirigerne il corso, la sua decisione risultò sufficientemente chiara da quel gesto. L'intera compagnia si mise a vogare vigorosamente, e in pochi minuti raggiunsero il punto di dove potevano dominare l'intera vista della riva nord dell'isola, il lato che fino a quel momento era rimasto nascosto.

«Eccoli, a quanto pare,» mormorò l'esploratore. «Due canoe e un fumo. Quei farabutti non hanno ancora guardato fuori dalla foschia, altrimenti sentiremmo il maledetto grido. Insieme, amici! Li stiamo lasciando, e siamo ormai quasi fuori dal sibilo di una pallottola.»

La nota detonazione di un fucile, la cui pallottola rimbalzò lungo la placida superficie dello stretto e un urlo lacerante proveniente dall'isola interruppero le sue parole e annunciarono che il loro passaggio era scoperto. Un istante dopo si videro parecchi selvaggi precipitarsi nelle canoe che presto oscillarono sull'acqua, lanciate al loro inseguimento. Per quanto Duncan poté osservare, questi spaventevoli forieri di una lotta imminente non produssero alcun cambiamento nell'espressione e nei movimenti delle tre guide, se si eccettua che i colpi delle pagaie erano più lunghi e più all'unisono e facevano filare la canoa come fosse una creatura viva dotata di volontà.

«Tienili laggiù, Sagamore,» disse Occhio di Falco guardando con calma dietro di sé, al di là della spalla sinistra, mentre continuava a vogare, «tienili proprio a questa distanza. Gli Uroni non hanno mai posseduto un'arma che possa coprire una distanza così, ‹Ammazzacervo› invece ha una canna su cui si può contare.»

L'esploratore, accertatosi che i Mohicani bastavano a mantenere la distanza necessaria, abbandonò di proposito la pagaia, e sollevò il fatale fucile. Per tre volte si appoggiò l'arma alla spalla e, quando i compagni si aspettavano che sparasse, egli altrettante volte la abbassò per chiedere agli indiani di lasciare avvicinare i nemici ancora un po'. Finalmente il suo occhio preciso ed esigente parve soddisfatto e, allungando il braccio sinistro sulla canna, stava lentamente alzandone la bocca, quando un'esclamazione di Uncas che era seduto a prua, ancora una volta gli impedì di sparare.

«Cosa c'è adesso, ragazzo?» domandò Occhio di Falco. «Così hai risparmiato la vita a un Urone, c'è un perché in ciò che hai fatto?»

Uncas indicò la riva rocciosa in un punto quasi di fronte a loro, di dove un'altra canoa da guerra si stava lanciando a tagliar loro la via. Che la loro posizione ora si era fatta immediatamente pericolosa era troppo evidente perché fossero necessarie le parole per confermarlo. L'esploratore lasciò il fucile e riprese la pagaia, mentre Chingachgook volgeva la prua della canoa un po' verso la riva occidentale per aumentare la distanza tra loro e questo nuovo nemico.

Nel frattempo selvaggi ed esultanti urla ricordano loro la presenza di coloro che li incalzavano dalle spalle. L'eccitazione della scena riscosse persino Munro dalla sua apatia.

«Muoviamoci verso le rocce nel punto più alto,» disse con l'aria di un soldato consumato, «e diamo battaglia ai selvaggi. Dio guardi me e quelli che mi sono vicini dal fidarci ancora della fede dei seguaci di Louis!»

«Chi vuole vincere in una battaglia indiana,» replicò l'esploratore, «non deve essere tanto orgoglioso da non voler imparare dall'astuzia degli indigeni. Avvicina la barca alla terra, Sagamore, stiamo superando quei mascalzoni che forse cercheranno di recuperare sulla distanza.»

Occhio di Falco non si sbagliava, perché quando gli Uroni si accorsero che il loro modo di procedere li avrebbe lasciati indietro, procedettero meno direttamente, finché rendendo la rotta sempre più obliqua, le due canoe si trovarono in breve a scivolare su linee parallele, a due iarde l'una dall'altra.

Ora era solo questione di velocità. Il procedere delle leggere imbarcazioni era così rapido che il lago si increspava davanti a loro, in onde minute, ed esse oscillavano a causa della loro stessa velocità. Fu forse per questa circostanza, aggiunta alla necessità di tenere tutte le mani occupate con le pagaie, che gli Uroni non fecero subito ricorso alle armi da fuoco. Lo sforzo dei fuggiaschi era troppo duro per continuare a lungo e Duncan osservò con inquietudine che gli inseguitori avevano il vantaggio del numero, tanto che l'esploratore cominciò a guardarsi attorno con ansia, come in cerca di qualche altro mezzo che favorisse la loro fuga.

«Allontanati un po' al sole, Sagamore,» disse il risoluto uomo dei boschi, «vedo che quei farabutti stanno utilizzando un uomo per sparare. Un solo osso rotto potrebbe farci perdere la cotenna. Allontanati di più dal sole così metteremo l'isola tra noi.»

L'espediente non fu inutile. Un'isola bassa si allungava a poca distanza da loro, e quando essi vi si avvicinarono la canoa inseguitrice fu costretta a prendere la parte opposta a quella per cui passavano gli inseguiti. L'esploratore e i compagni non trascurarono questo vantaggio, ma nell'istante in cui si trovarono nascosti all'osservazione grazie agli arbusti, raddoppiarono quegli sforzi che già prima erano sembrati prodigiosi. Le due canoe aggirarono il punto estremo dell'isola come due corsieri al culmine della velocità e i fuggiaschi erano in testa. Questo cambiamento tuttavia li aveva avvicinati, mentre modificava le reciproche posizioni.

«Hai dimostrato conoscenza della forma delle cortecce di betulla, Uncas, quando hai scelto questa fra le canoe degli Uroni,» disse l'esploratore sorridendo, apparentemente più soddisfatto della loro superiorità nella gara che per la prospettiva della liberazione finale quale ora pareva delinearsi davanti a loro. «Quei demoni hanno ricominciato a mettere tutta la loro forza a vogare e noi dobbiamo combattere per le nostre cotenne con dei pezzetti di legno piatto invece che con canne rigate e occhi sicuri. Una vogata lunga e tutt'insieme amici.»

«Stanno preparandosi a sparare,» disse Heyward, «e poiché ci troviamo sulla stessa linea, difficilmente il colpo potrà fallire.»

«Gettatevi dunque sul fondo della canoa,» replicò l'esploratore, «voi e il colonnello, così il bersaglio sarà di tanto più piccolo.»

Heyward sorrise e rispose: «Sarebbe di cattivo esempio da parte di un superiore sottrarsi al fuoco mentre i guerrieri lo affrontano!»

«Ecco il coraggio dell'uomo bianco!» esclamò l'esploratore. «Ma che, come quello di troppi del suo popolo, non è sostenuto dal buon senso. Credete che il Sagamore, o Uncas, o io stesso, che ho il sangue puro, ci penseremo su a cercare un riparo in una scaramuccia, quando esporsi non servirebbe a nulla? Per che cosa i francesi avrebbero costruito Quebec se si dovesse combattere sempre all'aperto?»

«Tutto ciò che dite è verissimo, amico mio,» replicò Heyward, «tuttavia i nostri costumi ci devono impedire di fare ciò che chiedete.»

Una raffica dalla parte degli Uroni interruppe il discorso, e mentre le pallottole fischiavano intorno a loro, Duncan vide la testa di Uncas girata, che guardava lui e Munro. Nonostante la vicinanza del nemico, e il pericolo in cui egli stesso si trovava, Duncan fu costretto a notare che il suo viso non esprimeva altra emozione se non stupore nel trovare che si esponevano tanto inutilmente. Chingachgook probabilmente conosceva meglio l'uomo bianco perché non distolse gli occhi nemmeno per un attimo dall'oggetto col quale guidava il loro corso. Presto una palla scalzò la leggera pagaia levigata dalle mani del capo e la fece volare molto più avanti.

Un grido sorse dalla parte degli Uroni, i quali colsero l'occasione per scaricare un'altra raffica. Uncas descrisse un arco nell'acqua con la pagaia e, mentre la canoa scivolava rapida avanti, Chingachgook recuperò la pagaia e la agitò in alto, lanciando il grido di guerra dei Mohicani, poi tornò a dedicare tutta la sua forza e abilità al compito importante che si era assunto.

I gridi clamorosi di «Le Gros Serpent!», «La Longue Carabine!», «Le Cerf Agile!», proruppero dalle canoe dietro di loro e sembrarono infondere nuovo zelo agli inseguitori. L'esploratore afferrò «Ammazzacervo» con la mano sinistra e, alzandolo al di sopra della testa, lo agitò trionfante verso i nemici. I selvaggi risposero alla sfida con un grido e immediatamente seguì un'altra raffica, le cui pallottole grandinarono sul lago mentre una riuscì persino a forare la piccola imbarcazione.

Nessuna emozione percettibile poteva scorgersi nei Mohicani durante questo momento critico e i loro rigidi lineamenti non esprimevano né speranza né allarme; ma l'esploratore voltò di nuovo la testa e, ridendo nel suo modo silenzioso, disse ad Heyward: «Quei farabutti amano sentire il rumore delle loro armi, ma non si trova, fra i Mingo, occhio in grado di calcolarne la gittata in una canoa fluttuante! Vedete, hanno distaccato un uomo per sparare e, per quanto ci è dato di calcolare, noi procediamo di tre piedi contro due!»

Duncan, che non era tranquillo come i compagni quanto alla distanza, fu però felice di vedere che, grazie alla loro maggiore destrezza e alla diversione dei nemici, stavano sensibilmente guadagnando terreno. Presto gli Uroni spararono di nuovo e una pallottola colpì la pala della pagaia di Occhio di Falco senza danneggiarla.

«Così va bene» disse l'esploratore esaminando la piccola tacca con occhio curioso. «Non avrebbe ferito la pelle di un bambino, tanto meno di un uomo che come noi è stato colpito dalla collera del cielo. Ora, Maggiore, se volete provare a usare questo pezzo di legno piatto, farò partecipare alla conversazione ‹Ammazzacervo›.»

Mentre Occhio di Falco era occupato ad esaminare l'innesco del fucile, Heyward prese la pagaia e si applicò al lavoro con un impeto che compensava la mancanza di abilità. Poi l'esploratore prese rapido la mira e fece fuoco.

L'Urone che si trovava a prua della canoa in testa e si era alzato con la stessa intenzione, ora cadde riverso lasciandosi sfuggire il fucile nell'acqua. In pochi istanti tuttavia fu di nuovo in piedi, benché i suoi gesti fossero sconnessi e confusi. Nello stesso momento i suoi compagni si arrestarono e le canoe inseguitrici si strinsero fra loro e si fermarono.

Chingachgook e Uncas approfittarono della pausa per prendere fiato, mentre Duncan continuava a remare con la massima perseveranza. Ora padre e figlio si gettarono occhiate calme ma indagatrici per vedere se uno o l'altro era stato colpito, perché entrambi sapevano bene che in quel momento cruciale non si potevano permettere alcun grido o esclamazione che tradisse l'incidente. Poche gocce di sangue stavano colando giù per la spalla del Sagamore che, quando si accorse che gli occhi di Uncas indugiavano troppo a quella vista, prese un po' d'acqua nel cavo della mano e, lavando via la macchia, si limitò a mostrare, in questo semplice modo, la leggerezza della ferita.

«Adagio, adagio, Maggiore,» disse l'esploratore che nel frattempo aveva ricaricato il fucile. «Siamo un po' troppo lontani perché un fucile possa mostrare tutte le sue qualità, e come vedete quei demoni stanno tenendo consiglio. Lasciate che si avvicinino in modo che si possa colpire - potete fidarvi dei miei occhi per questo - inseguirò quei farabutti per tutta la lunghezza dell'Horican, e vi assicuro che nemmeno uno dei loro colpi farà niente di più che scalfire la pelle, mentre ‹Ammazzacervo› ucciderà due volte su tre.»

«Stiamo dimenticando il nostro compito,» replicò il coscienzioso Heyward. «Approfittiamo del vantaggio e aumentiamo la distanza con i nemici.»

«Datemi le mie bambine,» disse Munro con voce fioca, «non scherzate più con l'angoscia di un padre, restituitemi le mie bambine.»

Una lunga e abituale deferenza agli ordini del suo superiore avevano insegnato all'esploratore la virtù dell'obbedienza. Gettata un'ultima prolungata occhiata alle lontane canoe, lasciò in disparte il fucile, e dando il cambio all'esausto Duncan, riafferrò la pagaia che prese a maneggiare con muscoli instancabili. I suoi sforzi erano secondati da quelli dei Mohicani in modo che bastarono pochi minuti per mettere abbastanza acqua tra loro e i nemici da far respirare Heyward ancora una volta liberamente.

Ora il lago cominciava ad allargarsi e la loro rotta percorreva un vasto tratto, anch'esso delimitato da alte montagne scoscese. Ma le isole erano poche e facili da evitare. I colpi della pagaia divennero più misurati e regolari, mentre coloro che le maneggiavano continuavano la loro fatica dopo quella serrata e mortale caccia, dalla quale erano appena sfuggiti con la calma che avrebbero assunto se avessero dovuto mettere alla prova la loro velocità per divertimento, anziché in circostanze così pressanti e quasi disperate.

Invece di seguire la sponda occidentale, direzione imposta dal compito che si erano assunti i cauti Mohicani piegarono il corso della canoa sempre più verso quelle colline dietro le quali si sapeva che Montcalm aveva condotto il suo esercito, nella formidabile fortezza di Ticonderoga. Poiché, secondo tutte le apparenze, gli Uroni avevano abbandonato l'inseguimento, non vi era nessuna ragione apparente per questo eccesso di cautela. Vi si attennero, tuttavia, per ore, finché non raggiunsero una baia, presso la punta nord del lago. Qui la canoa fu tratta a riva e tutta la compagnia scese a terra. Occhio di Falco e Heyward salirono su una scogliera adiacente e qui il primo, dopo aver scrutato la distesa d'acqua sotto di lui, indicò al compagno un piccolo oggetto nero, che si muoveva sotto un promontorio a parecchie miglia di distanza.

«Vedete?» domandò l'esploratore. «Ora, come spieghereste quella chiazza se foste lasciato solo con la vostra esperienza di bianco a trovare la strada fra questi luoghi selvaggi?»

«Ma, a giudicare dalla distanza e dalle dimensioni direi che si tratta di un uccello. È un essere vivente?»

«È una canoa di buona corteccia di betulla, guidata da feroci e abili Mingo. Benché la Provvidenza abbia dato agli abitanti dei boschi occhi che sarebbero inutili agli uomini delle colonie dove ci sono delle invenzioni che aiutano la vista, non vi è organo umano in grado di vedere il pericolo che ci circonda in questo momento. Questi farabutti fingono di essere occupati solo dal loro pasto serale, ma quando sarà buio si metteranno sulle nostre tracce come cani sulla pista. Dobbiamo sbarazzarci di loro, o dovremo rinunciare all'inseguimento di Le Renard Subtil. Questi laghi a volte sono utili, specialmente quando la partita si svolge nell'acqua,» continuò l'esploratore guardandosi attorno col viso preoccupato, «ma non offrono alcun rifugio se non ai pesci. Se le colonie si estendessero lontane dai due fiumi, la caccia e la guerra perderebbero la loro bellezza.»

«Non perdiamo un momento, se non è per qualche ovvio e buon motivo.»

«Mi piace poco quel fumo che si vede avvolgersi in spirali lungo la roccia sopra la canoa,» interruppe l'esploratore distrattamente, «scommetterei la vita che altri occhi oltre i nostri lo vedono e ne conoscono il significato. Bene, le parole non miglioreranno la situazione ed è tempo di fare qualcosa.»

Occhio di Falco si allontanò dal posto di osservazione e scese, immerso nelle sue meditazioni, verso la riva. Comunicò ai compagni in lingua delaware il risultato della ricognizione, ne seguì un breve e concitato conciliabolo. Quando finì i tre si accinsero subito a mettere in pratica le nuove decisioni.

La canoa fu sollevata dall'acqua e trasportata sulle spalle. Poi si addentrarono nei boschi, cercando di lasciare una traccia il più larga e chiara possibile. Presto raggiunsero il corso d'acqua, lo attraversarono e proseguirono finché arrivarono ad una grande e nuda roccia. A quel punto, dove le loro tracce non sarebbero più state visibili, ripercorsero la stessa strada verso il ruscello, camminando a ritroso, con la massima cura. Seguirono poi il letto del piccolo corso d'acqua fino al lago, nel quale immediatamente rimisero la canoa. Una bassa lingua di terra li nascondeva dal promontorio e per un certo tratto il margine del lago era delimitato da fitti arbusti protesi sull'acqua. Protetti da queste sporgenze naturali, essi procedettero a fatica, con paziente industriosità, finché l'esploratore disse che erano fuori pericolo e potevano ancora una volta approdare.

La sosta durò finché la sera rese gli oggetti indistinti e confusi. Poi ripresero il cammino e, col favore delle tenebre avanzarono silenziosamente e vigorosamente verso la sponda occidentale. Benché gli irti contorni delle montagne verso le quali facevano rotta non presentavano alcun segno che le rendessero più distinte agli occhi di Duncan, il Mohicano entrò nella piccola rada che aveva scelto con la sicurezza e la cura di un pilota esperto.

La canoa fu ancora una volta sollevata e portata nel bosco, dove venne accuratamente nascosta sotto un mucchio di arbusti. I viaggiatori presero armi e bagagli e l'esploratore annunciò a Munro e Heyward che lui e gli indiani erano pronti a procedere.

XXI

 

Se trovate un uomo laggiù,

deve morire come una pulce.

Le allegre comari di Windsor

 

La compagnia era sbarcata ai confini di una regione che, gli abitanti degli stati dei nostri stessi giorni, è meno conosciuta dei deserti d'Arabia o delle steppe tartare. Si tratta della sterile e aspra zona che separa gli affluenti del Champlain da quelli dell'Hudson, del Mohawk e del St. Lawrence. Fin dall'epoca del nostro racconto, lo spirito intraprendente del paese l'ha cinto di ricche e fiorenti colonie, benché, a quanto ci è dato sapere, ancor oggi solo i cacciatori e i selvaggi penetrano i suoi aspri recessi. Poiché, tuttavia, Occhio di Falco e i Mohicani, avevano spesso attraversato le montagne e le valli di questa vasta foresta, non esitarono ad immergersi nel folto con la naturalezza di uomini abituati alle sue privazioni e difficoltà. Per parecchie ore i viaggiatori procedettero lungo il loro faticoso cammino guidati da una stella o seguendo la direzione di qualche corso d'acqua, finché l'esploratore li fece fermare e, consultatosi brevemente con gli indiani, accese un fuoco e fece i soliti preparativi per passare il resto della notte dove si trovavano. Imitando l'esempio e emulando la fiducia dei più esperti compagni, Munro e Duncan dormirono senza paura, se non senza inquietudine. Quando i viaggiatori ripresero il cammino, le rugiade erano già evaporate, il sole aveva disperso la nebbia e diffondeva una luce forte e chiara nella foresta.

Dopo poche miglia il procedere di Occhio di Falco, che era in testa, divenne più prudente e guardingo. Egli si fermava spesso per esaminare gli alberi, ne attraversava un ruscello senza osservare la quantità, la velocità e il colore delle sue acque. Non fidandosi del suo solo giudizio, ricorreva di frequente e con scrupolo al parere di Chingachgook. Durante uno di questi colloqui, Ducan osservò che Uncas rimaneva ad ascoltare paziente e silenzioso, anche se interessato. Egli era fortemente tentato di rivolgersi al giovane capo per domandargli un'opinione sulla loro avanzata, ma l'atteggiamento calmo e dignitoso dell'indigeno lo indusse a credere che, come lui, egli stesso dipendeva interamente dalla sagacia e dall'intelligenza dei più anziani della compagnia. Alla fine l'esploratore parlò in inglese e subito spiegò la situazione imbarazzante nella quale si trovavano.

«Quando ho scoperto che il sentiero che conduce alle tende degli Uroni corre verso nord, non c'era bisogno dell'esperienza di molti lunghi anni per dire che essi avrebbero seguito le valli e si sarebbero mantenuti fra le acque dell'Hudson e quelle dell'Horican finché non avessero raggiunto le sorgenti dei fiumi canadesi che li avrebbero condotti nel cuore del territorio francese. Invece eccoci qua, non distanti dallo Scaroon e non ci siamo imbattuti in nemmeno una delle loro tracce! La natura umana è debole ed è possibile che abbiamo perso la pista giusta.»

«Il cielo ci guardi dall'aver commesso un simile errore!» esclamò Duncan. «Torniamo sui nostri passi e esaminiamo con occhi più attenti. Uncas non ha un consiglio da offrire in una situazione così difficile?»

Il giovane Mohicano gettò in silenzio un'occhiata a suo padre, mantenendo un'aria calma e riservata. Chingachgook, colto il suo sguardo, con un gesto della mano lo invitò a parlare. Non appena questo permesso fu accordato, il viso di Uncas mutò da grave e composto com'era, e fu attraversato da un guizzo di intelligenza e di gioia. Balzando in avanti come un cervo egli si lanciò sul fianco di un piccolo declivio, poche pertiche più avanti, e si fermò esultante su una zolla di terra fresca che pareva rivoltata di recente dal passaggio di un pesante animale. Gli occhi dell'intera compagnia seguirono l'inatteso movimento e ne lessero il successo nell'aria di trionfo del giovane.

«È la traccia!» esclamò l'esploratore avvicinandosi. «Il ragazzo ha vista pronta e ingegno acuto per la sua età.»

«È straordinario che abbia tenuto la cosa per sé così a lungo,» borbottò Duncan al suo fianco.

«Sarebbe stato ancora più straordinario se avesse parlato senza permesso. No, no, il giovane bianco, che trae il suo sapere dai libri e misura quello che sa dalle loro pagine, può avere la presunzione di credere che il suo sapere, come le sue gambe, superi quello del padre, ma quando l'esperienza è la guida, allo scolaro viene insegnato il valore degli anni e di conseguenza il rispettarli.»

«Guardate,» disse Uncas, indicando a nord e a sud i segni evidenti di una larga traccia intorno a lui, «Capelli-Neri è andata verso il gelo.»

«Mai cane ha seguito pista più bella,» rispose l'esploratore, lanciandosi subito verso la via indicata. «Abbiamo fortuna, molta fortuna e possiamo proseguire col naso in aria. Già, ecco le vostre bestie caracollanti: questo Urone viaggia come un generale bianco. Costui è stato colpito da una punizione divina ed è pazzo! Cerca bene se ci sono tracce di ruote, Sagamore» continuò, guardandosi indietro e ridendo con rinnovata soddisfazione. «Presto vedremo quel pazzo viaggiare in una carrozza, ma avrà le tre paia d'occhi più acuti delle frontiere dietro di lui.»

L'ironia dell'esploratore e il sorprendente successo della caccia nella quale era stata tortuosamente coperta una distanza di più di quaranta miglia, non mancò di infondere un po' di speranza all'intera compagnia. Il loro procedere fu rapido e sicuro come quello di un viaggiatore lungo un'ampia strada maestra. Se una roccia, un ruscello o una zolla di terra più dura del solito interrompevano la continuità degli indizi che stavano seguendo, l'occhio sicuro dell'esploratore li recuperava a breve distanza e raramente rendeva necessario indugiare anche un solo momento.

Il cammino era molto facilitato dalla certezza che Magua aveva ritenuto opportuno attraversare le valli, circostanza che rese sicura la direzione generale della strada. Né l'Urone aveva completamente trascurato quelle astuzie che sono comunemente usate dagli indigeni quando si ritirano davanti al nemico. False tracce e improvvise deviazioni erano frequenti dove un ruscello o la conformazione del terreno, lo rendevano possibile; ma i suoi inseguitori raramente erano ingannati e non mancavano mai di scoprire l'errore prima di perdere tempo o terreno sulla falsa pista.

Verso la metà del pomeriggio avevano attraversato lo Scaroon e seguivano la via indicata dal sole del declino. Dopo aver disceso un'altura verso una bassa depressione attraversata da un rapido corso d'acqua, improvvisamente arrivarono in un punto dove Le Renard aveva fatto una sosta. Attorno ad una sorgente c'erano braci morenti e gli avanzi di un cervo sparpagliati, mentre gli alberi portavano chiari segni di esser stati mangiucchiati dai cavalli. A poca distanza Heyward scoprì e contemplò con tenerezza la piccola pergola sotto cui gli piacque credere che Cora e Alice avessero riposato. Ma, mentre tutto intorno la terra era calpestata e le orme di uomini e animali erano visibili, la traccia pareva interrompersi improvvisamente.

Era facile seguire le tracce dei Narraganset, ma sembrava che le bestie avessero vagato senza guida o al solo scopo di trovare cibo. Finalmente Uncas, che con suo padre aveva tentato di scoprire il percorso dei cavalli, si imbatté in un segno della loro presenza che pareva piuttosto recente. Prima di seguire quell'indizio comunicò ai compagni la scoperta, e mentre questi ultimi si consultavano su quel particolare, il giovane riapparve, conducendo le due cavalline con la sella rotta e i finimenti sudici, come se fossero state lasciate libere di corrente a volontà per parecchi giorni.

«Cosa potrebbe significare?» disse Duncan impallidendo e guardandosi attorno come temesse che gli arbusti e le foglie stessero per rivelare qualche orrido segreto.

«Che la nostra marcia è terminata e che ci troviamo in un paese nemico,» replicò l'esploratore. «Se quel farabutto avesse avuto fretta e le gentili signore avessero voluto i cavalli per non rimanere indietro, egli avrebbe probabilmente preso le loro cotenne, ma senza nemici alle calcagna e con delle bestie sfinite come queste non ha torto loro un capello. So cosa pensate, ed è vergogna per la nostra razza se avete motivo per simili pensieri; ma colui che pensa che, sia pure un Mingo, maltratterebbe una donna se non per ucciderla con il tomahawk, non sa niente della natura indiana o delle leggi della foresta. No, non ho sentito dire che gli indiani-francesi erano venuti su queste colline per cacciare l'alce e noi siamo sulla pista che porta al loro accampamento. Perché non dovrebbero? Si sentono echeggiare mattina e sera i cannoni di Ty in queste montagne perché i francesi stanno facendo correre una nuova linea tra le province del re e il Canadà. È vero che i cavalli sono qui, ma gli Uroni se ne sono andati, cerchiamo dunque il sentiero che hanno preso.»

Occhio di Falco e i Mohicani si dedicarono al loro compito con diligenza. Disegnarono un cerchio della circonferenza di poche centinaia di piedi e ognuno si dedicò all'esame di una sezione di esso: l'esame però non portò a nessuna scoperta. Le orme dei passi erano numerose, ma tutte sembravano di uomini che avevano camminato lì attorno, senza alcuna intenzione di allontanarsi. Ancora una volta l'esploratore e i compagni fecero il giro del bivacco, percorrendolo uno dietro l'altro finché si ritrovarono al centro, senza alcuna cognizione in più di quando avevano cominciato.

«Una simile astuzia non è senza scopo,» esclamò Occhio di Falco, quando incontrò lo sguardo deluso degli aiutanti. «Dobbiamo rifare l'ispezione Sagamore, cominciando dalla sorgente e risalendo il terreno pollice per pollice. L'Urone non potrà certo vantarsi con quelli della sua tribù di avere un piede che non lascia impronte.»

Dando per primo l'esempio, l'esploratore si impegnò in un attento esame con rinnovato zelo. Non si tralasciò di rivoltare neanche una foglia, i ramoscelli furono smossi e le pietre sollevate perché si sapeva che gli indiani usavano spesso questi oggetti per riparo, e studiarono con la massima pazienza e industriosità di nascondere le proprie orme man mano che procedevano. Ciò nonostante non scoprirono nulla. Finalmente Uncas, la cui agilità gli aveva permesso di finire per primo la sua parte di lavoro, raccolse la terra nel piccolo ruscello che correva dalla sorgente e ne deviò il corso verso un altro canale. Non appena il piccolo letto sotto l'argine fu asciutto, egli si chinò con occhi attenti e curiosi. Un grido esultante annunciò il successo del giovane guerriero. L'intera compagnia fece ressa verso il punto dove Uncas indicava l'impronta di un mocassino sull'umida terra alluvionale.

«Questo ragazzo sarà l'onore della sua gente» disse Occhio di Falco guardando la traccia con la stessa ammirazione di un naturalista che esamina la zanna di un mammut o la costola di un mastodonte, «già, e una spina nel fianco per gli Uroni. Però questa non è l'ombra di un indiano! Il peso è troppo sul tallone e gli alluci sono quadrati come se uno di quei ballerini francesi fosse passato di qui, svolazzando dietro la stia tribù! Torna indietro, Uncas, e portami la misura del piede del cantore, ne troverai un'impronta bellissima proprio di fronte a quella roccia, di fianco alla collina.»

Mentre il giovane era occupato ad eseguire questa commissione, l'esploratore e Chingachgook, considerarono attentamente l'impronta. Le misure corrispondevano e il primo decretò senza esitazione che si trattava dell'orma di David il quale, ancora una volta, era stato costretto a cambiare le sue scarpe con dei mocassini.

«Adesso capisco tutto chiaramente come se fossi stato presente ai trucchi di ‹Le Subtil›», e aggiunse: «essendo il cantore un uomo le cui qualità risiedono soprattutto nella gola e nei piedi, lo hanno fatto andare avanti e gli altri hanno ricalcato i suoi passi, riproducendone così la forma.»

«Ma», gridò Duncan. «non vedo nessun segno di...»

«... delle donne,› interruppe l'esploratore, «quel mascalzone ha trovato un modo per trasportarle finché non ha supposto di aver messo fuori pista tutti gli inseguitori. Scommetto la testa che rivedremo i loro bei piedini entro poche pertiche.»

Poi l'intera compagnia proseguì, seguendo il corso del ruscello, fissando gli sguardi ansiosi sulle impronte regolari. Presto l'acqua riprese a scorrere nel suo letto, ma tenendo d'occhio il terreno da entrambe le parti gli uomini della foresta mantennero la direzione, accontentandosi di sapere che le tracce stavano sotto. Avevano percorso più di mezzo miglio, quando il ruscello cominciò a incresparsi attorno alla base di una vasta roccia asciutta. Si fermarono per assicurarsi che gli Uroni non si erano allontanati dall'acqua.

Fortunatamente lo fecero, perché il pronto e solerte Uncas trovò l'impronta di un piede su un mucchio di muschio che pareva inavvertitamente calpestato da un indiano. Seguendo la direzione data da questa scoperta, entrò nel boschetto vicino e scoprì la traccia, fresca e chiara come era stata prima che giungessero alla sorgente. Un altro grido annunciò ai compagni la buona fortuna del giovane, e si pose subito termine alla ricerca.

«Già, tutto è stato escogitato col criterio indiano e avrebbe reso ciechi gli occhi di un bianco.»

«Andiamo avanti?» domandò Heyward.

«Piano, piano: conosciamo la strada, ma è bene esaminare l'ordine delle cose. Questa è la mia teoria, Maggiore, e se si tralascia di usarla ci sono poche possibilità di imparare dalla mano aperta della Provvidenza. Tutto è chiaro, tranne una cosa: cioè il modo usato da quella canaglia per trasportare le donne lungo la pista invisibile. Perfino un Urone non avrebbe l'ardire di far toccare l'acqua ai loro teneri piedi.»

«Questo può aiutare a spiegare la difficoltà?» disse Heyward indicando i frammenti di una specie di barella rozzamente costruita con rami e tenuta insieme con delle ritorte, e che sembrava essere stata gettata via perché inutile.

«Tutto ora è spiegato!» esclamò Occhio di Falco compiaciuto, «Se quelle canaglie sono passate in un minuto, hanno impiegato ore a tentare di fabbricare una falsa pista! Ebbene, ho saputo che hanno sprecato un giorno allo stesso modo e per una simile sciocchezza. Ecco tre paia di mocassini e due per piedi piccoli. È straordinario che un essere umano possa andare su arti così piccoli! Passami la striscia di pelle di daino, Uncas, in modo che io misuri la lunghezza di questo piede. Non è più lungo di quello di un bambino e tuttavia le fanciulle sono alte e armoniose. Il migliore e più soddisfatto di noi deve pur ammettere che la Provvidenza è parziale nei suoi doni, e certamente per delle buone ragioni.»

«Le tenere membra delle mie figlie non possono affrontare queste fatiche» disse Munro guardando le leggere orme delle figliole con amore paterno. «Troveremo i loro corpi inanimati in questo deserto.»

«Per questo c'è poco da temere» replicò l'esploratore scuotendo lentamente il capo. «Questo è un passo fermo e dritto, benché leggero e non molto lungo. Guardate, i talloni hanno appena toccato il terreno e laggiù Capelli-Neri ha fatto un piccolo balzo da una radice all'altra; no, no l'esperienza mi insegna che nessuna delle due stava per svenire. Qui il cantore cominciava ad avere i piedi doloranti e le gambe stanche, come si vede chiaramente dalle sue orme. Là, vedete, è scivolato, qui ha allungato il passo e ha vacillato, e là ancora ha camminato con delle racchette da neve. Eh già, un uomo che usa soltanto la gola difficilmente può esercitare bene le gambe.»

Con questa prova innegabile l'esperto uomo dei boschi arrivò alla verità con la stessa certezza e precisione che ne avrebbe tratto se fosse stato direttamente testimone di tutti quei fatti che così facilmente aveva spiegato grazie alla sua ingegnosità. Risollevata da queste assicurazioni e soddisfatta da spiegazioni così chiare e semplici, la compagnia riprese il cammino dopo aver fatto una breve sosta per consumare un rapido pasto.

Quando ebbero finito di mangiare, l'esploratore diede uno sguardo verso l'alto sole morente e procedette con una velocità che costrinse Heyward e l'ancora vigoroso Munro ad impiegare tutte le loro forze per tenergli dietro. La loro strada percorreva ora l'avallamento che abbiamo già menzionato. Poiché l'Urone non aveva fatto altri sforzi per nascondere le sue tracce, il cammino degli inseguitori non fu più rallentato da incertezze. Prima che fosse trascorsa un'ora, tuttavia, Occhio di Falco diminuì sensibilmente la velocità e non mantenne più lo sguardo fisso in avanti, ma cominciò a girare la testa con aria sospettosa da una parte all'altra, come chi è conscio di avvicinarsi al pericolo. Presto si fermò ancora una volta e aspettò che l'intera compagnia lo raggiungesse.

«Sento odore di Uroni» disse rivolto ai Mohicani. «Laggiù, attraverso le cime degli alberi il cielo è aperto e noi ci stiamo avvicinando troppo al loro accampamento. Sagamore, tu fiancheggerai la collina verso destra; Uncas andrà lungo il ruscello a sinistra, mentre io seguirò le tracce. Se dovesse succedere qualcosa faremo tre volte il verso del corvo come segnale. Ho visto uno di quegli uccelli svolazzare oltre quella quercia morta, un altro segno che siamo vicini all'accampamento.»

Gli indiani presero ciascuno la proprio strada senza rispondere, mentre Occhio di Falco procedette cautamente con i due ufficiali. Ben presto Heyward si portò a fianco della guida, ansioso di vedere quei nemici che aveva inseguito con tanta fatica e inquietudine. Il compagno gli disse di sgattaiolare verso il margine del bosco che come sempre era orlato di roveti e di aspettarlo, perché lui desiderava esaminare certi segni sospetti che si trovavano un po' più in là. Duncan obbedì e presto si trovò in una posizione che gli permetteva di dominare una vista che trovò tanto straordinaria quanto nuova.

Gli alberi per molti acri erano stati abbattuti e il bagliore di una dolce sera estiva era sceso sulla radura, creando un meraviglioso contrasto con la luce grigia della foresta. A poca distanza dal luogo dove si trovava Duncan, il ruscello si allargava in un laghetto che copriva la maggior parte dell'avallamento fra le montagne. L'acqua sgorgava da questo ampio bacino e formava una cateratta così regolare e dolce da sembrare opera della mano dell'uomo piuttosto che della natura.

Un centinaio di case di terra sorgevano ai margini del lago ma anche nell'acqua come se questa fosse straripata. I tetti tondi, mirabilmente modellati per la difesa contro le intemperie, denotavano più industriosità e previdenza di quanta gli indigeni fossero soliti dedicare alle loro normali abitazioni, e ancor meno per quelle che occupavano in attività temporanee come la caccia o la guerra. In breve, il villaggio, o città che dir si voglia, era costruito con più metodo e accuratezza di quanto i bianchi solessero attribuire ai costumi indiani. Ciononostante sembrava abbandonato. Almeno così pensò Duncan per parecchi minuti; ma alla fine gli parve di scorgere parecchie forme umane che avanzavano carponi verso di lui e che sembravano trascinarsi dietro una pesante e, da quanto capì prontamente, formidabile macchina. Proprio allora alcune teste scure guizzarono fuori dalle abitazioni e il luogo sembrò improvvisamente brulicare di esseri che però sgusciavano di nascondiglio in nascondiglio così rapidamente da non permettergli di scoprire i loro umori e le loro intenzioni. Allarmato da questi movimenti sospetti e inspiegabili stava per fare il tentativo di lanciare il segnale dei corvi, quando un fruscio di foglie vicino a lui lo fecero girare altrove.

Il giovane sussultò e indietreggiò istintivamente di qualche passo quando si trovò a poche iarde da uno strano indiano. Riavendosi immediatamente, invece di lanciare un segnale che avrebbe potuto essergli fatale, rimase immobile, osservatore attento dei movimenti dell'altro. Un istante di calma osservazione assicurò il giovane che non era stato scoperto. L'indigeno sembrava come lui occupato a esaminare le basse abitazioni del villaggio e i movimenti furtivi dei suoi abitanti. Era impossibile vedere l'espressione dei suoi lineamenti attraverso le grottesche dipinture che gli celavano il volto come una maschera, benché Duncan vi indovinasse una espressione malinconica piuttosto che selvaggia. La testa di costui era rapata, come al solito, tranne che alla sommità, dal cui ciuffo penzolavano tre o quattro penne di falco sbiadite. Una mantellina di calicò sbrindellata gli ricopriva il busto, mentre la parte inferiore dell'abbigliamento era costituita da una normale camicia le cui maniche svolgevano una funzione che è normamente affidata a sistemazioni più comode. Le gambe erano nude, miseramente ferite e graffiate dai rovi. I piedi però erano calzati con un paio di mocassini di buona pelle di daino. Nell'insieme l'aspetto di questo individuo era quello di un essere sconsolato e misero.

Duncan stava ancora osservando curiosamente la persona del vicino, quando l'esploratore sgattaiolò silenziosamente e cautamente al suo fianco.

«Vedete, abbiamo raggiunto la loro colonia o accampamento mormorò il giovane» «ed ecco qui uno dei loro, in una posizione che potrebbe mettere in imbarazzo i nostri prossimi movimenti.»

Occhio di Falco sussultò e puntò il fucile, ma a questo punto lo sconosciuto indicato dal compagno, gli cadde sotto gli occhi. Poi, abbassando la pericolosa canna, allungò il collo, come per favorire un esame, già molto minuzioso.

«Quel demonio non è un Urone,» disse «né appartiene ad alcuna tribù del Canadà: eppure, come vedete dai suoi vestiti, quella canaglia ha depredato un bianco. Già, Montcalm ha rastrellato nei boschi erbacce per le sue scorribande e ha messo insieme una compagnia urlante di assassini. Vedete dove ha messo il fucile o l'arco?»

«Sembra che non abbia armi, né pare male intenzionato. A meno che non dia l'allarme ai suoi compagni che come vedete stanno studiando qualche tranello nell'acqua, abbiamo poco da temere da lui.»

L'esploratore si girò verso Heyward e lo guardò per un momento senza nascondere lo stupore. Poi spalancando la bocca si lasciò sfuggire una irrefrenabile e sentita risata, benché in quel silenzioso e strano modo che il pericolo gli aveva per tanto tempo insegnato ad usare.

Ripetendo le parole: «Persone che stanno studiando tranelli nell'acqua!» aggiunse: «Ecco il risultato di aver studiato e passato la giovinezza nelle colonie! Quella canaglia ha le gambe lunghe e non c'è da fidarsi di lui. Tenetelo sotto il vostro fucile, mentre io sguscerò fra i cespugli e cercherò di prenderlo vivo. Non sparate per nessun motivo.»

Heyward aveva già lasciato che il compagno si immergesse per metà nel boschetto, quando, allungando un braccio, lo fermò domandargli: «Se vedo che siete in pericolo, posso sparare?»

Occhio di Falco lo guardò per un momento come chi non sa come rispondere; poi, scuotendo il capo rispose, sempre ridendo silenziosamente: «Fate sparare all'intero plotone, Maggiore.»

Subito dopo era sparito fra le foglie. Duncan attese parecchi minuti con febbrile impazienza prima di scorgere di nuovo l'esploratore. Poi questi riapparve strisciando sul terreno, dal quale il suo abbigliamento si distingueva a mala pena, proprio dietro a colui che voleva fare prigioniero. Quando giunse a poche iarde da quest'ultimo, l'esploratore si alzò silenziosamente e lentamente. In quel momento si udirono dei forti tonfi nell'acqua e Duncan si girò proprio in tempo per vedere che un centinaio di forme scure stavano tuffandosi tutte insieme nell'agitato laghetto. Afferrando il fucile si girò di nuovo verso l'indiano vicino a lui. Invece di cogliere il segnale, l'ingenuo indiano allungò il collo come se anch'egli sorvegliasse i movimenti che si svolgevano nel cupo lago con una sorta di sciocca curiosità. Nel frattempo Occhio di Falco alzò una mano sopra di lui. Senza nessuna ragione apparente, però, la ritrasse e si lasciò sfuggire un'altra lunga e silenziosa risata. Quando Occhio di Falco ebbe finito di ridere invece di afferrare la vittima per il collo, lo toccò leggermente sulla spalla e esclamò ad alta voce:

«Ebbene, amico, avete intenzione di insegnare a cantare ai castori?»

«Proprio così,» fu la pronta risposta. «Si direbbe che Colui che ha dato loro il potere di far buon uso dei Suoi doni, non dovrebbe negare loro la voce per cantare le Sue lodi.»

 

XXII

 

Bot - Ci siamo tutti?

Qui - Sì, sì; ed ecco un magnifico posto

adatto per le nostre prove.

Sogno di una notte di mezza estate

 

Il lettore può immaginare, meglio di quanto noi possiamo descrivere la sorpresa di Heyward. I suoi indiani in agguato erano diventati improvvisamente dei quadrupedi, il suo lago uno stagno di castori; la sua cateratta una diga costruita da quegli industriosi e ingegnosi animali e quello che aveva creduto un indiano si era rivelato il suo fidato amico David Gamut, il maestro di salmodia. La presenza di quest'ultimo creò tante inattese speranze per le sorelle che, senza un momento di esitazione, il giovane si precipitò fuori dal nascondiglio e raggiunse di slancio i due principali attori della scena.

L'ilarità di Occhio di Falco non si placò facilmente. Senza cerimonie e piuttosto grossolanamente fece girare sui tacchi il docile Gamut e più di una volta affermò che gli Uroni si erano costruiti una bella fama con la foggia del suo costume. Poi, afferrando la mano dell'altro, gliela strizzò talmente che le lacrime salirono agli occhi del pacifico David, e si congratulò per la sua nuova condizione.

«Stavate per aprire una scuola di canto fra i castori, non è vero?» disse. «Quegli astuti animali conoscono già metà della lezione dato che battono il tempo con la coda, come avete potuto sentire proprio in questo momento; ed era anche il tempo giusto, altrimenti ‹Ammazzacervo› avrebbe dato il la. Ho conosciuto gente che sapeva leggere e scrivere più sciocca di un vecchio castoro pieno di esperienza: ma quanto a strillare, questi animali sono muti! Cosa ne pensate di un suono come questo?»

David si tappò le sensibili orecchie e persino Heyward che era al corrente del significato del grido, guardò in su alla ricerca dell'uccello quando il gracchiare di un corvo risuonò nell'aria attorno a loro.

«Vedete,» continuò l'esploratore ridendo e indicando il resto della campagnia che, in risposta al segnale si stava già avvicinando, «questa è musica che ha delle virtù naturali: porta buoni fucili al mio fianco, per non parlare dei coltelli e dei tomahawk. Ma vediamo che siete salvo: diteci ora cosa ne è delle fanciulle?»

«Sono prigioniere dei pagani.» disse David, «e benché molto tormentate nello spirito, godono di comodità e sicurezza per il corpo.»

«Entrambe?» domandò Heyward col fiato mozzo.

«Proprio così. Benché il nostro cammino sia stato doloroso e il nutrimento scarso, abbiamo avuto pochi altri motivi di lamentela se non fosse stato per la violenza fatta al nostro spirito nel portarci così, prigionieri, in una terra lontana.»

«Dio vi benedica per queste parole!» esclamò Munro tremante. «Potrò dunque riavere le mie bambine, pure come angeli, come quando le ho perdute!»

«Non so se la loro liberazione è vicina,» aggiunse David dubbioso. «Il capo di questi selvaggi è posseduto da uno spirito maligno che nessuna forza che non sia onnipotente può placare... Io ho tentato mentre dormiva e mentre vegliava, ma né la musica né le parole sembrano toccare la sua anima.»

«Dov'è quella canaglia?» domandò rude l'esploratore.

«Oggi è a caccia dell'alce con i suoi giovani e domani, da quel che ho sentito, si inoltreranno nella foresta e si avvicineranno ai confini del Canadà. La maggiore delle fanciulle è stata portata presso un popolo vicino, le cui capanne sono situate al di là di quello spuntone nero di roccia, mentre la più giovane è trattenuta con le donne degli Uroni, le cui dimore sono a sole due miglia da qui, su un altopiano dove il fuoco ha fatto le veci dell'ascia e ha preparato il luogo per accoglierli.»

«Alice, mia dolce Alice!» mormorò Heyward. «Ha perso la consolazione della presenza della sorella!»

«Proprio così. Ma finché le lodi e i ringraziamenti della salmodia hanno potuto consolare il suo spirito afflitto, ella non ha sofferto.»

«Ha ancora gusto per la musica?»

«Della più grave e solenne; benché debba dire che, a dispetto dei miei sforzi, la fanciulla piange più spesso di quanto non sorrida. In quei momenti evito di sforzarla a cantare le canzoni sacre. Ma ci sono molti periodi dolci e consolanti soddisfacente comunicazione, quando le orecchie dei selvaggi sono stordite di meraviglia per il levarsi della nostra voce.»

«E perché vi è permesso andare in giro senza essere sorvegliato?»

David compose i lineamenti in quella che voleva essere un'aria di modesta umiltà, prima di rispondere mitemente: «Che non si lodi un verme quale io sono. Anche se la salmodia non ha avuto effetto nel terribile episodio del campo di sangue attraverso cui siamo passati, essa ha esercitato la sua influenza persino sulle anime dei pagani per questo ora mi si lascia andare e venire come voglio.»

L'esploratore rise e battendosi una mano sulla fronte in modo significativo, spiegò quella singolare indulgenza in modo forse più soddisfacente dicendo: «Gli indiani non fanno mai male a chi non è padrone delle sue facoltà. Ma perché, quando il sentiero era aperto davanti a voi non siete tornato sulle vostre tracce (non sono certo invisibili come quelle di uno scoiattolo) e portato notizie a Edward?»

L'esploratore avendo presente soltanto la propria natura vigorosa e ferrea pretendeva forse da David un'azione che questi a nessuna condizione avrebbe potuto compiere. Tuttavia, senza perdere del tutto la sua aria mite egli si limitò a rispondere: «Benché la mia anima gioirebbe a visitare ancora una volta le abitazioni della cristianità, i miei piedi seguirebbero i teneri spiriti che mi sono stati affidati persino nelle provincie idolatre dei gesuiti, piuttosto che indietreggiare di un solo passo mentre esse soffrono nella prigionia e nel dolore.»

Benché il linguaggio figurato di David non fosse molto chiaro, l'espressione sincera e risoluta del suo sguardo e la luce della sua faccia onesta non furono fraintese. Uncas gli si avvicinò e lo guardò con un'aria di approvazione, mentre il padre espresse la propria soddisfazione con la consueta breve esclamazione di assenso. L'esploratore scosse il capo aggiungendo: «Il Signore non ha mai stabilito che un uomo debba mettere tutti i suoi sforzi nella gola a discapito di altri e migliori doni! Ma costui è caduto nelle mani di qualche donna sciocca, quando invece avrebbe dovuto essere educato sotto il cielo azzurro, tra le bellezze della foresta. Qui, amico, avevo intenzione di appiccare il fuoco con questo tuo zufolo, ma poiché lo tenete in gran conto, prendetelo, e fate del vostro meglio soffiandoci dentro!»

Gamut ricevette il suo strumento con una espressione di piacere intensa quanto riteneva compatibile con le sue solenni funzioni. Dopo aver ripetutamente provocato le sue virtù alternandone il suono con la propria voce, e convintosi che nessuna delle tonalità era andata perduta, egli fece un serio tentativo di eseguire alcune strofe di una delle più lunghe opere del volumetto così spesso menzionato.

Heyward, però, interruppe in fretta le sue pie intenzioni continuando a fargli domande sul passato e il presente delle prigioniere e in un modo più metodico di quanto non gli avessero permesso i suoi sentimenti all'inizio del colloquio. David, pur continuando a guardare il suo tesoro con occhi bramosi, fu costretto a rispondere: specialmente quando il venerando padre prese parte all'interrogatorio con un interesse troppo rispettabile per negargli una risposta. Nemmeno l'esploratore tralasciò di inframezzare il discorso con qualche domanda pratica ogni volta che se ne presentava l'occasione. Così, anche se con frequenti interruzioni durante le quali qualche suono stridulo usciva dallo strumento ritrovato, gli inseguitori furono resi edotti sulle circostanze importanti che li avrebbe messi in grado di portare a termine il grande ed impegnativo compito che si erano assunti: la liberazione delle sorelle.

Il racconto di David fu semplice e i fatti stringati.

Magua aveva atteso sulla montagna finché si era presentato un momento sicuro per ritirarsi, allora era disceso e si era incamminato per la sponda est dell'Horican, in direzione del Canadà. Poiché l'astuto Urone aveva dimestichezza con i sentieri e sapeva bene che il pericolo di essere inseguito non era immediato, il loro procedere era stato piuttosto lento e certamente non faticoso. Era chiaro dal semplice resoconto di David che la sua presenza era stata piuttosto sopportata che desiderata, anche se persino Magua non era del tutto immune da quella venerazione con la quale gli indiani guardano coloro il cui intelletto è stato visitato dal Grande Spirito. La notte erano state prese grandi precauzioni per le prigioniere, tanto per prevenire i danni dell'umidità dei boschi, quanto per evitarne la fuga. Alla fonte i cavalli furono liberati, come era stato constatato, e nonostante la via percorsa fosse lunga e remota, si era fatto ricorso agli artifici menzionati allo scopo di nascondere ogni indizio che portasse fino a loro. Quando arrivarono all'accampamento, in ottemperanza ad una tattica da cui difficilmente si allontanava, Magua separò le prigioniere. Cora era stata inviata presso una tribù che occupava temporancamente le valli adiacenti, David però era troppo ignorante dei costumi e della storia degli indigeni per essere in grado di dire qualcosa di soddisfacente sul loro nome e il loro carattere. Sapeva soltanto che costoro non si erano impegnati nell'ultima spedizione contro William Henry; essi come gli Uroni, erano alleati di Montcalm e mantenevano rapporti amichevoli anche se guardinghi col popolo bellicoso e selvaggio, con il quale il caso li aveva per un certo periodo messi in un contatto così stretto e sgradevole.

I Mohicani e l'esploratore ascoltarono questo racconto interrotto ed imperfetto con un interesse sempre crescente man mano che procedeva; e fu mentre questi tentava di spiegare le occupazioni della comunità nella quale era trattenuta Cora che l'esploratore domandò bruscamente: «Avete visto il tipo dei loro coltelli? Erano di fabbricazione inglese o francese?»

«I miei pensieri non erano occupati da simili futilità, ma piuttosto vicini a quelli delle fanciulle onde consolarle.»

«Verrà il momento in cui non considererete il coltello di un selvaggio una futilità tanto indegna» replicò l'esploratore in tono fortemente sprezzante per l'ottusità dell'altro. «Sapete almeno dire se hanno tenuto la festa del grano turco, o qualcosa sui totem della loro tribù?»

«Di granoturco abbiamo fatto molti e abbondanti banchetti: il grano, messo nel latte è dolce al palato e gradito allo stomaco. Di totem non me ne intendo ma se hanno a che fare in qualche modo con l'arte musicale indiana, non cercatela fra costoro. Essi non uniscono mai le voci in preghiera e si direbbe che sono tra i peggiori degli idolatri.»

«Qui fate torto alla natura degli indiani. Persino i Mingo adorano il Dio vero e vivente... Questo è una ignobile montatura dei bianchi, e lo dico a vergogna della mia razza che vorrebbe far inchinare il guerriero davanti ad immagini di sua invenzione. Essi cercano, è vero di propiziarsi il Maligno - e chi non lo farebbe con un nemico che non si può vincere! - ma domandano il favore e l'aiuto soltanto dello Spirito Grande e Buono.»

«Può darsi,» disse David, «ma ho visto strane e fantastiche immagini nelle loro dipinture, inoltre l'ammirazione e la cura che vi dedicavano sapeva di orgoglio spirituale, specialmente per una che era un oggetto osceno e ripugnante.»

«Era un serpente?» domandò pronto l'esploratore.

«Qualcosa del genere. Somigliava a una tartaruga schifosa e strisciante.»

«Hugh!» esclamarono insieme gli attenti Mohicani, mentre l'esploratore scuoteva il capo con l'aria di chi ha fatto una scoperta importante ma affatto piacevole. Poi il padre parlò in delaware con una calma e una dignità che fermò subito l'attenzione anche di coloro per cui le parole che pronunciava erano incomprensibili. I suoi gesti erano solenni ed energici. Una volta levò in alto un braccio, mentre lo abbassava scostò le pieghe della leggera mantellina e si pose un dito sul petto, come a voler dar più forza alle parole col gesto. Duncan seguì il movimento e vide che l'animale appena menzionato era magnificamente rappresentato in un colore blu, anche se sbiadito, sul petto scuro del capo. Tutto quanto aveva sempre sentito dire sulla violenta separazione della grande tribù dei Delaware gli si presentò di colpo alla mente, e attese il momento adatto per parlare con un'ansia resa quasi intollerabile dall'interesse nella questione. il suo desiderio, tuttavia, fu prevenuto dall'esploratore che volse le spalle all'amico rosso e disse:

«Abbiamo trovato qualcosa che può essere un bene o un male per noi, a seconda della volontà del cielo. Il Sagamore è del nobile sangue dei Delaware ed è il grande capo delle loro tartarughe! Che qualcuno di questa razza si trova fra la gente di cui il cantore ci ha parlato, risulta chiaro dalle sue parole, e se costui avesse speso in caute domande metà del fiato che ha sprecato facendo della sua gola una tromba, potremmo sapere quanti guerrieri hanno. Nel complesso il cammino da percorrere sarà difficile, poiché un amico che ti ha voltato le spalle, spesso ha intenzioni peggiori di un nemico che cerca la tua cotenna.»

«Spiegatevi» disse Duncan.

«È una lunga e triste storia e mi piace poco pensarci, perché non si può negare che il male è stato fatto soprattutto da uomini con la pelle bianca. È, finita comunque col far volgere il tomahawk del fratello contro il fratello e ha condotto i Mingo e i Delaware a percorrere lo stesso cammino.»

«Voi pensate dunque che si tratti di una parte di quel popolo fra cui ora si trova Cora?»

L'esploratore fece un cenno di assenso col capo, benché sembrasse ansioso di lasciar cadere la discussione ulteriore sopra un argomento per lui troppo penoso. Duncan, impaziente, faceva ora numerose ed affrettate proposte per tentare di liberare le sorelle. Munro sembrò scuotersi dalla sua apatia e ascoltò i confusi progetti del giovane con una deferenza che i suoi capelli grigi e la sua veneranda età avrebbero dovuto evitargli. Ma l'esploratore, dopo aver lasciato che l'ardore dell'innamorato si sfogasse un po', trovò modo di convincerlo della follia che avrebbe rappresentato l'essere precipitosi in una faccenda nella quale era invece richiesta la loro più fredda calma e la massima prudenza.

«Sarebbe bene,» aggiunse, «lasciare che costui torni come al solito nella capanna e, dopo aver avvisato le sorelle della nostra vicinanza vi rimanga, finché non lo richiameremo con un segnale onde consultarci. Amico, sapete distinguere il grido di un corvo dal fischio di un caprimulgo?»

«È un uccello piacevole,» replicò David, «ed emette note dolci e malinconiche! Benché il tempo sia piuttosto veloce e mal scandito.»

«Sta parlando del cane della prateria» disse l'esploratore. «Bene, poiché amate il suo verso, sarà il vostro segnale. Ricordate dunque, quando udrete per tre volte il richiamo del caprimulgo, dovrete venire fra gli arbusti dove si suppone che quell'uccello...»

«Ferma,» interruppe Heyward, «lo accompagnerò.»

«Voi!» esclamò stupito Occhio di Falco. «Siete forse stanco di vedere il sole sorgere e tramontare?»

«David è la prova vivente che gli Uroni possono essere misericordiosi.»

«Sì. Ma David sa usare la gola come nessun uomo completamente in sé saprebbe fare.»

«Anch'io posso fare la parte di una signora, di un matto, di un eroe, in breve, qualunque cosa per liberare colei che amo. Non fate altre obiezioni: sono deciso.»

Occhio di Falco guardò il giovane per un momento con muta meraviglia. Ma Duncan che, fino a quel momento, in omaggio all'esperienza e ai servigi dell'altro, si era implicitamente sottomesso ai suoi consigli, ora riassunse i toni del superiore in un modo al quale non era facile opporsi. Agitò la mano mostrando di non curarsi delle proteste, poi, con accenti più calmi, continuò:

«Avete i mezzi per camuffare: cambiatemi, pitturatemi anche, se volete, fatemi diventare qualunque cosa... un matto.»

«Non sta a uno come me dire che chi è già formato da una mano forte come quella della Provvidenza, ha bisogno di essere cambiato,» borbottò l'esploratore scontento. «Quando fate uscire le vostre compagnie per un'azione di guerra, ritenete prudente, almeno, organizzare i segnali e la posizione dell'accampamento in modo che coloro che combattono al vostro fianco possano sapere quando e dove trovare un amico.»

«Ascoltate» interruppe Duncan. «Avete udito da questo fedele compagno delle prigioniere che gli indiani in questione appartengono a due tribù se non a due diversi popoli. Con quello che voi credete essere un ramo dei Delaware, è colei che chiamate ‹Capelli-Neri›, mentre l'altra fanciulla, quella più giovane, è innegabilmente con i nostri nemici dichiarati: gli Uroni. Si addice alla mia giovinezza e al mio rango tentare quest'ultima avventura. Perciò, mentre voi negozierete con i vostri amici la liberazione di una delle sorelle, io libererò l'altra, o morirò.»

L'esaltazione brillava negli occhi del giovane soldato e la sua figura, così animata, si fece imponente. Occhio di Falco, benché troppo esperto degli artifici degli indiani per non prevedere il pericolo di quell'esperimento, non seppe bene come opporsi a tanta decisione. Forse v'era qualcosa in quella proposta che corrispondeva alla sua natura intrepida e al segreto amore per l'avventura disperata che erano aumentati in lui con l'esperienza, finché il rischio e il pericolo erano diventati, in qualche misura, necessari al piacere della sua stessa esistenza. Invece di continuare ad opporsi al progetto di Duncan, improvvisamente cambiò umore e si presentò per la sua realizzazione.

«Venite» disse con un sorriso cordiale. «Il daino che va all'acqua deve essere affrontato e non inseguito; Chingachgook ha tanti colori quanti la moglie di uno di quegli ufficiali del genio che riproduce la natura su pezzi di carta facendo sembrare le montagne mucchi di fieno secco e mettendo il cielo blu a portata di mano. Il Sagamore sa anche usarli. Sedetevi su quel ceppo e scommetto che farà di voi un matto da sembrar vero e in un modo che sarà di vostro gradimento.

Duncan obbedì e il Mohicano che aveva ascoltato attentamente il discorso si mise subito all'opera. Con una lunga pratica di tutti i sottili artifici della sua razza, egli disegnò con grande destrezza e rapidità l'immagine fantastica che gli indigeni erano abituati a considerare segno di una disposizione amichevole e gioviale. Fu accuratamente evitata ogni linea che avrebbe potuto essere interpretata come una segreta intenzione bellicosa, furono escogitati invece tutti quei simboli che erano interpretabili come indice di amicizia.

In breve, sacrificò l'immagine del guerriero alla maschera del buffone. Simili spettacoli non erano rari fra gli indiani, e quando Duncan fu sufficientemente nascosto da tutti quei trucchi si poteva certamente credere che con la sua conoscenza del francese potesse passare per un giullare di Ticonderoga, a zonzo fra le tribù alleate ed amiche.

Quando si ritenne che fosse abbastanza dipinto, l'esploratore gli diede molti consigli amichevoli, concordarono i segnali e infine stabilirono dove si sarebbero incontrati in caso di successo per entrambi. Il commiato fra Munro e il suo giovane amico fu più malinconico; tuttavia il primo sopportò la separazione con una indifferenza che la sua calda e onesta natura non avrebbe mai permesso se il suo stato mentale fosse stato più equilibrato. L'esploratore prese da parte Heyward e lo mise al corrente della sua intenzione di lasciare il veterano in qualche accampamento al sicuro, assistito da Chingachgook, mentre lui e Uncas avrebbero condotto la ricerca fra quel popolo che avevano ragione di credere fosse Delaware. Poi, rinnovando i consigli di cautela, concluse con un calore e una solennità di sentimenti che Duncan ne risultò profondamente toccato:

«E ora, che Dio vi benedica! Avete mostrato uno spirito che mi piace, perché è un dono della giovinezza, specialmente se il sangue è caldo e il cuore nobile. Ma credete agli avvertimenti di un uomo che ha ragione di pensare che ciò che dice è vero. Avrete occasione di mettere alla prova il meglio del vostro coraggio e di usare più ingegno di quanto non sia dato apprendere dai libri, prima di poter superare l'astuzia di un Mingo e avere la meglio sul suo coraggio. Dio vi benedica! Se gli Uroni vi prenderanno la cotenna, contate sulla promessa di uno che ha due forti guerrieri a spalleggiarlo. Essi pagheranno quella vittoria con una vita per ogni capello che avete in capo. Nobile giovane, che la Provvidenza benedica la vostra impresa, perché è tutta volta al bene, e ricordate che per superare quelle canaglie è lecito usare mezzi che per natura possono non appartenere alle virtù di un bianco.»

Ducan strinse calorosamente la mano del degno e riluttante amico, raccomandò ancora una volta l'anziano compagno alle sue cure, e dopo avere ricambiato gli auguri, si unì a David per partire. Occhio di Falco seguì con lo sguardo per alcuni minuti il coraggioso e audace giovane con aperta ammirazione, poi, scuotendo il capo dubbioso, si girò per condurre il resto della compagnia a nascondersi nella foresta.

La strada presa da Duncan e David attraversava la radura dei castori e seguiva le sponde del loro stagno. Quando si trovò solo con un compagno così semplice e così poco qualificato per essere d'aiuto in occasioni disperate, Duncan si rese conto per la prima volta delle difficoltà del compito che si era assunto. La luce che si spegneva aumentava la tristezza della cupa e selvaggia foresta che si estendeva così vasta attorno a lui; e c'era un che di pauroso persino nell'immobilità di quelle piccole capanne che egli sapeva essere abbondantemente popolate. Mentre guardava queste mirabili strutture e la magnifica precauzione dei loro sagaci abitanti, rimase colpito dal fatto che persino i bruti in quelle foreste possedevano un istinto paragonabile alla sua ragione, e non poteva rammentare senza inquietudine l'impari lotta che aveva desiderato con tanto slancio. Poi gli apparve l'immagine splendente di Alice, la sua angoscia, il pericolo nel quale in quel momento si trovava, e tutti i rischi della propria situazione furono dimenticati. Incoraggiando David, proseguì con il passo leggero e vigoroso della giovinezza e dell'audacia.

Dopo aver fatto quasi un semicerchio attorno allo stagno, essi si allontanarono dal corso d'acqua e cominciarono a salire al livello di una leggera elevazione della depressione nella quale viaggiavano. In capo a un'ora raggiunsero i margini di un'altra radura, anch'essa evidentemente fatta dai castori, che probabilmente i sagaci animali in seguito a qualche incidente erano stati indotti ad abbandonare per quella più conveniente che occupavano ora. Duncan lasciava controvoglia il riparo del sentiero cespuglioso, e una sensazione molto naturale lo fece esitare un momento, come chi si fermi a raccogliere le energie prima di una prova rischiosa, conscio che tutte gli saranno necessarie. Egli sfruttò la fermata per raccogliere tutte le informazioni che era possibile ottenere con una breve e frettolosa occhiata.

Dalla parte opposta della radura, in un punto in cui il ruscello saltava su alcune rocce da un livello più alto, scoprì cinquanta o sessanta capanne, rozzamente costruite con tronchi ramoscelli e terra impastati. Esse erano distribuite senza alcun ordine e sembravano costruite con pochissima attenzione per l'eleganza o la bellezza. In verità, erano tanto inferiori in questi due particolari al villaggio che Duncan aveva appena visto che cominciò ad attendersi una seconda sorpresa, non meno stupefacente della prima. L'ansia di questa attesa non diminuì certo quando, nella luce confusa del tramonto, vide venti o trenta forme sbucare alternativamente dal nascondiglio di erba alta e spessa davanti alle capanne, e scomparire poi alla vista come inghiottite dal terreno. Dalle fugaci e rapide occhiate che riuscì a dare, queste figure gli sembrarono scuri spettri balenanti, o qualche altro essere non appartenente a questa terra, più che creature costruite della consueta e volgare materia di carne ed ossa. Si vedeva una forma macilenta e nuda che per un solo istante annaspava disperatamente nell'aria, poi il posto che aveva occupato rimaneva vuoto e la figura ricompariva in un altro punto più distante, o era sostituita da un'altra con le stesse misteriose caratteristiche.

David, vedendo che il compagno indugiava seguì la direzione del suo sguardo e in un certo senso mise ordine nelle idee di Heyward dicendo: «C'è molto terreno fertile non coltivato qui e posso aggiungere, senza peccato d'autocompiacimento, che dal mio breve soggiorno in queste dimore pagane, molto buon seme è stato gettato lungo la via.»

«Le tribù preferiscono la caccia alle arti degli uomini laboriosi» replicò Duncan ignaro, sempre guardando gli oggetti della sua meraviglia. «È più una gioia che una fatica per lo spirito levare la voce in preghiera, ma sfortunatamente questi ragazzi fanno cattivo uso dei loro doni.

«Raramente ho trovato qualcuno della loro età cui la natura abbia così generosamente elargito le qualità per la salmodia, e certamente, nessuno li ha maggiormente trascurati. Ho sostato qui per tre notti; tre volte ho raccolto i monelli perché si unissero nel canto sacro, e altrettante volte essi hanno risposto ai miei sforzi con urla e ululati da gelarmi l'anima!»

«Di chi state parlando?»

«Di quei ragazzi laggiù, che sprecano il loro prezioso tempo in quelle oziose stravaganze. Ah! Il salutare freno della disciplina è poco conosciuto da questa gente abbandonata a se stessa. In un paese di betulle un ramoscello non si vede, e non dovrei farmi meraviglia se i migliori doni della Provvidenza sono sprecati in simili grida.» David si tappò le orecchie davanti al branco di giovani il cui grido proprio allora risuonò acuto nella foresta, e Duncan, increspando le labbra come per sorridere della propria superstizione, disse fermamente: «Andiamo avanti»

Senza levare il riparo dalle orecchie, il maestro cantore obbedì e insieme si avviarono verso ciò che David a volte chiamava «le tende dei filistei.»

XXIII

 

Ma sebbene la selvaggina

abbia diritto al privilegio della caccia;

sebbene concediamo spazio e diritto al cervo;

prima di liberare i cani o tendere l'arco

chi mai si è curato di sapere dove, come, quando

la volpe predatrice è stata catturata o uccisa?

La signora del lago

 

È insolito trovare un accampamento di indigeni che sia, come quelli dei più colti bianchi, sorvegliato da uomini armati. Ben informato dell'avvicinarsi del pericolo mentre è ancora lontano, l'indiano di solito riposa fidandosi della sua conoscenza dei segni della foresta e del lungo e difficile cammino che lo separa da coloro che più ha ragione di temere. Ma il nemico, che per qualche fortunato insieme di circostanze ha trovato modo di eludere la sorveglianza degli esploratori, raramente nei pressi delle abitazioni incontra sentinelle che diano l'allarme. Oltre a questa usanza generale, le tribù dei Francesi conoscevano troppo bene l'entità del colpo che era appena stato inferto al nemico, per temere un immediato pericolo da parte delle tribù ostili asservite alla corona britannica.

Perciò, quando Duncan e David si trovarono in mezzo ai ragazzi che giocavano nel modo stravagante già descritto il loro avvicinarsi non fu minimamente annunciato. Non appena però la loro presenza fu notata, l'intero branco di giovani levò, per comune consenso, un acuto grido di avvertimento, poi scomparve come per magia dalla vista dei visitatori. Data l'ora, i nudi corpi scuri dei monelli acquattati si confondevano così bene, con l'erba vizza, che in un primo momento la terra sembrò avere completamente inghiottito le loro forme; ma quando Duncan, riavutosi dalla sorpresa, si guardò attorno più attentamente, il suo sguardo incontrò le pupille scure, vivaci e roteanti.

Non traendo alcun incoraggiamento da questo allarmante segno premonitore di quell'esame cui sarebbe stato dal più maturo giudizio degli uomini, vi fu un momento in cui il giovane soldato sentì l'impulso di ritirarsi. Tuttavia era troppo tardi per mostrare esitazione. Il grido dei ragazzi aveva attirato una dozzina di guerrieri fin sulla soglia della capanna più vicina, e qui rimanevano serrati l'uno all'altro, - gruppo scuro e selvaggio - ad attendere l'ulteriore avvicinarsi di quegli esseri che erano inaspettatamente capitati fra loro.

David abbastanza abituato alla scena, fece strada verso la costruzione centrale, con una fermezza che nessun ostacolo avrebbe potuto far esitare. Si trattava dell'edificio principale del villaggio, anch'esso costruito con corteccia e rami d'albero, ed era quello in cui la tribù teneva il consiglio e i pubblici convegni durante la temporanea sosta presso i confini delle province inglesi. A Duncan riuscì difficile assumere la necessaria apparenza di noncuranza mentre il suo sguardo trascorreva sulle forme scure e possenti dei selvaggi che si accalcavano sulla soglia; ma consapevole che la salvezza dipendeva dalla sua presenza di spirito, si affidò alla discrezione del compagno che seguiva da vicino, tentando, mentre procedeva, di raccogliere le idee. Il sangue gli si raggelò quando si trovò a stretto contatto con nemici così implacabili, ma riuscì a dominare i suoi sentimenti tanto da procedere fino al centro delle capanne con un'aria che non tradiva alcuna debolezza. imitando l'esempio del deciso Gamut, prese un fascio di ramoscelli fragranti da un mucchio che occupava l'angolo della capanna e si sedette in silenzio.

Non appena il visitatore fu passato, i guerrieri che lo avevano osservato si ritirarono dall'entrata e, disponendosi intorno a lui, sembrarono aspettare pazientemente il momento in cui lo straniero si sarebbe degnato di parlare. La maggior parte di loro stava appoggiata in pigri atteggiamenti oziosi ai puntelli che reggevano il bizzarro edificio, mentre tre o quattro capi dei più anziani ed insigni si sedettero in terra, un poco più avanti.

Una torcia ardeva ed emanava il suo chiarore sui visi e le figure, ondeggiando alle correnti d'aria. Duncan approfittò di questa luce per leggere sul viso degli ospiti il probabile tipo di accoglienza. Ma la sua astuzia gli servì ben poco di fronte ai freddi artifici del popolo nel quale si era imbattuto. I capi davanti a lui gettarono appena un'occhiata alla sua persona, tenendo gli occhi bassi con un aria che avrebbe potuto essere di rispetto, ma che era facile ritenere piuttosto di sfiducia. Gli uomini nell'ombra erano meno riservati. Duncan presto scoprì i loro sguardi indagatori ma furtivi, i quali in verità, analizzavano la sua persona pollice per pollice, nulla trascurando di osservare o commentare: né turbamento del viso, né gesto, né linea delle dipinture, né la foggia degli abiti. Alla fine, uno, i cui capelli cominciavano ad ingrigire, ma le cui membra muscolose e il passo fermo rivelavano che era ancora all'altezza di svolgere i suoi compiti di uomo, emerse dal buio di un angolo, dove si era messo probabilmente per osservare non visto, e parlò. Costui usava la lingua degli Wyandots, o Uroni, di conseguenza le sue parole risultarono incomprensibili per Heyward, benché sembrassero, dai gesti che le accompagnavano, più di cortesia che di collera. Heyward scosse il capo e fece un gesto per esprimere la sua incapacità di rispondere.

«Nessuno dei miei fratelli parla francese o inglese? disse nella prima delle due lingue guardando i visi attorno a lui ad uno ad uno e sperando di trovare qualche cenno di assenso.

Benché più di uno si fosse girato per cogliere il significato delle sue parole, non ricevette risposta.

«Sarei addolorato di pensare,» continuò Duncan parlando lentamente e nel francese più semplice che fosse in grado di usare, «di credere che nessuno di questo saggio e fiero popolo comprende la lingua che il ‹Gran Monarque› usa quando parla ai suoi figli. Il suo cuore sarebbe addolorato se credesse che i suoi guerrieri rossi lo rispettano così poco!»

Seguì una pausa lunga e grave, durante la quale nessun moto delle membra, né espressione degli occhi, tradì l'espressione prodotta dalla sua osservazione. Duncan, che sapeva il silenzio essere virtù fra i suoi ospiti, volentieri approfittò di questo costume per riordinarsi le idee.

Alla fine, lo stesso guerriero che si era rivolto a lui prima, gli rispose, domandandogli seccamente nella lingua del Canadà: «Quando il nostro grande padre parla al suo popolo, è nella lingua degli Uroni?»

«Egli non conosce differenze tra i suoi figli, siano essi rossi, neri o bianchi,» replicò Duncan evasivo. «Benché sia soddisfatto soprattutto dei coraggiosi Uroni.»

«Come parlerà,» domandò il cauto capo «quando i suoi corrieri conteranno le cotenne che cinque notti fa crescevano sul capo degli Yengee?»

«Costoro erano suoi nemici,» disse Duncan rabbrividendo involontariamente, «e senza dubbio dirà: ‹Va bene, i miei Uroni sono dei prodi›.»

«Il nostro padre del Canadà non la pensa così. Invece di affrettarsi a ricompensare gli indiani che gli sono alleati, i suoi occhi sono rivolti indietro. Egli vede gli Yengee morti, ma nessun Urone. Cosa significa questo?»

«Un grande capo come lui ha più pensieri che lingue. Egli bada a che non vi siano nemici sulle sue tracce.»

«La canoa di un guerriero morto non galleggia sull'Horican,» replicò cupo il selvaggio. «Le sue orecchie ascoltano i Delaware che non sono nostri amici e gliele riempiranno di menzogne.»

«Non può essere. Vedete, egli ha pregato me, che conosco l'arte della medicina, di andare dai suoi figli, gli Uroni rossi dei grandi laghi, per domandare se qualcuno è malato!»

Un altro silenzio seguì questo annuncio del nuovo ruolo assunto da Duncan. Tutti gli occhi furono contemporaneamente puntati su di lui, esprimendo un'intelligenza e un acume che parevano voler carpire la verità o la falsità della dichiarazione sì da far tremare il soggetto in esame. Questi però provò sollievo alle parole di colui che aveva parlato in precedenza.

«Gli astuti uomini del Canadà si dipingono?» continuò l'Urone freddamente, «abbiamo sentito che si vantavano di essere dei visi pallidi.»

«Quando un capo indiano viene fra i suoi padri bianchi,» replicò Duncan con grande fermezza, «lascia da parte il suo abito di bufalo per portare la camicia che gli viene offerta. I miei fratelli mi hanno dato la dipintura e io la porto.»

Un basso mormorio di approvazione annunciò che quell'ossequio alla tribù era favorevolmente accolto. Il capo più anziano fece un gesto di assenso al quale risposero molti dei compagni i quali tesero una mano ed emisero una breve esclamazione di piacere. Duncan cominciò a respirare più liberamente, credendo che il difficile dell'esame fosse passato e, poiché aveva già preparato una storiella semplice e credibile per sostenere la sua finta occupazione, si rafforzò in lui la speranza di un successo finale.

Dopo un silenzio di pochi istanti, come per riordinare i pensieri e dare una risposta appropriata alla dichiarazione appena fatta dall'ospite, un altro guerriero si alzò e fece intendere di voler parlare. Mentre le sue labbra stavano già per dischiudersi, sorse un basso ma spaventoso suono dalla foresta, immediatamente seguito da un alto e acuto grido che si prolungò fino ad eguagliare il più lungo e lamentoso ululato di un lupo. L'improvvisa e terribile interruzione fece balzare in piedi Duncan, dimentico di tutto tranne che dell'effetto prodotto da un così terribile grido. Nello stesso momento i guerrieri uscirono in massa dalla capanna e l'aria al di fuori fu piena di urla così forti da sovrastare quasi quelli terribili che ancora risuonavano entro gli archi del bosco. Incapace di controllarsi più a lungo, il giovane si precipitò fuori e si trovò al centro della folla disordinata che includeva quasi ogni cosa vivente entro i limiti dell'accampamento. Uomini, donne, bambini, anziani, infermi, uomini validi e forti erano tutti fuori; alcuni lanciavano alte esclamazioni, altri battevano le mani con una gioia che sembrava frenesia; tutti insomma esprimevano il loro selvaggio piacere per qualche evento inatteso. Benché a tutta prima stordito da quel chiasso, Heyward fu presto in grado di trovarne la spiegazione nella scena che seguì.

Nel cielo rimaneva ancora abbastanza luce da lasciare intravedere schiarite fra le cime degli alberi, nei punti in cui i diversi sentieri lasciavano la radura per immergersi nel folto della foresta. Sotto uno di questi una fila di guerrieri uscì dal bosco e avanzò lentamente verso le abitazioni. Uno di essi procedeva alla testa degli altri e portava un corto palo, sul quale, come si poté vedere in seguito, erano sospesi parecchi scalpi umani. I suoni che avevano allarmato Duncan erano ciò che i bianchi hanno impropriamente chiamato il «grido di morte», e ogni ripetersi del grido era fatto per annunciare alla tribù la caduta di un nemico. Le conoscenze di Heyward lo aiutarono a trovare la spiegazione; e poiché ora sapeva che l'interruzione era stata causata dall'inatteso ritorno di un gruppo di guerrieri vittoriosi, si placò in lui ogni sensazione sgradevole, e egli si compiacque fra sé e sé dell'opportuno sollievo e della indifferenza verso la sua persona che questo avvenimento aveva causato.

Poi, ad una distanza di poche centinaia di piedi dalle capanne, i nuovi arrivati si fermarono. Ora il grido lamentoso e terrificante, che intendeva rappresentare tanto i gemiti dei morti che il trionfo dei vincitori, era completamente cessato. Uno di loro levava alte invocazioni, con parole che, per quanto lungi dall'essere terribili, eran niente di più che gridi espressivi per chi le ascoltava. Sarebbe difficile fornire un'idea adeguata dall'estasi selvaggia con la quale furono accolte le notizie comunicate in questo modo. L'intero accampamento in un momento divenne teatro della più violenta confusione ed emozione. I guerrieri trassero i coltelli, e agitandoli si disposero in due file, formando una corsia che si allungava dai guerrieri fino alle capanne. Le donne afferrarono mazze, ascie o qualsiasi altro corpo contundente che avessero a portata di mano, e si precipitarono con impeto per prendere parte al crudele gioco che stava per svolgersi. Nemmeno i bambini furono esclusi, ma i ragazzi, poco pratici nel maneggiare quegli arnesi, strapparono i tomahawk dalle cinture dei padri e sgattaiolarono fra le file, buoni imitatori dei gesti selvaggi dei genitori.

Grossi mucchi di ramoscelli erano sparsi per la radura, e una guardinga donna anziana era impegnata ad accenderne quanti erano necessari per illuminare la rappresentazione che stava per aver luogo. Quando la fiamma si alzò, la sua luce vinse quella del giorno morente, e contribuì a rendere gli oggetti ad un tempo più distinti e più orridi, L'intera scena formava un quadro impressionante la cui cornice era costituita dai contorni cupi e alti dei pini. I guerrieri appena arrivati erano le figure più distanti. Un po' più avanti c'erano due uomini, apparentemente scelti dagli altri come attori principali di quanto stava per avvenire. La luce non era sufficiente a rendere distinti i loro lineamenti, sebbene fosse evidente che erano dominati da emozioni molto diverse. Mentre uno restava ritto e immobile, pronto a incontrare il suo destino da eroe, l'altro teneva il capo chino, come paralizzato dal terrore o colpito dalla vergogna. Il nobile Duncan sentì un forte impulso di ammirazione e pietà verso il primo, ma non gli si offrì alcuna occasione per mostrare i suoi generosi sentimenti. Tuttavia osservava i minimi movimenti del disgraziato con occhi inquieti, e mentre percorreva con lo sguardo i bei contorni del suo corpo mirabilmente proporzionato e agile, si sforzava di persuadersi che, se mai facoltà umane, favorite da tanta nobile fermezza, potevano far sopportare senza danno una prova così dura, il giovane prigioniero che stava dinanzi a lui aveva speranza di successo nella rischiosa gara che stava per affrontare.

Inconsapevolmente il giovane si avvicinò alla scura fila degli Uroni, respirando appena, tanto era l'interesse per lo spettacolo. Proprio allora venne dato il segnale con un grido, e la temporanea calma che lo aveva preceduto fu interrotta da uno scoppio di urla che superò di molto quelle udite prima. La più vile delle vittime rimase immobile, l'altra invece, udito il segnale, fece un balzo con l'agilità e la rapidità di un daino. Invece di irrompere nella fila di uomini ostili, come ci si poteva aspettare, questi si lanciò nella stretta pericolosa, prima di lasciare il tempo per un solo colpo; indi si girò, e scavalcando le teste di una fila di bambini, raggiunse la parte esterna e sicura del formidabile schieramento. Gli astanti reagirono a questa astuzia imprecando, e l'intera moltitudine eccitata ruppe le file e si sparpagliò in selvaggia confusione.

Una dozzina di pire fiammeggianti diffondeva una luce livida che faceva somigliare il luogo a qualche sacrilega arena soprannaturale, dove dei demoni malvagi si fossero raccolti per compiervi i loro riti sfrenati. Le figure sullo sfondo sembravano esseri di un altro mondo che trascorrevano davanti agli occhi e fendevano l'aria con gesti frenetici e incoerenti, mentre le passioni selvagge di coloro che passavano vicino al fuoco si stagliavano paurosamente alla luce delle fiamme che investivano biecamente i loro visi eccitati.

Si comprenderà facilmente che in mezzo a tanti nemici assetati di vendetta, non veniva lasciato un momento di respiro al fuggitivo. Vi fu un solo momento in cui questi sembrò poter raggiungere la foresta, ma i suoi nemici gli si pararono tutti dinanzi e lo spinsero al centro degli implacabili persecutori. Girandosi come un cervo inseguito, egli balzò con la velocità di una freccia al di là di un groviglio di lingue di fuoco, e attraversando illeso l'intera moltitudine, apparve dalla parte opposta della radura.

Anche qui fu raggiunto e circondato da alcuni tra i più maturi e astuti Uroni. Ancora fece un tentativo fra la folla, come a cercarvi riparo, poi seguirono alcuni minuti in cui Duncan credette che l'agile e coraggioso sconosciuto fosse perduto. Non si distingueva altro che uno scuro ammasso di forme umane, sballottate e aggrovigliate in un'enorme confusione. Armi, coltelli balenanti e mazze formidabili apparivano sopra le teste, ma i colpi erano evidentemente dati a caso. La terribile impressione era resa più intensa dai gridi laceranti delle donne e dalle feroci urla dei guerrieri. Di tanto in tanto Duncan scorgeva una figura leggera attraversare l'aria con un balzo disperato e sperava, più che non credesse, che il prigioniero riuscisse a mantenere il controllo della sua stupefacente forza e attività.

Improvvisamente quella massa indietreggiò e si avvicinò al luogo dove Duncan si trovava. La moltitudine che stava dietro spingeva in avanti le donne e i bambini e li fece cadere. Lo sconosciuto riapparve nella confusione. Nessuna forza umana, tuttavia, avrebbe potuto sopportare più a lungo una così dura prova. Il prigioniero pareva rendersene conto. Approfittando del momentaneo spiraglio, si spinse fuori dal gruppo dei guerrieri e fece un disperato e, parve a Duncan, estremo sforzo per raggiungere il bosco. Come consapevole che non c'era da temere nulla dal giovane soldato, il fuggiasco sfiorò quasi la sua persona nel salto. Un alto e robusto Urone che si era risparmiato le forze, lo inseguì da vicino e con un'arma alzata minacciava di colpire. Duncan spinse in avanti un piede: questo ostacolo precipitò il selvaggio a capofitto e pieno di rabbia, parecchi piedi oltre la vittima predestinata. Il pensiero non è più rapido del movimento col quale il fuggiasco approfittò del vantaggio: si girò, saettò come una meteora davanti a Duncan, e quando quest'ultimo si riebbe dalla sorpresa e si guardò attorno in cerca del prigioniero, lo vide tranquillamente appoggiato ad un piccolo palo dipinto che si trovava davanti alla porta della capanna principale.

Temendo che la parte che aveva avuto nella fuga gli fosse fatale, Duncan lasciò il luogo senza indugio. Seguì la folla che si avvicinava alle capanne, cupa e accigliata come ogni folla che sia stata delusa per una esecuzione mancata. La curiosità, o forse un sentimento migliore, lo spinse ad avvicinarsi allo sconosciuto. Lo trovò in piedi con un braccio attorno al palo protettore, col respiro affannoso e pesante per lo sforzo, ma sdegnoso di mostrare sia pure un solo segno di sofferenza. La sua persona era protetta da costumi immemorabili e sacri finché la tribù riunita in consiglio avesse deciso e segnato la sua sorte. Non era difficile tuttavia prevederne il responso, se qualche presagio poteva essere tratto dai sentimenti di coloro che affollavano il posto.

Non vi era insulto conosciuto nel vocabolario Urone che le donne deluse non rovesciassero in faccia allo straniero vittorioso. Esse schernivano i suoi sforzi e gli dicevano con amaro disprezzo che aveva piedi migliori delle mani, e che meritava di avere le ali, mentre non sapeva usare una freccia o un coltello. A tutto questo il prigioniero non rispondeva, ma si limitava a conservare un atteggiamento in cui la dignità era singolarmente mescolata al disprezzo. Esasperate tanto dalla padronanza di sé mostrata, quanto dalla sua fortuna, le parole divennero incomprensibili e furono accompagnate da gridi acuti e penetranti. Allora la scaltra donna che si era occupata del fuoco, si fece strada fra la folla e prese posto davanti al prigioniero. La sordida e vizza persona di questa vecchiaccia era tale da denotare in lei una furbizia più che umana. Gettandosi indietro il leggero vestito, ella protese il lungo braccio ossuto, in segno di derisione, e usando la lingua dei Lenape come la più comprensibile all'oggetto del suo scherno, cominciò ad alta voce:

«Guarda, Delaware!» disse facendogli schioccare le dita davanti al viso. «Il tuo popolo è una razza di donne e vi si addice di più la zappa del fucile. Le ragazze Uroni ti faranno delle sottane e noi ti troveremo un marito.»

Uno scoppio di risa selvagge fece seguito a questo attacco, durante il quale la dolce e musicale ilarità delle più giovani armonizzava stranamente con la voce fessa delle più vecchie e maligne compagne. Ma lo sconosciuto fu superiore a tutti questi sforzi. La sua testa rimase immobile, né egli tradì il minimo segno di accorgersi che c'era qualcuno, tranne quando il suo occhio altero si volgeva verso le scure forme dei guerrieri che camminavano sullo sfondo, silenziosi e cupi osservatori della scena. Infuriata per l'autocontrollo del prigioniero, la donna appoggiò le mani sui fianchi, e messasi in un atteggiamento di sfida, proruppe di nuovo in un torrente di parole tale che la nostra arte non sarebbe in grado di riprodurre adeguatamente sulla carta. Sprecava però il fiato, perché, sebbene eccellesse fra il suo popolo nell'arte dell'insulto, ella si abbandonò a una furia tale da farsi venire la bava alla bocca, senza riuscire a far vibrare un solo muscolo dell'immobile figura dello straniero.

L'effetto di questa indifferenza cominciò ad estendersi agli altri spettatori, e un ragazzotto, che stava appena uscendo dall'adolescenza per entrare nella virilità, diede man forte alla megera facendo roteare il tomahawk davanti alla vittima e aggiungendo le sue vuote vanterie al sarcasmo della donna. Allora il prigioniero girò il viso verso la luce e guardò l'adolescente dall'alto in basso con un'espressione che andava oltre lo stesso disprezzo. Subito dopo riprese il suo atteggiamento calmo appoggiandosi al palo. Ma il cambiamento di posizione aveva permesso a Duncan di scambiare un'occhiata con gli occhi fermi e penetranti di Uncas.

Col fiato mozzo dallo stupore e gravemente preoccupato per la situazione critica in cui si trovava l'amico, Heyward indietreggiò sotto quello sguardo, tremando al pensiero che la sua espressione potesse in qualche modo affrettare le sorti del prigioniero. Non c'era però alcun motivo immediato per un simile timore. Proprio allora un guerriero si fece strada fra la folla esasperata. Facendo spostare le donne e i bambini con gesti duri, egli prese Uncas per un braccio e lo condusse verso la porta della capanna del consiglio. Qui tutti i capi e molti dei guerrieri più eminenti lo seguirono, e fra essi l'inquieto Heyward trovò modo di entrare senza attirare pericolosamente l'attenzione su di sé.

Furono impiegati alcuni minuti per disporre i presenti secondo il rango e l'autorità che avevano nella tribù. Venne osservato un ordine molto simile a quello adottato nel colloquio precedente: i capi anziani superiori occuparono la stanza entro la potente luce di una torcia accecante, mentre i giovani di grado inferiore si disposero sullo sfondo, formando uno scuro contorno di visi bruni e marcati. Al centro della capanna, immediatamente in corrispondenza di un'apertura che lasciava intravedere la luce tremolante di due stelle, stava Uncas, calmo, eretto e padrone di sé. Il suo portamento altero e nobile non mancò di fare effetto sui suoi aguzzini che spesso volgevano lo sguardo verso di lui con occhi i quali, pur non perdendo nulla della ferocia delle loro intenzioni, tradivano chiaramente ammirazione per il coraggio dello sconosciuto.

Diverso era il caso dell'individuo che Duncan aveva notato a fianco dell'amico prima della disperata prova di velocità; costui invece di unirsi alla caccia, era rimasto durante tutto quel parapiglia come una statua acquattata, immagine della vergogna e del disonore. Benché nessuna mano si fosse tesa a salutarlo, né uno sguardo si fosse degnato di volgersi a guardare i suoi movimenti, anche lui era entrato nella stanza, come spinto da un fato ai cui decreti egli si sottometteva apparentemente senza ribellarsi.

Heyward approfittò della prima occasione che gli si presentò per guardarlo in viso, temendo in cuor suo di scoprire i lineamenti di qualcun altro di sua conoscenza; ma essi si rivelarono per quelli di uno sconosciuto e, cosa ancor più inesplicabile, egli portava tutti i segni distintivi di un guerriero Urone. Invece di mescolarsi alla sua tribù, costui si sedette in disparte, essere solitario nella moltitudine, mentre la sua persona si era rannicchiata in un atteggiamento vile, come ansioso di occupare il minimo spazio possibile. Quando ciascuno ebbe preso il posto che gli spettava e il silenzio regnò, il capo dai capelli grigi che abbiamo presentato al lettore, parlò ad alta voce nella lingua dei Lenni-Lenape.

«Delaware,» disse, «benché tu appartenga ad un popolo di donnicciole, hai dimostrato di essere un uomo. Ti darò del cibo, ma chi mangia con un Urone deve diventare suo amico. Riposa in pace fino al sorgere del sole, quando avremo emesso il nostro verdetto.»

«Sette giorni e sette notti d'estate ho digiunato per inseguire gli Uroni,» replicò freddamente Uncas. «I figli di Lenape sanno come percorrere un sentiero senza fermarsi a mangiare.»

«Due dei miei giovani sono sulle tracce del tuo compagno,» riprese l'altro senza aver l'aria di badare alla vanteria del prigioniero, «quando torneranno i nostri saggi ti diranno: vivi o muori.»

«Non ha orecchie un Urone?» esclamò Uncas sprezzante: «Per due volte da quando è vostro prigioniero il Delaware ha udito un fucile che conosce. I vostri giovani non torneranno mai!»

Una pausa torva seguì questa impudente affermazione. Duncan, che capì che il Mohicano alludeva al fatale fucile dell'esploratore, si protese in avanti, ansioso di osservare l'effetto prodotto sui vincitori.

Ma il capo si limitò a replicare semplicemente: «Se i Lenape sono così astuti, perché uno dei loro migliori guerrieri si trova qui?»

«Stava inseguendo un codardo in fuga ed è caduto in una trappola. Anche l'astuto castoro può essere preso.»

Mentre rispondeva Uncas puntava il dito verso l'Urone che era rimasto solo in disparte, senza però degnarsi di concedere altra attenzione ad un oggetto così vile. Le parone della risposta e l'atteggiamento di colui che aveva parlato, produssero una forte sensazione fra gli astanti. Tutti gli occhi si volsero torvi verso l'individuo indicato da quel semplice gesto, e un basso mormorio minaccioso passò fra la folla. I suoni sinistri raggiunsero l'esterno e poiché le donne e i bambini si accalcavano spingendo la folla, non rimaneva nemmeno uno spiraglio tra spalla e spalla che non fosse occupato dagli scuri lineamenti di qualche viso appassionato e curioso.

Nel frattempo i capi più anziani seduti al centro confabularono fra di loro con frasi brevi e smozzicate. Non una parola fu pronunciata che non si riferisse a ciò che aveva detto Uncas, nella forma più semplice e più energica. Di nuovo si ebbe una lunga pausa profondamente solenne. Tutti i presenti sapevano che questo era il segno premonitore di un grave e importante giudizio. Coloro che formavano il cerchio esterno stavano sulle punte dei piedi per guardare, e persino il colpevole dimenticò per un momento la propria vergogna in una emozione più profonda, ed espose i suoi lineamenti da vigliacco per gettare uno sguardo ansioso e preoccupato allo scuro gruppo dei capi.

Finalmente il silenzio fu rotto dal guerriero anziano tanto spesso menzionato. Egli si alzò da terra e dopo aver oltrepassata la forma rigida di Uncas, si mise in atteggiamento dignitoso davanti all'imputato. In quel momento quella vecchia scarna di cui abbiamo già parlato, si avvicinò al cerchio con un passo di danza lento e obliquo, reggendo una torcia e mormorando parole indistinte nelle quali poteva esservi una sorta di magia. Sebbene la sua presenza fosse un'intrusione, non fu notata.

Avvicinandosi a Uncas, ella tenne il tizzone ardente in modo che la sua rossa luce accecante lo investisse in pieno, così da rivelare anche la minima emozione del suo viso. Il Mohicano mantenne un atteggiamento fermo e altero e i suoi occhi, lungi dal degnarsi di incontrare lo sguardo indagatore di lei, fissarono lontano, come se trapassassero gli ostacoli che gli impedivano la vista e guardassero nel futuro. Soddisfatta dell'esame, lo lasciò con una leggera espressione di piacere e continuò per tentare lo stesso esperimento sul colpevole della sua tribù.

Il giovane Urone aveva le dipinture di guerra, e una piccola parte del suo corpo ben modellato era nascosto dagli abiti. Duncan si girò altrove inorridito quando vide che tutte le membra e ogni giuntura, messe in evidenza dalla luce della torcia, si contorcevano in una insopprimibile angoscia. Nel vedere quel triste spettacolo di vergogna, la donna stava per dare inizio ad un basso e lamentoso ululato, ma il capo tese una mano e la respinse gentilmente di lato.

«Canna-che-si-piega,» disse chiamando per nome il giovane imputato nella propria lingua, «benché il Grande Spirito ti abbia fatto piacevole a vedersi, sarebbe meglio che tu non fossi mai nato. La tua lingua è chiassosa nel villaggio, ma tace in battaglia. Nessuno dei miei giovani colpisce il palo di guerra più energicamente di te, ma nessuno più lievemente colpisce gli Yangee. Il nemico conosce la forma della tua schiena, ma non ha mai visto il colore dei tuoi occhi. Tre volte ti hanno chiamato e per tre volte non hai risposto. Il tuo nome non sarà mai più pronunciato nella tua tribù... è già dimenticato.»

Mentre il capo pronunciava lentamente queste parole, facendo delle solenni pause ad ogni frase, l'imputato alzò il viso in segno di deferenza per il rango e l'età dell'altro. Vergogna, orrore e orgoglio si agitavano nei suoi lineamenti. Gli occhi, contratti da una profonda angoscia, guardavano incerti le persone di coloro le cui parole definivano la sua reputazione. Si alzò, e denudandosi il petto guardò fermamente il coltello affilato e luccicante che il giudice inesorabile aveva già sollevato. Mentre l'arma gli trapassava lentamente il cuore, egli ebbe persino un sorriso, come contento di aver trovato la morte meno spaventosa di come se l'era immaginata, poi cadde pesantemente bocconi, ai piedi della rigida e inflessibile forma di Uncas.

La donna diede un alto e lamentoso grido, gettò a terra la torcia e tutto fu immerso nel buio. Gli spettatori uscirono lentamente dalla capanna, frementi come spiriti inquieti; Duncan pensò di essere rimasto solo col corpo ancora palpitante della vittima di un giudizio Indiano.

 

XXIV

 

Così parlò il saggio: che i re senza indugio

sciolgano il consiglio, e i capi obbediscano.

L'«Iliade» di Pope

 

Un solo istante bastò a Duncan per rendersi conto che si sbagliava. Una mano gli premette con forza il braccio e Uncas a bassa voce gli mormorò alle orecchie:

«Gli Uroni sono cani. La vista del sangue di un codardo non deve mai far tremare un guerriero. Testa grigia e il Sagamore sono in salvo e il fucile di Occhio di Falco non dorme. Andate... Uncas e ‹Mano Aperta› ora non si conoscono. Basta.»

Heyward avrebbe volentieri udito qualcosa di più, ma l'amico lo spinse gentilmente verso la porta e lo avvertì del pericolo che avrebbe accompagnato la scoperta della loro relazione. Lentamente e con riluttanza lasciò la capanna e si mescolò alla folla che indugiava lì vicino. I fuochi morenti nella radura gettavano una luce confusa ed incerta sulle figure scure che camminavano silenziosamente avanti e indietro; a tratti un bagliore più luminoso del solito guizzava nella capanna e mostrava la figura di Uncas, sempre in atteggiamento altero, vicino al cadavere dell'Urone.

Un gruppetto di guerrieri entrò ancora nella stanza, e uscendo portò le spoglie nei boschi adiacenti. Dopo questa conclusione della scena, Duncan vagabondò fra le capanne, senza che nessuno gli facesse domande o lo notasse, alla ricerca di qualche traccia di colei per il cui bene si era esposto a tanto pericolo. Dato l'attuale umore della tribù, sarebbe stato facile fuggire e raggiungere i compagni se tale desiderio gli si fosse presentato alla mente. Ma oltre all'incessante preoccupazione per Alice, il più recente, anche se più debole, interesse per la sorte di Uncas contribuì a incatenarlo a quel luogo. Perciò continuò a vagare di capanna in capanna, guardando in ciascuna ma solo per trarne altre delusioni, finché ebbe fatto in tal modo l'intero giro del villaggio. Abbandonando un tipo di ricerca che si era dimostrata così inutile, volse i suoi passi verso la capanna del consiglio, deciso a cercare David per fargli domande e metter fine ai suoi dubbi.

Raggiungendo la costruzione che si era dimostrata sia la sede del giudizio che il luogo di esecuzione, il giovane vide che l'eccitazione si era già placata. I guerrieri si erano riuniti ancora, e ora fumavano tranquilli mentre conversavano con serietà sui principali incidenti della loro recente spedizione alle sorgenti dell'Horican. Il ritorno di Duncan avrebbe dovuto probabilmente ricordare loro la sua persona e le circostanze sospette della sua visita, invece non causò nessuna visibile sensazione. Fino a quel momento la terribile scena che si era appena svolta si era dimostrata favorevole ai suoi scopi, e gli bastarono le sue sensazioni a suggerirgli di usare l'espediente di approfittare di un vantaggio così inaspettato.

Senza aver l'aria di esitare, egli entrò nella capanna, e prese posto con una solennità che si accordava mirabilmente col comportamento dei suoi ospiti. Un'occhiata rapida ma indagatrice gli bastò per capire che, benché Uncas si trovasse ancora dove lo aveva lasciato, David non era riapparso. Ad Uncas non era stata imposta altra restrizione che lo sguardo vigile di un giovane Urone che si era messo vicino a lui, ma un guerriero armato era appoggiato al palo che formava un lato dell'angusta porta. Sotto ogni altro riguardo il prigioniero sembrava libero, tuttavia era escluso da ogni partecipazione al discorso e aveva molto più l'aria di una statua ben modellata che di un uomo vivo e dotato di volontà.

Heyward era stato troppo di recente testimone di uno spaventoso esempio della pronta punizione del popolo nelle cui mani era caduto, per rischiare di esporsi con audacia inopportuna. Egli avrebbe di lunga preferito il silenzio e la meditazione alla parola, in un momento in cui la scoperta della sua vera condizione gli sarebbe stata istantaneamente fatale. Sfortunatamente per queste prudenti decisioni, i suoi ospiti sembravano disposti altrimenti. Aveva da poco preso posto, tenendosi prudentemente nell'ombra, quando un altro dei guerrieri più vecchi che parlava francese gli si rivolse:

«Il mio padre canadese non dimentica i suoi figli,» disse il capo, «lo ringrazio. Uno spirito maligno vive nella moglie di uno dei miei giovani. Può l'abile straniero spaventarlo e mandarlo via?»

Heyward aveva qualche rudimento della pantomima che si svolge fra gli indiani nei casi di queste pretese visite. Egli vide in un batter d'occhio che quella circostanza avrebbe potuto essere incoraggiata per appoggiare i suoi scopi. Perciò sarebbe stato difficile in quel momento fare una proposta più soddisfacente per lui. Consapevole quindi della necessità di conservare la dignità del suo personaggio immaginario, controllò i suoi sentimenti e rispose con l'aria misteriosa adatta al caso:

«Gli spiriti sono diversi fra loro: alcuni si sottomettono al potere della saggezza, mentre altri sono troppo forti.»

«Il mio fratello è un gran dottore,» disse l'astuto selvaggio, «proverà?»

Un gesto di assenso fu la risposta. L'Urone si accontentò di quella assicurazione, e riprendendo la pipa aspettò il momento adatto per muoversi. L'impaziente Duncan, esecrando dentro di sé i freddi costumi dei selvaggi che richiedevano di sacrificarsi alle apparenze, si limitò ad assumere un'aria di indifferenza, uguale a quella mantenuta dal capo che era, a dire il vero, un parente stretto della donna spiritata. I minuti trascorrevano lentamente, e quando l'Urone mise da parte la pipa e si chiuse l'abito sul petto come stesse per fare strada verso la capanna della malata, parve all'audace praticone che fosse passata un'ora. Proprio allora un guerriero dalla corporatura possente ostruì la porta, e camminando silenziosamente in mezzo al gruppo attento, si sedette ad una estremità del basso mucchio di ramoscelli che faceva da sedile a Duncan. Questi gettò un'occhiata contrariata al vicino e si sentì accapponare la pelle dall'orrore quando si accorse di trovarsi in immediato contatto con Magua.

Il ritorno di questo astuto e temuto capo ritardò la partenza degli Uroni. Parecchie pipe che erano state spente furono riaccese, mentre il nuovo venuto, senza proferire una parola, sfilò il tomahawk dalla cintura, e riempiendo il camino della pipa fino all'orlo, cominciò ad aspirare i vapori del tabacco attraverso la cannuccia, con la stessa indifferenza che avrebbe avuto se non fosse stato assente due interminabili giorni per una lunga e faticosa caccia. In tal modo passarono circa dieci minuti che a Duncan parvero altrettanti anni; e i guerrieri furono completamente avvolti da una bianca nube di fumo prima che qualcuno di loro parlasse.

«Benvenuto!» esclamò uno alla fine. «Il mio amico ha trovato l'alce?»

«Il giovane barcolla sotto il fardello,» replicò Magua. «Mandate Canna-che-si-piega sul sentiero di caccia, egli lo incontrerà.»

Un silenzio profondo e terribile seguì la pronuncia del nome proibito. Ogni pipa cadde dalle labbra di colui che la stava fumando come se tutti avessero aspirato un'impurità nello stesso istante. Il fumo avvolse le teste in piccole volute, e arricciandosi in strette spirali, salì rapido verso l'apertura del tetto della capanna, lasciando l'aria pura al di sotto, e gli scuri visi chiaramente visibili. Gli sguardi della maggior parte dei guerrieri erano fissi al suolo, anche se alcuni dei più giovani e meno rispettabili della compagnia facevano roteare le loro vivide pupille lucenti in direzione di un selvaggio dalla testa canuta che sedeva fra due dei più venerati capi della tribù. Non c'era niente nell'aspetto o nell'abbigliamento di questo indiano che sembrasse conferirgli distinzione. Il suo atteggiamento infatti, era umile e non orgoglioso come quello che di solito hanno gli indigeni; i vestiti erano gli stessi indossati dagli uomini comuni della tribù. Il suo sguardo, come quello di coloro che lo circondavano, rimase fisso al suolo per più di un minuto, ma lanciando finalmente un'occhiata furtiva, si accorse che stava diventando oggetto dell'attenzione generale. Poi si alzò e levò la voce nel silenzio generale.

«Era falso,» disse. «Io non avevo figli. Colui al quale veniva attribuito questo nome è dimenticato; il suo sangue era pallido e non proveniva dalle vene di un Urone. Il Grande Spirito ha detto che la famiglia degli Wiss-en-Tush doveva finire; felice colui che sa che il male della sua razza muore con lui. Ho finito.»

L'oratore, che era il padre del giovane codardo, guardò da ogni parte, come per cercare approvazione per il suo stoicismo negli occhi degli astanti. Ma i rigidi costumi del suo popolo avevano inferto una prova troppo dura al debole vecchio. L'espressione dei suoi occhi smentiva quel linguaggio figurato e superbo, mentre ogni muscolo del suo viso rugoso si contaeva per l'angoscia. Restando in piedi per un solo minuto per godere dell'amaro trionfo, egli si voltò, come soccombesse sotto gli sguardi degli uomini, poi celando il viso nella coperta, si allontanò dalla capanna col passo silenzioso degli indiani, cercando nell'intimità della sua dimora il conforto di una come lui: vecchia, sconsolata e senza figli.

Gli indiani, che credono nella trasmissione ereditaria delle virtù e dei difetti del carattere, lo lasciarono andare in silenzio. Poi, con una nobiltà di modi che molti in società più civili dovrebbero emulare con vantaggio, uno dei capi sottrasse l'attenzione dei giovani dalla debolezza di cui erano appena stati testimoni, rivolgendosi cortesemente a Magua, in quanto nuovo venuto:

«I Delaware sono stati come orsi attorno all'alveare e hanno gironzolato intorno al mio villaggio. Ma chi ha mai trovato un Urone addormentato?»

Il buio di una nube incombente che precede lo scoppio di un tuono non potrebbe essere più fitto del cipiglio di Magua quando esclamò:

«I Delaware dei laghi?»

«No, quelli che portano le sottane come le donne sul loro fiume. Uno di loro è passato dalla tribù.»

«I miei giovani hanno preso la sua cotenna?»

«Ha buone gambe, benché il suo braccio sia più adatto alla zappa che al tomahawk,» replicò l'altro indicando la forma immobile di Uncas.

Invece di mostrare curiosità da donnicciola riempiendosi gli occhi della vista del prigioniero di un popolo che notoriamente egli aveva tante ragioni di odiare, Magua continuò a fumare con l'aria meditabonda che di solito assumeva quando non c'era immediato bisogno della sua eloquenza. Sebbene segretamente stupito dei fatti appresi attraverso il discorso dell'anziano padre, egli non si degnò di fare domande, riservandosi di farne in un momento più adatto. Soltanto dopo un intervallo sufficiente scosse le ceneri dalla pipa, si rimise il tomahawk, allacciò la cintura e si alzò, gettando per la prima volta un'occhiata in direzione del prigioniero che si trovava dietro di lui.

Uncas, cauto anche se apparentemente distratto, intravide il movimento e, girandosi improvvisamente verso la luce, incontrò il suo sguardo. Quasi per un minuto questi due audaci e indomiti spiriti si guardarono fieramente negli occhi, senza che nessuno dei due rivelasse turbamento davanti al feroce sguardo che incontrava. Il corpo di Uncas si tese, le sue narici si dilatarono come quelle di una tigre alle strette, ma la sua posizione era così rigida e inflessibile che era facile, con l'aiuto dell'immaginazione, crederlo una statua squisita e perfetta del Dio della guerra della sua tribù. I tratti frementi del viso di Magua si mostrarono più arrendevoli: il suo viso perse poco a poco l'espressione di sfida per assumere quella di una gioia feroce, traendo il respiro dal profondo del petto, pronunciò ad alta voce il nome formidabile di: «Le Cerf Agile!»

Tutti i guerrieri balzarono in piedi nell'udire il noto nome, e vi fu un breve momento in cui l'impassibile fermezza degli indigeni fu completamente vinta dalla sorpresa. Il nome odiato e rispettato venne ripetuto come da una sola voce, e il suono superò i limiti della capanna. Le donne e i bambini che indugiavano lì intorno colsero l'eco di quel suono, che venne seguito da un acuto e lamentoso ululato. L'eco di quest'ultimo non era ancora spenta, che la sensazione fra gli uomini si era placata. Tutti i presenti si sedettero come vergognosi della loro impulsività, ma per molti minuti ancora i loro occhi eloquenti si volsero verso il prigioniero per esaminare con curiosità un guerriero che così spesso aveva dato prova del suo valore con i migliori e più coraggiosi guerrieri del loro popolo. Uncas si rallegrò del vantaggio, ma si limitò a rivelare il proprio trionfo con un vago sorriso, segno di disprezzo di tutti i tempi e presso tutti i popoli.

Magua colse quell'espressione, alzò un braccio e lo agitò davanti al prigioniero, i leggeri ciondoli d'argento tintinnarono col fremere dell'arto, mentre in tono vendicativo esclamava: «Mohicano, tu morirai!»

«Le acque curative non riporteranno mai in vita gli Uroni morti» replicò Uncas nella lingua musicale dei Delaware. «Il fiume precipitoso lava le loro ossa, i loro uomini sono squaw, le loro donne civette. Va, chiama a raccolta i cani Uroni, che possano vedere un guerriero. Le mie narici sono offese, esse sentono l'odore del sangue di un codardo.»

Quest'ultima allusione colpì a fondo e infiammò gli animi. Molti Uroni comprendevano la lingua straniera parlata dal prigioniero, e tra questi Magua. Questo astuto selvaggio vide il suo vantaggio e subito ne approfittò. Facendo cadere dalle spalle la leggera veste di pelle, egli allungò un braccio e diede il via al prorompere della sua pericolosa e sottile eloquenza. Benché l'influenza di Magua sul suo popolo fosse stata danneggiata dalle sue temporanee debolezze e dal suo abbandono della tribù, il coraggio e la fama di oratore che possedeva erano innegabili. Egli non parlava mai senza uditori e raramente senza persuadere qualcuno alle sue idee. In quell'occasione il suo potere era aumentato dalla sete di vendetta.

Egli raccontò ancora gli eventi dell'attacco di Glenn, la morte del suo compagno e la fuga dei loro più terribili nemici. Poi descrisse la natura e la posizione della montagna dove aveva condotto i prigionieri che erano caduti nelle sue mani. Non fece cenno però alle sue intenzioni nei riguardi delle ragazze e della sua frustrata malignità, ma passò a parlare dell'attacco di sorpresa da parte della ‹Longue Carabine› e della fatale conclusione che ne seguì. A questo punto fece una pausa e si guardò attorno, fingendo venerazione per i morti, ma in realtà, per controllare l'effetto di questa narrazione introduttiva. Come al solito tutti gli occhi erano fissi su di lui. Ogni figura scura sembrava una statua vivente, tanta era l'immobilità e intensa l'attenzione di ciascuno.

Poi Magua abbassò la voce, che fino a quel momento era stata chiara forte e alta, e accennò ai meriti dei morti. Nessuna qualità che potesse avere un effetto sulla sensibilità di un indiano sfuggì al suo spirito di osservazione. L'uno non era mai stato visto andare a caccia invano, l'altro era stato instancabile nell'inseguire i nemici. Questo era coraggioso, quello generoso. In breve egli manovrò le sue allusioni in modo tale che in un popolo composto da così poche famiglie, di volta in volta trovò modo di toccare ogni corda che avesse un petto in cui vibrare.

«Le ossa dei miei giovani,» concluse, «si trovano nel cimitero degli Uroni? Sapete che non lo sono. I loro spiriti sono andati verso il sole che tramonta e stanno già attraversando le grandi acque per raggiungere i felici terreni di caccia. Ma se ne sono andati senza cibo, senza fucile o coltello, senza mocassini, nudi e poveri come quando nacquero. Deve essere così? Devono le loro anime entrare nella terra dei giusti come fossero Irochesi affamati o vili Delaware, o devono incontrare i loro amici con le armi in pugno e abiti sulle spalle? E i nostri padri, cosa penseranno che sia diventata la tribù degli Wyandots. Essi guarderanno torvi i loro figli e diranno: ‹Via! Un Chippewa è venuto qui col nome di Urone›. Fratelli, non dobbiamo dimenticare i morti, un pellerossa non dimentica mai. Noi caricheremo le spalle di questo Mohicano finché vacillerà sotto il nostro peso e lo manderemo a seguire i miei giovani. Essi ci chiamano in aiuto, benché le nostre orecchie siano sorde, e dicono: non dimenticateci. Quando vedranno lo spirito di questo Mohicano affaticarsi dietro di loro col suo fardello, essi sapranno che pensiamo a loro. Poi proseguiranno felici e i nostri figli diranno: i nostri padri si sono comportati così con gli amici, noi dobbiamo fare altrettanto. Cos'è uno yankee? Ne abbiamo uccisi molti, ma la terra è ancora chiara. Una macchia sul nome di un Urone può essere cancellata solo dal sangue che proviene dalle vene di un indiano. Che questo Delaware muoia.»

L'effetto di questa arringa, pronunciata con linguaggio concitato e con l'enfasi di un oratore Urone, fu evidente. Magua aveva così sottilmente mescolato le inclinazioni naturali con la superstizione religiosa dei suoi ascoltatori, che le loro menti, già preparate dai costumi a sacrificare una vittima ai Mani dei compagni, abbandonarono ogni traccia di umanità per il desiderio di vendetta. Un guerriero in particolare, un uomo dall'aspetto selvaggio e feroce, si era distinto per l'attenzione prestata alle parole dell'oratore. Il suo viso mutava via via che le parole suscitavano in lui un'emozione, finché si fissò in un'espressione di malvagia mortale.

Quando Magua ebbe finito costui si alzò emettendo un grido demoniaco, e la sua piccola ascia lucente fu vista balenare alla luce della torcia mentre la faceva roteare sulla sua testa. Il gesto e il grido furono troppo fulminei per poter fermare con le parole questi propositi sanguinosi. Parve che un raggio luminoso fosse scagliato dalla sua mano che fu attraversata nello stesso istante da una linea scura e forte. Il primo era il tomahawk che passava, la seconda era il braccio di Magua che si era proteso in avanti per deviare quella mira. Il rapido e pronto gesto del capo non giunse completamente in ritardo. L'arma affilata tranciò la piuma di guerra dal ciuffo di Uncas e attraversò la sottile parete della capanna come fosse lanciata da qualche macchina formidabile.

Duncan, che aveva visto il gesto minaccioso, balzò in piedi col cuore in gola, colmo delle più generose intenzioni di aiutare l'amico. Un'occhiata gli disse che il colpo non era andato a segno e il terrore divenne ammirazione. Uncas era immobile e guardava negli occhi il nemico con lineamenti che parevano superiori all'emozione. Il marmo non potrebbe essere più freddo, più calmo, o più fermo del viso che egli volse a questo improvviso attacco vendicativo. Poi, come commiserando una mancanza di abilità che era stata la sua fortuna, egli sorrise e mormorò alcune parole sprezzanti nella sua lingua.

«No!» esclamò Magua dopo essersi assicurato la salvezza del prigioniero. «Il sole deve splendere sulla sua vergogna, le donne devono veder tremare la sua carne, o la nostra vendetta sarà come un gioco da ragazzi. Andate! Portatelo dove regna il silenzio; vediamo se un Delaware può dormire la notte e morire il mattino.»

I giovani che avevano l'incarico di sorvegliare il prigioniero, gli legarono le braccia con lacci di corteccia e lo condussero fuori dalla capanna in un profondo e sinistro silenzio. Soltanto quando la figura di Uncas fu sulla soglia, il suo passo fermo esitò. Qui si volse, e nell'altero sguardo che gettò all'intera cerchia dei nemici, Duncan colse un'espressione in cui vide con sollievo che la speranza non aveva ancora completamente abbandonato l'amico. Quanto a Magua, o era soddisfatto del successo, o era troppo occupato dai suoi segreti propositi per fare altre domande. Scuotendo il mantello e ripiegandoselo sul petto, anch'egli lasciò la capanna senza toccare un argomento che avrebbe potuto essere fatale all'individuo che gli stava al fianco. Nonostante il suo crescente rancore, la sua innata fermezza e la sua ansia per la sorte di Uncas, Heyward si sentì sensibilmente sollevato dall'assenza di un nemico così pericoloso ed astuto.

L'eccitazione prodotta dal discorso poco a poco si placò. I guerrieri ripresero i loro posti, e nubi di fumo tornarono a riempire la capanna. Per quasi mezz'ora non una sillaba fu pronunciata e a mala pena fu lanciato qualche sguardo obliquo; infatti un silenzio solenne e meditabondo seguiva di solito ogni scena di violenza e di agitazione tra quegli esseri che erano nello stesso tempo tanto impetuosi e tanto riservati.

Quando il capo che aveva sollecitato l'aiuto di Duncan ebbe finita la sua pipa, finalmente si mosse, questa volta con successo, per lasciare la capanna. Il cenno di un solo dito fu l'invito che fece al finto dottore di seguirlo; passando fra le nubi di fumo Duncan fu lieto, per più di una ragione, di poter finalmente respirare l'aria pura di una rinfrescante sera d'estate.

Invece di seguire la strada fra le capanne in cui Heyward aveva già fatto la sua infruttuosa ricerca, il suo compagno svoltò, e si incamminò verso le falde di una montagna adiacente che sovrastava il villaggio provvisorio. Un boschetto di cespugli orlava la sua base e divenne necessario procedere per un sentiero tortuoso e stretto. I ragazzi avevano ripreso a giocare nella radura e stavano mimando una caccia al palo fra di loro. Per rendere il gioco più vicino possibile alla realtà, uno dei più audaci fra loro aveva portato alcuni tizzoni nei mucchi di rami che non erano stati bruciati. La fiamma di uno di questi fuochi illuminò il cammino del capo e di Duncan conferendo un carattere più selvaggio alla rozza scena. A poca distanza da una roccia nuda, proprio di fronte ad essa, entrarono in una radura erbosa che si prepararono ad attraversare. In quel momento il fuoco venne maggiormente alimentato e la sua potente luce giunse fino a quel luogo lontano. Essa colpì la bianca superficie della montagna e fu respinta in basso ad illuminare uno scuro essere dall'aspetto misterioso che sorse inaspettatamente sul loro cammino.

L'indiano si fermò come dubbioso se procedere o no, e lasciò che il compagno gli si avvicinasse. Una grande pupilla nera, che in un primo momento era sembrata immobile, cominciò a muoversi in un modo per Duncan inesplicabile. Di nuovo il fuoco si alzò e il suo bagliore investì l'oggetto rendendolo più distinto, Allora anche Duncan lo riconobbe dall'atteggiamento irrequieto e barcollante, che manteneva la parte superiore del suo corpo in continuo movimento. L'animale apparve seduto: si trattava di un orso. Benché brontolasse forte e minaccioso e vi fossero momenti in cui si vedevano brillare le sue pupille, esso non dava altri segni di ostilità. L'Urone, alla fine sembrò rassicurato che le intenzioni di questo singolare intruso erano pacifiche, perché dopo averlo esaminato con attenzione, continuò tranquillamente il cammino.

Duncan, il quale sapeva che l'animale era spesso addomesticato fra gli indiani, seguì l'esempio del compagno, credendo che qualche favorito della tribù fosse entrato nella macchia in cerca di cibo. Essi gli passarono davanti senza essere molestati. Benché obbligato a camminare quasi a contatto del mostro, l'Urone, che in un primo momento aveva in modo tanto cauto esaminato lo strano visitatore, ora si limitò a procedere senza perdere altro tempo; Heyward invece era incapace di trattenersi dal volgere indietro gli occhi come precauzione contro attacchi alle spalle. La sua inquietudine non diminuì affatto quando scorse la bestia dondolare lungo il loro cammino e seguire i loro passi. Avrebbe voluto parlare, ma l'indiano in quel momento spinse una porta di corteccia ed entrò in una caverna nel cuore della montagna.

Approfittando di un così facile modo di ritirata, Duncan lo seguì, e stava chiudendo con sollievo il leggero riparo dell'entrata quando sentì che gli veniva strappato di mano dalla bestia la cui sagoma pelosa ostruì subito il passaggio. Ora si trovavano in una galleria stretta e lunga, in un crepaccio fra le rocce da cui era impossibile ritirarsi senza trovarsi faccia a faccia con l'animale. Facendo del suo meglio in quella situazione, il giovane proseguì mantenendosi il più vicino possibile alla guida. L'orso brontolava spesso dietro di lui e una volta o due le sue enormi zampe arrivarono fino alla persona di Heyward, come volessero impedirgli di continuare.

Sarebbe difficile giudicare per quanto tempo i nervi di Heyward avrebbero retto questa incredibile situazione, dal momento che ne fu presto sollevato.

Una luce fioca era costantemente davanti a loro, e ora erano arrivati al punto donde proveniva. Una vasta cavità della roccia era stata rozzamente adattata alle necessità di molte stanze. Le suddivisioni erano semplici ma ingegnose essendo composte di pietra, ramoscelli e corteccia mescolati assieme. Delle aperture sulla volta lasciavano entrare la luce del giorno, mentre di notte fuochi e torce facevano le veci del sole. Qui dentro gli Uroni avevano portato la maggior parte dei loro averi, in particolare quelli che appartenevano al popolo; e qui, come si poteva constatare, l'inferma che era creduta vittima di un potere soprannaturale, era stata trasportata ritenendo che colui che la tormentava avrebbe trovato maggiore difficoltà ad assalirla attraverso quei muri di pietra piuttosto che attraverso i ripari di foglie delle capanne. La prima stanza in cui Duncan e la guida entrarono era dedicata esclusivamente alla sua sistemazione. la guida si avvicinò alla donna che era circondata da altre in mezzo alle quali Heyward vide con sorpresa che si trovava l'amico perduto, David.

Una sola occhiata fu sufficiente al finto praticone per comprendere che la malata si trovava in uno stato di gran lunga al di là delle sue possibilità di cura. Essa giaceva in una sorta di paralisi, indifferente agli oggetti che si affollavano sotto il suo sguardo, e fortunatamente insensibile ad ogni sofferenza. Heyward si guardava bene dal dispiacersi del fatto che la sua pantomina dovesse svolgersi nei confronti di un essere così malato da non avere interesse nel suo successo o nel suo insuccesso. Il leggero scrupolo di coscienza provocato dall'inganno si placò in lui immediatamente, e si accingeva a raccogliere le idee per recitare la parte con spirito acconcio, quando si accorse di stare per essere preceduto da un tentativo di provare il potere della musica.

Gamut, che quando entrarono i visitatori era pronto a riversare il suo spirito nel canto, dopo aver indugiato un momento, trasse un accordo dal suo strumento e cominciò un inno che avrebbe operato un miracolo se l'efficacia della fede avesse potuto bastare. Gli fu permesso di continuare fino alla fine perché gli indiani rispettavano la sua supposta insania, e Duncan fu troppo felice dell'indugio per azzardare la minima interruzione. Mentre le cadenze finali della melodia giungevano alle sue orecchie, egli sussultò nel sentirle ripetere dietro di lui in una voce mezzo umana e mezzo sepolcrale. Guardandosi attorno scorse l'irsuto mostro seduto nell'ombra in fondo alla caverna di dove, mentre dondolava il corpo irrequieto nel modo incerto caratteristico dell'animale, ripeteva, in una specie di basso brontolio, suoni, se non parole, che avevano una vaga rassomiglianza con quelle della melodia del cantore.

L'effetto che un'eco così strana ebbe su David può essere più facilmente immaginato che descritto. Egli spalancò gli occhi come non credesse a ciò che vedevano e ammutolì per il soverchio stupore. Un piano prestabilito, secondo il quale doveva riferire una comunicazione importante a Heyward, gli tornò alla mente a causa di un'emozione che somigliava molto da vicino alla paura, ma che ora egli era felice di interpretare come ammirazione. Sotto la sua influenza esclamò ad alta voce: «Ella vi aspetta ed è vicina» e lasciò precipitosamente la caverna.