Quaderno a quadretti - L'ultimo dei Mohicani

XXV

 Snug - Ce l'hai la parte del leone scritta?

Se sì ti prego di darmela

perché sono lento a imparare.

Quince - Puoi improvvisarla, si tratta solo di ruggire.

Sogno di una notte di mezza estate

Qualcosa di stranamente ridicolo si mescolò alla solennità di questa scena. La bestia continuava i suoi movimenti barcollanti e apparentemente incessanti, benché i suoi buffi tentativi di imitare le melodia di David fossero cessati nel momento in cui questi abbandonò il campo. Le parole di Gamut erano state espresse, come abbiamo visto, nella sua lingua nativa, e a Duncan sembrarono cariche di qualche significato nascosto, benché nulla di evidente lo aiutasse a scoprire l'oggetto di quella allusione.

Ogni congettura sull'argomento dovette rapidamente aver termine quando il capo si avvicinò al letto della malata e mandò via con un cenno le donne che si erano là raccolte per assistere allo spettacolo di abilità dello straniero. Egli fu anche se di malavoglia obbedito; e quando la cupa eco della porta che si richiudeva sul fondo cessò di risuonare nella galleria naturale egli, indicando la figlia priva di sensi, disse: «È ora che il mio fratello mostri il suo potere.»

Così, inesorabilmente chiamato ad esercitare le funzioni del finto personaggio che aveva assunto, Heyward temette che un minimo indugio potesse dimostrarsi pericoloso. Tentando allora di raccogliere le idee, si preparò a rappresentare quelle specie di incantesimi e di riti grotteschi sotto i quali gli stregoni indiani solgono nascondere la loro ignoranza e la loro impotenza. È assai probabile che col disordine in cui si trovavano i suoi pensieri, egli avrebbe dato luogo a qualche sospetto, o addirittura sarebbe incorso in qualche errore fatale, se il tentativo che si apprestava a compiere non fosse stato interrotto da un feroce brontolio del quadrupede. Per tre volte ricominciò e altrettante volte incontrò la stessa inspiegabile opposizione, ed ogni interruzione era più rabbiosa e minacciosa della prima.

«Gli astuti sono gelosi» disse l'Urone. «Io vado. Fratello, questa donna è la moglie di uno dei miei giovani più coraggiosi, trattala bene. Buono!» aggiunse rivolto alla bestia irrequieta perché stesse tranquilla. «Io vado.»

Il capo fece ciò che aveva detto e Duncan si trovò solo in quel luogo selvaggio e desolato, con l'inguaribile inferma e il feroce e pericoloso animale. La bestia seguì i movimenti dell'indiano e con quell'aria furbesca che è caratteristica degli orsi, finché un'altra eco annunciò che anche l'indiano aveva lasciato la caverna; allora l'orso si girò e si avvicinò dondolando a Duncan, davanti al quale si sedette nel suo atteggiamento naturale, eretto come quello di un uomo.

Il giovane si guardò attorno alla ricerca di qualche arma con la quale avrebbe potuto resistere all'attacco che ora seriamente temeva. Sembrava tuttavia che l'umore dell'animale fosse cambiato improvvisamente. Invece di continuare a brontolare nervosamente o manifestare altri segni di collera, tutto il suo corpo irsuto si scosse violentemente, come agitato da qualche strana convulsione interna. Gli enormi e goffi artigli strusciavano stupidamente il muso digrignato e, mentre Heyward teneva gli occhi fissi ai suoi movimenti con sospettosa attenzione, l'orribile testa cadde da un lato e al suo posto apparve l'onesto e risoluto viso dell'esploratore che si abbandonava dal profondo del cuore alla sua caratteristica risata.

«St!» disse il prudente uomo dei boschi interrompendo l'esclamazione di sorpresa di Heyward. «Quelle canaglie sono nei paraggi e ogni suono che non appartenga alle arti magiche li farebbe tornare qui come un sol uomo.» «Ditemi cosa significa questa mascherata e perché avete tentato un'avventura così disperata?»

«Eh! Il caso ha spesso la meglio sulla regione e sui piani,» replicò l'esploratore. «Ma poiché una storia deve sempre essere raccontata dall'inizio, vi dirò tutto con ordine. Dopo che ci siamo separati, ho messo il comandante e il Sagamore in una vecchia costruzione di castori, dove sono più al sicuro dagli Uroni di quanto non sarebbero nella guarnigione di Edward, perché gli altri indiani nord-occidentali non hanno ancora avuto commercianti fra loro e continuano a venerare il castoro. Dopo di che Uncas ed io abbiamo proseguito verso l'altro accampamento, come d'accordo. Avete visto il ragazzo?»

«Con mio grande dolore! Egli è prigioniero e condannato a morte al sorgere del sole.»

«Sospettavo che tale sarebbe stata la sua sorte,» riprese l'esploratore in tono meno fiducioso e allegro. Ma riprendendo presto la sua voce naturale e ferma, continuò: «La sua sfortuna è la vera ragione della mia presenza qui, perché è un vero peccato abbandonare un ragazzo come quello agli Uroni. È difficile che quei mascalzoni l'abbiano vinta e possano legare ‹Alice balzante› e ‹La Lunga Carabina›, come mi chiamano, allo stesso palo! Non so perché mi abbiano dato questo nome, perché tra le qualità di «Ammazzacervo» e le prestazioni delle vostre reali carabine canadesi c'è la stessa somiglianza che esiste fra la pietra per pipe e la pietra focaia!»

«Continuate il vostro racconto» disse Heyward spazientito. «Non sappiamo quando gli Uroni possono tornare.»

«Nessuna paura. Uno stregone deve avere del tempo a disposizione, come un prete che va in giro per le colonie. Siamo al sicuro da interruzioni come lo sarebbe un missionario all'inizio di un discorso di due ore. Ebbene, Uncas ed io ci siamo imbattuti in una compagnia di quei mascalzoni che era sulla via del ritorno. Il ragazzo correva troppo per un esploratore, ma essendo di sangue caldo non era troppo da biasimare; tuttavia uno degli Uroni che si è dimostrato un codardo fuggendo gli ha teso un'imboscata.»

«E ha pagato caro il suo errore!»

L'esploratore si passò una mano sul collo e scosse il capo per dire: «So cosa volete dire.» Dopo di che continuò parlando in modo più udibile, anche se non di molto più comprensibile: «Dopo la perdita del ragazzo mi rivolsi contro gli Uroni, come potete vedere. Ci sono state delle scaramucce con uno o due di loro e me; ma questo non ha nessuna importanza. Così, dopo aver sparato a quei demoni, sono riuscito ad avvicinarmi alle capanne senza essere ulteriormente disturbato. Poi cos'altro poteva fare la fortuna per me se non condurmi nel luogo dove uno dei più famosi stregoni della tribù si stava vestendo, come io ben sapevo, per qualche grande scontro con Satana? Anzi, perché chiamare fortuna ciò che ora sembra essere uno speciale disegno della Provvidenza? Così un colpo ben assestato sulla testa immobilizzò quel bugiardo impostore per qualche tempo, e dopo avergli lasciato un po' di noci per il pasto per evitare che si mettesse a gridare, l'ho legato fra due alberelli, mi sono impossessato dei suoi indumenti e ho fatto la parte dell'orso al suo posto, in modo che le operazioni potessero procedere.»

«E avete recitato in modo mirabile perché l'animale stesso si vergognerebbe se avesse assistito alla rappresentazione.»

«Sarei un cattivo scolaro,» rispose l'uomo dei boschi lusingato, «se avessi studiato così a lungo in queste terre selvagge senza saper imitare i movimenti e le caratteristiche di quella bestia. Se si fosse trattato di un puma o di una pantera, avrei messo su una rappresentazione per voi degna di nota. Non è un'impresa tanto difficile imitare i movimenti di una bestia così stupida; benché anche un orso possa essere rappresentato con un po' di esagerazione. Eh, già; non tutti gli imitatori sanno che è più facile superare che uguagliare la natura. Ma tutto il lavoro è ancora davanti a noi, dov'è la fanciulla?»

«Ho esaminato tutte le capanne del villaggio, senza scoprire la benché minima traccia della presenza di colei che cerco in questa tribù. «Avete sentito ciò che ha detto il cantore mentre se ne andava: ella è vicina e vi aspetta?»

«Tutto mi lasciava credere che alludesse a questa infelice.»

«Quel sempliciotto era spaventato e ha sbagliato grossolanamente il messaggio; ma esso aveva un significato più importante. Qui ci sono abbastanza muri da separare un'intera colonia. Un orso si può arrampicare, perciò darò un'occhiata dall'altra parte. Potrebbero esserci degli alveari nascosti in queste rocce, sono una bestia, sapete, che ha la mania delle cose dolci.»

L'esploratore si guardò indietro, e mentre rideva della propria spiritosaggine si arrampicò su per la parete, imitando i goffi movimenti della bestia che rappresentava; ma quando fu in alto fece un gesto di silenzio e scivolò giù con la massima precipitazione.

«È qui,» sussurrò, «e potrete trovarla passando per quella porta. Avrei voluto dirle qualche parola di conforto ma la vista di un simile mostro avrebbe potuto turbare la sua ragione. Benché, a questo riguardo, Maggiore, voi stesso non siate molto rassicurante con quelle dipinture.»

Duncan che si era già lanciato con impeto verso la porta, si ritirò immediatamente nell'udire queste parole scoraggianti.

«Sono dunque così rivoltante?» domandò con aria addolorata.

«Non potreste spaventare un lupo o impedire a un americano Reale di fare una carica, ma c'è stato un tempo in cui il vostro aspetto era più invitante; le striature del vostro viso non sarebbero male accette a una squaw, ma le giovani donne bianche danno la preferenza a quelli del loro colore. Guardate,» aggiunse indicando un punto dove l'acqua sgorgava da una roccia formando una fontanella cristallina prima di trovare la via d'uscita attraverso le fessure adiacenti, «potete facilmente liberarvi delle impiastricciature del Sagamore, e quando tornerete proverò con le mie mani a farvi un nuovo ornamento. È normale per uno stregone cambiare le dipinture come per un bellimbusto delle colonie cambiare gli abiti.»

Il risoluto uomo dei boschi non ebbe bisogno di cercare altri argomenti per rendere più convincente il suo consiglio. Non aveva finito di parlare che Duncan già si serviva dell'acqua. In un momento ogni segno sgradevole fu cancellato e il giovane apparve di nuovo con i lineamenti che la natura gli aveva donato. Così, pronto ad un incontro con l'amata, prese frettolosamente congedo dal compagno e scomparve attraverso il passaggio che questi gli aveva indicato. L'esploratore guardò compiaciuto la sua scomparsa, scotendo il capo e borbottando degli auguri; dopo di che si accinse freddamente ad esaminare lo stato della dispensa degli Uroni, dato che la caverna, fra l'altro, era usata come deposito dei frutti delle loro cacce.

Duncan aveva come sola guida una lontana luce incerta che però servì all'innamorato da stella polare. Col suo aiuto fu in grado di entrare nel porto delle sue speranze, che consisteva semplicemente in una altro andito della caverna dedicato esclusivamente alla salvaguardia di una prigioniera importante qual era la figlia del comandante di William Henry. Vi si trovava sparpagliato il bottino della sfortunata fortezza. in mezzo a tale confusione egli trovò colei che cercava, pallida, ansiosa, terrificata, ma bella. David l'aveva preparata alla sua visita.

«Duncan!» esclamò ella con una voce che sembrava tremare al suo stesso suono.

«Alice» rispose egli saltando senza curarsi di bauli casse, armi e mobilio, finché la raggiunse.

«Sapevo che non mi avreste mai abbandonato» disse ella alzando lo sguardo con una momentanea luce nel viso altrimenti afflitto. «Ma siete solo! Benché grata per essere così ricordata, avrei desiderato che non foste completamente solo.»

Duncan, osservando che tremava talmente da non poter stare in piedi, con dolcezza la invitò a sedere, mentre raccontava gli avvenimenti principali che è stato nostro compito riportare. Alice ascoltò con un interesse da mozzarle il fiato, e benchè il giovane accennasse appena al dolore del padre afflitto, facendo attenzione però a non ferire l'amor proprio di colei che lo ascoltava, copiose lacrime scorrevano sulle guance della figlia come se ella non avesse mai pianto prima. La tenerezza confortante di Duncan, tuttavia, presto placò la prima esplosione delle emozioni di lei, e la fanciulla ascoltò fino alla fine con attenzione imparziale, se non tranquilla.

«Ed ora, Alice», egli aggiunse, «saprete quanto ancora ci si aspetta da voi. Con l'aiuto del nostro inestimabile amico, l'esploratore, fuggiremo da questo popolo selvaggio, ma dovrete fare appello a tutta la vostra forza d'animo. Ricordate che potrete volare fra le braccia del vostro venerando padre e quanto la sua felicità, come la vostra, dipendono da tali sforzi.»

«Posso fare qualcosa di diverso per un padre che ha fatto tanto per me?»

«E anche per me». continuò il giovane facendo una leggera pressione sulla mano che aveva preso fra le sue.

Lo sguardo innocente e sorpreso che ricevette in risposta, convinse Duncan della necessità di essere esplicito.

«Questo non è il luogo né la circostanza per parlarvi di desideri egoistici,» aggiunse, «ma quale cuore gonfio come il mio non desiderebbe gettare il suo fardello? Dicono che l'infelicità è il più stretto dei legami. La comune preoccupazione per la vostra sorte, non ha lasciato molto da spiegare fra vostro padre e me.»

«E la carissima Cora, certamente non l'avete dimenticata.»

«Non dimenticata, no, rimpianta come raramente una donna è stata compianta prima. Il vostro venerabile padre non conosce differenze fra le sue figlie; ma io, Alice, non offendetevi se dico che per me i meriti di Cora erano in qualche modo offuscati...»

«Dunque non conoscete i meriti di mia sorella,» disse Alice, ritirando la mano, «di voi ella parla sempre come del suo più caro amico.»

«Sarei felice di ritenerla tale,» rispose Duncan in fretta, «desidererei che fosse anche di più, ma con voi Alice, ho il permesso di vostro padre di aspirare ad un legame ancora più stretto.»

Alice tremava violentemente, e vi fu un istante nel quale ella girò il viso, abbandonandosi alle emozioni comuni al suo sesso; ma esse passarono rapidamente, lasciandola padrona del suo contegno, se non dei suoi sentimenti.

«Heyward,» disse ella guardandolo dritto nel viso con una espressione di commovente ed innocente ritegno, «concedetemi la sacra presenza e la santa approvazione di mio padre prima di dirmi altro.»

«Benché di più non dovrei, meno non potrei dire,» stava per rispondere il giovane, quando fu interrotto da un leggero tocco sulla spalla.

Balzando in piedi si girò, e guardando l'intruso, il suo sguardo cadde sulla forma scura e il viso malvagio di Magua. La cupa risata gutturale del selvaggio in un momento come quello, suonò per Duncan come lo scherno di un demonio. Se avesse seguito l'improvviso e impetuoso impulso del momento, si sarebbe scagliato sull'Urone e affidato la loro sorte al risultato di una lotta mortale. Ma senza armi, ignorando le risorse cui l'astuto nemico avrebbe potuto ricorrere, e responsabile della salvezza di una che proprio allora era diventata più che mai cara al suo cuore, egli abbandonò il disperato proposito.

«Che intenzioni avete?» disse Alice incrociando umilmente le braccia sul petto e lottando disperatamente per nascondere un'angosciosa paura per la sorte di Heyward nel modo freddo e distaccato che soleva assumere quando riceveva le visite del rapitore.

L'indiano esultante aveva ripreso la sua espressione austera, pur facendo qualche passo indietro davanti allo sguardo minaccioso del giovane. Egli guardò per un momento i prigionieri con sguardo risoluto, poi, andando verso un'altra parete, spostò un ceppo che chiudeva una porta diversa da quella attraverso la quale era passato Duncan.

Questi comprese ora come era stato sorpreso, e credendosi irrimediabilmente perduto trasse Alice al suo petto e si preparò ad incontrare una sorte che ora non gli era troppo dolorosa, poiché doveva sopportarla in tale compagnia. Magua però non intendeva compiere una vendetta immediata. Le sue prime misure furono evidentemente prese per assicurare il nuovo prigioniero, né si degnò di dare un'altra occhiata alle figure immobili che stavano al centro della caverna finché non ebbe completamente distrutto per i prigionieri ogni speranza di fuggire attraverso l'imboccatura privata che egli stesso aveva usato. Ogni suo movimento fu osservato da Heyward, che rimase però immobile, sempre tenendosi stretto al cuore il fragile corpo di Alice, troppo orgoglioso e troppo disperato per domandare la grazia ad un nemico così spesso battuto.

Quando Magua ebbe eseguito i suoi intenti, si avvicinò ai prigionieri e disse in inglese: «I visi pallidi intrappolano gli astuti castori, ma i pellerossa sanno come prendere gli Yangee.»

«Urone, compi la tua vendetta!» esclamò Heyward esaltato, dimenticando che un altro palo di tortura sarebbe stato a fianco del suo. «Voi e la vostra vendetta siete ugualmente spregevoli.»

«Dirà il bianco queste stesse parole quando sarà al palo?» domandò Magua, mostrando nello stesso tempo quanto poco credesse alla risolutezza dell'altro col ghigno che accompagnò queste parole.

«Qui, solo, davanti a voi, o in presenza del vostro popolo.»

«Le Renard Subtil è un grande capo!» replicò l'indiano. «Andrà a chiamare i suoi giovani per vedere quanto coraggiosamente un viso pallido sa ridere sotto la tortura.»

Si girò mentre parlava e stava per andarsene per il passaggio usato da Duncan, quando un brontolio giunse alle sue orecchie e lo fece esitare. La figura dell'orso apparve alla porta, dove si sedette, dondolandosi da una parte e dall'altra nel solito movimento incessante. Magua, come il padre della malata, lo guardò fisso negli occhi, come per studiarlo. Egli però era molto superiore alle più volgari superstizioni della sua tribù, e non appena riconobbe il ben noto travestimento dello stregone, si accinse a passargli davanti con calma. Ma un brontolio più forte e minaccioso lo fece fermare di nuovo. Allora sembrò deciso a non stare più al gioco e si avviò risoluto. Il finto animale che si era avvicinato un po', si ritirò lentamente davanti a lui, finché arrivò di nuovo al passaggio, qui, alzandosi sulle zampe posteriori, batté l'aria con quelle anteriori, nel modo caratteristico del suo modello.

«Sciocco!» esclamò il capo in urone. «Vai a giocare con i bambini e le donne e lascia gli uomini alla loro saggezza.»

Egli tentò un'altra volta di oltrepassare il supposto stregone, disdegnando persino di minacciare l'uso del coltello o del tomahawk che gli pendevano dalla cintola. Improvvisamente la bestia tese le braccia, o piuttosto le zampe, e lo serrò in una morsa che avrebbe potuto rivaleggiare con la ben nota forza della stretta dell'orso stesso. Heyward aveva assistito alle manovre di Occhio di Falco col fiato sospeso. Per la prima volta lasciò Alice, prese il laccio di pelle di daino che era stato usato per legare alcuni fagotti e quando vide il nemico con le braccia inchiodate ai fianchi dai muscoli di ferro dell'esploratore, si precipitò su di lui e lo legò. Braccia, gambe e piedi furono avvolti venti volte col legaccio in meno tempo di quanto non ci sia occorso per raccontare il fatto. Quando il formidabile Urone fu completamente immobilizzato, l'esploratore lasciò la presa e Duncan coricò il nemico sul dorso, completamente inerme.

Durante tutto lo svolgersi di questa improvvisa e straordinaria operazione, Magua, pur avendo lottato disperatamente fino al momento in cui si rese conto di trovarsi nelle mani di uno dai muscoli di gran lunga più forti dei suoi, non aveva emesso la minima esclamazione. Ma quando Occhio di Falco, allo scopo di fornire una spiegazione sommaria del suo comportamento, aprì le mascelle pelose della bestia e offrì il proprio volto rude e sincero alla vista dell'Urone, la sorpresa ebbe la meglio sulla sua filosofia e si lasciò sfuggire l'immancabile: «Hugh!»

«Ah, hai ritrovato la lingua» disse calmo il vincitore. «Ora, affinché tu non la usi per la nostra rovina, devo prendermi la libertà di chiuderti la bocca.»

Poiché non c'era tempo da perdere, l'esploratore si accinse subito a mettere in pratica una precauzione tanto necessaria, e quando ebbe imbavagliato l'indiano, il nemico poté sicuramente considerarsi fuori combattimento.

«Da che parte è entrato quel demonio?» domandò l'intraprendente esploratore quando ebbe finito il lavoro. «Non ho visto passare neanche un'anima da quando mi avete lasciato.»

Duncan indicò l'apertura dalla quale era passato Magua, ma ora essa aveva troppi ostacoli per una pronta ritirata.

«Fate venire la fanciulla, allora,» continuò l'esploratore, «dobbiamo raggiungere i boschi dall'altra uscita.»

«È impossibile» disse Duncan. «È sopraffatta dalla paura e non ce la fa. Alice, cara, mia dolce Alice! Alzatevi; è venuto il momento di fuggire. È inutile, sente, ma non può seguirci. Andate, nobile e degno amico, salvatevi e lasciatemi al mio destino!»

«Ogni traccia ha la sua fine e ogni calamità dà la sua lezione!» replicò l'esploratore. «Là, avvolgetela in quei panni indiani, nascondete tutta la sua piccola persona. No, quel piedino non ha pari nella foresta: la tradirebbe. Tutto, ogni parte. Ora prendetela fra le braccia e seguitemi. Lasciate a me il resto.»

Duncan, come si può capire dalle parole dell'amico obbedì sollecito, e quando l'altro finì di parlare prese il leggero corpo di Alice fra le braccia e seguì l'esploratore. Trovarono l'inferma ancora sola come l'avevano lasciata, e proseguirono rapidamente attraverso la galleria naturale, verso l'imboccatura. Mentre si avvicinavano alla porticina di corteccia, un mormorio di voci all'esterno rivelò che parenti e amici dell'invalida erano raccolti intorno al luogo, aspettando pazientemente il permesso di entrare.

«Se apro la bocca per parlare,» mormorò Occhio di Falco, «il mio inglese, che è la lingua genuina dei bianchi, dirà a quelle canaglie che c'è un nemico fra loro. Dovete usare il vostro francese, Maggiore, dire che abbiamo chiuso gli spiriti maligni nella caverna e che stiamo portando la donna nei boschi per trovare radici che la rinforzino. Usate tutta la vostra astuzia, è una cosa legittima.»

La porta si socchiuse, come se qualcuno di fuori stesse ascoltando cosa avveniva dentro; ciò costrinse l'esploratore a smettere di dare consigli. Un feroce brontolio ricacciò il ficcanaso, poi l'esploratore spinse deciso il riparo di corteccia e lasciò il luogo, imitando i movimenti dell'orso mentre si allontanava. Duncan gli tenne dietro da vicino e presto si trovò al centro di un gruppo di venti parenti e amici ansiosi. La folla indietreggiò un poco e lasciò che il padre e uno che sembrava il marito si avvicinassero.

«Il mio fratello ha cacciato lo spirito maligno?» domandò il primo.

«Cos'ha fra le braccia?»

«Tua figlia» replicò Duncan solennemente. «Il male è uscito da lei, è rinchiuso nelle rocce. La porto lontano, dove la renderò forte contro altri attacchi. Sarà nella wigwam del giovane quando il sole tornerà a splendere.»

Quando il padre ebbe tradotto le parole dello straniero in lingua urone un mormorio contenuto rivelò la soddisfazione con cui era stata accolta questa notizia.

Il capo in persona fece cenno a Duncan di procedere, dicendo forte, con voce ferma e con fare solenne: «Va, io sono un uomo, entrerò fra le rocce e combatterò il maligno.»

Heyward, obbedendo con sollievo, aveva già oltrepassato il gruppetto, quando queste parole allarmanti lo fermarono.

«Il mio fratello è forse pazzo?» esclamò. «O forse crudele? Egli incontrerà il male ed esso entrerà in lui, oppure lo manderà fuori ed esso inseguirà sua figlia nei boschi. No, che i miei figli aspettino fuori e se lo spirito appare lo battano con delle mazze. Egli è astuto e si nasconderà nella montagna quando vedrà quanti sono pronti a combatterlo.»

Questo singolare avvertimento ebbe l'effetto desiderato. Invece di entrare nella caverna, il padre e il marito trassero il tomahawk e si appostarono, pronti a compiere la loro vendetta sull'immaginario tormentatore della congiunta malata, mentre le donne e i bambini colsero dei rami dai cespugli e afferrarono frammenti di roccia, con intenzioni analoghe. In quel momento favorevole il finto stregone scomparve.

Occhio di Falco, nel momento in cui aveva osato tanto confidando nelle superstizioni degli indiani, non ignorava che esse erano più tollerate che credute dai capi più saggi. Conosceva bene perciò il valore del tempo nella pericolosa circostanza in cui si trovavano. Qualunque fosse la misura dell'illusione dei nemici e comunque essa lo avrebbe aiutato a realizzare i suoi piani, la minima traccia di sospetto da parte degli astuti indiani sarebbe probabilmente stata fatale. Perciò, prendendo il sentiero che aveva più probabilità di eludere la loro attenzione, egli si mantenne ai margini del villaggio invece di entrarvi. I guerrieri si vedevano ancora da lontano, nella luce morente dei fuochi, mentre camminavano di capanna in capanna. Ma i bambini avevano lasciato i giochi per i letti di pelli, e la quiete della notte cominciava a prevalere sulla confusione e l'eccitazione di una sera così animata e importante.

Alice si rianimò sotto l'influenza benefica dell'aria aperta e poiché la sua forza fisica più che quella mentale, era stata vinta dalla debolezza, ella non ebbe bisogno di spiegazioni su ciò che era successo.

«Ora lasciate che mi sforzi di camminare.» disse quando entrarono nella foresta, arrossendo, non vista, per non essere stata in grado di lasciare prima le braccia di Duncan; «mi sono ripresa.»

«No, Alice, siete ancora troppo debole.»

La fanciulla si dibatté leggermente per liberarsi e Heyward fu costretto a lasciare il prezioso peso. Quando il finto orso si trovò abbastanza lontano dalle capanne, fece una sosta e parlò di un argomento del quale era perfettamente padrone.

«Questo sentiero vi porterà al ruscello,» disse, «seguite la riva verso nord, finché arriverete a una cascata; salite sulla collina che vedrete alla vostra destra e vedrete i fuochi dell'altro popolo. Andate là e domandate protezione; se sono veri Delaware, sarete al sicuro. Fuggire più lontano con la gentile signorina in questo momento è impossibile. Gli Uroni potrebbero inseguirci e prenderci le cotenne prima che abbiamo percorso una dozzina di miglia. Andate, la Provvidenza sia con voi.»

«E voi?» domandò Heyward sorpreso. «Certamente non ci dividiamo qui.»

«Gli Uroni hanno in pugno l'orgoglio dei Delaware, l'ultimo del nobile sangue dei Mohicani è in loro potere,» disse l'esploratore, «io vado a vedere cosa si può fare per lui. Se avessero preso la vostra cotenna, Maggiore, sarebbe caduta una di quelle canaglie per ogni capello che portava, come già ho promesso; ma se il giovane Sagamore sta per essere portato al palo, gli indiani vedrebbero come sa morire un uomo col sangue puro.»

Affatto offeso per la decisa preferenza che il risoluto uomo dei boschi dava a uno che in qualche misura poteva essere chiamato suo figlio adottivo, Duncan continuò tuttavia ad avanzare tutte le ragioni che gli venivano in mente contrarie a un tentativo così disperato. Fu aiutato da Alice che unì le sue implorazioni a quelle di Heyward perché abbandonasse una decisione che faceva prevedere tanto pericolo con così poca speranza di successo. La loro eloquenza e i loro argomenti furono vani. L'esploratore li ascoltò attentamente, ma con impazienza e alla fine chiuse la discussione rispondendo con un tono che subito fece tacere Alice, mentre diceva ad Heyward quanto inutili sarebbero state altre rimostranze:

«Ho sentito dire,» disse, «che c'è un sentimento nella giovinezza che lega un uomo a una donna più strettamente di quanto un padre sia legato al figlio. Può darsi. Sono stato raramente dove abitano donne del mio colore e forse si tratta di una cosa naturale nelle colonie. Voi avete rischiato la vita e tutto quello che vi è caro per salvare questa fanciulla così io suppongo che una inclinazione del genere si trovi al fondo di tutto ciò. Quanto a me ho insegnato a quel ragazzo il buon uso di un fucile e lui mi ha ben ricompensato. Ho combattuto al suo fianco in molte scaramucce; e fintanto che ho potuto sentire la detonazione della sua arma in un orecchio e quella del Sagamore nell'altro, sapevo di non avere nemici alle spalle. Inverni ed estati, notti e giorni, abbiamo percorso insieme la foresta, mangiando nello stesso piatto, e quando l'uno dormiva l'altro faceva la guardia; perciò prima che si possa dire che Uncas è stato portato al supplizio mentre io ero vicino... C'è una sola Guida per tutti noi, qualunque sia il colore della pelle, e Lui io chiamo a testimone che prima che il ragazzo Mohicano muoia per la mancanza di un amico, la fedeltà lascerà la terra e ‹Ammazzacervo› diventerà inoffensivo come l'arma sonante del cantore!»

Duncan lasciò la presa del braccio dell'esploratore, che si voltò e tornò sui suoi passi verso le capanne. Dopo aver indugiato un momento per guardare la sua forma che si allontanava, Heyward ed Alice, liberi e tuttavia addolorati, si avviarono insieme verso il lontano villaggio Delaware.

  XXVI

 Boi - Lasciatemi recitare anche la parte del leone.

Sogno di una notte di mezza estate

Nonostante la sua nobile risolutezza, Occhio di Falco era pienamente conscio di tutte le difficoltà e di tutti i pericoli cui stava per andare incontro. Sulla via del ritorno verso il campo, i suoi sensi acuti ed allenati si dedicarono attentamente ad escogitare mezzi per affrontare una vigilanza e una diffidenza da parte dei nemici che egli sapeva non inferiori alle sue. Soltanto il colore della sua pelle aveva salvato le vite di Magua e dello stregone; i quali sarebbero stati le prime vittime sacrificate alla sua salvezza, se l'esploratore non avesse ritenuta un'azione simile, per quanto congeniale alla natura di un indiano, completamente indegna di uno che vantava una discendenza da uomini di razza pura. Di conseguenza confidò nelle ritorte e nei lacci coi quali aveva legato i suoi prigionieri e continuò la strada verso le capanne.

Nell'avvicinarsi alle abitazioni, i suoi passi divennero più decisi e il suo occhio attento non si lasciava sfuggire alcun indizio, amichevole od ostile che fosse. Una capanna abbandonata si trovava un po' più ai margini rispetto alle altre e sembrava incompleta, molto probabilmente per mancanza di materiali essenziali come legno o acqua. Una luce fioca tuttavia filtrava attraverso le fessure e rivelava che nonostante la sua incompiutezza essa non era disabitata. Perciò l'esploratore vi si accostò, come un prudente generale che volesse fare una ricognizione nelle posizioni avanzate del nemico prima di rischiare l'attacco principale.

Mettendosi in una posizione propria alla bestia che simulava, Occhio di Falco si trascinò carponi verso una piccola apertura da cui poteva dominare l'interno. Gli si rivelò che si trattava dell'abitazione di David Gamut. Qui il fedele maestro di canto si era stabilito, con tutti i suoi dolori, le sue paure e la sua umile dipendenza dalla protezione della Provvidenza. Nel momento preciso in cui la sua goffa figura cadde sotto lo sguardo dell'esploratore nel modo che abbiamo descritto, lo stesso uomo dei boschi, pur nel suo travestimento, era l'argomento delle più profonde riflessioni di quell'essere solitario.

Per quanto la fede di David nella verità degli antichi miracoli fosse assoluta, rifuggiva però dal credere nell'esistenza di un agente soprannaturale che governasse la moderna moralità. In altre parole, mentre credeva ciecamente nella capacità di parlare dell'asino di Balaam, era in un certo qual modo scettico per quanto riguardava il canto di un orso; e tuttavia era stato assicurato di quest'ultima possibilità dalla testimonianza delle sue orecchie sensibili. C'era qualcosa nella sua aria e nei suoi modi che rivelava all'esploratore la sua completa confusione mentale. Stava seduto su un mucchio di ramoscelli, alcuni dei quali di tanto in tanto alimentavano un fuocherello, e la sua testa era appoggiata ad un braccio in una posizione di meditabonda melanconia. L'abbigliamento di questo individuo, interamente dedito alla musica, non aveva subito alcun cambiamento da quello recentemente descritto; eccezione fatta per il copricapo che si era messo sulla testa calva e che non era stato sufficientemente allettante per la cupidigia di coloro che lo avevano catturato,

L'ingegnoso Occhio di Falco, che ricordò il modo frettoloso in cui l'altro aveva abbandonato il suo posto al capezzale dell'ammalata, non era lontano dall'avere qualche sospetto a proposito di una riflessione così solenne. Prima fece il giro della capanna e, assicuratosi che non c'era nessuno perché il carattere di colui che la occupava avrebbe probabilmente tenuto lontani i visitatori, si avventurò attraverso la bassa porta e comparve alla presenza di Gamut. Data la posizione di quest'ultimo il fuoco si trovò fra loro, e quando Occhio di Falco si fu seduto ad una estremità, trascorse circa un minuto durante il quale i due rimasero a guardarsi senza parlare. La subitaneità e il genere della sorpresa erano troppo - non diremo la filosofia - ma per la fede e la risolutezza di David. Egli cercò a tentoni il suo strumento e si alzò con la confusa intenzione di tentare un esorcismo musicale.

«Scuro mostro misterioso!» egli esclamò mentre con mani tremanti si metteva gli occhi supplementari e andava alla ricerca della immancabile risorsa dei momenti cruciali: la bella versione dei Salmi. «Non conosco la tua natura né le tue intenzioni, ma se mediti alcunché contro la persona e i diritti di uno dei più umili servi del tempio, ascolta la lingua ispirata del giovane di Israele e pentiti.»

L'orso scosse i fianchi pelosi, poi una ben nota voce rispose: «Mettete via l'arma sonora e insegnate la modestia alla vostra gola. Cinque parole di inglese semplice e comprensibile valgono in questo momento un'ora di strilli.»

«Cosa sei?» domandò David reso incapace a perseguire il suo primitivo intento e quasi costretto a far sforzi per poter respirare.

«Un uomo come voi! Vale a dire uno il cui sangue è così poco incrociato con quello di un orso o di un indiano quanto lo è il vostro. Avete dimenticato così presto da chi avete ricevuto lo sciocco strumento che tenete in mano?»

«Possono succedere di queste cose?» replicò David, respirando più liberamente mentre la verità cominciava a farsi strada nella sua mente. «Ho visto meraviglie durante il mio soggiorno fra i pagani, ma certamente nessuna che superi questa!»

«Via, via» disse l'esploratore scoprendosi l'onesto viso, per rassicurare del tutto il titubante compagno. «Potete vedere una pelle che, pur non essendo bianca come quella delle fanciulle, non ha sfumatura di rosso che non sia causata da vento, aria e sole. Adesso parliamo di cose importanti.»

«Prima ditemi della fanciulla e del giovane che tanto coraggiosamente l'ha cercata» domandò David.

«Già, fortunatamente si trovano lontani dai tomahawk di queste canaglie. Ma potete mettermi sulla traccia di Uncas?»

«Il giovane è prigioniero e temo molto che la sua morte sia stata decretata. Molto mi affliggo che uno che ha così buone disposizioni debba morire nell'ignoranza, e ho trovato un inno adatto...»

«Potete condurmi da lui?»

«Non sarà difficile,» replicò David esitante, «benché tema che la vostra presenza peggiorerebbe invece di migliorare la sua disgraziata sorte.»

«Basta con le parole, fate strada» replicò Occhio di Falco, poi si nascose il viso e diede personalmente l'esempio lasciando subito la capanna.

Mentre procedevano l'esploratore constatò che il compagno aveva libero accesso al luogo dove si trovava Uncas, e ciò in virtù del privilegio della sua immaginaria infermità, nonché col favore che si era conquistato presso una guardia, la quale, per il fatto di parlare un po' di inglese, era stata scelta da David come oggetto di una conversione religiosa. Che l'Urone comprendesse le intenzioni del nuovo amico, è da dubitare fortemente; ma poiché un'attenzione esclusiva lusinga un selvaggio quanto un individuo più civilizzato, la cosa aveva prodotto l'effetto che abbiamo detto. Non è necessario ripetere la perspicacia con la quale l'esploratore cavò questi particolari dal semplice David, né indugeremo in questa sede sulla natura delle istruzioni che gli diede quando fu al corrente di tutti i fatti necessari, poiché il tutto sarà sufficientemente spiegato al lettore nel corso della narrazione.

La capanna in cui si trovava confinato Uncas era al centro del villaggio, e forse in una posizione più difficile di qualunque altra per chi volesse entrarvi o uscirne senza essere notato. Ma non era nella strategia di Occhio di Falco agire di nascosto. Fidandosi del suo travestimento e della sua abilità a sostenere la parte che si era assunto, egli prese la strada più semplice e diretta che conduceva al luogo dove voleva recarsi. L'ora tuttavia forniva un po' di quella protezione che sembrava disprezzare tanto. I ragazzi erano già sprofondati nel sonno e tutte le donne, nonché la maggior parte dei guerrieri, si erano ritirati nelle loro capanne per passarvi la notte. Soltanto quattro o cinque di questi ultimi indugiavano intorno alla porta della prigione di Uncas, osservatori guardinghi ma attenti degli atteggiamenti del prigioniero.

Alla vista di Gamut, accompagnato da uno che portava il ben noto travestimento di uno dei loro più stimati stregoni, essi si fecero prontamente da parte per lasciarli passare. Non mostrarono però alcuna intenzione di andarsene, anzi erano evidentemente propensi a rimanere, trattenuti sul posto da un ulteriore interesse per le misteriose cerimonie che naturalmente si aspettavano da una simile visita.

A causa della sua totale incapacità di rivolgersi agli Uroni nella loro lingua, Occhio di Falco fu costretto ad affidare la conversazione interamente a David. Nonostante la sua ingenuità, quest'ultimo si attenne pienamente alle istruzioni ricevute, soddisfacendo pienamente le più ardite speranze del maestro

«I Delaware sono donne!» egli esclamò rivolgendosi al selvaggio che aveva una vaga conoscenza della lingua nella quale parlava. «Gli Yangee, quegli sciocchi della mia razza, hanno detto loro di prendere il tomahawk e combattere i loro padri del Canadà ed essi hanno dimenticato il loro sesso. Il mio fratello desidera sentire ‹Le Cerf Agile› domandare la gonnella e vederlo piangere davanti agli Uroni quando sarà al palo?»

L'esclamazione «Hugh!» pronunciata in forte tono di assenso rivelò il piacere che avrebbe provato il selvaggio alla vista della debolezza di un nemico tanto a lungo odiato e temuto.

«Allora si faccia da parte e l'uomo astuto soffierà su quel cane! Dillo ai miei fratelli.»

L'Urone spiegò ai compagni quanto David aveva detto e questi a loro volta ascoltarono quel piano con quella sorta di soddisfazione che i loro spiriti indomiti era naturale provassero alla prospettiva di un divertimento tanto crudelmente raffinato. Essi indietreggiarono un po' dalla porta e fecero segno al finto stregone di entrare. Ma l'orso, invece di obbedire, si mantenne seduto dov'era ed emise un brontolio.

«L'uomo astuto ha paura che il suo respiro arrivi anche ai suoi fratelli e porti via anche il loro coraggio,» continuò David perfezionando il suggerimento ricevuto, «essi devono stare lontani.»

Gli Uroni che ritenevano questa la peggiore disgrazia che potesse loro capitare, indietreggiarono tutti insieme, prendendo una posizione da cui non potessero udire, ma che permettesse loro di tenere sotto controllo l'entrata della capanna. Poi, come soddisfatto del vederli al sicuro, l'esploratore si alzò ed entrò lentamente. Il luogo era silenzioso e cupo, occupato solo dal prigioniero e illuminato dalle braci morenti di un fuoco che era stato usato per cuocere dei cibi.

Uncas occupava un angolo in fondo alla stanza, e stava adagiato perché aveva mani e piedi rigidamente legati con lacci robusti e stretti. Quando lo spaventoso animale apparve al giovane Mohicano, egli non lo degnò nemmeno di uno sguardo. L'esploratore che aveva lasciato David alla porta perché controllasse che non fossero osservati, ritenne prudente conservare il travestimento finché non fu sicuro che erano soli, perciò invece di parlare, si esibì in uno degli atteggiamenti grotteschi caratteristici dell'animale che rappresentava. Il giovane Mohicano, che in un primo momento aveva creduto che il nemico avesse inviato una bestia vera per tormentarlo e mettere alla prova i suoi nervi, scoprì nell'esibizione che a Heyward era sembrata tanto ben fatta, alcune imperfezioni che subito rivelarono l'imitazione. Se Occhio di Falco si fosse reso conto della bassa considerazione in cui il più esperto Uncas teneva la sua rappresentazione, probabilmente avrebbe continuato lo spettacolo un po' risentito. Ma l'espressione sprezzante del giovane si prestava a molte interpretazioni, perciò al degno uomo dei boschi fu risparmiata la mortificazione di tale scoperta. Non appena quindi David diede il segnale convenuto, al posto del feroce brontolio dell'orso, si udì nella capanna un basso sibilo.

Uncas si era appoggiato alla parete e aveva chiuso gli occhi come volesse escludere dalla sua vista un oggetto così spregevole e ripugnante. Ma quando sentì il sibilo del serpente, si alzò e si guardò attorno, chinando la testa e girandola in tutte le direzioni con aria interrogativa, finché il suo sguardo acuto si posò sul mostro peloso dove rimase fisso, come rapito dal potere di un incantesimo. Si ripeterono gli stessi suoni che evidentemente provenivano dalla bocca della bestia.

Di nuovo gli occhi del giovane errarono all'interno della capanna e ritornarono nella posizione di prima, allora Uncas mormorò con voce bassa e soffocata: «Occhio di Falco!»

«Tagliategli i lacci» disse Occhio di Falco a David che in quel momento si era avvicinato.

Il cantore fece quanto gli era stato ordinato e Uncas si trovò con le membra libere. Nello stesso momento la pella secca dell'animale scricchiolò e apparve l'esploratore in carne ed ossa. Il Mohicano parve comprendere per intuito la natura del tentativo fatto dall'amico, perché né parole, né espressione alcuna rivelavano segni di sorpresa. Quando Occhio di Falco si fu liberato dell'ispido travestimento, semplicemente slacciando certi legacci di pelle, trasse un lungo coltello lucente e lo mise in mano ad Uncas.

«Gli Uroni rossi sono fuori» disse. «Prepariamoci.»

Nello stesso momento mise il dito su un'altra arma simile con aria significativa, infatti entrambe erano il frutto delle sue imprese fra i nemici durante quella notte.

«Andiamo» disse Uncas.

«Dove?»

«Dalle Tartarughe; essi sono figli dei miei avi.»

«Già ragazzo,» disse l'esploratore in inglese, lingua che era portato ad usare quando era un po' distratto, «lo stesso sangue scorre nelle vostre vene, credo, ma il tempo e la distanza hanno un po' cambiato il suo colore. Cosa facciamo con i Mingo alla porta? Sono in sei e questo cantore non conta nulla.»

«Gli Uroni sono spacconi,» disse Uncas sprezzante, «il loro totem è un alce, ma corrono come lumache. I Delaware sono figli della tartaruga ma superano il cervo.»

«Già, ragazzo, c'è della verità in quello che dici, e non dubito che con un solo slancio vinceresti tutto il popolo; e in una corsa diritta guadagneresti il traguardo e riusciresti a riprendere fiato prima che una sola di tutte quelle canaglie arrivi nelle vicinanze del villaggio. Le virtù di un bianco, però, risiedono più nelle braccia che nelle gambe. Quanto a me posso far saltare le cervella a un Urone come a un uomo migliore, ma se si trattasse di fare una corsa quelle canaglie sarebbero troppo forti per me,»

Uncas, che si era già avvicinato alla porta pronto a far strada, indietreggiò e tornò al fondo della capanna. Ma Occhio di Falco, che era troppo sprofondato nei suoi pensieri per notare quella mossa, continuò a parlare più a se stesso che al compagno.

«Dopo tutto,» egli disse, «è irragionevole tenere un uomo legato alle virtù di un altro. Così, Uncas, faresti meglio a dartela a gambe mentre io mi rimetterò la pelle e mi affiderò all'astuzia in mancanza di velocità.»

Il giovane Mohicano non rispose, ma con calma incrociò le braccia e si appoggiò a uno dei pali che sostenevano la parete della capanna. «Ebbene» disse l'esploratore guardandolo, «perché indugi? Per me ci sarà abbastanza tempo perché quei demoni daranno prima la caccia a te.»

«Uncas resterà» fu la tranquilla risposta.

«A che scopo?»

«Per combattere col fratello di suo padre e morire con l'amico dei Delaware.»

«Già, ragazzo» replicò Occhio di Falco stringendo la mano di Uncas fra le sue ferree dita. «Sarebbe stato più da Mingo che da Mohicano se mi avessi abbandonato. Ma pensavo di doverti fare questa offerta, sapendo che la giovinezza in generale ama la vita. Bene, ciò che in guerra non può essere fatto col coraggio, deve essere fatto con l'astuzia. Mettiti la pelle, non dubito che tu sappia fare la parte dell'orso bene quanto me.»

Qualunque fosse l'opinione personale di Uncas sulle loro rispettive capacità in proposito, il suo viso grave non manifestò l'opinione che aveva della propria superiorità. Silenziosamente e senza indugi si infilò nella pelle della bestia, poi attese che il compagno più anziano gli indicasse le ulteriori mosse da fare.

«Ora, amico,» disse Occhio di Falco rivolto a David, «vi converrà cambiare abbigliamento poiché siete poco abituato agli espedienti in uso nella foresta. Qua, prendete la mia cacciatora e il mio berretto e datemi la vostra coperta e il vostro cappello. Dovete affidarmi anche il libro, gli occhiali, nonché lo zufolo; se mai ci rincontreremo in tempi migliori, vi restituirò tutto con molti ringraziamenti in cambio.»

David si separò dai suoi vari aggeggi con una prontezza che avrebbe conferito molto credito alla sua generosità se, per molti versi, non avesse guadagnato nel cambio. Occhio di Falco non ci mise molto a indossare gli abiti presi a prestito, e quando i suoi occhi inquieti furono nascosti dagli occhiali e la testa sormontata dal copricapo triangolare di castoro, poiché le loro stature non differivano di molto, grazie alla luce delle stelle aveva buona possibilità di essere scambiato per il maestro di canto. Non appena questi preparativi furono compiuti, l'esploratore si rivolse a David e gli diede le istruzioni prima della separazione.

«Siete molto portato alla codardia?» domandò bruscamente per aver un'idea precisa della situazione prima di azzardarsi a dare consigli. «Le mie intenzioni sono pacifiche e il mio carattere, credo umilmente, è molto incline alla pietà e all'amore,» replicò David un po' piccato per un attacco così diretto alla sua virilità, «ma nessuno può dire che abbia mai dimenticato la mia fede nel Signore, sia pure nelle maggiori angustie.»

«Il pericolo più grande per voi sarà quando i selvaggi scopriranno che sono stati ingannati. Se non vi daranno una botta in testa allora, il fatto che vi credono un po' tocco vi proteggerà, in questo caso avrete buone ragioni per sperare di morire nel vostro letto... Se restate dovete sedervi qui nell'ombra e fingere di essere Uncas fino a quando l'astuzia degli indiani scoprirà l'inganno, allora, come ho detto, verrà il momento della vostra prova. Dunque scegliete se fare una corsa o rimanere qui.»

«Proprio così,» disse David fermamente, «rimarrò al posto del Delaware. Egli ha combattuto coraggiosamente e generosamente per me, e rischierò questo ed altro per lui.»

«Avete parlato da uomo, e come uno che, con una scuola più saggia, sarebbe giunto a risultati migliori. Tenete giù la testa e ritirate le gambe: la loro forma direbbe troppo presto la verità. State zitto più a lungo che potete, sarebbe inoltre saggio, quando sarete costretto a parlare, che usciste improvvisamente in uno dei vostri strilli, il che servirà a ricordare agli indiani che non siete completamente responsabile come un uomo dovrebbe essere. Se però essi vi prenderanno la cotenna, cosa che io spero e credo non avvenga, Uncas ed io non lo dimenticheremo, ma faremo le nostre vendette come si addice a dei veri guerrieri e fedeli amici.»

«Aspettate!» disse David vedendo che con questa assicurazione essi stavano per andarsene. «Sono un indegno ed umile seguace di Uno che non ha insegnato i principi della vendetta. Perciò, se dovessi soccombere, non sacrificate vittime per me, ma piuttosto perdonate i miei assassini; se li ricorderete fate che sia nelle preghiere, per illuminare le loro menti, e per il loro bene eterno.»

L'sploratore esitò e parve meditare.

«C'è un principio in tutto ciò,» disse, «diverso dalla legge dei boschi, e tuttavia è una cosa bella e nobile su cui riflettere.» Poi, sospirando profondamente - forse uno degli ultimi sospiri al pensiero della condizione che aveva abbandonato da tanto - aggiunse: «Questo è ciò che vorrei fare anch'io, come uomo di sangue puro quale sono, benché non sia sempre facile trattare con un indiano come fareste con un cristiano. Dio vi benedica, amico; credo veramente che la vostra strada non sia sbagliata, se si considera bene la faccenda e tenendo sempre presente che l'eternità ci aspetta, anche se molto dipende dai doni naturali e dalla forza delle tentazioni.»

Così dicendo si volse, e strinse cordialmente la mano a David. Dopo questa dimostrazione di amicizia, abbandonò immediatamente la capanna, seguito dal nuovo simulatore della bestia.

Nel momento in cui Occhio di Falco si trovò sotto lo sguardo degli Uroni, irrigidì la figura come faceva David, e alzò il braccio nell'atto di battere il tempo, poi cominciò quella che nelle sue intenzioni era un imitazione della salmodia. Fortunatamente per il successo di questa delicata avventura, egli aveva a che fare con orecchie poco abituate agli accordi dei dolci suoni, altrimenti i suoi miseri sforzi sarebbero stati senz'altro scoperti. Fu necessario passare nelle pericolose vicinanze dello scuro gruppo di selvaggi, e qui la voce dell'esploratore si fece più alta mentre essi si avvicinavano. Nel punto più vicino, l'Urone che parlava inglese tese un braccio e fermò il finto maestro di canto.

«Il cane Delaware,» disse chinandosi in avanti e scrutando attraverso la luce confusa per cogliere l'espressione dell'altro, «ha paura? Sentiranno gli Uroni i suoi lamenti?»

Un brontolio così straordinariamente feroce e naturale provenne dalla bestia che il giovane indiano lasciò la presa e balzò di lato come per assicurarsi che quello che gli barcollava davanti non fosse un vero orso invece che un'imitazione. Occhio di Falco che temeva che la sua voce lo avrebbe tradito con gli astuti nemici, approfittò volentieri dell'interruzione per prorompere di nuovo in una esplosione musicale tale che probabilmente, in una situazione sociale più raffinata, sarebbe stata definita «un gran baccano». Ma fra gli ascoltatori di quel momento la cosa gli procurò un'ulteriore dose di quel rispetto che essi non negano mai a coloro che sono creduti vittime dell'alienazione mentale. Il gruppetto di Indiani indietreggiò in massa e lasciò passare colui che credevano lo stregone e il suo ispirato aiutante.

Ad Uncas e all'esploratore occorse una non comune dose di fermezza per continuare a mantenere il passo dignitoso e deciso che avevano assunto nel passare fra le capanne, specialmente quando si accorsero che la curiosità aveva di tanto superato la paura da indurre i guardiani ad avvicinarsi alla capanna per controllare l'effetto dell'incantesimo. Il minimo movimento poco accorto o impaziente da parte di David avrebbe potuto tradirli e il tempo era assolutamente necessario alla salvezza dell'esploratore. Il forte rumore che questi ritenne prudente continuare mentre passavano, attirò molti spettatori curiosi alle porte della capanna, e una volta o due un guerriero dall'aria cupa attraversò loro il cammino spinto dalla superstizione o dal sospetto. Tuttavia non furono interrotti; l'ora oscura e l'audacia dell'impresa furono i loro principali alleati.

I due erano già fuori del villaggio e stavano rapidamente avvicinandosi al riparo dei boschi, quando un grido forte e lungo si levò dalla capanna dove Uncas era stato prigioniero. Il Mohicano si rizzò e scosse il peloso travestimento come se l'animale che imitava stesse per fare qualche sforzo disperato.

«Aspetta!» disse l'esploratore prendendo l'amico per una spalla. «Lascia che gridino ancora! Era soltanto stupore.»

Non ebbe occasione di indugiare perché un'esplosione di grida riempì l'aria circostante e risuonò per tutto il villaggio. Uncas si liberò della pelle e ne uscì la sua bella persona. Occhio di Falco gli toccò leggermente la spalla e gli sgattaiolò davanti.

«Ora lascia pure che ci inseguano!» disse l'esploratore traendo due fucili con tutte le loro munizioni da sotto un cespuglio e brandendo ‹Ammazzacervo› mentre porgeva a Uncas la sua arma, «almeno due di loro troveranno la morte.»

Poi, spianando le armi come cacciatori avidi di selvaggina, si lanciarono avanti e presto furono immersi nella cupa oscurità della foresta.

XXVII

Ant - Lo ricorderò:

Quando Cesare dice «Fate questo», è fatto

Giulio Cesare

L'impazienza dei selvaggi che indugiavano attorno alla prigione di Uncas aveva, come abbiamo visto, avuto la meglio sulla paura del respiro dello stregone. Essi si avvicinarono guardinghi e col cuore in tumulto ad una fessura attraverso la quale filtrava la debole luce del fuoco. Per parecchi minuti scambiarono la forma di David con quella del prigioniero, ma si verificò proprio l'incidente previsto da Occhio di Falco. Stanco di tenere la lunga persona così raccolta, il cantore aveva allungato le estremità inferiori, e uno dei suoi goffi piedi venne a contatto del fuoco e sparpagliò le braci.

In un primo momento gli Uroni credettero che il Delaware fosse stato così deformato per via della stregoneria. Ma quando David, non sapendo di essere osservato, girò il capo ed espose il suo ingenuo e innocuo viso al posto dei lineamenti alteri del prigioniero, sarebbe stato troppo anche per la credulità di un selvaggio avere altri dubbi. Gli Uroni si precipitarono insieme nella capanna, e mettendo le mani senza cerimonie sul prigioniero, immediatamente scoprirono l'imbroglio. Fu allora che si levò il primo grido udito dai fuggiaschi, subito seguito dai più frenetici e collerici gesti di vendetta.

Perciò David, deciso a coprire la fuga degli amici, credette che la sua ultima ora fosse giunta. Privato del libro e dello zufolo, fu costretto ad affidarsi ad una memoria che raramente gli faceva difetto in simili circostanze, e prorompendo in un canto forte e appassionato tentò di addolcire il suo passaggio nell'altro mondo cantando i primi versi di un inno funebre. Gli indiani si ricordarono in tempo della sua infermità e, precipitandosi all'aria aperta, svegliarono il villaggio nel modo descritto.

Un guerriero indigeno combatte anche quando dorme senza armi. Perciò l'allarme era appena stato dato che duecento guerrieri erano già in piedi, pronti per la battaglia o la caccia, perché l'una o l'altra potevano essere necessarie. La fuga venne presto risaputa, e l'intera tribù si affollò intorno alla capanna del consiglio, in impaziente attesa delle istruzioni del capo. Con tale improvvisa necessità di tutta la saggezza di cui potevano disporre, la presenza dell'astuto Magua non poteva mancare. Venne fatto il suo nome e tutti si guardarono attorno meravigliati che egli non fosse ancora apparso. Furono mandati dei messaggeri alla sua capanna per domandare che venisse.

Nel frattempo fu ordinato ad alcuni dei più veloci e prudenti giovani di fare il giro della radura protetti dal bosco, perché si accertassero che i loro vicini sospetti, i Delaware, non progettassero qualche attacco. Donne e bambini correvano avanti e indietro; in breve l'intero accampamento presentò un'altra scena di feroce e selvaggia confusione. Tuttavia, a poco a poco, i segni di disordine diminuirono, e in pochi minuti i capi più anziani e più rispettabili si adunarono nella capanna in solenne consiglio.

Il clamore di molte voci presto annunciò che si stava avvicinando un gruppo dal quale ci si aspettava la comunicazione di qualche notizia che avrebbe spiegato il mistero di quella nuova sorpresa. La folla che stava fuori si aprì, e molti guerrieri entrarono nella capanna portando con sé l'inerme stregone che l'esploratore aveva lasciato a lungo legato.

Gli Uroni avevano opinioni contrastanti sulle qualità di quest'uomo, infatti mentre alcuni credevano nel suo potere, altri lo ritenevano un impostore, e tuttavia questa volta fu ascoltato da tutti con la massima attenzione. Quando il suo breve racconto terminò, il padre della inferma si fece avanti, e con poche concise parole narrò ciò che sapeva. Questi due racconti diedero la direzione giusta alle indagini successive che da quel momento in poi si svolsero con la caratteristica astuzia dei selvaggi

Invece di precipitarsi in massa confusa alla caverna, vennero scelti dieci dei capi più saggi e risoluti per continuare le ricerche. Poiché non c'era tempo da perdere, quando la scelta fu fatta gli individui indicati si alzarono insieme e lasciarono la capanna senza parlare. Quando raggiunsero l'entrata i più giovani fecero strada ai più vecchi e tutti procedettero lungo la bassa, lunga galleria con la fermezza di guerrieri pronti a dedicarsi al bene collettivo, anche se, nello stesso tempo, segretamente dubbiosi sulla natura del potere che stavano per affrontare.

La stanza più esterna della caverna era silenziosa e cupa. La donna giaceva al solito posto nella stessa posizione, anche se i presenti avevano visto che era stata trasportata nei boschi dal supposto «dottore dell'uomo bianco.» Una contraddizione così diretta e palpabile del racconto fatto dal padre fece volgere tutti gli sguardi su di lui.

Irritato da questa silenziosa accusa e intimamente preoccupato per una circostanza così inspiegabile, il capo si avvicinò al capezzale, e chinandosi gettò un'occhiata incredula ai lineamenti della donna quasi non volesse convincersi di ciò che vedeva. Sua figlia era morta.

L'insopprimibile sentimento naturale prevalse per un momento, e il vecchio guerriero si coprì gli occhi per il dolore. Poi, recuperando la padronanza di sé, guardò in viso i compagni, e indicando il cadavere disse nella lingua della sua gente: «La moglie del mio giovane ci ha lasciato! Il Grande Spirito è in collera con i suoi figli.»

La dolorosa notizia fu accolta in un silenzio solenne. Dopo una breve pausa, mentre uno degli indiani più anziani si accingeva a parlare, un oggetto scuro ruzzolò fuori da una stanza adiacente, e si fermò al centro della camera dove si trovavano. Ignorando la natura dell'essere col quale doveva avere a che fare, l'intero gruppo indietreggiò un poco, finché l'oggetto si trovò sotto la luce, e alzandosi mostrò i lineamenti distorti ma ancora feroci e torvi di Magua. La scoperta fu seguita da una generale esclamazione di stupore.

Non appena però la situazione del capo fu compresa, rapidamente furono tratti parecchi coltelli che gli liberarono le membra e la lingua. L'Urone si alzò e si scrollò come un leone che esca dalla tana. Nemmeno una parola gli sfuggì, benché la sua mano giocasse convulsamente col manico del coltello e i suoi occhi indagatori scrutassero l'intera compagnia come cercassero un oggetto adatto alla sua prima esplosione di vendetta.

Fu una fortuna per Uncas e l'esploratore, e persino per David, trovarsi fuori dalla porta della sua arma in un momento simile, perché sicuramente nessuna raffinata tortura avrebbe in quel momento differito la loro morte sotto l'impeto della collera violenta che quasi lo soffocava. Incontrando ovunque facce di amici, il selvaggio digrignò i denti che stridettero come raspe di ferro, e inghiottì la rabbia in mancanza di una vittima su cui sfogarsi. Questa dimostrazione di collera fu notata da tutti i presenti i quali, per paura di esasperare una passione che rasentava quasi la pazzia, lasciarono trascorrere parecchi minuti prima di pronunciare un'altra parola. Una volta passato il tempo necessario, il più vecchio della compagnia parlò.

«Il mio amico ha incontrato un nemico,» disse. «È costui abbastanza vicino che gli Uroni possano fare le sue vendette?»

«Che il Delaware muoia!» tuonò Magua.

Vi fu un altro lungo ed espressivo silenzio, rotto, anche questa volta con la dovuta precauzione, dallo stesso individuo.

«Il Mohicano ha il piede veloce e salta lontano,» disse, «ma i miei giovani sono sulle sue tracce.»

«Se n'è andato?» domandò Magua in toni così profondi e gutturali che sembrarono provenirgli dal più profondo del petto.

«Uno spirito maligno è stato fra noi e il Delaware ha reso ciechi i nostri occhi.»

«Uno spirito maligno!» ripeté l'altro beffardo, «è lo spirito che ha preso le vite di tanti Uroni: lo spirito che uccise i miei giovani al ‹fiume precipitoso›, che prese le loro cotenne alla ‹fonte della salute› e che ora ha legato le braccia di Le Renard Subtil!»

«Di chi parla il mio amico?»

«Del cane che ha il cuore e l'astuzia di un Urone sotto la pelle pallida ... La Longue Carabine.»

Il proferire di questo terribile nome produsse il solito effetto fra gli ascoltatori. Ma dopo che i guerrieri ebbero avuto il tempo per riflettere e ricordarono che il loro formidabile e audace nemico era entrato nel cuore dell'accampamento causando danni, una spaventosa rabbia prese il posto dello stupore, e tutte quelle feroci passioni che si erano fin lì agitate nel petto di Magua, improvvisamente furono trasmesse ai suoi compagni. Alcuni di loro digrignarono i denti per la rabbia, altri sfogarono i loro sentimenti con grida, altri ancora fendendo l'aria freneticamente, come se l'oggetto del loro risentimento si trovasse sotto quei colpi.

Ma questo improvviso scoppio di rabbia si placò rapidamente per trasformarsi nel silenzioso e cupo riserbo che sempre gli Indiani assumono nei momenti di inattività.

Magua, che a sua volta aveva avuto tempo per riflettere, cambiò atteggiamento, e assunse l'aria di uno che sapeva come pensare ed agire con la dignità propria di un momento così grave.

«Andiamo dalla mia gente» disse, «essi ci aspettano.»

I compagni acconsentirono in silenzio l'intero gruppo di selvaggi lasciò la caverna e tornò alla capanna del consiglio. Quando furono seduti, tutti gli occhi si volsero verso Magua, il quale da questo comprese che per comune consenso era invitato a riferire quanto gli era accaduto. Egli si alzò e raccontò il fatto senza finzioni o riserve. Tutto l'inganno di Duncan e di Occhio di Falco fu naturalmente svelato, e nemmeno ai più superstiziosi della tribù rimase la possibilità di avere dubbi sulla natura degli avvenimenti occorsi. Era anche troppo evidente che erano stati ingannati in modo offensivo, vergognoso e ignobile. Quando Magua ebbe finito e ripreso il suo posto, i componenti della tribù - poiché l'uditorio in sostanza era costituito da tutti i guerrieri del gruppo - stettero seduti guardandosi l'un l'altro come stupiti, sia dell'audacia che del successo dei loro nemici. La considerazione successiva perciò, riguardò i mezzi e le opportunità della vendetta.

Furono mandati altri inseguitori sulle tracce dei fuggiaschi, poi i capi si dedicarono assiduamente alle consultazioni. I guerrieri più anziani fecero parecchie proposte, e Magua le ascoltò tutte in silenzio e con rispetto. L'astuto selvaggio aveva recuperato tutta l'abilità e la padronanza di sé, ed ora perseguiva il proprio obiettivo con la solita cautela e astuzia. Fu soltanto quando tutti coloro che avevano qualcosa da dire ebbero finito di esprimere il loro parere che si preparò ad informarli della sua opinione. Ad essa venne dato maggior peso perché alcuni corrieri erano già tornati e avevano riferito che erano state trovate tracce dei nemici sufficienti per non lasciare dubbi sul fatto che essi avevano cercato la salvezza nel vicino accampamento dei loro presunti alleati, i Delaware. Avvantaggiato dall'essere in possesso di una notizia tanto importante, il capo presentò accortamente il suo piano ai compagni, quindi come prevedibile data la sua eloquenza e la sua astuzia, esso fu adottato senza discussioni.

Quanto segue ne esporrà brevemente i motivi.

È già stato detto che, seguendo una tattica da cui raramente si discotava, egli aveva separato le sorelle non appena raggiunto il villaggio Urone. Magua aveva scoperto che, trattenendo Alice, poteva efficacemente avere il controllo di Cora. Perciò quando le separò, tenne la prima a portata di mano e consegnò quella cui teneva di più alla custodia degli alleati. Era sottinteso che tale sistemazione sarebbe stata temporanea e venne attuata anche con l'intenzione di lusingare i vicini, secondo la invariabile politica indiana.

Mentre era incessantemente spinto da quegli impulsi di vendetta che in un selvaggio raramente sono sopiti, il capo era continuamente attento ai suoi personali interessi. Egli doveva espiare gli errori e la slealtà della giovinezza attraverso una lunga e dolorosa penitenza, prima di poter godere di nuovo della piena fiducia del suo antico popolo, perché senza fiducia non poteva esservi autorità in una tribù indiana. In questa delicata e difficile situazione, l'abile indigeno non aveva trascurato alcun mezzo per aumentare la propria influenza, e uno dei più felici di questi espedienti era stato il successo col quale aveva coltivato il favore dei potenti e pericolosi vicini. Il risultato di questo esperimento aveva soddisfatto tutte le aspettative della sua politica, perché gli Uroni non erano affatto esenti da quel principio che domina nella natura, secondo il quale l'uomo valuta le proprie qualità esattamente nella stessa misura in cui queste vengono valutate dagli altri.

Ma mentre faceva questo preteso sacrificio alla considerazione generale, Magua non perdeva di vista i motivi personali. Questi erano stati frustati dagli eventi inattesi che gli avevano fatto perdere il controllo dei prigionieri ed ora si trovava ridotto alla necessità di cercare il favore di coloro che di recente aveva reso riconoscenti con la sua politica.

Parecchi capi avevano proposto complicati piani di tradimento per sorprendere i Delaware, per impadronirsi del loro accampamento e recuperare i prigionieri in un sol colpo, perché tutti concordavano sul fatto che l'onore, l'interesse, la pace e la felicità dei loro morti, reclamavano imperiosamente che essi immolassero qualche vittima alla loro vendetta. Ma Magua trovò poca difficoltà a bocciare dei piani così pericolosi e di dubbia riuscita. Con la consueta astuzia ne espose i rischi e le difficoltà, e soltanto dopo che ebbe rimosso ogni ostacolo formulando opinioni opposte, osò proporre i propri progetti.

Cominciò col blandire l'amor proprio degli ascoltatori, metodo che non manca mai di imporsi all'attenzione altrui. Quando ebbe enumerato le diverse occasioni in cui gli Uroni avevano dato prova di coraggio e valore nel punire le offese, fece una digressione per esaltare le virtù della saggezza. Descrisse questa qualità come punto principale della differenza tra i castori e gli altri animali tra le bestie e gli uomini; e infine tra gli Uroni in particolare e il resto dell'umanità.

Dopo che ebbe sufficientemente decantato le qualità della prudenza, prese a dimostrare in qual modo essa potesse essere applicata alla presente situazione della tribù. Da una parte, disse, c'era il loro grande padre bianco, il governatore del Canadà, che aveva guardato i suoi figli con occhio severo da quando i loro tomahawk erano diventati così rossi; dall'altra, un popolo numeroso come il loro, che parlava una lingua diversa, aveva interessi diversi, non li amava e sarebbe stato contento di farli cadere in disgrazia presso il grande capo bianco. Poi parlò delle loro necessità, dei favori che avevano il diritto di aspettarsi per i loro passati servizi, della lontananza dalle loro terre di caccia e dai villaggi natii, nonché della necessità di far uso più della prudenza e meno degli istinti in circostanze tanto critiche. Quando vide che, mentre gli anziani approvavano la sua moderazione, molti dei più feroci e importanti guerrieri ascoltavano l'esposizione di questi piani avveduti con gli occhi bassi, egli li riportò astutamente sul loro argomento preferito.

Parlò apertamente dei risultati della loro saggezza, e giunse a dire che avrebbero condotto al trionfo finale e completo sui nemici. Accennò persino vagamente alla possibilità che il loro successo avrebbe potuto estendersi, con i dovuti accorgimenti, fino a raggiungere la distruzione di tutti coloro che avevano ragione di odiare. In breve, seppe mescolare la bellicosità con l'astuzia, l'ovvio con l'oscuro, in modo da lusingare entrambe le inclinazioni e da lasciare a ciascuno motivi di speranza, mentre nessuno avrebbe potuto dire di aver compreso chiaramente le sue intenzioni.

L'oratore, o il politico, che siano in grado di produrre un simile stato di cose, di solito è popolare fra i suoi contemporanei, comunque venga giudicato dai posteri. Tutti compresero che era più la parte sottintesa che quella esposta con le parole, e ciascuno credette che il significato nascosto fosse esattamente quello che le sue facoltà gli permettevano di comprendere, o i suoi desideri lo portavano a prevedere.

In questo favorevole stato di cose, non è sorprendente che il progetto di Magua prevalesse. La tribù acconsentì ad agire con riflessione, e di comune accordo la direzione dell'intera faccenda fu affidata al capo che aveva suggerito espedienti tanto saggi e chiari.

Magua ora aveva raggiunto il grande obiettivo di tutta la sua astuzia e intraprendenza. Il terreno che aveva perduto nel favore del suo popolo fu completamente riguadagnato, ed egli si trovò persino alla guida dell'impresa. Era effettivamente il loro capo, e fintanto che poteva mantenere la propria popolarità, nessun monarca avrebbe potuto essere più dispotico, specialmente in un momento in cui la tribù si trovava in un paese ostile. Abbandonando perciò l'atteggiamento di chi si consulta, assunse l'aria grave di autorità che era necessaria per sostenere la dignità del suo ufficio.

Furono inviati dei corrieri per raccogliere notizie nelle varie direzioni; fu ordinato a delle spie di avvicinarsi all'accampamento dei Delaware per studiarlo; i guerrieri furono mandati nelle loro abitazioni con l'avviso che presto sarebbero occorsi i loro servigi; alle donne e ai bambini venne ordinato di ritirarsi con l'avvertimento che era loro dovere rimanere in silenzio.

Quando tutto ciò fu sbrigato, Magua attraversò il villaggio, fermandosi qua e là per fare una visita dove riteneva che la sua presenza potesse costituire motivo di lusinga. Confermò gli amici nella fiducia, si guadagnò gli indecisi e gratificò tutti. Poi cercò la propria capanna. La moglie che il capo Urone aveva abbandonato quando il suo popolo gli dava la caccia, era morta, Non aveva figli e ora occupava una capanna senza compagni di sorta. Si trattava, infatti dell'edificio cadente e solitario nel quale era stato scoperto David, la cui presenza egli aveva tollerato, con l'indifferenza sprezzante di una superiorità altezzosa, nelle poche occasioni in cui si erano incontrati.

Qui, dunque, Magua si ritirò quando ebbe terminato le sue fatiche politiche. Tuttavia, mentre gli altri dormivano, egli non conosceva né cercava riposo. Se ci fosse stato qualcuno abbastanza curioso da sorvegliare i movimenti del capo testè eletto, lo avrebbe visto seduto ad un angolo della capanna, a rimuginare i piani futuri, dal momento in cui si era ritirato fino all'ora fissata per una nuova riunione dei guerrieri. Di tanto in tanto soffiava un po' d'aria attraverso le fessure della capanna, e la fiammella che fluttuava sulle bragi del fuoco gettava una luce ondeggiante sulla persona del bieco recluso. In momenti simili non sarebbe stato difficile paragonare il cupo selvaggio a un principe delle Tenebre, intento a meditare sui propri torti immaginari e a tramare malefatte.

Molto prima dell'alba i guerrieri entrarono ad uno ad uno nella solitaria capanna di Magua, finché furono in venti. Ognuno aveva il fucile e tutti gli altri equipaggiamenti di guerra, benché le dipinture fossero di pace. L'arrivo di questi esseri dall'aria feroce non fu notato; alcuni sedettero nel buio ed altri rimasero in piedi, come statue immobili, finché l'intero gruppo dei prescelti fu riunito.

Allora Magua si alzò, e mettendosi alla testa del gruppo, diede il segnale di procedere. Essi seguirono il capo uno dietro l'altro, nel ben noto ordine che ha ottenuto il caratteristico appellativo di «fila indiana». Diversamente da altri uomini impegnati in una emozionante impresa di guerra, essi uscirono dal campo senza ostentazione, simili più a una banda di furtivi spettri che a guerrieri alla cerca della fama in imprese di disperata audacia.

Invece di prendere il sentiero che conduceva direttamente al campo dei Delaware, Magua condusse il gruppo per un certo tratto lungo i meandri del fiume e il piccolo lago artificiale dei castori. Albeggiava quando entrarono nella radura fatta da quei sagaci e industriosi animali. Mentre Magua, che aveva indossato il suo antico costume, portava disegnata una volpe sulla pelle conciata che costituiva il suo abbigliamento, vi era un capo nella compagnia che aveva il castoro come suo particolare simbolo o ‹totem›. Se costui fosse passato in mezzo alla grossa comunità dei suoi parenti immaginari senza tributare loro qualche segno di rispetto, l'omissione sarebbe stata una specie di profanazione. Perciò si fermò e parlò loro in termini gentili e amichevoli come se fosse rivolto ad esseri più intelligenti. Chiamò gli animali suoi cugini e ricordò loro che la sua protezione permetteva loro di rimanere sani e salvi, mentre tanti commercianti avidi spingevano gli indiani a prendere le loro vite. Promise di continuare ad accordare loro i suoi favori e li pregò di essergliene grati. Dopo di che parlò della spedizione nella quale era impegnato e accennò con sufficiente tatto e qualche circonlocuzione al vantaggio di concedere al loro parente una parte di quella saggezza per la quale erano così famosi.

Durante lo svolgersi di questa straordinaria arringa i compagni dell'oratore ascoltavano gravi e attenti le sue parole, come se fossero tutti convinti della loro efficacia. Una volta o due si videro degli oggetti scuri salire alla superficie dell'acqua, e l'Urone espresse piacere nel vedere che le sue parole non erano spese invano. Non appena ebbe finito di parlare, un grosso castoro spinse la testa fuori dalla porta di una capanna le cui pareti di terra erano molto rovinate e che la compagnia, dato il suo stato, aveva creduto disabitata. Un così straordinario segno di fiducia venne interpretato dall'oratore come un auspicio altamente favorevole, e benché l'animale si fosse ritirato un po' precipitosamente, egli fu generoso di ringraziamenti e approvazioni.

Quando Magua ritenne che si fosse perso abbastanza tempo nella gratificazione degli affetti familiari del guerriero, fece di nuovo segno di procedere. Mentre gli indiani si muovevano insieme e con un passo che sarebbe stato impercettibile per l'orecchio di un uomo comune, il castoro dall'aria veneranda ancora una volta osò spingere la testa fuori dal riparo. Se qualcuno degli Uroni si fosse voltato a guardare dietro di sé, avrebbe visto che l'animale sorvegliava i loro movimenti con un interesse e una sagacia che si sarebbero potuti facilmente scambiare per ragione. Le manovre del quadrupede erano così distinte e chiare che anche l'osservatore più esperto sarebbe stato perplesso se avesse dovuto riferire cosa stava facendo; questo, fino al momento in cui la compagnia entrò nella foresta, allorquando tutto divenne chiaro vedendo l'intero animale uscire dalla capanna e rivelare così i lineamenti gravi di Chingachgook che uscivano dalla maschera di pelo.

 XXVIII

 Fate presto, vi prego; perché, vedete, sono molto

[occupato.

Molto rumore per nulla

La tribù, o piuttosto la mezza tribù, di Delaware che abbiamo spesso menzionato e il cui accampamento era in quel momento così vicino al villaggio degli Uroni, poteva mettere insieme all'incirca lo stesso numero di guerrieri di quest'ultimo popolo. Come i vicini, essi avevano seguito Montcalm nei territori della corona inglese e facevano violente e gravi scorribande nei territori di caccia dei Mohawk; avevano tuttavia ritenuto opportuno, con quella misteriosa reticenza così comune fra gli indigeni, negare il proprio aiuto proprio quando ce n'era maggiormente bisogno. I Francesi, per parte loro, avevano spiegato questa inaspettata defezione da parte degli alleati in vari modi.

Era opinione prevalente, tuttavia, che essi erano stati influenzati dall'osservanza al vecchio trattato; trattato che una volta li aveva resi dipendenti dalle Sei Nazioni per ciò che concerneva la protezione militare, ed ora li rendeva riluttanti a mettersi contro gli antichi padroni. Quanto alla tribù, si era limitata ad annunciare a Montcalm, per mezzo di emissari e con brevità tipicamente indiana, che le loro accette erano spuntate e che ci voleva tempo per affilarle. Il sagace capo del Canadà aveva ritenuto più saggio ospitare un amico passivo piuttosto che tramutarlo in nemico aperto, con atti di sconsiderata severità.

Lo stesso mattino in cui Magua condusse nella foresta la sua silenziosa compagnia attraversando la colonia dei castori, nel sopra modo descritto, il sole sorse come d'improvviso sul campo dei Delaware, ed illuminò un popolo indaffarato perché attivamente occupato nelle faccende tipiche del mezzogiorno. Le donne correvano da una capanna all'altra, alcune occupate a preparare il pasto mattutino, altre intente a cercare le comodità loro necessarie, molte però facevano delle soste per scambiare frasi frettolose e sussurrate con le amiche. I guerrieri gironzolavano a gruppi e più volte nel corso della conversazione meditavano: anche quando veniva scambiata qualche parola, essi si esprimevano da uomini capaci di ponderare bene le loro opinioni. Si vedevano molti strumenti di caccia fra le capanne, ma nessuno per questo mostrava di voler partire. Qua e là un guerriero esaminava le sue armi con una attenzione che raramente viene dedicata a tali arnesi quando non ci si aspetta di incontrare altro nemico che le bestie della foresta. Di tanto in tanto gli occhi di un intero gruppo si volgevano simultaneamente verso una capanna grande e silenziosa al centro del villaggio, come se questa contenesse l'oggetto dei loro comuni pensieri.

Si stava svolgendo una di queste scene, quando un uomo apparve all'estremità più lontana di una roccia piatta che costituiva la base su cui poggiava il villaggio. Non portava armi e le sue dipinture tendevano ad attenuare piuttosto che sottolineare la durezza naturale del suo viso austero. Quando fu pienamente visibile dai Delaware, si fermò, e fece un gesto di amicizia alzando il braccio verso il cielo e poi abbassandolo solennemente sul petto. Gli abitanti del villaggio risposero al saluto con un basso mormorio di benvenuto e lo invitarono ad avvicinarsi con altri gesti di amicizia. Incoraggiata da queste assicurazioni, la scura figura lasciò il ciglio della terrazza naturale dove si era fermata un momento, stagliata contro il cielo del mattino che si faceva roseo, e si mosse con dignità verso il centro delle capanne. Mentre si avvicinava non si udiva altro che il rumore dei leggeri gingilli d'argento che gli ornavano le braccia e il tintinnio delle campanelline che orlavano i suoi mocassini di pelle di daino. Nell'avanzare fece molti cortesi segni di saluto agli uomini, ma trascurò di notare le donne come uno che ritenesse i loro favori, in quel momento, senza importanza. Quando raggiunse il gruppo nel quale, a giudicare dai visi alteri, erano riuniti i capi più importanti, lo straniero si fermò, allora i Delaware videro che la figura agile ed eretta stagliata davanti a loro era quella del famoso capo Urone: Le Renard Subtil.

L'accoglienza che gli fecero fu solenne, silenziosa e guardinga. I guerrieri che stavano davanti si scostarono, aprendo così la strada al loro oratore riconosciuto: uno che conosceva tutte le lingue coltivate fra gli aborigeni settentrionali.

«Il saggio Urone sia il benvenuto,» disse il Delaware nella lingua dei Maqua «è venuto a mangiare il suo ‹succotash› con i suoi fratelli dei laghi?»

«Egli è venuto» ripeté Magua chinando il capo con la dignità di un principale orientale.

Il capo tese un braccio e, prendendo l'altro per un polso, ancora una volta si scambiarono saluti cordiali. Poi il Delaware invitò l'ospite a entrare nella sua capanna a condiviere il suo pasto mattutino. L'invito fu accettato e i due guerrieri, seguiti da tre o quattro anziani, se ne andarono tranquillamente, lasciando il resto della tribù preda della curiosità di capire le ragioni di una visita così insolita; e tuttavia senza che venisse tradita la minima impazienza, a gesti o a parole.

Durante il breve e frugale pasto che seguì, la conversazione fu circospetta e vertè soltanto sugli eventi della caccia nella quale Magua era stato di recente impegnato.

Anche per chi avesse ricevuto l'educazione più raffinata, sarebbe stato impossibile, più di quanto non facesse l'ospite di Magua, far mostra di considerare la visita come una cosa naturale; ciò, nonostante tutti i presenti si rendessero perfettamente conto del fatto che essa doveva stare in relazione con qualche fine segreto, probabilmente assai importante per loro. Quando gli appetiti dell'intera compagnia furono soddisfatti, le squaw tolsero i piatti di legno e i recipienti di zucca, e le due parti si accinsero ad affrontare una insidiosa prova per il loro ingegno.

«Il viso del mio grande padre canadese è di nuovo volto verso i suoi figli Uroni?» domandò l'oratore dei Delaware.

«Quando mai non è stato così» replicò Magua. «Egli chiama il mio popolo: amatissimo.»

Il Delaware inchinandosi mostrò il suo freddo consenso a ciò che sapeva essere falso e continuò: «I tomahawk dei tuoi giovani sono stati molto rossi.»

«È così, ma ora sono lucidi e inoffensivi perché gli Yangee sono morti e i Delaware sono nostri vicini.»

L'altro prese atto del pacifico complimento con un gesto della mano e rimase in silenzio. Poi Magua, come se l'allusione al massacro gli avesse fatto tornare qualcosa alla mente, domandò: «La mia prigioniera dà dei fastidi ai miei fratelli?»

«È la benvenuta.»

«Il sentiero che separa gli Uroni dai Deleware è breve e aperto, inviatela alle mie squaw se dà dei fastidi ai miei fratelli.»

«È la benvenuta» replicò il capo di quest'ultimo popolo con più enfasi.

Magua, frustrato, rimase in silenzio per parecchi minuti, apparentemente indifferente, però, al rifiuto che aveva ricevuto in questo primo sforzo di riavere Cora.

«I miei giovani lasciano spazio ai Delaware per la caccia sulle montagne?» riprese infine.

«I Lenape sono padroni delle loro colline» replicò l'altro un po' altezzoso.

«È bene. La giustizia regna sui pellerossa! Perché dovrebbero lucidare i tomahawk e affilare i coltelli gli uni contro gli altri? I visi pallidi non sono forse più numerosi delle rondini nella stagione dei fiori?»

«Bene!» esclamarono due o tre degli uditori. Magua aspettò un po' per permettere che le sue parole placassero i sentimenti dei Delaware prima di aggiungere: «Non ci sono stati degli strani mocassini nei boschi? Non hanno i miei fratelli fiutato le orme dell'uomo bianco?»

«Lascia che il padre canadese venga» replicò l'altro evasivamente, «i suoi figli sono pronti a riceverlo.»

«Quando il grande capo viene è per fumare con gli indiani nelle loro wigwam. Anche gli Uroni dicono che è il benvenuto. Ma gli Yangee hanno braccia lunghe e gambe che non si stancano mai! I miei giovani hanno sognato di aver visto la traccia degli Yangee vicino al villaggio Delaware!»

«Non troveranno i Lenape addormentati.»

«È bene. Il guerriero che tiene gli occhi aperti vede il suo nemico» disse Magua spostando ancora una volta la questione quando si trovò incapace di intaccare la cautela dei compagni. «Ho portato dei regali al mio fratello. Il suo popolo non si è messo sul sentiero di guerra perché ha pensato che non fosse bene, ma i suoi amici hanno ricordato dove abita.»

Quando ebbe così enunciato le sue generose intenzioni, il sagace capo si alzò e sciorinò solennemente i suoi regali davanti agli occhi abbagliati degli ospiti. Essi consistevano per la maggior parte di fronzoli di poco valore, razziati alle donne trucidate di William Henry.

Nella divisione dei gingilli l'astuto Urone mostrò non meno abilità che nella loro scelta. Mentre offrì quelli di maggior valore ai due guerrieri più rispettabili, uno dei quali era il suo ospite, seppe condire le offerte a quelli meno importanti, con complimenti così opportuni e azzeccati da non lasciar loro modo di lamentarsi. In breve, l'intera cerimonia conteneva una così felice mescolanza di vantaggioso e di lusinghiero, che per il donatore non fu difficile leggere immediatamente il risultato di una generosità così convenientemente mescolata alla lode negli occhi di coloro che ne erano i beneficiari.

Questo colpo ben assestato da parte di Magua non mancò di produrre istantaneamente i suoi effetti. I Delaware abbandonarono l'aria grave per un'espressione molto più cordiale, e l'ospite in particolare, dopo aver contemplato la sua generosa parte del bottino con singolare piacere, ripetè con grande enfasi le parole:

«Il mio fratello è un saggio capo. Sia il benvenuto.»

«Gli Uroni amano i loro fratelli Delaware» replicò Magua. «Perché non dovrebbero? Sono tinti dallo stesso loro sole e i loro uomini giusti cacceranno negli stessi terreni dopo la morte. I pellerossa dovrebbero essere amici, e guardare i bianchi con occhi ben aperti. I miei fratelli non hanno mandato spie nei boschi?»

Il Delaware il cui nome in inglese significa «cuore duro», appellativo che i francesi hanno tradotto con «Le Coeur-Dur», dimenticò l'ostinata fermezza che probabilmente gli aveva fatto meritare un titolo così significativo. il suo viso divenne sensibilmente meno rigido e ora si degnò di rispondere più direttamente.

«Ci sono stati strani mocassini attorno al mio campo. Ne abbiamo trovato traccia fino nelle mie capanne.»

«Ha il mio fratello cacciato con la forza quei cani?» domandò Magua senza riferirsi minimamente al precedente equivoco del capo.

«Non sarebbe stato bene. Lo straniero è sempre benvenuto fra i figli di Lenape.»

«Lo straniero, ma non la spia.»

«Gli Yangee mandano forse le donne come spie? Non ha detto il capo Urone di aver catturato delle donne in battaglia?»

«Egli non ha mentito. Gli Yangee hanno mandato i loro esploratori. Essi sono stati nelle mie wigwam, ma non vi hanno trovato nessuno che desse loro il benvenuto. Allora sono corsi dai Deleware... perché, dicono, i Delaware sono nostri amici, le loro menti non sono più rivolte al loro padre canadese!.»

Questa insinuazione fu un colpo che andò a segno e tale che in una società più avanzata avrebbe guadagnato a Magua la reputazione di astuto diplomatico. La recente defezione della tribù, come essi stessi ben sapevano, aveva esposto i Delaware a molti rimproveri da parte degli alleati francesi, ed ora si faceva sentire loro che azioni future che avrebbero compiuto sarebbero state osservate con sospetto e sfiducia.

Non era necessario indagare troppo a fondo sulle cause e gli effetti per prevedere che un tale stato di cose, sarebbe stato probabilmente molto pregiudizievole ai futuri movimenti dei Delaware. I loro villaggi lontani, i loro territori di caccia, centinaia delle loro donne e bambini, nonché una parte considerevole delle loro forze, si trovavano in quel momento entro i confini del territorio francese. Di conseguenza questo allarmante annuncio fu accolto, come Magua voleva, con manifesto disappunto, se non con apprensione.

«Che il mio padre mi guardi pure in faccia» disse ‹Le Coeur Dur›, «vedrà che nulla è mutato. È vero, i miei giovani non sono scesi sul sentiero di guerra: hanno avuto sogni che hanno detto loro di non farlo. Ma essi amano e venerano il loro grande capo bianco.»

«Penserà questo quando sentirà che il suo peggior nemico è nutrito nel campo dei suoi figli? Quando gli si dirà che uno Yangee sanguinario fuma al loro fuoco? Che il viso pallido che ha ucciso tanti dei suoi amici va e viene fra i Delaware? Via! Il mio grande padre del Canadà non è uno sciocco!»

«Dov'è lo Yangee che i Delaware temono?» replicò l'altro. «Chi ha ucciso i miei giovani? Chi è il nemico mortale del mio grande padre?»

«La Longue Carabine.»

I guerrieri Delaware sussultarono al ben noto nome, rivelando con questo stupore di apprendere in quel momento, per la prima volta, che era in loro potere un uomo tanto famoso fra gli alleati indiani della Francia.

«Cosa vuol dire il mio fratello?» domandò ‹Le Coeur Dur› in un tono che, per la meraviglia, vinceva l'abituale riserbo della sua razza.

«Un Urone non mente!» disse Magua freddamente, appoggiando la testa alla parete della capanna e chiudendosi la leggera camicia sul petto abbronzato. «Che i Delaware contino i loro prigionieri, ne troveranno uno la cui pelle non è rossa né pallida.»

Seguì una lunga pausa perplessa. Il capo si consultò in disparte con i compagni e furono inviati messaggeri per chiamare alcuni uomini fra i più importanti della tribù.

Man mano che i guerrieri entravano uno dopo l'altro, venivano messi al corrente, di volta in volta, della importante notizia che Magua aveva appena comunicato.

Tutti ebbero l'aria sorpresa ed uscirono nella solita bassa e profonda esclamazione gutturale. La notizia si propagò di bocca in bocca, finché tutto l'accampamento si fece molto agitato. Le donne sospesero i loro lavori per cogliere qualche sillaba che sfuggiva incautamente dalle labbra dei guerrieri che si stavano consultando. I ragazzi abbandonarono i giochi e camminando senza paura fra i loro padri, guardavano con curiosa ammirazione quando sentivano la breve esclamazione di meraviglia che questi facevano senza reticenza davanti alla temerarietà di un nemico tanto odiato. In breve, ogni occupazione fu abbandonata e ogni altro passatempo trascurato, così che la tribù potesse dedicarsi, secondo gli usi, all'aperta espressione dei propri sentimenti.

Quando l'eccitazione si fu un po' placata, gli anziani si disposero a considerare seriamente ciò che sarebbe stato opportuno fare per l'onore e la sicurezza della tribù in circostanze tanto delicate e imbarazzanti. Durante tutti questi movimenti e in mezzo alla confusione generale, Magua, non solo era rimasto seduto, ma aveva mantenuto l'atteggiamento originariamente assunto: appoggiato alla parete della capanna, dove rimaneva immobile e apparentemente indifferente come se il risultato di tutto ciò non lo interessasse. Tuttavia, non un solo indizio delle future intenzioni dell'ospite sfuggì ai suoi occhi vigili. Con la sua profonda conoscenza della natura del popolo col quale doveva trattare, egli previde ogni misura che presero; e si potrebbe quasi dire che, in molti casi, egli conoscesse le loro intenzioni addirittura prima di loro.

Il consiglio dei Delaware fu breve. Quando fu terminato, una agitazione generale annunciò che sarebbe esso stato immediatamente seguito da una solenne e formale assemblea di tutto il popolo. Poiché tali riunioni erano rare, e tenute soltanto in occasioni di estrema importanza, l'astuto Urone, che sedeva ancora in disparte, scaltro e cupo osservatore degli avvenimenti, ora sapeva che tutti i suoi progetti stavano per raggiungere il loro scopo finale. Perciò lasciò la capanna e si incamminò silenziosamente verso il punto davanti all'accampamento dove i guerrieri stavano già cominciando a raccogliersi.

Ci sarà voluta circa un'ora prima che tutti, donne e bambini inclusi, si trovassero sul posto. L'indugio era dovuto ai solenni preparativi che erano stati ritenuti necessari per una riunione così importante ed insolita. Quando il sole si alzò sulle cime delle montagne nel cui cuore i Delaware avevano costruito l'accampamento, la maggior parte di essi si trovava seduta; i suoi raggi luminosi dardeggiarono attraverso i contorni degli alberi che orlavano le alture e caddero su una moltitudine solenne, attenta e profondamente interessata, quale probabilmente non era mai stata illuminata prima dalla sua luce mattutina.

Il numero della tribù superava di poco il migliaio di anime.

In una riunione di selvaggi così seri, non si trova mai qualcuno tanto impaziente da aspirare ad una distinzione prematura e pronto a spingere gli ascoltatori ad una discussione frettolosa o magari inopportuna per mettere in luce la propria persona. Un atto tanto precipitoso e presuntuoso avrebbe suggellato per sempre la sua rovina. Spettava esclusivamente ai più anziani e più dotati di esperienza esporre l'argomento della riunione al popolo. Finché uno di costoro non ritenesse opportuno fare una mossa, nessuna impresa di guerra, né alcun merito naturale, né fama di oratore, avrebbero giustificato la minima interruzione. Nella presente occasione, l'anziano guerriero che avrebbe avuto la facoltà di parlare, rimase in silenzio, apparentemente schiacciato dall'importanza dell'argomento.

L'indugio si era prolungato ben al di là della solita pausa per deliberare che sempre precede una riunione; ma nessun segno di impazienza sfuggiva sia pure al più giovane dei ragazzi. Di tanto in tanto gli occhi di uno dei presenti si alzavano da terra, dove gli sguardi di tutti erano fissi, e vagavano in direzione di una capanna particolare, che non portava però alcun segno che la distinguesse da quelle che la circondavano, tranne che per le speciali precauzioni prese per difenderla dagli assalti delle intemperie.

Finalmente si udì uno di quei bassi mormorii che così spesso turbano una moltitudine, e l'intero popolo si alzò in piedi come per comune impulso. In quel momento la porta della capanna si aprì e ne uscirono tre uomini che si avvicinarono lentamente al luogo della riunione. Erano tutti vecchi, e raggiungevano un'età persino superiore al più vecchio dei presenti, ma quello al centro, che si appoggiava ai compagni perché lo sostenessero, aveva un numero di anni tale che la razza umana difficilmente può raggiungere. La sua corporatura, che una volta era stata alta ed eretta come un cedro, era ora piegata sotto il peso di più di un secolo. Il passo elastico e leggero caratteristico degli indiani, non era più tale; il vecchio era invece costretto a faticare il lento cammino pollice per pollice. Il suo viso scuro e rugoso contrastava fortemente e in modo singolare con la lunga capigliatura ondulata che gli fluttuava sulle spalle così folta da rivelare che probabilmente erano passate generazioni da quando era stata tagliata per l'ultima volta.

L'abbigliamento di questo patriarca - perché così, considerando la tarda età e l'ascendente sul suo popolo, poteva essere giustamente chiamato - era ricco e imponente, benché non si discostasse dalle semplici fogge della tribù. Il vestito era di pelli finissime, private del pelo allo scopo di permettere la rappresentazione simbolica delle varie imprese d'armi da lui compiute nei tempi andati. Il suo petto era carico di medaglie, alcune d'argento massiccio e una o due persino d'oro, doni di vari sovrani cristiani durante il lungo periodo della sua vita. Portava anche braccialetti e cinture sui fianchi, tutti fatti del prezioso metallo. La testa, sulla quale i capelli erano stati lasciati crescere liberamente perché da lungo tempo aveva abbandonato le imprese di guerra, era circondata da una sorta di diadema placcato che a sua volta aveva ornamenti più piccoli e luccicanti che scintillavano fra i colori lucenti di tre piume ricurve di struzzo orlate di un nero intenso, in patetico contrasto con i capelli bianchissimi. Il tomahawk era quasi nascosto dall'argento, mentre il manico del coltello brillava come un corno d'oro massiccio.

Non appena il primo brusio di emozione e piacere suscitato dalla improvvisa apparizione di questo uomo venerando, si fu un poco spento, il nome di «Tamenund» fu sussurrato di bocca in bocca. La fama di questo saggio e giusto Delaware era spesso arrivata fino alle orecchie di Magua; tale reputazione era giunta tanto lontano da attribuirgli il raro dono di essere in segreta comunione con il Grande Spirito, e aveva trasmesso il suo nome, con qualche leggera modifica, agli usurpatori bianchi del suo antico territorio, come quello del genio tutelare di un vasto impero. Perciò il capo Urone si scostò ansioso dalla folla per mettersi in una posizione da cui potesse vedere più da vicino i lineamenti dell'uomo la cui decisione avrebbe probabilmente segnato tanto profondamente le sue sorti future.

Gli occhi del vecchio erano chiusi, come fossero esausti dell'aver tanto a lungo assistito all'egoistico affannarsi delle passioni umane. Il colore della sua pelle era diverso da quello di coloro che lo circondavano, più intenso e più scuro. Quest'ultima sfumatura era stata ottenuta per mezzo del delicato intrico di certe linee che formavano figure complicate e tuttavia bellissime, tatuate su quasi tutta la sua persona. Nonostante la posizione dell'Urone, egli passò davanti al silenzioso e attento Magua senza notarlo, e appoggiandosi ai venerandi sostenitori, procedette verso il posto d'onore tra la moltitudine, dove sedette, in mezzo al suo popolo, con la dignità di un monarca e l'espressione di un padre.

Nulla potrebbe superare la reverenza e l'affetto con cui il popolo ricevette questa inattesa visita di uno che apparteneva più ad un altro mondo che a questo. Dopo una opportuna e dignitosa pausa, i capi più importanti si alzarono e, avvicinatisi al patriarca, gli posero con reverenza le mani sul capo come per implorare da lui una benedizione. I più giovani si accontentavano di toccare la sua veste o addirittura di avvicinarsi un poco alla sua persona per respirare nell'atmosfera di uno così vecchio, giusto a valoroso. Soltanto i più insigni tra i giovani guerrieri ebbero l'ardire di compiere quest'ultima cerimonia; la massa reputava una gioia sufficiente guardare una figura così profondamente venerata e amata. Quando questi atti di affetto e rispetto furono compiuti, i capi tornarono ai loro posti e il silenzio regnò in tutto l'accampamento.

Dopo un breve indugio, alcuni giovani ai quali erano state sussurrate delle istruzioni da uno degli anziani accompagnatori di Tamenund, si alzarono, lasciarono la folla ed entrarono nella capanna che era già stata notata come l'oggetto di tanta attenzione durante il mattino. Pochi minuti dopo riapparvero, scortando gli individui che erano stati la causa di tanti solenni preparativi verso la sede del giudizio. La folla aprì un varco, e quando il gruppo fu entrato, si richiuse, formando un largo e fitto assembramento di corpi umani disposti a semicerchio.