XXV
Snug - Ce l'hai la parte del leone scritta?
Se sì ti prego
di darmela
perché sono
lento a imparare.
Quince - Puoi
improvvisarla, si tratta solo di ruggire.
Sogno di una notte di mezza estate
Qualcosa di
stranamente ridicolo si mescolò alla solennità di questa scena. La bestia
continuava i suoi movimenti barcollanti e apparentemente incessanti,
benché i suoi buffi tentativi di imitare le melodia di David fossero
cessati nel momento in cui questi abbandonò il campo. Le parole di Gamut
erano state espresse, come abbiamo visto, nella sua lingua nativa, e a
Duncan sembrarono cariche di qualche significato nascosto, benché nulla di
evidente lo aiutasse a scoprire l'oggetto di quella allusione.
Ogni congettura
sull'argomento dovette rapidamente aver termine quando il capo si avvicinò
al letto della malata e mandò via con un cenno le donne che si erano là
raccolte per assistere allo spettacolo di abilità dello straniero. Egli fu
anche se di malavoglia obbedito; e quando la cupa eco della porta che si
richiudeva sul fondo cessò di risuonare nella galleria naturale egli,
indicando la figlia priva di sensi, disse: «È ora che il mio fratello
mostri il suo potere.»
Così,
inesorabilmente chiamato ad esercitare le funzioni del finto personaggio
che aveva assunto, Heyward temette che un minimo indugio potesse
dimostrarsi pericoloso. Tentando allora di raccogliere le idee, si preparò
a rappresentare quelle specie di incantesimi e di riti grotteschi sotto i
quali gli stregoni indiani solgono nascondere la loro ignoranza e la loro
impotenza. È assai probabile che col disordine in cui si trovavano i suoi
pensieri, egli avrebbe dato luogo a qualche sospetto, o addirittura
sarebbe incorso in qualche errore fatale, se il tentativo che si
apprestava a compiere non fosse stato interrotto da un feroce brontolio
del quadrupede. Per tre volte ricominciò e altrettante volte incontrò la
stessa inspiegabile opposizione, ed ogni interruzione era più rabbiosa e
minacciosa della prima.
«Gli astuti sono
gelosi» disse l'Urone. «Io vado. Fratello, questa donna è la moglie di uno
dei miei giovani più coraggiosi, trattala bene. Buono!» aggiunse rivolto
alla bestia irrequieta perché stesse tranquilla. «Io vado.»
Il capo fece ciò
che aveva detto e Duncan si trovò solo in quel luogo selvaggio e desolato,
con l'inguaribile inferma e il feroce e pericoloso animale. La bestia
seguì i movimenti dell'indiano e con quell'aria furbesca che è
caratteristica degli orsi, finché un'altra eco annunciò che anche
l'indiano aveva lasciato la caverna; allora l'orso si girò e si avvicinò
dondolando a Duncan, davanti al quale si sedette nel suo atteggiamento
naturale, eretto come quello di un uomo.
Il giovane si
guardò attorno alla ricerca di qualche arma con la quale avrebbe potuto
resistere all'attacco che ora seriamente temeva. Sembrava tuttavia che
l'umore dell'animale fosse cambiato improvvisamente. Invece di continuare
a brontolare nervosamente o manifestare altri segni di collera, tutto il
suo corpo irsuto si scosse violentemente, come agitato da qualche strana
convulsione interna. Gli enormi e goffi artigli strusciavano stupidamente
il muso digrignato e, mentre Heyward teneva gli occhi fissi ai suoi
movimenti con sospettosa attenzione, l'orribile testa cadde da un lato e
al suo posto apparve l'onesto e risoluto viso dell'esploratore che si
abbandonava dal profondo del cuore alla sua caratteristica risata.
«St!» disse il
prudente uomo dei boschi interrompendo l'esclamazione di sorpresa di
Heyward. «Quelle canaglie sono nei paraggi e ogni suono che non appartenga
alle arti magiche li farebbe tornare qui come un sol uomo.» «Ditemi cosa
significa questa mascherata e perché avete tentato un'avventura così
disperata?»
«Eh! Il caso ha
spesso la meglio sulla regione e sui piani,» replicò l'esploratore. «Ma
poiché una storia deve sempre essere raccontata dall'inizio, vi dirò tutto
con ordine. Dopo che ci siamo separati, ho messo il comandante e il
Sagamore in una vecchia costruzione di castori, dove sono più al sicuro
dagli Uroni di quanto non sarebbero nella guarnigione di Edward, perché
gli altri indiani nord-occidentali non hanno ancora avuto commercianti fra
loro e continuano a venerare il castoro. Dopo di che Uncas ed io abbiamo
proseguito verso l'altro accampamento, come d'accordo. Avete visto il
ragazzo?»
«Con mio grande
dolore! Egli è prigioniero e condannato a morte al sorgere del sole.»
«Sospettavo che
tale sarebbe stata la sua sorte,» riprese l'esploratore in tono meno
fiducioso e allegro. Ma riprendendo presto la sua voce naturale e ferma,
continuò: «La sua sfortuna è la vera ragione della mia presenza qui,
perché è un vero peccato abbandonare un ragazzo come quello agli Uroni. È
difficile che quei mascalzoni l'abbiano vinta e possano legare ‹Alice
balzante› e ‹La Lunga Carabina›, come mi chiamano, allo stesso palo! Non
so perché mi abbiano dato questo nome, perché tra le qualità di
«Ammazzacervo» e le prestazioni delle vostre reali carabine canadesi c'è
la stessa somiglianza che esiste fra la pietra per pipe e la pietra
focaia!»
«Continuate il
vostro racconto» disse Heyward spazientito. «Non sappiamo quando gli Uroni
possono tornare.»
«Nessuna paura.
Uno stregone deve avere del tempo a disposizione, come un prete che va in
giro per le colonie. Siamo al sicuro da interruzioni come lo sarebbe un
missionario all'inizio di un discorso di due ore. Ebbene, Uncas ed io ci
siamo imbattuti in una compagnia di quei mascalzoni che era sulla via del
ritorno. Il ragazzo correva troppo per un esploratore, ma essendo di
sangue caldo non era troppo da biasimare; tuttavia uno degli Uroni che si
è dimostrato un codardo fuggendo gli ha teso un'imboscata.»
«E ha pagato
caro il suo errore!»
L'esploratore si
passò una mano sul collo e scosse il capo per dire: «So cosa volete dire.»
Dopo di che continuò parlando in modo più udibile, anche se non di molto
più comprensibile: «Dopo la perdita del ragazzo mi rivolsi contro gli
Uroni, come potete vedere. Ci sono state delle scaramucce con uno o due di
loro e me; ma questo non ha nessuna importanza. Così, dopo aver sparato a
quei demoni, sono riuscito ad avvicinarmi alle capanne senza essere
ulteriormente disturbato. Poi cos'altro poteva fare la fortuna per me se
non condurmi nel luogo dove uno dei più famosi stregoni della tribù si
stava vestendo, come io ben sapevo, per qualche grande scontro con Satana?
Anzi, perché chiamare fortuna ciò che ora sembra essere uno speciale
disegno della Provvidenza? Così un colpo ben assestato sulla testa
immobilizzò quel bugiardo impostore per qualche tempo, e dopo avergli
lasciato un po' di noci per il pasto per evitare che si mettesse a
gridare, l'ho legato fra due alberelli, mi sono impossessato dei suoi
indumenti e ho fatto la parte dell'orso al suo posto, in modo che le
operazioni potessero procedere.»
«E avete
recitato in modo mirabile perché l'animale stesso si vergognerebbe se
avesse assistito alla rappresentazione.»
«Sarei un
cattivo scolaro,» rispose l'uomo dei boschi lusingato, «se avessi studiato
così a lungo in queste terre selvagge senza saper imitare i movimenti e le
caratteristiche di quella bestia. Se si fosse trattato di un puma o di una
pantera, avrei messo su una rappresentazione per voi degna di nota. Non è
un'impresa tanto difficile imitare i movimenti di una bestia così stupida;
benché anche un orso possa essere rappresentato con un po' di
esagerazione. Eh, già; non tutti gli imitatori sanno che è più facile
superare che uguagliare la natura. Ma tutto il lavoro è ancora davanti a
noi, dov'è la fanciulla?»
«Ho esaminato
tutte le capanne del villaggio, senza scoprire la benché minima traccia
della presenza di colei che cerco in questa tribù. «Avete sentito ciò che
ha detto il cantore mentre se ne andava: ella è vicina e vi aspetta?»
«Tutto mi
lasciava credere che alludesse a questa infelice.»
«Quel
sempliciotto era spaventato e ha sbagliato grossolanamente il messaggio;
ma esso aveva un significato più importante. Qui ci sono abbastanza muri
da separare un'intera colonia. Un orso si può arrampicare, perciò darò
un'occhiata dall'altra parte. Potrebbero esserci degli alveari nascosti in
queste rocce, sono una bestia, sapete, che ha la mania delle cose dolci.»
L'esploratore si
guardò indietro, e mentre rideva della propria spiritosaggine si arrampicò
su per la parete, imitando i goffi movimenti della bestia che
rappresentava; ma quando fu in alto fece un gesto di silenzio e scivolò
giù con la massima precipitazione.
«È qui,»
sussurrò, «e potrete trovarla passando per quella porta. Avrei voluto
dirle qualche parola di conforto ma la vista di un simile mostro avrebbe
potuto turbare la sua ragione. Benché, a questo riguardo, Maggiore, voi
stesso non siate molto rassicurante con quelle dipinture.»
Duncan che si
era già lanciato con impeto verso la porta, si ritirò immediatamente
nell'udire queste parole scoraggianti.
«Sono dunque
così rivoltante?» domandò con aria addolorata.
«Non potreste
spaventare un lupo o impedire a un americano Reale di fare una carica, ma
c'è stato un tempo in cui il vostro aspetto era più invitante; le
striature del vostro viso non sarebbero male accette a una squaw, ma le
giovani donne bianche danno la preferenza a quelli del loro colore.
Guardate,» aggiunse indicando un punto dove l'acqua sgorgava da una roccia
formando una fontanella cristallina prima di trovare la via d'uscita
attraverso le fessure adiacenti, «potete facilmente liberarvi delle
impiastricciature del Sagamore, e quando tornerete proverò con le mie mani
a farvi un nuovo ornamento. È normale per uno stregone cambiare le
dipinture come per un bellimbusto delle colonie cambiare gli abiti.»
Il risoluto uomo
dei boschi non ebbe bisogno di cercare altri argomenti per rendere più
convincente il suo consiglio. Non aveva finito di parlare che Duncan già
si serviva dell'acqua. In un momento ogni segno sgradevole fu cancellato e
il giovane apparve di nuovo con i lineamenti che la natura gli aveva
donato. Così, pronto ad un incontro con l'amata, prese frettolosamente
congedo dal compagno e scomparve attraverso il passaggio che questi gli
aveva indicato. L'esploratore guardò compiaciuto la sua scomparsa,
scotendo il capo e borbottando degli auguri; dopo di che si accinse
freddamente ad esaminare lo stato della dispensa degli Uroni, dato che la
caverna, fra l'altro, era usata come deposito dei frutti delle loro cacce.
Duncan aveva
come sola guida una lontana luce incerta che però servì all'innamorato da
stella polare. Col suo aiuto fu in grado di entrare nel porto delle sue
speranze, che consisteva semplicemente in una altro andito della caverna
dedicato esclusivamente alla salvaguardia di una prigioniera importante
qual era la figlia del comandante di William Henry. Vi si trovava
sparpagliato il bottino della sfortunata fortezza. in mezzo a tale
confusione egli trovò colei che cercava, pallida, ansiosa, terrificata, ma
bella. David l'aveva preparata alla sua visita.
«Duncan!»
esclamò ella con una voce che sembrava tremare al suo stesso suono.
«Alice» rispose
egli saltando senza curarsi di bauli casse, armi e mobilio, finché la
raggiunse.
«Sapevo che non
mi avreste mai abbandonato» disse ella alzando lo sguardo con una
momentanea luce nel viso altrimenti afflitto. «Ma siete solo! Benché grata
per essere così ricordata, avrei desiderato che non foste completamente
solo.»
Duncan,
osservando che tremava talmente da non poter stare in piedi, con dolcezza
la invitò a sedere, mentre raccontava gli avvenimenti principali che è
stato nostro compito riportare. Alice ascoltò con un interesse da mozzarle
il fiato, e benchè il giovane accennasse appena al dolore del padre
afflitto, facendo attenzione però a non ferire l'amor proprio di colei che
lo ascoltava, copiose lacrime scorrevano sulle guance della figlia come se
ella non avesse mai pianto prima. La tenerezza confortante di Duncan,
tuttavia, presto placò la prima esplosione delle emozioni di lei, e la
fanciulla ascoltò fino alla fine con attenzione imparziale, se non
tranquilla.
«Ed ora, Alice»,
egli aggiunse, «saprete quanto ancora ci si aspetta da voi. Con l'aiuto
del nostro inestimabile amico, l'esploratore, fuggiremo da questo popolo
selvaggio, ma dovrete fare appello a tutta la vostra forza d'animo.
Ricordate che potrete volare fra le braccia del vostro venerando padre e
quanto la sua felicità, come la vostra, dipendono da tali sforzi.»
«Posso fare
qualcosa di diverso per un padre che ha fatto tanto per me?»
«E anche per
me». continuò il giovane facendo una leggera pressione sulla mano che
aveva preso fra le sue.
Lo sguardo
innocente e sorpreso che ricevette in risposta, convinse Duncan della
necessità di essere esplicito.
«Questo non è il
luogo né la circostanza per parlarvi di desideri egoistici,» aggiunse, «ma
quale cuore gonfio come il mio non desiderebbe gettare il suo fardello?
Dicono che l'infelicità è il più stretto dei legami. La comune
preoccupazione per la vostra sorte, non ha lasciato molto da spiegare fra
vostro padre e me.»
«E la carissima
Cora, certamente non l'avete dimenticata.»
«Non
dimenticata, no, rimpianta come raramente una donna è stata compianta
prima. Il vostro venerabile padre non conosce differenze fra le sue
figlie; ma io, Alice, non offendetevi se dico che per me i meriti di Cora
erano in qualche modo offuscati...»
«Dunque non
conoscete i meriti di mia sorella,» disse Alice, ritirando la mano, «di
voi ella parla sempre come del suo più caro amico.»
«Sarei felice di
ritenerla tale,» rispose Duncan in fretta, «desidererei che fosse anche di
più, ma con voi Alice, ho il permesso di vostro padre di aspirare ad un
legame ancora più stretto.»
Alice tremava
violentemente, e vi fu un istante nel quale ella girò il viso,
abbandonandosi alle emozioni comuni al suo sesso; ma esse passarono
rapidamente, lasciandola padrona del suo contegno, se non dei suoi
sentimenti.
«Heyward,» disse
ella guardandolo dritto nel viso con una espressione di commovente ed
innocente ritegno, «concedetemi la sacra presenza e la santa approvazione
di mio padre prima di dirmi altro.»
«Benché di più
non dovrei, meno non potrei dire,» stava per rispondere il giovane, quando
fu interrotto da un leggero tocco sulla spalla.
Balzando in
piedi si girò, e guardando l'intruso, il suo sguardo cadde sulla forma
scura e il viso malvagio di Magua. La cupa risata gutturale del selvaggio
in un momento come quello, suonò per Duncan come lo scherno di un demonio.
Se avesse seguito l'improvviso e impetuoso impulso del momento, si sarebbe
scagliato sull'Urone e affidato la loro sorte al risultato di una lotta
mortale. Ma senza armi, ignorando le risorse cui l'astuto nemico avrebbe
potuto ricorrere, e responsabile della salvezza di una che proprio allora
era diventata più che mai cara al suo cuore, egli abbandonò il disperato
proposito.
«Che intenzioni
avete?» disse Alice incrociando umilmente le braccia sul petto e lottando
disperatamente per nascondere un'angosciosa paura per la sorte di Heyward
nel modo freddo e distaccato che soleva assumere quando riceveva le visite
del rapitore.
L'indiano
esultante aveva ripreso la sua espressione austera, pur facendo qualche
passo indietro davanti allo sguardo minaccioso del giovane. Egli guardò
per un momento i prigionieri con sguardo risoluto, poi, andando verso
un'altra parete, spostò un ceppo che chiudeva una porta diversa da quella
attraverso la quale era passato Duncan.
Questi comprese
ora come era stato sorpreso, e credendosi irrimediabilmente perduto trasse
Alice al suo petto e si preparò ad incontrare una sorte che ora non gli
era troppo dolorosa, poiché doveva sopportarla in tale compagnia. Magua
però non intendeva compiere una vendetta immediata. Le sue prime misure
furono evidentemente prese per assicurare il nuovo prigioniero, né si
degnò di dare un'altra occhiata alle figure immobili che stavano al centro
della caverna finché non ebbe completamente distrutto per i prigionieri
ogni speranza di fuggire attraverso l'imboccatura privata che egli stesso
aveva usato. Ogni suo movimento fu osservato da Heyward, che rimase però
immobile, sempre tenendosi stretto al cuore il fragile corpo di Alice,
troppo orgoglioso e troppo disperato per domandare la grazia ad un nemico
così spesso battuto.
Quando Magua
ebbe eseguito i suoi intenti, si avvicinò ai prigionieri e disse in
inglese: «I visi pallidi intrappolano gli astuti castori, ma i pellerossa
sanno come prendere gli Yangee.»
«Urone, compi la
tua vendetta!» esclamò Heyward esaltato, dimenticando che un altro palo di
tortura sarebbe stato a fianco del suo. «Voi e la vostra vendetta siete
ugualmente spregevoli.»
«Dirà il bianco
queste stesse parole quando sarà al palo?» domandò Magua, mostrando nello
stesso tempo quanto poco credesse alla risolutezza dell'altro col ghigno
che accompagnò queste parole.
«Qui, solo,
davanti a voi, o in presenza del vostro popolo.»
«Le Renard
Subtil è un grande capo!» replicò l'indiano. «Andrà a chiamare i suoi
giovani per vedere quanto coraggiosamente un viso pallido sa ridere sotto
la tortura.»
Si girò mentre
parlava e stava per andarsene per il passaggio usato da Duncan, quando un
brontolio giunse alle sue orecchie e lo fece esitare. La figura dell'orso
apparve alla porta, dove si sedette, dondolandosi da una parte e
dall'altra nel solito movimento incessante. Magua, come il padre della
malata, lo guardò fisso negli occhi, come per studiarlo. Egli però era
molto superiore alle più volgari superstizioni della sua tribù, e non
appena riconobbe il ben noto travestimento dello stregone, si accinse a
passargli davanti con calma. Ma un brontolio più forte e minaccioso lo
fece fermare di nuovo. Allora sembrò deciso a non stare più al gioco e si
avviò risoluto. Il finto animale che si era avvicinato un po', si ritirò
lentamente davanti a lui, finché arrivò di nuovo al passaggio, qui,
alzandosi sulle zampe posteriori, batté l'aria con quelle anteriori, nel
modo caratteristico del suo modello.
«Sciocco!»
esclamò il capo in urone. «Vai a giocare con i bambini e le donne e lascia
gli uomini alla loro saggezza.»
Egli tentò
un'altra volta di oltrepassare il supposto stregone, disdegnando persino
di minacciare l'uso del coltello o del tomahawk che gli pendevano dalla
cintola. Improvvisamente la bestia tese le braccia, o piuttosto le zampe,
e lo serrò in una morsa che avrebbe potuto rivaleggiare con la ben nota
forza della stretta dell'orso stesso. Heyward aveva assistito alle manovre
di Occhio di Falco col fiato sospeso. Per la prima volta lasciò Alice,
prese il laccio di pelle di daino che era stato usato per legare alcuni
fagotti e quando vide il nemico con le braccia inchiodate ai fianchi dai
muscoli di ferro dell'esploratore, si precipitò su di lui e lo legò.
Braccia, gambe e piedi furono avvolti venti volte col legaccio in meno
tempo di quanto non ci sia occorso per raccontare il fatto. Quando il
formidabile Urone fu completamente immobilizzato, l'esploratore lasciò la
presa e Duncan coricò il nemico sul dorso, completamente inerme.
Durante tutto lo
svolgersi di questa improvvisa e straordinaria operazione, Magua, pur
avendo lottato disperatamente fino al momento in cui si rese conto di
trovarsi nelle mani di uno dai muscoli di gran lunga più forti dei suoi,
non aveva emesso la minima esclamazione. Ma quando Occhio di Falco, allo
scopo di fornire una spiegazione sommaria del suo comportamento, aprì le
mascelle pelose della bestia e offrì il proprio volto rude e sincero alla
vista dell'Urone, la sorpresa ebbe la meglio sulla sua filosofia e si
lasciò sfuggire l'immancabile: «Hugh!»
«Ah, hai
ritrovato la lingua» disse calmo il vincitore. «Ora, affinché tu non la
usi per la nostra rovina, devo prendermi la libertà di chiuderti la
bocca.»
Poiché non c'era
tempo da perdere, l'esploratore si accinse subito a mettere in pratica una
precauzione tanto necessaria, e quando ebbe imbavagliato l'indiano, il
nemico poté sicuramente considerarsi fuori combattimento.
«Da che parte è
entrato quel demonio?» domandò l'intraprendente esploratore quando ebbe
finito il lavoro. «Non ho visto passare neanche un'anima da quando mi
avete lasciato.»
Duncan indicò
l'apertura dalla quale era passato Magua, ma ora essa aveva troppi
ostacoli per una pronta ritirata.
«Fate venire la
fanciulla, allora,» continuò l'esploratore, «dobbiamo raggiungere i boschi
dall'altra uscita.»
«È impossibile»
disse Duncan. «È sopraffatta dalla paura e non ce la fa. Alice, cara, mia
dolce Alice! Alzatevi; è venuto il momento di fuggire. È inutile, sente,
ma non può seguirci. Andate, nobile e degno amico, salvatevi e lasciatemi
al mio destino!»
«Ogni traccia ha
la sua fine e ogni calamità dà la sua lezione!» replicò l'esploratore.
«Là, avvolgetela in quei panni indiani, nascondete tutta la sua piccola
persona. No, quel piedino non ha pari nella foresta: la tradirebbe. Tutto,
ogni parte. Ora prendetela fra le braccia e seguitemi. Lasciate a me il
resto.»
Duncan, come si
può capire dalle parole dell'amico obbedì sollecito, e quando l'altro finì
di parlare prese il leggero corpo di Alice fra le braccia e seguì
l'esploratore. Trovarono l'inferma ancora sola come l'avevano lasciata, e
proseguirono rapidamente attraverso la galleria naturale, verso
l'imboccatura. Mentre si avvicinavano alla porticina di corteccia, un
mormorio di voci all'esterno rivelò che parenti e amici dell'invalida
erano raccolti intorno al luogo, aspettando pazientemente il permesso di
entrare.
«Se apro la
bocca per parlare,» mormorò Occhio di Falco, «il mio inglese, che è la
lingua genuina dei bianchi, dirà a quelle canaglie che c'è un nemico fra
loro. Dovete usare il vostro francese, Maggiore, dire che abbiamo chiuso
gli spiriti maligni nella caverna e che stiamo portando la donna nei
boschi per trovare radici che la rinforzino. Usate tutta la vostra
astuzia, è una cosa legittima.»
La porta si
socchiuse, come se qualcuno di fuori stesse ascoltando cosa avveniva
dentro; ciò costrinse l'esploratore a smettere di dare consigli. Un feroce
brontolio ricacciò il ficcanaso, poi l'esploratore spinse deciso il riparo
di corteccia e lasciò il luogo, imitando i movimenti dell'orso mentre si
allontanava. Duncan gli tenne dietro da vicino e presto si trovò al centro
di un gruppo di venti parenti e amici ansiosi. La folla indietreggiò un
poco e lasciò che il padre e uno che sembrava il marito si avvicinassero.
«Il mio fratello
ha cacciato lo spirito maligno?» domandò il primo.
«Cos'ha fra le
braccia?»
«Tua figlia»
replicò Duncan solennemente. «Il male è uscito da lei, è rinchiuso nelle
rocce. La porto lontano, dove la renderò forte contro altri attacchi. Sarà
nella wigwam del giovane quando il sole tornerà a splendere.»
Quando il padre
ebbe tradotto le parole dello straniero in lingua urone un mormorio
contenuto rivelò la soddisfazione con cui era stata accolta questa
notizia.
Il capo in
persona fece cenno a Duncan di procedere, dicendo forte, con voce ferma e
con fare solenne: «Va, io sono un uomo, entrerò fra le rocce e combatterò
il maligno.»
Heyward,
obbedendo con sollievo, aveva già oltrepassato il gruppetto, quando queste
parole allarmanti lo fermarono.
«Il mio fratello
è forse pazzo?» esclamò. «O forse crudele? Egli incontrerà il male ed esso
entrerà in lui, oppure lo manderà fuori ed esso inseguirà sua figlia nei
boschi. No, che i miei figli aspettino fuori e se lo spirito appare lo
battano con delle mazze. Egli è astuto e si nasconderà nella montagna
quando vedrà quanti sono pronti a combatterlo.»
Questo singolare
avvertimento ebbe l'effetto desiderato. Invece di entrare nella caverna,
il padre e il marito trassero il tomahawk e si appostarono, pronti a
compiere la loro vendetta sull'immaginario tormentatore della congiunta
malata, mentre le donne e i bambini colsero dei rami dai cespugli e
afferrarono frammenti di roccia, con intenzioni analoghe. In quel momento
favorevole il finto stregone scomparve.
Occhio di Falco,
nel momento in cui aveva osato tanto confidando nelle superstizioni degli
indiani, non ignorava che esse erano più tollerate che credute dai capi
più saggi. Conosceva bene perciò il valore del tempo nella pericolosa
circostanza in cui si trovavano. Qualunque fosse la misura dell'illusione
dei nemici e comunque essa lo avrebbe aiutato a realizzare i suoi piani,
la minima traccia di sospetto da parte degli astuti indiani sarebbe
probabilmente stata fatale. Perciò, prendendo il sentiero che aveva più
probabilità di eludere la loro attenzione, egli si mantenne ai margini del
villaggio invece di entrarvi. I guerrieri si vedevano ancora da lontano,
nella luce morente dei fuochi, mentre camminavano di capanna in capanna.
Ma i bambini avevano lasciato i giochi per i letti di pelli, e la quiete
della notte cominciava a prevalere sulla confusione e l'eccitazione di una
sera così animata e importante.
Alice si rianimò
sotto l'influenza benefica dell'aria aperta e poiché la sua forza fisica
più che quella mentale, era stata vinta dalla debolezza, ella non ebbe
bisogno di spiegazioni su ciò che era successo.
«Ora lasciate
che mi sforzi di camminare.» disse quando entrarono nella foresta,
arrossendo, non vista, per non essere stata in grado di lasciare prima le
braccia di Duncan; «mi sono ripresa.»
«No, Alice,
siete ancora troppo debole.»
La fanciulla si
dibatté leggermente per liberarsi e Heyward fu costretto a lasciare il
prezioso peso. Quando il finto orso si trovò abbastanza lontano dalle
capanne, fece una sosta e parlò di un argomento del quale era
perfettamente padrone.
«Questo sentiero
vi porterà al ruscello,» disse, «seguite la riva verso nord, finché
arriverete a una cascata; salite sulla collina che vedrete alla vostra
destra e vedrete i fuochi dell'altro popolo. Andate là e domandate
protezione; se sono veri Delaware, sarete al sicuro. Fuggire più lontano
con la gentile signorina in questo momento è impossibile. Gli Uroni
potrebbero inseguirci e prenderci le cotenne prima che abbiamo percorso
una dozzina di miglia. Andate, la Provvidenza sia con voi.»
«E voi?» domandò
Heyward sorpreso. «Certamente non ci dividiamo qui.»
«Gli Uroni hanno
in pugno l'orgoglio dei Delaware, l'ultimo del nobile sangue dei Mohicani
è in loro potere,» disse l'esploratore, «io vado a vedere cosa si può fare
per lui. Se avessero preso la vostra cotenna, Maggiore, sarebbe caduta una
di quelle canaglie per ogni capello che portava, come già ho promesso; ma
se il giovane Sagamore sta per essere portato al palo, gli indiani
vedrebbero come sa morire un uomo col sangue puro.»
Affatto offeso
per la decisa preferenza che il risoluto uomo dei boschi dava a uno che in
qualche misura poteva essere chiamato suo figlio adottivo, Duncan continuò
tuttavia ad avanzare tutte le ragioni che gli venivano in mente contrarie
a un tentativo così disperato. Fu aiutato da Alice che unì le sue
implorazioni a quelle di Heyward perché abbandonasse una decisione che
faceva prevedere tanto pericolo con così poca speranza di successo. La
loro eloquenza e i loro argomenti furono vani. L'esploratore li ascoltò
attentamente, ma con impazienza e alla fine chiuse la discussione
rispondendo con un tono che subito fece tacere Alice, mentre diceva ad
Heyward quanto inutili sarebbero state altre rimostranze:
«Ho sentito
dire,» disse, «che c'è un sentimento nella giovinezza che lega un uomo a
una donna più strettamente di quanto un padre sia legato al figlio. Può
darsi. Sono stato raramente dove abitano donne del mio colore e forse si
tratta di una cosa naturale nelle colonie. Voi avete rischiato la vita e
tutto quello che vi è caro per salvare questa fanciulla così io suppongo
che una inclinazione del genere si trovi al fondo di tutto ciò. Quanto a
me ho insegnato a quel ragazzo il buon uso di un fucile e lui mi ha ben
ricompensato. Ho combattuto al suo fianco in molte scaramucce; e fintanto
che ho potuto sentire la detonazione della sua arma in un orecchio e
quella del Sagamore nell'altro, sapevo di non avere nemici alle spalle.
Inverni ed estati, notti e giorni, abbiamo percorso insieme la foresta,
mangiando nello stesso piatto, e quando l'uno dormiva l'altro faceva la
guardia; perciò prima che si possa dire che Uncas è stato portato al
supplizio mentre io ero vicino... C'è una sola Guida per tutti noi,
qualunque sia il colore della pelle, e Lui io chiamo a testimone che prima
che il ragazzo Mohicano muoia per la mancanza di un amico, la fedeltà
lascerà la terra e ‹Ammazzacervo› diventerà inoffensivo come l'arma
sonante del cantore!»
Duncan lasciò la
presa del braccio dell'esploratore, che si voltò e tornò sui suoi passi
verso le capanne. Dopo aver indugiato un momento per guardare la sua forma
che si allontanava, Heyward ed Alice, liberi e tuttavia addolorati, si
avviarono insieme verso il lontano villaggio Delaware.
XXVI
Boi - Lasciatemi recitare anche la parte del leone.
Sogno di una notte di mezza estate
Nonostante la
sua nobile risolutezza, Occhio di Falco era pienamente conscio di tutte le
difficoltà e di tutti i pericoli cui stava per andare incontro. Sulla via
del ritorno verso il campo, i suoi sensi acuti ed allenati si dedicarono
attentamente ad escogitare mezzi per affrontare una vigilanza e una
diffidenza da parte dei nemici che egli sapeva non inferiori alle sue.
Soltanto il colore della sua pelle aveva salvato le vite di Magua e dello
stregone; i quali sarebbero stati le prime vittime sacrificate alla sua
salvezza, se l'esploratore non avesse ritenuta un'azione simile, per
quanto congeniale alla natura di un indiano, completamente indegna di uno
che vantava una discendenza da uomini di razza pura. Di conseguenza
confidò nelle ritorte e nei lacci coi quali aveva legato i suoi
prigionieri e continuò la strada verso le capanne.
Nell'avvicinarsi
alle abitazioni, i suoi passi divennero più decisi e il suo occhio attento
non si lasciava sfuggire alcun indizio, amichevole od ostile che fosse.
Una capanna abbandonata si trovava un po' più ai margini rispetto alle
altre e sembrava incompleta, molto probabilmente per mancanza di materiali
essenziali come legno o acqua. Una luce fioca tuttavia filtrava attraverso
le fessure e rivelava che nonostante la sua incompiutezza essa non era
disabitata. Perciò l'esploratore vi si accostò, come un prudente generale
che volesse fare una ricognizione nelle posizioni avanzate del nemico
prima di rischiare l'attacco principale.
Mettendosi in
una posizione propria alla bestia che simulava, Occhio di Falco si
trascinò carponi verso una piccola apertura da cui poteva dominare
l'interno. Gli si rivelò che si trattava dell'abitazione di David Gamut.
Qui il fedele maestro di canto si era stabilito, con tutti i suoi dolori,
le sue paure e la sua umile dipendenza dalla protezione della Provvidenza.
Nel momento preciso in cui la sua goffa figura cadde sotto lo sguardo
dell'esploratore nel modo che abbiamo descritto, lo stesso uomo dei
boschi, pur nel suo travestimento, era l'argomento delle più profonde
riflessioni di quell'essere solitario.
Per quanto la
fede di David nella verità degli antichi miracoli fosse assoluta,
rifuggiva però dal credere nell'esistenza di un agente soprannaturale che
governasse la moderna moralità. In altre parole, mentre credeva ciecamente
nella capacità di parlare dell'asino di Balaam, era in un certo qual modo
scettico per quanto riguardava il canto di un orso; e tuttavia era stato
assicurato di quest'ultima possibilità dalla testimonianza delle sue
orecchie sensibili. C'era qualcosa nella sua aria e nei suoi modi che
rivelava all'esploratore la sua completa confusione mentale. Stava seduto
su un mucchio di ramoscelli, alcuni dei quali di tanto in tanto
alimentavano un fuocherello, e la sua testa era appoggiata ad un braccio
in una posizione di meditabonda melanconia. L'abbigliamento di questo
individuo, interamente dedito alla musica, non aveva subito alcun
cambiamento da quello recentemente descritto; eccezione fatta per il
copricapo che si era messo sulla testa calva e che non era stato
sufficientemente allettante per la cupidigia di coloro che lo avevano
catturato,
L'ingegnoso
Occhio di Falco, che ricordò il modo frettoloso in cui l'altro aveva
abbandonato il suo posto al capezzale dell'ammalata, non era lontano
dall'avere qualche sospetto a proposito di una riflessione così solenne.
Prima fece il giro della capanna e, assicuratosi che non c'era nessuno
perché il carattere di colui che la occupava avrebbe probabilmente tenuto
lontani i visitatori, si avventurò attraverso la bassa porta e comparve
alla presenza di Gamut. Data la posizione di quest'ultimo il fuoco si
trovò fra loro, e quando Occhio di Falco si fu seduto ad una estremità,
trascorse circa un minuto durante il quale i due rimasero a guardarsi
senza parlare. La subitaneità e il genere della sorpresa erano troppo -
non diremo la filosofia - ma per la fede e la risolutezza di David. Egli
cercò a tentoni il suo strumento e si alzò con la confusa intenzione di
tentare un esorcismo musicale.
«Scuro mostro
misterioso!» egli esclamò mentre con mani tremanti si metteva gli occhi
supplementari e andava alla ricerca della immancabile risorsa dei momenti
cruciali: la bella versione dei Salmi. «Non conosco la tua natura né le
tue intenzioni, ma se mediti alcunché contro la persona e i diritti di uno
dei più umili servi del tempio, ascolta la lingua ispirata del giovane di
Israele e pentiti.»
L'orso scosse i
fianchi pelosi, poi una ben nota voce rispose: «Mettete via l'arma sonora
e insegnate la modestia alla vostra gola. Cinque parole di inglese
semplice e comprensibile valgono in questo momento un'ora di strilli.»
«Cosa sei?»
domandò David reso incapace a perseguire il suo primitivo intento e quasi
costretto a far sforzi per poter respirare.
«Un uomo come
voi! Vale a dire uno il cui sangue è così poco incrociato con quello di un
orso o di un indiano quanto lo è il vostro. Avete dimenticato così presto
da chi avete ricevuto lo sciocco strumento che tenete in mano?»
«Possono
succedere di queste cose?» replicò David, respirando più liberamente
mentre la verità cominciava a farsi strada nella sua mente. «Ho visto
meraviglie durante il mio soggiorno fra i pagani, ma certamente nessuna
che superi questa!»
«Via, via» disse
l'esploratore scoprendosi l'onesto viso, per rassicurare del tutto il
titubante compagno. «Potete vedere una pelle che, pur non essendo bianca
come quella delle fanciulle, non ha sfumatura di rosso che non sia causata
da vento, aria e sole. Adesso parliamo di cose importanti.»
«Prima ditemi
della fanciulla e del giovane che tanto coraggiosamente l'ha cercata»
domandò David.
«Già,
fortunatamente si trovano lontani dai tomahawk di queste canaglie. Ma
potete mettermi sulla traccia di Uncas?»
«Il giovane è
prigioniero e temo molto che la sua morte sia stata decretata. Molto mi
affliggo che uno che ha così buone disposizioni debba morire
nell'ignoranza, e ho trovato un inno adatto...»
«Potete condurmi
da lui?»
«Non sarà
difficile,» replicò David esitante, «benché tema che la vostra presenza
peggiorerebbe invece di migliorare la sua disgraziata sorte.»
«Basta con le
parole, fate strada» replicò Occhio di Falco, poi si nascose il viso e
diede personalmente l'esempio lasciando subito la capanna.
Mentre
procedevano l'esploratore constatò che il compagno aveva libero accesso al
luogo dove si trovava Uncas, e ciò in virtù del privilegio della sua
immaginaria infermità, nonché col favore che si era conquistato presso una
guardia, la quale, per il fatto di parlare un po' di inglese, era stata
scelta da David come oggetto di una conversione religiosa. Che l'Urone
comprendesse le intenzioni del nuovo amico, è da dubitare fortemente; ma
poiché un'attenzione esclusiva lusinga un selvaggio quanto un individuo
più civilizzato, la cosa aveva prodotto l'effetto che abbiamo detto. Non è
necessario ripetere la perspicacia con la quale l'esploratore cavò questi
particolari dal semplice David, né indugeremo in questa sede sulla natura
delle istruzioni che gli diede quando fu al corrente di tutti i fatti
necessari, poiché il tutto sarà sufficientemente spiegato al lettore nel
corso della narrazione.
La capanna in
cui si trovava confinato Uncas era al centro del villaggio, e forse in una
posizione più difficile di qualunque altra per chi volesse entrarvi o
uscirne senza essere notato. Ma non era nella strategia di Occhio di Falco
agire di nascosto. Fidandosi del suo travestimento e della sua abilità a
sostenere la parte che si era assunto, egli prese la strada più semplice e
diretta che conduceva al luogo dove voleva recarsi. L'ora tuttavia forniva
un po' di quella protezione che sembrava disprezzare tanto. I ragazzi
erano già sprofondati nel sonno e tutte le donne, nonché la maggior parte
dei guerrieri, si erano ritirati nelle loro capanne per passarvi la notte.
Soltanto quattro o cinque di questi ultimi indugiavano intorno alla porta
della prigione di Uncas, osservatori guardinghi ma attenti degli
atteggiamenti del prigioniero.
Alla vista di
Gamut, accompagnato da uno che portava il ben noto travestimento di uno
dei loro più stimati stregoni, essi si fecero prontamente da parte per
lasciarli passare. Non mostrarono però alcuna intenzione di andarsene,
anzi erano evidentemente propensi a rimanere, trattenuti sul posto da un
ulteriore interesse per le misteriose cerimonie che naturalmente si
aspettavano da una simile visita.
A causa della
sua totale incapacità di rivolgersi agli Uroni nella loro lingua, Occhio
di Falco fu costretto ad affidare la conversazione interamente a David.
Nonostante la sua ingenuità, quest'ultimo si attenne pienamente alle
istruzioni ricevute, soddisfacendo pienamente le più ardite speranze del
maestro
«I Delaware sono
donne!» egli esclamò rivolgendosi al selvaggio che aveva una vaga
conoscenza della lingua nella quale parlava. «Gli Yangee, quegli sciocchi
della mia razza, hanno detto loro di prendere il tomahawk e combattere i
loro padri del Canadà ed essi hanno dimenticato il loro sesso. Il mio
fratello desidera sentire ‹Le Cerf Agile› domandare la gonnella e vederlo
piangere davanti agli Uroni quando sarà al palo?»
L'esclamazione
«Hugh!» pronunciata in forte tono di assenso rivelò il piacere che avrebbe
provato il selvaggio alla vista della debolezza di un nemico tanto a lungo
odiato e temuto.
«Allora si
faccia da parte e l'uomo astuto soffierà su quel cane! Dillo ai miei
fratelli.»
L'Urone spiegò
ai compagni quanto David aveva detto e questi a loro volta ascoltarono
quel piano con quella sorta di soddisfazione che i loro spiriti indomiti
era naturale provassero alla prospettiva di un divertimento tanto
crudelmente raffinato. Essi indietreggiarono un po' dalla porta e fecero
segno al finto stregone di entrare. Ma l'orso, invece di obbedire, si
mantenne seduto dov'era ed emise un brontolio.
«L'uomo astuto
ha paura che il suo respiro arrivi anche ai suoi fratelli e porti via
anche il loro coraggio,» continuò David perfezionando il suggerimento
ricevuto, «essi devono stare lontani.»
Gli Uroni che
ritenevano questa la peggiore disgrazia che potesse loro capitare,
indietreggiarono tutti insieme, prendendo una posizione da cui non
potessero udire, ma che permettesse loro di tenere sotto controllo
l'entrata della capanna. Poi, come soddisfatto del vederli al sicuro,
l'esploratore si alzò ed entrò lentamente. Il luogo era silenzioso e cupo,
occupato solo dal prigioniero e illuminato dalle braci morenti di un fuoco
che era stato usato per cuocere dei cibi.
Uncas occupava
un angolo in fondo alla stanza, e stava adagiato perché aveva mani e piedi
rigidamente legati con lacci robusti e stretti. Quando lo spaventoso
animale apparve al giovane Mohicano, egli non lo degnò nemmeno di uno
sguardo. L'esploratore che aveva lasciato David alla porta perché
controllasse che non fossero osservati, ritenne prudente conservare il
travestimento finché non fu sicuro che erano soli, perciò invece di
parlare, si esibì in uno degli atteggiamenti grotteschi caratteristici
dell'animale che rappresentava. Il giovane Mohicano, che in un primo
momento aveva creduto che il nemico avesse inviato una bestia vera per
tormentarlo e mettere alla prova i suoi nervi, scoprì nell'esibizione che
a Heyward era sembrata tanto ben fatta, alcune imperfezioni che subito
rivelarono l'imitazione. Se Occhio di Falco si fosse reso conto della
bassa considerazione in cui il più esperto Uncas teneva la sua
rappresentazione, probabilmente avrebbe continuato lo spettacolo un po'
risentito. Ma l'espressione sprezzante del giovane si prestava a molte
interpretazioni, perciò al degno uomo dei boschi fu risparmiata la
mortificazione di tale scoperta. Non appena quindi David diede il segnale
convenuto, al posto del feroce brontolio dell'orso, si udì nella capanna
un basso sibilo.
Uncas si era
appoggiato alla parete e aveva chiuso gli occhi come volesse escludere
dalla sua vista un oggetto così spregevole e ripugnante. Ma quando sentì
il sibilo del serpente, si alzò e si guardò attorno, chinando la testa e
girandola in tutte le direzioni con aria interrogativa, finché il suo
sguardo acuto si posò sul mostro peloso dove rimase fisso, come rapito dal
potere di un incantesimo. Si ripeterono gli stessi suoni che evidentemente
provenivano dalla bocca della bestia.
Di nuovo gli
occhi del giovane errarono all'interno della capanna e ritornarono nella
posizione di prima, allora Uncas mormorò con voce bassa e soffocata:
«Occhio di Falco!»
«Tagliategli i
lacci» disse Occhio di Falco a David che in quel momento si era
avvicinato.
Il cantore fece
quanto gli era stato ordinato e Uncas si trovò con le membra libere. Nello
stesso momento la pella secca dell'animale scricchiolò e apparve
l'esploratore in carne ed ossa. Il Mohicano parve comprendere per intuito
la natura del tentativo fatto dall'amico, perché né parole, né espressione
alcuna rivelavano segni di sorpresa. Quando Occhio di Falco si fu liberato
dell'ispido travestimento, semplicemente slacciando certi legacci di
pelle, trasse un lungo coltello lucente e lo mise in mano ad Uncas.
«Gli Uroni rossi
sono fuori» disse. «Prepariamoci.»
Nello stesso
momento mise il dito su un'altra arma simile con aria significativa,
infatti entrambe erano il frutto delle sue imprese fra i nemici durante
quella notte.
«Andiamo» disse
Uncas.
«Dove?»
«Dalle
Tartarughe; essi sono figli dei miei avi.»
«Già ragazzo,»
disse l'esploratore in inglese, lingua che era portato ad usare quando era
un po' distratto, «lo stesso sangue scorre nelle vostre vene, credo, ma il
tempo e la distanza hanno un po' cambiato il suo colore. Cosa facciamo con
i Mingo alla porta? Sono in sei e questo cantore non conta nulla.»
«Gli Uroni sono
spacconi,» disse Uncas sprezzante, «il loro totem è un alce, ma corrono
come lumache. I Delaware sono figli della tartaruga ma superano il cervo.»
«Già, ragazzo,
c'è della verità in quello che dici, e non dubito che con un solo slancio
vinceresti tutto il popolo; e in una corsa diritta guadagneresti il
traguardo e riusciresti a riprendere fiato prima che una sola di tutte
quelle canaglie arrivi nelle vicinanze del villaggio. Le virtù di un
bianco, però, risiedono più nelle braccia che nelle gambe. Quanto a me
posso far saltare le cervella a un Urone come a un uomo migliore, ma se si
trattasse di fare una corsa quelle canaglie sarebbero troppo forti per
me,»
Uncas, che si
era già avvicinato alla porta pronto a far strada, indietreggiò e tornò al
fondo della capanna. Ma Occhio di Falco, che era troppo sprofondato nei
suoi pensieri per notare quella mossa, continuò a parlare più a se stesso
che al compagno.
«Dopo tutto,»
egli disse, «è irragionevole tenere un uomo legato alle virtù di un altro.
Così, Uncas, faresti meglio a dartela a gambe mentre io mi rimetterò la
pelle e mi affiderò all'astuzia in mancanza di velocità.»
Il giovane
Mohicano non rispose, ma con calma incrociò le braccia e si appoggiò a uno
dei pali che sostenevano la parete della capanna. «Ebbene» disse
l'esploratore guardandolo, «perché indugi? Per me ci sarà abbastanza tempo
perché quei demoni daranno prima la caccia a te.»
«Uncas resterà»
fu la tranquilla risposta.
«A che scopo?»
«Per combattere
col fratello di suo padre e morire con l'amico dei Delaware.»
«Già, ragazzo»
replicò Occhio di Falco stringendo la mano di Uncas fra le sue ferree
dita. «Sarebbe stato più da Mingo che da Mohicano se mi avessi
abbandonato. Ma pensavo di doverti fare questa offerta, sapendo che la
giovinezza in generale ama la vita. Bene, ciò che in guerra non può essere
fatto col coraggio, deve essere fatto con l'astuzia. Mettiti la pelle, non
dubito che tu sappia fare la parte dell'orso bene quanto me.»
Qualunque fosse
l'opinione personale di Uncas sulle loro rispettive capacità in proposito,
il suo viso grave non manifestò l'opinione che aveva della propria
superiorità. Silenziosamente e senza indugi si infilò nella pelle della
bestia, poi attese che il compagno più anziano gli indicasse le ulteriori
mosse da fare.
«Ora, amico,»
disse Occhio di Falco rivolto a David, «vi converrà cambiare abbigliamento
poiché siete poco abituato agli espedienti in uso nella foresta. Qua,
prendete la mia cacciatora e il mio berretto e datemi la vostra coperta e
il vostro cappello. Dovete affidarmi anche il libro, gli occhiali, nonché
lo zufolo; se mai ci rincontreremo in tempi migliori, vi restituirò tutto
con molti ringraziamenti in cambio.»
David si separò
dai suoi vari aggeggi con una prontezza che avrebbe conferito molto
credito alla sua generosità se, per molti versi, non avesse guadagnato nel
cambio. Occhio di Falco non ci mise molto a indossare gli abiti presi a
prestito, e quando i suoi occhi inquieti furono nascosti dagli occhiali e
la testa sormontata dal copricapo triangolare di castoro, poiché le loro
stature non differivano di molto, grazie alla luce delle stelle aveva
buona possibilità di essere scambiato per il maestro di canto. Non appena
questi preparativi furono compiuti, l'esploratore si rivolse a David e gli
diede le istruzioni prima della separazione.
«Siete molto
portato alla codardia?» domandò bruscamente per aver un'idea precisa della
situazione prima di azzardarsi a dare consigli. «Le mie intenzioni sono
pacifiche e il mio carattere, credo umilmente, è molto incline alla pietà
e all'amore,» replicò David un po' piccato per un attacco così diretto
alla sua virilità, «ma nessuno può dire che abbia mai dimenticato la mia
fede nel Signore, sia pure nelle maggiori angustie.»
«Il pericolo più
grande per voi sarà quando i selvaggi scopriranno che sono stati
ingannati. Se non vi daranno una botta in testa allora, il fatto che vi
credono un po' tocco vi proteggerà, in questo caso avrete buone ragioni
per sperare di morire nel vostro letto... Se restate dovete sedervi qui
nell'ombra e fingere di essere Uncas fino a quando l'astuzia degli indiani
scoprirà l'inganno, allora, come ho detto, verrà il momento della vostra
prova. Dunque scegliete se fare una corsa o rimanere qui.»
«Proprio così,»
disse David fermamente, «rimarrò al posto del Delaware. Egli ha combattuto
coraggiosamente e generosamente per me, e rischierò questo ed altro per
lui.»
«Avete parlato
da uomo, e come uno che, con una scuola più saggia, sarebbe giunto a
risultati migliori. Tenete giù la testa e ritirate le gambe: la loro forma
direbbe troppo presto la verità. State zitto più a lungo che potete,
sarebbe inoltre saggio, quando sarete costretto a parlare, che usciste
improvvisamente in uno dei vostri strilli, il che servirà a ricordare agli
indiani che non siete completamente responsabile come un uomo dovrebbe
essere. Se però essi vi prenderanno la cotenna, cosa che io spero e credo
non avvenga, Uncas ed io non lo dimenticheremo, ma faremo le nostre
vendette come si addice a dei veri guerrieri e fedeli amici.»
«Aspettate!»
disse David vedendo che con questa assicurazione essi stavano per
andarsene. «Sono un indegno ed umile seguace di Uno che non ha insegnato i
principi della vendetta. Perciò, se dovessi soccombere, non sacrificate
vittime per me, ma piuttosto perdonate i miei assassini; se li ricorderete
fate che sia nelle preghiere, per illuminare le loro menti, e per il loro
bene eterno.»
L'sploratore
esitò e parve meditare.
«C'è un
principio in tutto ciò,» disse, «diverso dalla legge dei boschi, e
tuttavia è una cosa bella e nobile su cui riflettere.» Poi, sospirando
profondamente - forse uno degli ultimi sospiri al pensiero della
condizione che aveva abbandonato da tanto - aggiunse: «Questo è ciò che
vorrei fare anch'io, come uomo di sangue puro quale sono, benché non sia
sempre facile trattare con un indiano come fareste con un cristiano. Dio
vi benedica, amico; credo veramente che la vostra strada non sia
sbagliata, se si considera bene la faccenda e tenendo sempre presente che
l'eternità ci aspetta, anche se molto dipende dai doni naturali e dalla
forza delle tentazioni.»
Così dicendo si
volse, e strinse cordialmente la mano a David. Dopo questa dimostrazione
di amicizia, abbandonò immediatamente la capanna, seguito dal nuovo
simulatore della bestia.
Nel momento in
cui Occhio di Falco si trovò sotto lo sguardo degli Uroni, irrigidì la
figura come faceva David, e alzò il braccio nell'atto di battere il tempo,
poi cominciò quella che nelle sue intenzioni era un imitazione della
salmodia. Fortunatamente per il successo di questa delicata avventura,
egli aveva a che fare con orecchie poco abituate agli accordi dei dolci
suoni, altrimenti i suoi miseri sforzi sarebbero stati senz'altro
scoperti. Fu necessario passare nelle pericolose vicinanze dello scuro
gruppo di selvaggi, e qui la voce dell'esploratore si fece più alta mentre
essi si avvicinavano. Nel punto più vicino, l'Urone che parlava inglese
tese un braccio e fermò il finto maestro di canto.
«Il cane
Delaware,» disse chinandosi in avanti e scrutando attraverso la luce
confusa per cogliere l'espressione dell'altro, «ha paura? Sentiranno gli
Uroni i suoi lamenti?»
Un brontolio
così straordinariamente feroce e naturale provenne dalla bestia che il
giovane indiano lasciò la presa e balzò di lato come per assicurarsi che
quello che gli barcollava davanti non fosse un vero orso invece che
un'imitazione. Occhio di Falco che temeva che la sua voce lo avrebbe
tradito con gli astuti nemici, approfittò volentieri dell'interruzione per
prorompere di nuovo in una esplosione musicale tale che probabilmente, in
una situazione sociale più raffinata, sarebbe stata definita «un gran
baccano». Ma fra gli ascoltatori di quel momento la cosa gli procurò
un'ulteriore dose di quel rispetto che essi non negano mai a coloro che
sono creduti vittime dell'alienazione mentale. Il gruppetto di Indiani
indietreggiò in massa e lasciò passare colui che credevano lo stregone e
il suo ispirato aiutante.
Ad Uncas e
all'esploratore occorse una non comune dose di fermezza per continuare a
mantenere il passo dignitoso e deciso che avevano assunto nel passare fra
le capanne, specialmente quando si accorsero che la curiosità aveva di
tanto superato la paura da indurre i guardiani ad avvicinarsi alla capanna
per controllare l'effetto dell'incantesimo. Il minimo movimento poco
accorto o impaziente da parte di David avrebbe potuto tradirli e il tempo
era assolutamente necessario alla salvezza dell'esploratore. Il forte
rumore che questi ritenne prudente continuare mentre passavano, attirò
molti spettatori curiosi alle porte della capanna, e una volta o due un
guerriero dall'aria cupa attraversò loro il cammino spinto dalla
superstizione o dal sospetto. Tuttavia non furono interrotti; l'ora oscura
e l'audacia dell'impresa furono i loro principali alleati.
I due erano già
fuori del villaggio e stavano rapidamente avvicinandosi al riparo dei
boschi, quando un grido forte e lungo si levò dalla capanna dove Uncas era
stato prigioniero. Il Mohicano si rizzò e scosse il peloso travestimento
come se l'animale che imitava stesse per fare qualche sforzo disperato.
«Aspetta!» disse
l'esploratore prendendo l'amico per una spalla. «Lascia che gridino
ancora! Era soltanto stupore.»
Non ebbe
occasione di indugiare perché un'esplosione di grida riempì l'aria
circostante e risuonò per tutto il villaggio. Uncas si liberò della pelle
e ne uscì la sua bella persona. Occhio di Falco gli toccò leggermente la
spalla e gli sgattaiolò davanti.
«Ora lascia pure
che ci inseguano!» disse l'esploratore traendo due fucili con tutte le
loro munizioni da sotto un cespuglio e brandendo ‹Ammazzacervo› mentre
porgeva a Uncas la sua arma, «almeno due di loro troveranno la morte.»
Poi, spianando
le armi come cacciatori avidi di selvaggina, si lanciarono avanti e presto
furono immersi nella cupa oscurità della foresta.
XXVII
Ant - Lo
ricorderò:
Quando Cesare
dice «Fate questo», è fatto
Giulio Cesare
L'impazienza dei
selvaggi che indugiavano attorno alla prigione di Uncas aveva, come
abbiamo visto, avuto la meglio sulla paura del respiro dello stregone.
Essi si avvicinarono guardinghi e col cuore in tumulto ad una fessura
attraverso la quale filtrava la debole luce del fuoco. Per parecchi minuti
scambiarono la forma di David con quella del prigioniero, ma si verificò
proprio l'incidente previsto da Occhio di Falco. Stanco di tenere la lunga
persona così raccolta, il cantore aveva allungato le estremità inferiori,
e uno dei suoi goffi piedi venne a contatto del fuoco e sparpagliò le
braci.
In un primo
momento gli Uroni credettero che il Delaware fosse stato così deformato
per via della stregoneria. Ma quando David, non sapendo di essere
osservato, girò il capo ed espose il suo ingenuo e innocuo viso al posto
dei lineamenti alteri del prigioniero, sarebbe stato troppo anche per la
credulità di un selvaggio avere altri dubbi. Gli Uroni si precipitarono
insieme nella capanna, e mettendo le mani senza cerimonie sul prigioniero,
immediatamente scoprirono l'imbroglio. Fu allora che si levò il primo
grido udito dai fuggiaschi, subito seguito dai più frenetici e collerici
gesti di vendetta.
Perciò David,
deciso a coprire la fuga degli amici, credette che la sua ultima ora fosse
giunta. Privato del libro e dello zufolo, fu costretto ad affidarsi ad una
memoria che raramente gli faceva difetto in simili circostanze, e
prorompendo in un canto forte e appassionato tentò di addolcire il suo
passaggio nell'altro mondo cantando i primi versi di un inno funebre. Gli
indiani si ricordarono in tempo della sua infermità e, precipitandosi
all'aria aperta, svegliarono il villaggio nel modo descritto.
Un guerriero
indigeno combatte anche quando dorme senza armi. Perciò l'allarme era
appena stato dato che duecento guerrieri erano già in piedi, pronti per la
battaglia o la caccia, perché l'una o l'altra potevano essere necessarie.
La fuga venne presto risaputa, e l'intera tribù si affollò intorno alla
capanna del consiglio, in impaziente attesa delle istruzioni del capo. Con
tale improvvisa necessità di tutta la saggezza di cui potevano disporre,
la presenza dell'astuto Magua non poteva mancare. Venne fatto il suo nome
e tutti si guardarono attorno meravigliati che egli non fosse ancora
apparso. Furono mandati dei messaggeri alla sua capanna per domandare che
venisse.
Nel frattempo fu
ordinato ad alcuni dei più veloci e prudenti giovani di fare il giro della
radura protetti dal bosco, perché si accertassero che i loro vicini
sospetti, i Delaware, non progettassero qualche attacco. Donne e bambini
correvano avanti e indietro; in breve l'intero accampamento presentò
un'altra scena di feroce e selvaggia confusione. Tuttavia, a poco a poco,
i segni di disordine diminuirono, e in pochi minuti i capi più anziani e
più rispettabili si adunarono nella capanna in solenne consiglio.
Il clamore di
molte voci presto annunciò che si stava avvicinando un gruppo dal quale ci
si aspettava la comunicazione di qualche notizia che avrebbe spiegato il
mistero di quella nuova sorpresa. La folla che stava fuori si aprì, e
molti guerrieri entrarono nella capanna portando con sé l'inerme stregone
che l'esploratore aveva lasciato a lungo legato.
Gli Uroni
avevano opinioni contrastanti sulle qualità di quest'uomo, infatti mentre
alcuni credevano nel suo potere, altri lo ritenevano un impostore, e
tuttavia questa volta fu ascoltato da tutti con la massima attenzione.
Quando il suo breve racconto terminò, il padre della inferma si fece
avanti, e con poche concise parole narrò ciò che sapeva. Questi due
racconti diedero la direzione giusta alle indagini successive che da quel
momento in poi si svolsero con la caratteristica astuzia dei selvaggi
Invece di
precipitarsi in massa confusa alla caverna, vennero scelti dieci dei capi
più saggi e risoluti per continuare le ricerche. Poiché non c'era tempo da
perdere, quando la scelta fu fatta gli individui indicati si alzarono
insieme e lasciarono la capanna senza parlare. Quando raggiunsero
l'entrata i più giovani fecero strada ai più vecchi e tutti procedettero
lungo la bassa, lunga galleria con la fermezza di guerrieri pronti a
dedicarsi al bene collettivo, anche se, nello stesso tempo, segretamente
dubbiosi sulla natura del potere che stavano per affrontare.
La stanza più
esterna della caverna era silenziosa e cupa. La donna giaceva al solito
posto nella stessa posizione, anche se i presenti avevano visto che era
stata trasportata nei boschi dal supposto «dottore dell'uomo bianco.» Una
contraddizione così diretta e palpabile del racconto fatto dal padre fece
volgere tutti gli sguardi su di lui.
Irritato da
questa silenziosa accusa e intimamente preoccupato per una circostanza
così inspiegabile, il capo si avvicinò al capezzale, e chinandosi gettò
un'occhiata incredula ai lineamenti della donna quasi non volesse
convincersi di ciò che vedeva. Sua figlia era morta.
L'insopprimibile
sentimento naturale prevalse per un momento, e il vecchio guerriero si
coprì gli occhi per il dolore. Poi, recuperando la padronanza di sé,
guardò in viso i compagni, e indicando il cadavere disse nella lingua
della sua gente: «La moglie del mio giovane ci ha lasciato! Il Grande
Spirito è in collera con i suoi figli.»
La dolorosa
notizia fu accolta in un silenzio solenne. Dopo una breve pausa, mentre
uno degli indiani più anziani si accingeva a parlare, un oggetto scuro
ruzzolò fuori da una stanza adiacente, e si fermò al centro della camera
dove si trovavano. Ignorando la natura dell'essere col quale doveva avere
a che fare, l'intero gruppo indietreggiò un poco, finché l'oggetto si
trovò sotto la luce, e alzandosi mostrò i lineamenti distorti ma ancora
feroci e torvi di Magua. La scoperta fu seguita da una generale
esclamazione di stupore.
Non appena però
la situazione del capo fu compresa, rapidamente furono tratti parecchi
coltelli che gli liberarono le membra e la lingua. L'Urone si alzò e si
scrollò come un leone che esca dalla tana. Nemmeno una parola gli sfuggì,
benché la sua mano giocasse convulsamente col manico del coltello e i suoi
occhi indagatori scrutassero l'intera compagnia come cercassero un oggetto
adatto alla sua prima esplosione di vendetta.
Fu una fortuna
per Uncas e l'esploratore, e persino per David, trovarsi fuori dalla porta
della sua arma in un momento simile, perché sicuramente nessuna raffinata
tortura avrebbe in quel momento differito la loro morte sotto l'impeto
della collera violenta che quasi lo soffocava. Incontrando ovunque facce
di amici, il selvaggio digrignò i denti che stridettero come raspe di
ferro, e inghiottì la rabbia in mancanza di una vittima su cui sfogarsi.
Questa dimostrazione di collera fu notata da tutti i presenti i quali, per
paura di esasperare una passione che rasentava quasi la pazzia, lasciarono
trascorrere parecchi minuti prima di pronunciare un'altra parola. Una
volta passato il tempo necessario, il più vecchio della compagnia parlò.
«Il mio amico ha
incontrato un nemico,» disse. «È costui abbastanza vicino che gli Uroni
possano fare le sue vendette?»
«Che il Delaware
muoia!» tuonò Magua.
Vi fu un altro
lungo ed espressivo silenzio, rotto, anche questa volta con la dovuta
precauzione, dallo stesso individuo.
«Il Mohicano ha
il piede veloce e salta lontano,» disse, «ma i miei giovani sono sulle sue
tracce.»
«Se n'è andato?»
domandò Magua in toni così profondi e gutturali che sembrarono provenirgli
dal più profondo del petto.
«Uno spirito
maligno è stato fra noi e il Delaware ha reso ciechi i nostri occhi.»
«Uno spirito
maligno!» ripeté l'altro beffardo, «è lo spirito che ha preso le vite di
tanti Uroni: lo spirito che uccise i miei giovani al ‹fiume precipitoso›,
che prese le loro cotenne alla ‹fonte della salute› e che ora ha legato le
braccia di Le Renard Subtil!»
«Di chi parla il
mio amico?»
«Del cane che ha
il cuore e l'astuzia di un Urone sotto la pelle pallida ... La Longue
Carabine.»
Il proferire di
questo terribile nome produsse il solito effetto fra gli ascoltatori. Ma
dopo che i guerrieri ebbero avuto il tempo per riflettere e ricordarono
che il loro formidabile e audace nemico era entrato nel cuore
dell'accampamento causando danni, una spaventosa rabbia prese il posto
dello stupore, e tutte quelle feroci passioni che si erano fin lì agitate
nel petto di Magua, improvvisamente furono trasmesse ai suoi compagni.
Alcuni di loro digrignarono i denti per la rabbia, altri sfogarono i loro
sentimenti con grida, altri ancora fendendo l'aria freneticamente, come se
l'oggetto del loro risentimento si trovasse sotto quei colpi.
Ma questo
improvviso scoppio di rabbia si placò rapidamente per trasformarsi nel
silenzioso e cupo riserbo che sempre gli Indiani assumono nei momenti di
inattività.
Magua, che a sua
volta aveva avuto tempo per riflettere, cambiò atteggiamento, e assunse
l'aria di uno che sapeva come pensare ed agire con la dignità propria di
un momento così grave.
«Andiamo dalla
mia gente» disse, «essi ci aspettano.»
I compagni
acconsentirono in silenzio l'intero gruppo di selvaggi lasciò la caverna e
tornò alla capanna del consiglio. Quando furono seduti, tutti gli occhi si
volsero verso Magua, il quale da questo comprese che per comune consenso
era invitato a riferire quanto gli era accaduto. Egli si alzò e raccontò
il fatto senza finzioni o riserve. Tutto l'inganno di Duncan e di Occhio
di Falco fu naturalmente svelato, e nemmeno ai più superstiziosi della
tribù rimase la possibilità di avere dubbi sulla natura degli avvenimenti
occorsi. Era anche troppo evidente che erano stati ingannati in modo
offensivo, vergognoso e ignobile. Quando Magua ebbe finito e ripreso il
suo posto, i componenti della tribù - poiché l'uditorio in sostanza era
costituito da tutti i guerrieri del gruppo - stettero seduti guardandosi
l'un l'altro come stupiti, sia dell'audacia che del successo dei loro
nemici. La considerazione successiva perciò, riguardò i mezzi e le
opportunità della vendetta.
Furono mandati
altri inseguitori sulle tracce dei fuggiaschi, poi i capi si dedicarono
assiduamente alle consultazioni. I guerrieri più anziani fecero parecchie
proposte, e Magua le ascoltò tutte in silenzio e con rispetto. L'astuto
selvaggio aveva recuperato tutta l'abilità e la padronanza di sé, ed ora
perseguiva il proprio obiettivo con la solita cautela e astuzia. Fu
soltanto quando tutti coloro che avevano qualcosa da dire ebbero finito di
esprimere il loro parere che si preparò ad informarli della sua opinione.
Ad essa venne dato maggior peso perché alcuni corrieri erano già tornati e
avevano riferito che erano state trovate tracce dei nemici sufficienti per
non lasciare dubbi sul fatto che essi avevano cercato la salvezza nel
vicino accampamento dei loro presunti alleati, i Delaware. Avvantaggiato
dall'essere in possesso di una notizia tanto importante, il capo presentò
accortamente il suo piano ai compagni, quindi come prevedibile data la sua
eloquenza e la sua astuzia, esso fu adottato senza discussioni.
Quanto segue ne
esporrà brevemente i motivi.
È già stato
detto che, seguendo una tattica da cui raramente si discotava, egli aveva
separato le sorelle non appena raggiunto il villaggio Urone. Magua aveva
scoperto che, trattenendo Alice, poteva efficacemente avere il controllo
di Cora. Perciò quando le separò, tenne la prima a portata di mano e
consegnò quella cui teneva di più alla custodia degli alleati. Era
sottinteso che tale sistemazione sarebbe stata temporanea e venne attuata
anche con l'intenzione di lusingare i vicini, secondo la invariabile
politica indiana.
Mentre era
incessantemente spinto da quegli impulsi di vendetta che in un selvaggio
raramente sono sopiti, il capo era continuamente attento ai suoi personali
interessi. Egli doveva espiare gli errori e la slealtà della giovinezza
attraverso una lunga e dolorosa penitenza, prima di poter godere di nuovo
della piena fiducia del suo antico popolo, perché senza fiducia non poteva
esservi autorità in una tribù indiana. In questa delicata e difficile
situazione, l'abile indigeno non aveva trascurato alcun mezzo per
aumentare la propria influenza, e uno dei più felici di questi espedienti
era stato il successo col quale aveva coltivato il favore dei potenti e
pericolosi vicini. Il risultato di questo esperimento aveva soddisfatto
tutte le aspettative della sua politica, perché gli Uroni non erano
affatto esenti da quel principio che domina nella natura, secondo il quale
l'uomo valuta le proprie qualità esattamente nella stessa misura in cui
queste vengono valutate dagli altri.
Ma mentre faceva
questo preteso sacrificio alla considerazione generale, Magua non perdeva
di vista i motivi personali. Questi erano stati frustati dagli eventi
inattesi che gli avevano fatto perdere il controllo dei prigionieri ed ora
si trovava ridotto alla necessità di cercare il favore di coloro che di
recente aveva reso riconoscenti con la sua politica.
Parecchi capi
avevano proposto complicati piani di tradimento per sorprendere i
Delaware, per impadronirsi del loro accampamento e recuperare i
prigionieri in un sol colpo, perché tutti concordavano sul fatto che
l'onore, l'interesse, la pace e la felicità dei loro morti, reclamavano
imperiosamente che essi immolassero qualche vittima alla loro vendetta. Ma
Magua trovò poca difficoltà a bocciare dei piani così pericolosi e di
dubbia riuscita. Con la consueta astuzia ne espose i rischi e le
difficoltà, e soltanto dopo che ebbe rimosso ogni ostacolo formulando
opinioni opposte, osò proporre i propri progetti.
Cominciò col
blandire l'amor proprio degli ascoltatori, metodo che non manca mai di
imporsi all'attenzione altrui. Quando ebbe enumerato le diverse occasioni
in cui gli Uroni avevano dato prova di coraggio e valore nel punire le
offese, fece una digressione per esaltare le virtù della saggezza.
Descrisse questa qualità come punto principale della differenza tra i
castori e gli altri animali tra le bestie e gli uomini; e infine tra gli
Uroni in particolare e il resto dell'umanità.
Dopo che ebbe
sufficientemente decantato le qualità della prudenza, prese a dimostrare
in qual modo essa potesse essere applicata alla presente situazione della
tribù. Da una parte, disse, c'era il loro grande padre bianco, il
governatore del Canadà, che aveva guardato i suoi figli con occhio severo
da quando i loro tomahawk erano diventati così rossi; dall'altra, un
popolo numeroso come il loro, che parlava una lingua diversa, aveva
interessi diversi, non li amava e sarebbe stato contento di farli cadere
in disgrazia presso il grande capo bianco. Poi parlò delle loro necessità,
dei favori che avevano il diritto di aspettarsi per i loro passati
servizi, della lontananza dalle loro terre di caccia e dai villaggi natii,
nonché della necessità di far uso più della prudenza e meno degli istinti
in circostanze tanto critiche. Quando vide che, mentre gli anziani
approvavano la sua moderazione, molti dei più feroci e importanti
guerrieri ascoltavano l'esposizione di questi piani avveduti con gli occhi
bassi, egli li riportò astutamente sul loro argomento preferito.
Parlò
apertamente dei risultati della loro saggezza, e giunse a dire che
avrebbero condotto al trionfo finale e completo sui nemici. Accennò
persino vagamente alla possibilità che il loro successo avrebbe potuto
estendersi, con i dovuti accorgimenti, fino a raggiungere la distruzione
di tutti coloro che avevano ragione di odiare. In breve, seppe mescolare
la bellicosità con l'astuzia, l'ovvio con l'oscuro, in modo da lusingare
entrambe le inclinazioni e da lasciare a ciascuno motivi di speranza,
mentre nessuno avrebbe potuto dire di aver compreso chiaramente le sue
intenzioni.
L'oratore, o il
politico, che siano in grado di produrre un simile stato di cose, di
solito è popolare fra i suoi contemporanei, comunque venga giudicato dai
posteri. Tutti compresero che era più la parte sottintesa che quella
esposta con le parole, e ciascuno credette che il significato nascosto
fosse esattamente quello che le sue facoltà gli permettevano di
comprendere, o i suoi desideri lo portavano a prevedere.
In questo
favorevole stato di cose, non è sorprendente che il progetto di Magua
prevalesse. La tribù acconsentì ad agire con riflessione, e di comune
accordo la direzione dell'intera faccenda fu affidata al capo che aveva
suggerito espedienti tanto saggi e chiari.
Magua ora aveva
raggiunto il grande obiettivo di tutta la sua astuzia e intraprendenza. Il
terreno che aveva perduto nel favore del suo popolo fu completamente
riguadagnato, ed egli si trovò persino alla guida dell'impresa. Era
effettivamente il loro capo, e fintanto che poteva mantenere la propria
popolarità, nessun monarca avrebbe potuto essere più dispotico,
specialmente in un momento in cui la tribù si trovava in un paese ostile.
Abbandonando perciò l'atteggiamento di chi si consulta, assunse l'aria
grave di autorità che era necessaria per sostenere la dignità del suo
ufficio.
Furono inviati
dei corrieri per raccogliere notizie nelle varie direzioni; fu ordinato a
delle spie di avvicinarsi all'accampamento dei Delaware per studiarlo; i
guerrieri furono mandati nelle loro abitazioni con l'avviso che presto
sarebbero occorsi i loro servigi; alle donne e ai bambini venne ordinato
di ritirarsi con l'avvertimento che era loro dovere rimanere in silenzio.
Quando tutto ciò
fu sbrigato, Magua attraversò il villaggio, fermandosi qua e là per fare
una visita dove riteneva che la sua presenza potesse costituire motivo di
lusinga. Confermò gli amici nella fiducia, si guadagnò gli indecisi e
gratificò tutti. Poi cercò la propria capanna. La moglie che il capo Urone
aveva abbandonato quando il suo popolo gli dava la caccia, era morta, Non
aveva figli e ora occupava una capanna senza compagni di sorta. Si
trattava, infatti dell'edificio cadente e solitario nel quale era stato
scoperto David, la cui presenza egli aveva tollerato, con l'indifferenza
sprezzante di una superiorità altezzosa, nelle poche occasioni in cui si
erano incontrati.
Qui, dunque,
Magua si ritirò quando ebbe terminato le sue fatiche politiche. Tuttavia,
mentre gli altri dormivano, egli non conosceva né cercava riposo. Se ci
fosse stato qualcuno abbastanza curioso da sorvegliare i movimenti del
capo testè eletto, lo avrebbe visto seduto ad un angolo della capanna, a
rimuginare i piani futuri, dal momento in cui si era ritirato fino all'ora
fissata per una nuova riunione dei guerrieri. Di tanto in tanto soffiava
un po' d'aria attraverso le fessure della capanna, e la fiammella che
fluttuava sulle bragi del fuoco gettava una luce ondeggiante sulla persona
del bieco recluso. In momenti simili non sarebbe stato difficile
paragonare il cupo selvaggio a un principe delle Tenebre, intento a
meditare sui propri torti immaginari e a tramare malefatte.
Molto prima
dell'alba i guerrieri entrarono ad uno ad uno nella solitaria capanna di
Magua, finché furono in venti. Ognuno aveva il fucile e tutti gli altri
equipaggiamenti di guerra, benché le dipinture fossero di pace. L'arrivo
di questi esseri dall'aria feroce non fu notato; alcuni sedettero nel buio
ed altri rimasero in piedi, come statue immobili, finché l'intero gruppo
dei prescelti fu riunito.
Allora Magua si
alzò, e mettendosi alla testa del gruppo, diede il segnale di procedere.
Essi seguirono il capo uno dietro l'altro, nel ben noto ordine che ha
ottenuto il caratteristico appellativo di «fila indiana». Diversamente da
altri uomini impegnati in una emozionante impresa di guerra, essi uscirono
dal campo senza ostentazione, simili più a una banda di furtivi spettri
che a guerrieri alla cerca della fama in imprese di disperata audacia.
Invece di
prendere il sentiero che conduceva direttamente al campo dei Delaware,
Magua condusse il gruppo per un certo tratto lungo i meandri del fiume e
il piccolo lago artificiale dei castori. Albeggiava quando entrarono nella
radura fatta da quei sagaci e industriosi animali. Mentre Magua, che aveva
indossato il suo antico costume, portava disegnata una volpe sulla pelle
conciata che costituiva il suo abbigliamento, vi era un capo nella
compagnia che aveva il castoro come suo particolare simbolo o ‹totem›. Se
costui fosse passato in mezzo alla grossa comunità dei suoi parenti
immaginari senza tributare loro qualche segno di rispetto, l'omissione
sarebbe stata una specie di profanazione. Perciò si fermò e parlò loro in
termini gentili e amichevoli come se fosse rivolto ad esseri più
intelligenti. Chiamò gli animali suoi cugini e ricordò loro che la sua
protezione permetteva loro di rimanere sani e salvi, mentre tanti
commercianti avidi spingevano gli indiani a prendere le loro vite. Promise
di continuare ad accordare loro i suoi favori e li pregò di essergliene
grati. Dopo di che parlò della spedizione nella quale era impegnato e
accennò con sufficiente tatto e qualche circonlocuzione al vantaggio di
concedere al loro parente una parte di quella saggezza per la quale erano
così famosi.
Durante lo
svolgersi di questa straordinaria arringa i compagni dell'oratore
ascoltavano gravi e attenti le sue parole, come se fossero tutti convinti
della loro efficacia. Una volta o due si videro degli oggetti scuri salire
alla superficie dell'acqua, e l'Urone espresse piacere nel vedere che le
sue parole non erano spese invano. Non appena ebbe finito di parlare, un
grosso castoro spinse la testa fuori dalla porta di una capanna le cui
pareti di terra erano molto rovinate e che la compagnia, dato il suo
stato, aveva creduto disabitata. Un così straordinario segno di fiducia
venne interpretato dall'oratore come un auspicio altamente favorevole, e
benché l'animale si fosse ritirato un po' precipitosamente, egli fu
generoso di ringraziamenti e approvazioni.
Quando Magua
ritenne che si fosse perso abbastanza tempo nella gratificazione degli
affetti familiari del guerriero, fece di nuovo segno di procedere. Mentre
gli indiani si muovevano insieme e con un passo che sarebbe stato
impercettibile per l'orecchio di un uomo comune, il castoro dall'aria
veneranda ancora una volta osò spingere la testa fuori dal riparo. Se
qualcuno degli Uroni si fosse voltato a guardare dietro di sé, avrebbe
visto che l'animale sorvegliava i loro movimenti con un interesse e una
sagacia che si sarebbero potuti facilmente scambiare per ragione. Le
manovre del quadrupede erano così distinte e chiare che anche
l'osservatore più esperto sarebbe stato perplesso se avesse dovuto
riferire cosa stava facendo; questo, fino al momento in cui la compagnia
entrò nella foresta, allorquando tutto divenne chiaro vedendo l'intero
animale uscire dalla capanna e rivelare così i lineamenti gravi di
Chingachgook che uscivano dalla maschera di pelo.
XXVIII
Fate presto, vi
prego; perché, vedete, sono molto
[occupato.
Molto rumore per nulla
La tribù, o
piuttosto la mezza tribù, di Delaware che abbiamo spesso menzionato e il
cui accampamento era in quel momento così vicino al villaggio degli Uroni,
poteva mettere insieme all'incirca lo stesso numero di guerrieri di
quest'ultimo popolo. Come i vicini, essi avevano seguito Montcalm nei
territori della corona inglese e facevano violente e gravi scorribande nei
territori di caccia dei Mohawk; avevano tuttavia ritenuto opportuno, con
quella misteriosa reticenza così comune fra gli indigeni, negare il
proprio aiuto proprio quando ce n'era maggiormente bisogno. I Francesi,
per parte loro, avevano spiegato questa inaspettata defezione da parte
degli alleati in vari modi.
Era opinione
prevalente, tuttavia, che essi erano stati influenzati dall'osservanza al
vecchio trattato; trattato che una volta li aveva resi dipendenti dalle
Sei Nazioni per ciò che concerneva la protezione militare, ed ora li
rendeva riluttanti a mettersi contro gli antichi padroni. Quanto alla
tribù, si era limitata ad annunciare a Montcalm, per mezzo di emissari e
con brevità tipicamente indiana, che le loro accette erano spuntate e che
ci voleva tempo per affilarle. Il sagace capo del Canadà aveva ritenuto
più saggio ospitare un amico passivo piuttosto che tramutarlo in nemico
aperto, con atti di sconsiderata severità.
Lo stesso
mattino in cui Magua condusse nella foresta la sua silenziosa compagnia
attraversando la colonia dei castori, nel sopra modo descritto, il sole
sorse come d'improvviso sul campo dei Delaware, ed illuminò un popolo
indaffarato perché attivamente occupato nelle faccende tipiche del
mezzogiorno. Le donne correvano da una capanna all'altra, alcune occupate
a preparare il pasto mattutino, altre intente a cercare le comodità loro
necessarie, molte però facevano delle soste per scambiare frasi frettolose
e sussurrate con le amiche. I guerrieri gironzolavano a gruppi e più volte
nel corso della conversazione meditavano: anche quando veniva scambiata
qualche parola, essi si esprimevano da uomini capaci di ponderare bene le
loro opinioni. Si vedevano molti strumenti di caccia fra le capanne, ma
nessuno per questo mostrava di voler partire. Qua e là un guerriero
esaminava le sue armi con una attenzione che raramente viene dedicata a
tali arnesi quando non ci si aspetta di incontrare altro nemico che le
bestie della foresta. Di tanto in tanto gli occhi di un intero gruppo si
volgevano simultaneamente verso una capanna grande e silenziosa al centro
del villaggio, come se questa contenesse l'oggetto dei loro comuni
pensieri.
Si stava
svolgendo una di queste scene, quando un uomo apparve all'estremità più
lontana di una roccia piatta che costituiva la base su cui poggiava il
villaggio. Non portava armi e le sue dipinture tendevano ad attenuare
piuttosto che sottolineare la durezza naturale del suo viso austero.
Quando fu pienamente visibile dai Delaware, si fermò, e fece un gesto di
amicizia alzando il braccio verso il cielo e poi abbassandolo solennemente
sul petto. Gli abitanti del villaggio risposero al saluto con un basso
mormorio di benvenuto e lo invitarono ad avvicinarsi con altri gesti di
amicizia. Incoraggiata da queste assicurazioni, la scura figura lasciò il
ciglio della terrazza naturale dove si era fermata un momento, stagliata
contro il cielo del mattino che si faceva roseo, e si mosse con dignità
verso il centro delle capanne. Mentre si avvicinava non si udiva altro che
il rumore dei leggeri gingilli d'argento che gli ornavano le braccia e il
tintinnio delle campanelline che orlavano i suoi mocassini di pelle di
daino. Nell'avanzare fece molti cortesi segni di saluto agli uomini, ma
trascurò di notare le donne come uno che ritenesse i loro favori, in quel
momento, senza importanza. Quando raggiunse il gruppo nel quale, a
giudicare dai visi alteri, erano riuniti i capi più importanti, lo
straniero si fermò, allora i Delaware videro che la figura agile ed eretta
stagliata davanti a loro era quella del famoso capo Urone: Le Renard
Subtil.
L'accoglienza
che gli fecero fu solenne, silenziosa e guardinga. I guerrieri che stavano
davanti si scostarono, aprendo così la strada al loro oratore
riconosciuto: uno che conosceva tutte le lingue coltivate fra gli
aborigeni settentrionali.
«Il saggio Urone
sia il benvenuto,» disse il Delaware nella lingua dei Maqua «è venuto a
mangiare il suo ‹succotash› con i suoi fratelli dei laghi?»
«Egli è venuto»
ripeté Magua chinando il capo con la dignità di un principale orientale.
Il capo tese un
braccio e, prendendo l'altro per un polso, ancora una volta si scambiarono
saluti cordiali. Poi il Delaware invitò l'ospite a entrare nella sua
capanna a condiviere il suo pasto mattutino. L'invito fu accettato e i due
guerrieri, seguiti da tre o quattro anziani, se ne andarono
tranquillamente, lasciando il resto della tribù preda della curiosità di
capire le ragioni di una visita così insolita; e tuttavia senza che
venisse tradita la minima impazienza, a gesti o a parole.
Durante il breve
e frugale pasto che seguì, la conversazione fu circospetta e vertè
soltanto sugli eventi della caccia nella quale Magua era stato di recente
impegnato.
Anche per chi
avesse ricevuto l'educazione più raffinata, sarebbe stato impossibile, più
di quanto non facesse l'ospite di Magua, far mostra di considerare la
visita come una cosa naturale; ciò, nonostante tutti i presenti si
rendessero perfettamente conto del fatto che essa doveva stare in
relazione con qualche fine segreto, probabilmente assai importante per
loro. Quando gli appetiti dell'intera compagnia furono soddisfatti, le
squaw tolsero i piatti di legno e i recipienti di zucca, e le due parti si
accinsero ad affrontare una insidiosa prova per il loro ingegno.
«Il viso del mio
grande padre canadese è di nuovo volto verso i suoi figli Uroni?» domandò
l'oratore dei Delaware.
«Quando mai non
è stato così» replicò Magua. «Egli chiama il mio popolo: amatissimo.»
Il Delaware
inchinandosi mostrò il suo freddo consenso a ciò che sapeva essere falso e
continuò: «I tomahawk dei tuoi giovani sono stati molto rossi.»
«È così, ma ora
sono lucidi e inoffensivi perché gli Yangee sono morti e i Delaware sono
nostri vicini.»
L'altro prese
atto del pacifico complimento con un gesto della mano e rimase in
silenzio. Poi Magua, come se l'allusione al massacro gli avesse fatto
tornare qualcosa alla mente, domandò: «La mia prigioniera dà dei fastidi
ai miei fratelli?»
«È la
benvenuta.»
«Il sentiero che
separa gli Uroni dai Deleware è breve e aperto, inviatela alle mie squaw
se dà dei fastidi ai miei fratelli.»
«È la benvenuta»
replicò il capo di quest'ultimo popolo con più enfasi.
Magua,
frustrato, rimase in silenzio per parecchi minuti, apparentemente
indifferente, però, al rifiuto che aveva ricevuto in questo primo sforzo
di riavere Cora.
«I miei giovani
lasciano spazio ai Delaware per la caccia sulle montagne?» riprese infine.
«I Lenape sono
padroni delle loro colline» replicò l'altro un po' altezzoso.
«È bene. La
giustizia regna sui pellerossa! Perché dovrebbero lucidare i tomahawk e
affilare i coltelli gli uni contro gli altri? I visi pallidi non sono
forse più numerosi delle rondini nella stagione dei fiori?»
«Bene!»
esclamarono due o tre degli uditori. Magua aspettò un po' per permettere
che le sue parole placassero i sentimenti dei Delaware prima di
aggiungere: «Non ci sono stati degli strani mocassini nei boschi? Non
hanno i miei fratelli fiutato le orme dell'uomo bianco?»
«Lascia che il
padre canadese venga» replicò l'altro evasivamente, «i suoi figli sono
pronti a riceverlo.»
«Quando il
grande capo viene è per fumare con gli indiani nelle loro wigwam. Anche
gli Uroni dicono che è il benvenuto. Ma gli Yangee hanno braccia lunghe e
gambe che non si stancano mai! I miei giovani hanno sognato di aver visto
la traccia degli Yangee vicino al villaggio Delaware!»
«Non troveranno
i Lenape addormentati.»
«È bene. Il
guerriero che tiene gli occhi aperti vede il suo nemico» disse Magua
spostando ancora una volta la questione quando si trovò incapace di
intaccare la cautela dei compagni. «Ho portato dei regali al mio fratello.
Il suo popolo non si è messo sul sentiero di guerra perché ha pensato che
non fosse bene, ma i suoi amici hanno ricordato dove abita.»
Quando ebbe così
enunciato le sue generose intenzioni, il sagace capo si alzò e sciorinò
solennemente i suoi regali davanti agli occhi abbagliati degli ospiti.
Essi consistevano per la maggior parte di fronzoli di poco valore,
razziati alle donne trucidate di William Henry.
Nella divisione
dei gingilli l'astuto Urone mostrò non meno abilità che nella loro scelta.
Mentre offrì quelli di maggior valore ai due guerrieri più rispettabili,
uno dei quali era il suo ospite, seppe condire le offerte a quelli meno
importanti, con complimenti così opportuni e azzeccati da non lasciar loro
modo di lamentarsi. In breve, l'intera cerimonia conteneva una così felice
mescolanza di vantaggioso e di lusinghiero, che per il donatore non fu
difficile leggere immediatamente il risultato di una generosità così
convenientemente mescolata alla lode negli occhi di coloro che ne erano i
beneficiari.
Questo colpo ben
assestato da parte di Magua non mancò di produrre istantaneamente i suoi
effetti. I Delaware abbandonarono l'aria grave per un'espressione molto
più cordiale, e l'ospite in particolare, dopo aver contemplato la sua
generosa parte del bottino con singolare piacere, ripetè con grande enfasi
le parole:
«Il mio fratello
è un saggio capo. Sia il benvenuto.»
«Gli Uroni amano
i loro fratelli Delaware» replicò Magua. «Perché non dovrebbero? Sono
tinti dallo stesso loro sole e i loro uomini giusti cacceranno negli
stessi terreni dopo la morte. I pellerossa dovrebbero essere amici, e
guardare i bianchi con occhi ben aperti. I miei fratelli non hanno mandato
spie nei boschi?»
Il Delaware il
cui nome in inglese significa «cuore duro», appellativo che i francesi
hanno tradotto con «Le Coeur-Dur», dimenticò l'ostinata fermezza che
probabilmente gli aveva fatto meritare un titolo così significativo. il
suo viso divenne sensibilmente meno rigido e ora si degnò di rispondere
più direttamente.
«Ci sono stati
strani mocassini attorno al mio campo. Ne abbiamo trovato traccia fino
nelle mie capanne.»
«Ha il mio
fratello cacciato con la forza quei cani?» domandò Magua senza riferirsi
minimamente al precedente equivoco del capo.
«Non sarebbe
stato bene. Lo straniero è sempre benvenuto fra i figli di Lenape.»
«Lo straniero,
ma non la spia.»
«Gli Yangee
mandano forse le donne come spie? Non ha detto il capo Urone di aver
catturato delle donne in battaglia?»
«Egli non ha
mentito. Gli Yangee hanno mandato i loro esploratori. Essi sono stati
nelle mie wigwam, ma non vi hanno trovato nessuno che desse loro il
benvenuto. Allora sono corsi dai Deleware... perché, dicono, i Delaware
sono nostri amici, le loro menti non sono più rivolte al loro padre
canadese!.»
Questa
insinuazione fu un colpo che andò a segno e tale che in una società più
avanzata avrebbe guadagnato a Magua la reputazione di astuto diplomatico.
La recente defezione della tribù, come essi stessi ben sapevano, aveva
esposto i Delaware a molti rimproveri da parte degli alleati francesi, ed
ora si faceva sentire loro che azioni future che avrebbero compiuto
sarebbero state osservate con sospetto e sfiducia.
Non era
necessario indagare troppo a fondo sulle cause e gli effetti per prevedere
che un tale stato di cose, sarebbe stato probabilmente molto
pregiudizievole ai futuri movimenti dei Delaware. I loro villaggi lontani,
i loro territori di caccia, centinaia delle loro donne e bambini, nonché
una parte considerevole delle loro forze, si trovavano in quel momento
entro i confini del territorio francese. Di conseguenza questo allarmante
annuncio fu accolto, come Magua voleva, con manifesto disappunto, se non
con apprensione.
«Che il mio
padre mi guardi pure in faccia» disse ‹Le Coeur Dur›, «vedrà che nulla è
mutato. È vero, i miei giovani non sono scesi sul sentiero di guerra:
hanno avuto sogni che hanno detto loro di non farlo. Ma essi amano e
venerano il loro grande capo bianco.»
«Penserà questo
quando sentirà che il suo peggior nemico è nutrito nel campo dei suoi
figli? Quando gli si dirà che uno Yangee sanguinario fuma al loro fuoco?
Che il viso pallido che ha ucciso tanti dei suoi amici va e viene fra i
Delaware? Via! Il mio grande padre del Canadà non è uno sciocco!»
«Dov'è lo Yangee
che i Delaware temono?» replicò l'altro. «Chi ha ucciso i miei giovani?
Chi è il nemico mortale del mio grande padre?»
«La Longue
Carabine.»
I guerrieri
Delaware sussultarono al ben noto nome, rivelando con questo stupore di
apprendere in quel momento, per la prima volta, che era in loro potere un
uomo tanto famoso fra gli alleati indiani della Francia.
«Cosa vuol dire
il mio fratello?» domandò ‹Le Coeur Dur› in un tono che, per la
meraviglia, vinceva l'abituale riserbo della sua razza.
«Un Urone non
mente!» disse Magua freddamente, appoggiando la testa alla parete della
capanna e chiudendosi la leggera camicia sul petto abbronzato. «Che i
Delaware contino i loro prigionieri, ne troveranno uno la cui pelle non è
rossa né pallida.»
Seguì una lunga
pausa perplessa. Il capo si consultò in disparte con i compagni e furono
inviati messaggeri per chiamare alcuni uomini fra i più importanti della
tribù.
Man mano che i
guerrieri entravano uno dopo l'altro, venivano messi al corrente, di volta
in volta, della importante notizia che Magua aveva appena comunicato.
Tutti ebbero
l'aria sorpresa ed uscirono nella solita bassa e profonda esclamazione
gutturale. La notizia si propagò di bocca in bocca, finché tutto
l'accampamento si fece molto agitato. Le donne sospesero i loro lavori per
cogliere qualche sillaba che sfuggiva incautamente dalle labbra dei
guerrieri che si stavano consultando. I ragazzi abbandonarono i giochi e
camminando senza paura fra i loro padri, guardavano con curiosa
ammirazione quando sentivano la breve esclamazione di meraviglia che
questi facevano senza reticenza davanti alla temerarietà di un nemico
tanto odiato. In breve, ogni occupazione fu abbandonata e ogni altro
passatempo trascurato, così che la tribù potesse dedicarsi, secondo gli
usi, all'aperta espressione dei propri sentimenti.
Quando
l'eccitazione si fu un po' placata, gli anziani si disposero a considerare
seriamente ciò che sarebbe stato opportuno fare per l'onore e la sicurezza
della tribù in circostanze tanto delicate e imbarazzanti. Durante tutti
questi movimenti e in mezzo alla confusione generale, Magua, non solo era
rimasto seduto, ma aveva mantenuto l'atteggiamento originariamente
assunto: appoggiato alla parete della capanna, dove rimaneva immobile e
apparentemente indifferente come se il risultato di tutto ciò non lo
interessasse. Tuttavia, non un solo indizio delle future intenzioni
dell'ospite sfuggì ai suoi occhi vigili. Con la sua profonda conoscenza
della natura del popolo col quale doveva trattare, egli previde ogni
misura che presero; e si potrebbe quasi dire che, in molti casi, egli
conoscesse le loro intenzioni addirittura prima di loro.
Il consiglio dei
Delaware fu breve. Quando fu terminato, una agitazione generale annunciò
che sarebbe esso stato immediatamente seguito da una solenne e formale
assemblea di tutto il popolo. Poiché tali riunioni erano rare, e tenute
soltanto in occasioni di estrema importanza, l'astuto Urone, che sedeva
ancora in disparte, scaltro e cupo osservatore degli avvenimenti, ora
sapeva che tutti i suoi progetti stavano per raggiungere il loro scopo
finale. Perciò lasciò la capanna e si incamminò silenziosamente verso il
punto davanti all'accampamento dove i guerrieri stavano già cominciando a
raccogliersi.
Ci sarà voluta
circa un'ora prima che tutti, donne e bambini inclusi, si trovassero sul
posto. L'indugio era dovuto ai solenni preparativi che erano stati
ritenuti necessari per una riunione così importante ed insolita. Quando il
sole si alzò sulle cime delle montagne nel cui cuore i Delaware avevano
costruito l'accampamento, la maggior parte di essi si trovava seduta; i
suoi raggi luminosi dardeggiarono attraverso i contorni degli alberi che
orlavano le alture e caddero su una moltitudine solenne, attenta e
profondamente interessata, quale probabilmente non era mai stata
illuminata prima dalla sua luce mattutina.
Il numero della
tribù superava di poco il migliaio di anime.
In una riunione
di selvaggi così seri, non si trova mai qualcuno tanto impaziente da
aspirare ad una distinzione prematura e pronto a spingere gli ascoltatori
ad una discussione frettolosa o magari inopportuna per mettere in luce la
propria persona. Un atto tanto precipitoso e presuntuoso avrebbe
suggellato per sempre la sua rovina. Spettava esclusivamente ai più
anziani e più dotati di esperienza esporre l'argomento della riunione al
popolo. Finché uno di costoro non ritenesse opportuno fare una mossa,
nessuna impresa di guerra, né alcun merito naturale, né fama di oratore,
avrebbero giustificato la minima interruzione. Nella presente occasione,
l'anziano guerriero che avrebbe avuto la facoltà di parlare, rimase in
silenzio, apparentemente schiacciato dall'importanza dell'argomento.
L'indugio si era
prolungato ben al di là della solita pausa per deliberare che sempre
precede una riunione; ma nessun segno di impazienza sfuggiva sia pure al
più giovane dei ragazzi. Di tanto in tanto gli occhi di uno dei presenti
si alzavano da terra, dove gli sguardi di tutti erano fissi, e vagavano in
direzione di una capanna particolare, che non portava però alcun segno che
la distinguesse da quelle che la circondavano, tranne che per le speciali
precauzioni prese per difenderla dagli assalti delle intemperie.
Finalmente si
udì uno di quei bassi mormorii che così spesso turbano una moltitudine, e
l'intero popolo si alzò in piedi come per comune impulso. In quel momento
la porta della capanna si aprì e ne uscirono tre uomini che si
avvicinarono lentamente al luogo della riunione. Erano tutti vecchi, e
raggiungevano un'età persino superiore al più vecchio dei presenti, ma
quello al centro, che si appoggiava ai compagni perché lo sostenessero,
aveva un numero di anni tale che la razza umana difficilmente può
raggiungere. La sua corporatura, che una volta era stata alta ed eretta
come un cedro, era ora piegata sotto il peso di più di un secolo. Il passo
elastico e leggero caratteristico degli indiani, non era più tale; il
vecchio era invece costretto a faticare il lento cammino pollice per
pollice. Il suo viso scuro e rugoso contrastava fortemente e in modo
singolare con la lunga capigliatura ondulata che gli fluttuava sulle
spalle così folta da rivelare che probabilmente erano passate generazioni
da quando era stata tagliata per l'ultima volta.
L'abbigliamento
di questo patriarca - perché così, considerando la tarda età e
l'ascendente sul suo popolo, poteva essere giustamente chiamato - era
ricco e imponente, benché non si discostasse dalle semplici fogge della
tribù. Il vestito era di pelli finissime, private del pelo allo scopo di
permettere la rappresentazione simbolica delle varie imprese d'armi da lui
compiute nei tempi andati. Il suo petto era carico di medaglie, alcune
d'argento massiccio e una o due persino d'oro, doni di vari sovrani
cristiani durante il lungo periodo della sua vita. Portava anche
braccialetti e cinture sui fianchi, tutti fatti del prezioso metallo. La
testa, sulla quale i capelli erano stati lasciati crescere liberamente
perché da lungo tempo aveva abbandonato le imprese di guerra, era
circondata da una sorta di diadema placcato che a sua volta aveva
ornamenti più piccoli e luccicanti che scintillavano fra i colori lucenti
di tre piume ricurve di struzzo orlate di un nero intenso, in patetico
contrasto con i capelli bianchissimi. Il tomahawk era quasi nascosto
dall'argento, mentre il manico del coltello brillava come un corno d'oro
massiccio.
Non appena il
primo brusio di emozione e piacere suscitato dalla improvvisa apparizione
di questo uomo venerando, si fu un poco spento, il nome di «Tamenund» fu
sussurrato di bocca in bocca. La fama di questo saggio e giusto Delaware
era spesso arrivata fino alle orecchie di Magua; tale reputazione era
giunta tanto lontano da attribuirgli il raro dono di essere in segreta
comunione con il Grande Spirito, e aveva trasmesso il suo nome, con
qualche leggera modifica, agli usurpatori bianchi del suo antico
territorio, come quello del genio tutelare di un vasto impero. Perciò il
capo Urone si scostò ansioso dalla folla per mettersi in una posizione da
cui potesse vedere più da vicino i lineamenti dell'uomo la cui decisione
avrebbe probabilmente segnato tanto profondamente le sue sorti future.
Gli occhi del
vecchio erano chiusi, come fossero esausti dell'aver tanto a lungo
assistito all'egoistico affannarsi delle passioni umane. Il colore della
sua pelle era diverso da quello di coloro che lo circondavano, più intenso
e più scuro. Quest'ultima sfumatura era stata ottenuta per mezzo del
delicato intrico di certe linee che formavano figure complicate e tuttavia
bellissime, tatuate su quasi tutta la sua persona. Nonostante la posizione
dell'Urone, egli passò davanti al silenzioso e attento Magua senza
notarlo, e appoggiandosi ai venerandi sostenitori, procedette verso il
posto d'onore tra la moltitudine, dove sedette, in mezzo al suo popolo,
con la dignità di un monarca e l'espressione di un padre.
Nulla potrebbe
superare la reverenza e l'affetto con cui il popolo ricevette questa
inattesa visita di uno che apparteneva più ad un altro mondo che a questo.
Dopo una opportuna e dignitosa pausa, i capi più importanti si alzarono e,
avvicinatisi al patriarca, gli posero con reverenza le mani sul capo come
per implorare da lui una benedizione. I più giovani si accontentavano di
toccare la sua veste o addirittura di avvicinarsi un poco alla sua persona
per respirare nell'atmosfera di uno così vecchio, giusto a valoroso.
Soltanto i più insigni tra i giovani guerrieri ebbero l'ardire di compiere
quest'ultima cerimonia; la massa reputava una gioia sufficiente guardare
una figura così profondamente venerata e amata. Quando questi atti di
affetto e rispetto furono compiuti, i capi tornarono ai loro posti e il
silenzio regnò in tutto l'accampamento.
Dopo un breve
indugio, alcuni giovani ai quali erano state sussurrate delle istruzioni
da uno degli anziani accompagnatori di Tamenund, si alzarono, lasciarono
la folla ed entrarono nella capanna che era già stata notata come
l'oggetto di tanta attenzione durante il mattino. Pochi minuti dopo
riapparvero, scortando gli individui che erano stati la causa di tanti
solenni preparativi verso la sede del giudizio. La folla aprì un varco, e
quando il gruppo fu entrato, si richiuse, formando un largo e fitto
assembramento di corpi umani disposti a semicerchio.
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